Sicilianità, ovvero il becero leghismo siciliano

Sulle pagine di questo blog mi sono spesso scagliato contro il leghismo, così come i più lo conoscono, ovvero quello della Lega Nord e dei suoi sgherri. La stupidità dei luoghi comuni e del razzismo di questo partito non deve però fare credere che la mia sia tout court una causa meridionalista, anzi. Il leghismo è purtroppo un cancro ben presente anche nel meridione, sotto diverse forme. Forse anzi è sempre stato più presente al sud che al nord.
Prendiamo il caso della Sicilia, del concetto di sicilianità tanto caro  agli abitanti della cara Trinacria.
Ecco, ad analizzare tante di quelle virtù di cui si fanno vanto i siciliani, non ne escono altro che luoghi comuni o difetti, anche gravi, anziché pregi.
Innanzi tutto il siciliano, rispetto al resto degli italiani, vanta una certa elasticità mentale, che applica nei più diversi campi: istruzione, lavoro, tempo libero. A ben guardare però questa presunta elasticità non è altro che un'indomita e atavica voglia di contravvenire quanto stabilito dagli altri, caratteristica, come vedremo, che si accompagna all'esatto opposto. Il siciliano infatti scansa come fossero delle piaghe bibliche le responsabilità. Delega, delega sempre a qualcun altro le decisioni, perché così sarà più facile poi lamentarsene, perché così non dovrà neanche fare lo sforzo di essere lui stesso a sbagliare.
Come dicevamo il siciliano medio è lamentoso, ama piangersi addosso, lamentare di essere stato dimenticato da Dio e dal resto dell'Italia: guai però ad allontanarsi dalla sottana della mamma, non sia mai che si ricada nelle responsabilità di cui sopra, del resto poi una scusa per non farlo si trova sempre: le condizioni economiche non me lo permettono, sono attaccato alla mia terra, ho bisogno del mare, l'Etna è il mio paesaggio, da noi si mangia bene...
Quando poi si parla di regole, dicevamo, il siciliano dà il meglio di sé: se ne deve fottere, è più forte di lui, vuoi anche perché di cambiarle, di migliorarle, a lui proprio non interessa, sarebbe uno sforzo troppo grande. Il codice civile, quello della strada, persino quello penale sono dei libretti da sala da lettura, di poca importanza, e se si può è sempre meglio fare di testa propria. Tanto poi ci saranno quelli a cui abbiamo delegato, come già detto, che provvederanno a ritoccare quella regola inutile.
Nel frattempo bisogna cercarsi gli amici, perché se no non si lavora: e così tutti a cercare l'appoggio del politichetto di turno, del tizio che conta, di quello che conosce la persona giusta: e poi si vincono le elezioni distribuendo le arance in pescheria o presidiando i seggi.
Il nuovo che avanza nella politica siciliana ha almeno settant'anni, come nel caso del mio comune, dove il nuovo sindaco è il sindaco di dieci anni fa, quello che nello sgomberare la biblioteca aveva deciso di mandare al macero i manoscritti del 1700, perché tanto ne aveva fatto le fotocopie.
La sicilianità è tenere chiusi i beni pubblici, come le terme di Catania e gli altri siti archeologici; sicilianità è costruire edifici a cazzo; sicilianità è un presidente che si deve dimettere da mesi e intanto assume in regione tutti gli amici e i parenti.
Sicilianità è accontentarsi, sempre, come se tutto sia normale, come se sia normale: accontentarsi dei treni in ritardo, degli aerei in ritardo, dei bagagli in ritardo, dei parcheggi a minchia, dei politici corrotti, della mafia.
Bene, se questa è la sicilianità, io preferisco essere apolide.

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