Wikipedia come modello di studio democratico
In questi giorni, complice lo studio per il concorso a cattedra, mi sto trovando a ricorrere con sempre maggiore sicurezza al mondo di Wikipedia come fonte per il mio studio. Sia chiaro, sono consapevole dei limiti di Wikipedia, e ciò che c'è di buono in questo progetto è che questi limiti sono apertamente dichiarati, in modo che chiunque ne possa prendere coscienza. Ma questi limiti non escludono che il lavoro fatto possa anche essere eccellente. Capita così di poter leggere dei testi che hanno comunque una loro validità scientifica, una buona accuratezza, sfiorando in alcuni casi la completezza di testi universitari.
Così si giunge ad una riflessione. Senza dover per forza incensare la rete come se si trattasse della pancea per tutti i mail del mondo, va riconosciuto che questo strumento, grazie al lavoro di fondazioni ed enti come Wikimedia, ha comunque ampliato la possibilità di accesso alla cultura per molte persone che fino a qualche decennio addietro ne sarebbero state escluse. Pensate per esempio a quanta gente rimane esclusa dagli studi universitari perché troppo costosi, persone che possono avere accesso a testi e lezioni universitarie in maniera gratuita da portali come Wikiversity o tramite strumenti come iTunes U. Un accesso alla cultura che è potenzialmente a costo zero e, nel caso dei Wiki, totalmente aperto e democratico.
Il digital divide è un rischio non solo perché demarca le differenze di ricchezza fra stati sviluppati e stati in via di sviluppo, ma anche perché rischia di tagliare fuori dalla democratizzazione del sapere, ciò che della rete forse fa più paura (e ciò spiega perché la censura in rete è tanto forte in molti paesi o perché alcuni paesi sono così restii ad investire sulla rete, preferendo media più controllabili, come la televisione).
Chi denigra le fonti in rete spesso le accusa di essere poco trasparenti e poco curate. Ma ne siamo così sicuri? Vogliamo fare il confronto con molti testi universitari in commercio? Quante volte in questi testi le fonti da cui si è andati realmente a copiare non vengono citate? In quanti casi il pubblico, l'utenza, ha la possibilità di controllare i criteri, editoriali e non, con cui la casa editrice ha proceduto nella scelta dei curatori, degli editor e dei testi prodotti? Siamo poi così sicuri che l'editoria culturale così come la conosciamo sia realmente più affidabile di un sistema in cui tutto è verificabile e smentibile da parte di tutti? Certo, il rischio di mettere nello stesso cialdone le competenze del docente universitario con quelle del Nerd mitomane sono alte, è verissimo. Ma è la democrazia, anche nella cultura. E come diceva Churchill, farà schifo, ma è il meglio che abbiamo inventato fino ad ora.
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