La cultura fra resistenza e innovazione
Quando si parla di cultura, in Italia, si fa sempre tanta confusione. Confusione intanto su cosa intendiamo cultura: una conoscenza pratica immediatamente spendibile, il nozionismo da salotto, una conoscenza teorica e astratta da circolo chiuso nella sua torre d'avorio, l'impegno politico e militante di taluni intellettuali. Ce n'è per tutti i gusti e, probabilmente, nessuna di queste accezioni del termine esclude le altre.
Ancor di più stupisce come questa confusione sia foriera di conseguenze negative per quelle istituzioni che dovrebbero "fare cultura", tacciate di volta in volta di essere chiuse in se stesse e auto referenziali, conservatrici e non al passo con i tempi o, al contrario, inutilmente impegnate in ricerche costose e senza alcun scopo pratico.
Capita spesso, parlando con gli amici, che qualcuno sollevi il dubbio su questa o quella ricerca medico-scientifica, fisico-astronomica. E non parliamo delle scienze umane, lì dove si fa fatica a fare capire anche solo che si possa fare ricerca, figuriamoci a fare capire che quella ricerca può anche essere utile ("ma scusami, se l'Eneide è quella da 2000 anni, a che serve studiarla ancora?").
Eppu, che la cultura, intesa come ricerca, studio e produzione critica, sia avulsa dall'esercizio comune del vivere, è sicuramente un bene: se il mondo della scuola e della ricerca, per esempio, avessero seguito esclusivamente i dettami della politica e del presunto buonsenso, oggi il mondo non sarebbe lo stesso. Si pensi al ventennio fascista in cui la scuola e le università sono state polo di resistenza, o alla rivoluzione culturale degli anni '70, quando, se la Cultura si fosse esclusivamente poggiata sui dettami della DC, non avremmo avuto quei profondi cambiamenti culturali che hanno portato ad un paese più aperto alla critica del poter costituito, con tutte le contraddizioni del caso.
Allo stesso tempo la Cultura, nel suo libero arbitrio, deve esser aperta alle innovazioni. Penso alle teorie rivoluzionarie di Freud nell'800, così come alle ricerche stupefacenti sulla relatività, della fisica quantistica, fino ad oggi al lavoro del CERN di Ginevra, con tutte le conseguenze anche per le scienze umane. Senza la relatività sarebbe difficile immaginare esistenzialismo prima e postmodernismo poi, con il carico di responsabilità e di libertà di queste correnti culturali.
La Cultura, lì dove mantiene la sua libertà, ha in sé gli anticorpi contro gli eccessi, contro i qualunquismi. È ad un tempo innovativa e conservatrice, cultura di ricerca e di resistenza contro giovanilismi, corsa all'ultimo bene di consumo e alla banalizzazione di quanto, nel mondo, la Cultura è capace di creare e influenzare, ovvero la vita stessa.
Ancor di più stupisce come questa confusione sia foriera di conseguenze negative per quelle istituzioni che dovrebbero "fare cultura", tacciate di volta in volta di essere chiuse in se stesse e auto referenziali, conservatrici e non al passo con i tempi o, al contrario, inutilmente impegnate in ricerche costose e senza alcun scopo pratico.
Capita spesso, parlando con gli amici, che qualcuno sollevi il dubbio su questa o quella ricerca medico-scientifica, fisico-astronomica. E non parliamo delle scienze umane, lì dove si fa fatica a fare capire anche solo che si possa fare ricerca, figuriamoci a fare capire che quella ricerca può anche essere utile ("ma scusami, se l'Eneide è quella da 2000 anni, a che serve studiarla ancora?").
Eppu, che la cultura, intesa come ricerca, studio e produzione critica, sia avulsa dall'esercizio comune del vivere, è sicuramente un bene: se il mondo della scuola e della ricerca, per esempio, avessero seguito esclusivamente i dettami della politica e del presunto buonsenso, oggi il mondo non sarebbe lo stesso. Si pensi al ventennio fascista in cui la scuola e le università sono state polo di resistenza, o alla rivoluzione culturale degli anni '70, quando, se la Cultura si fosse esclusivamente poggiata sui dettami della DC, non avremmo avuto quei profondi cambiamenti culturali che hanno portato ad un paese più aperto alla critica del poter costituito, con tutte le contraddizioni del caso.
Allo stesso tempo la Cultura, nel suo libero arbitrio, deve esser aperta alle innovazioni. Penso alle teorie rivoluzionarie di Freud nell'800, così come alle ricerche stupefacenti sulla relatività, della fisica quantistica, fino ad oggi al lavoro del CERN di Ginevra, con tutte le conseguenze anche per le scienze umane. Senza la relatività sarebbe difficile immaginare esistenzialismo prima e postmodernismo poi, con il carico di responsabilità e di libertà di queste correnti culturali.
La Cultura, lì dove mantiene la sua libertà, ha in sé gli anticorpi contro gli eccessi, contro i qualunquismi. È ad un tempo innovativa e conservatrice, cultura di ricerca e di resistenza contro giovanilismi, corsa all'ultimo bene di consumo e alla banalizzazione di quanto, nel mondo, la Cultura è capace di creare e influenzare, ovvero la vita stessa.
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