Sulla Scuola Siciliana e sul Volgare italiano

Pubblico questo post in riferimento all'articolo comparso sul Corriere Della Sera del 13 Giugno, firmato da Cesrae Segre e, ancor di più, alle conclusioni tratte su Babylonpost.

Beh, diciamo che tra ciò che dice Segre e le conclusioni dell'articolo ci passa un abisso: un conto è dire che la Scuola siciliana ha avuto una diffusione per ora inaspettata in Lombardia prima che in Toscana. Del resto non dobbiamo dimenticare che prima della scuola puramente Toscana di poeti con fulcro prima a Siena e Pisa e poi a Firenze, prima, dicevo, il più importante centro culturale d'Italia era Bologna; va inoltre considerato come già dal 1100 circa Milano fosse un centro in rapidissima espansione, quindi fin qui nulla di strano. Ma poi da questo trarre delle conclusioni sulla lingua italiana è ben altro. Anche perché, si badi, tanta sorpresa per questi codici deriva proprio dal fatto che la Scuola Siciliana ha lasciato ben misera traccia sulla lingua italiana, certo per opera dei Toscani e soprattutto per l'influenza di Dante, che aveva tutto l'interesse a porsi come fondamentale momento di passaggio tra una lirica precedente, Stilnovisti compresi, e il nuovo filone che da lui avrà seguito (Petrarca per esempio non lo si comprende se non nel continuo confronto con Dante). Insomma, riassumendo i codici attestano una circolazione dei testi dei Siciliani in Lombardia; ma questa circolazione rimane comunque circoscritta (almeno stando a quello che abbiamo concretamente fino ad ora), tanto che in seguito questa scuola sarà principalmente conosciuta nelle forme toscanizzate che poi sono entrate anche nel volgare italiano, fino al paradossale fraintendimento, per esempio, della cosiddetta rima siciliana. In tutto ciò ha sicuramente un grandissimo ruolo Dante con il suo condannare nella Commedia Federico II e i Siciliani e con il suo porsi come spartiacque poetico e linguistico.

 

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