Il signore degli anelli, J. R. R. Tolkien
Il signore degli anelli è l'opera più conosciuta di J. R. R. Tolkien. Il romanzo, diviso per motivi editoriali in tre volumi, narra di Frodo Baggins e della Compagnia dell'anello e della loro missione, distruggere l'anello del potere con cui il terribile Sauron, l'artefice dell'anello, brama di conquistare e sottomottere l'intera Terra di mezzo.
La trama del romanzo parte, certo, da premesse fiabesche, non per niente il Signore degli anelli nasce come seguito di una fiaba, il Lo Hobbit, ma ne prende ben presto le distanze per assurgere a tutti gli effetti alle altezze dell'epica.
Sia chiaro, si tratta, forse al di là di ogni volontà dell'autore, di un'epica moderna; i grandi personaggi, molto più che in ogni altra opera di Tolkien, sono qui votati al fallimento. Nel Signore degli anelli la ribalta è degli umili, di coloro che accettano incondizionatamente il loro destino. Che sia Frodo Baggins, il portatore dell'anello lungo un percorso di perdizione e salvezza, fino al fallimento finale; che si tratti di Samvise Gamgee, il contraltare del suo padroncino Frodo, tanto umile da sapere di non poter essere lui il portatore; che si tratti di Faramir, il condottiero destinato ad un destino di second'ordine e che proprio per questo diviene paladino dei più deboli; che si tratti infine del mago Gandalf, non il più potente dei maghi, semplicemente il più umano nella sua alterigia.
Certo non mancano i campioni da poema epico: Aragorn e Boromir su tutti, speculari nel loro percorso; ma essi sono qui personaggi secondari, le ultime memorie di un epos che non può più esistere.
Su tutto campeggia una provvidenza che non è mai del tutto conoscibile nel suo agire: una provvidenza, certo, di origine cristiana, ma che del paganesimo ha una sorta di malinconia sfuggente, malinconia che si palesa nell'impossibilità per il portatore di tollerare a lungo la memoria del suo percorso, tanto da partire, in conclusione, assieme agli ultimi elfi verso terre ignote al resto della Terra di mezzo.
Dell'epica non rimarrà che il ricordo nelle cronache del buon Samvise, seduto, ormai maturo, nella dimora presso cui avrà fatto ritorno.
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