Siamo tutti uguali, ma qualcuno è meno uguale
I diritti e i doveri sono uguali per tutti, ma per qualcuno non è proprio così. Probabilmente questa diversità di trattamento dipende dal reddito, almeno stando a quanto possiamo vedere nel nostro Belpaese.
Esempio evidente è il caso dell'ex residente Silvio Berlusconi: il non più cavaliere, dopo svariati processi, finiti con assoluzioni, con prescrizioni e con condanne, ho subito una condanna definitiva per frode fiscale. Sappiamo tutti che questo sarebbe l'ultimo stadio per un qualsiasi cittadino italiano, ma non così per Silvio Berlusconi che, dopo aver contestato i giudici che l'hanno giudicato, usando tra l'altro parole sprezzanti non solo per gli uomini, fallibili e contestabili come tutti gli uomini, ma anche per le stesse istituzioni, ora pretende che gli effetti logici e legali di quella sentenza non vengano applicati.
E la cosa comica è che la politica lo segue nelle sue farneticazioni: vediamo così il PD e il PDL rincorrersi dietro ipotesi di clemenza, grazia, amnistia generale pur di salvare il pregiudicato Silvio Berlusconi, in nome di un principio che non ha nulla a che spartire con la legge, ovvero la, inventata ad hoc, agibilità politica. Berlusconi rappresenterebbe dieci milioni di Italiani (E poco conta che in realtà l'abbiano votato in sette milioni) e quindi non potrebbe sparire dalla scena politica così.
C'è da discutere di una serie di punti. In primis questo ragionamento è uno schiaffo nei confronti di tutti gli altri Italiani che nella loro vita hanno dovuto fare ricorso alla giustiza, subendo una pena o vincendo in tribunale: si dice a tutti gli altri Italiani che per il pregiudicato Silvio Berlusconi le leggi non valgono e che, anche se ha frodato lo stato, questo non conta. Insomma, il principio decantato dal PDL della certezza della pena non vale per Berlusconi.
La legge Severino che impone la decadenza di un condannato non è altro che la presa d'atto di una condizione: se il senatore non è più eleggibile o addirittura è interdetto dai pubblici uffici, come si può pensare che possa rimanere in Parlamento e, magari, legiferare in suo favore? Ragionamento che in special modo vale per un leader politico come Silvio Berlusconi, capace di forte presa mediatica e sui suoi deputati e senatori.
Inoltre c'è da ribaltare il ragionamento dei pidiellini: i sette milioni che hanno votato Berlusconi lo hanno scelto pur conoscendo la sua condizione, ovvero i suoi processi e la probabilità di una o più condanne; indi si assumono anche la responsabilità del venire meno del loro leader politico. Loro la scelta, loro la perdita; la loro scelta non deve essere un peso o una colpa degli altri Italiani.
In ultimo è sempre da rimarcare la capacità di fascinazione di quest'uomo, capace di passeggiare allegramente sulle rovine della sinistra italiana, sempre dedita alla rincorsa, mai capace di occuparsi realmente dei problemi del paese ma solo rivolta ai riposizionamenti politici.
La capacità di fascinazione e di riscrittura della realtà di quest'uomo è tale che, nei paragoni, Bettino Craxi, a cui spesso viene accostato, è divenuto un martire della democrazia: un leader politico fra i fautori della corruttela morale e civile della politica italiana fra gli anni '80 e gli anni '90 diviene così nell'immaginario comune e nelle parole dei politici una vittima della giustizia che lo perseguita perché, in fondo, certi reati come la frode fiscale e la corruzione non sono poi così importanti, a fronte di presunti meriti e di promesse elettorali.
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