Il precariato storico nella scuola, ovvero come rendere incomprensibili le proprie ragioni
Come in molti sapranno in questi giorni si susseguono le notizie sul concorso a cattedra che riguarderà la scuola pubblica italiana. Il bando per tale concorso vedrà plausibilmente la luce giorno 24 Settembre, ma già sui siti e i forum specializzati si susseguono commenti e raffiche di lamentele e recriminazioni.
In particolare a farsi sentire contro il concorso sono i cosiddetti precari storici che, forti di una sacrosanta verità, ovvero la loro presenza nel mondo della scuola spesso anche decennale, reclamano i loro diritti.
Proprio sulla questione diritti c'è però un evidente limite nella comunicazione da parte dei precari della scuola, figlio spesso di un fraintendimento di fondo su quali siano questi stessi diritti. Forse però conviene andare con ordine.
Normative europee alla mano, l'Italia è già stata più volte condannata per il precariato nella scuola pubblica. Il perché è presto detto: la normativa prevede che chiunque lavori per più di 36 mesi sullo stesso posto di lavoro dovrebbe vedere il proprio contratto trasformarsi in un contratto a tempo indeterminato. Nella scuola pubblica italiana questo non accade e migliaia di insegnanti lavorano da anni nella stessa scuola e con gli stessi colleghi, vedendo però il proprio contratto estinguersi ad Agosto se non al 30 Giugno per essere poi riassunti ai primi di Settembre. In questo modo lo stato evita di dover pagare ai docenti gli scatti di anzianità, gli stipendi di Luglio e Agosto e, da quest'anno, le ferie non godute, proprio perché di fatto quei due mesi di inattività non sono mesi di ferie ma di disoccupazione. Fin qui le ragioni sono evidentemente dalla parte dei precari.
Lì dove i precari storici sbagliano è nell'opporsi a qualsiasi tentativo di risolvere la situazione garantendo anche il diritto al lavoro a chi è venuto dopo di loro, come se, in una guerra tra poveri, per ragioni anagrafiche e non di diritto o di merito, spettasse solo a loro lavorare.
Così nell'ordine si sono succedutele proteste prima contro l'inserimento in coda in altra provincia, poi per il diritto di far valere il proprio punteggio in graduatoria nelle province aggiuntive (a guardar bene una protesta contro un provvedimento iniquo e poi contro il tentativo di normalizzarlo). Successivamente, adducendo come motivazione la lunghezza delle graduatorie, i precari storici hanno lanciato anatemi contro i TFA e i nuovi corsi abilitanti, non contestando il metodo di selezione o l'inconsistenza pedagogica di questi corsi (proteste legittime sul merito quindi) ma contestando proprio il fatto che qualcun altro, dopo di loro, abbia diritto di lavorare nella scuola.
Oggi i precari storici protestano contro il concorso a cattedra, adducendo ancora come motivazione la lunghezza delle graduatorie e la presenza quasi decennale in graduatoria. Queste però non sono né motivazioni che riguardano il diritto, né il merito della questione, né, soprattutto, la qualità del servizio. Perché, fino a prova contraria, chi lavora nella scuola lavora nell'ambito dei servizi offerti dallo stato e proprio per questo dovrebbe anche poter garantire la qualità di tale servizio su criteri certi.
La protesta dei precari della scuola contro i sistemi di valutazione delle scuole e dei docenti (non questo o quel sistema di valutazione, ma proprio tutti a prescindere) si iscrive in questo quadro che rende incomprensibile la ragione della protesta a chi non è addetto ai lavori. Per chi sta fuori dalla scuola la protesta sembra un semplice pretendere il posto a prescindere dal fare bene o male il proprio lavoro e per semplici ragioni anagrafiche. In questo non aiuta né la disinformazione dei media né, spesso, lo stesso analfabetismo sulle norme che regolano la scuola da parte dei docenti stessi.
La ragione anagrafica non può essere la semplice motivazione per passare in ruolo, né si può comprensibilmente sostenere che avendo sostenuto esami all'università o nei corsi di specializzazione molti anni prima allora non si debba più essere valutati. Non si possono sostenere queste tesi per il sempre fatto che sarebbero folli per qualsiasi altro settore del mondo del lavoro, servono soltanto ad allentare l'interesse delle altre classi lavorative che avrebbero invece tutti i motivi per pretendere una scuola funzionante a partire dalla stabilità dei suoi docenti.
Se la ragione anagrafica è l'unico criterio di selezione nel suo estremismo (sia nella protesta dei precari storici sia nel giovanilismo senza se e senza ma dilagante fra i media) allora le graduatorie così come esistono oggi non hanno senso: aboliamo i punteggi dovuto a laurea, specializzazioni, corsi di perfezionamento ed esperienza pregressa. l'unico criterio di selezione sia l'anno d'inserimento in graduatoria e, nel caso di parimeriti, l'anno di nascita. Forse faremo contenti i precari storici o i "rottamatori" integralisti. Avremo però una scuola migliore?
Commenti
Posta un commento