La primavera europea

La primavera di civiltà che sta segnando il 2011 ha dei nomi e cognomi, ha delle facce. Nasce forse inaspettata, ma di certo non nasce dal nulla.
C'è un'onda, lunga, un fermento che chiede una vera democrazia partecipativa, dal basso. Questo fenomeno non nasce nel 2011, anno che forse passerà alla storia come anno simbolo di questo fenomeno; ma tutto ciò nasce da lontano. Avvisaglie se ne sono avute nei forum internazionali o global, quelli in cui Noah Chomsky la fa da padrone con la sua saggezza pari solo alla sua antipatia e tracotanza.
Ma il fenomeno si è evoluto, non è più la rivolta più o meno armata di chi non crede in nulla e nessuno.
Nel frattempo il nemico illustre dei no global ha sfornato un simbolo, un certo Barack Obama, uomo che sicuramente viene in realtà dai meandri della politica statunitense, ma che comunque ha dato una speranza: la speranza del cambiamento delle politiche.

A torto o a ragione, un'epoca sembra volgere al tramonto. Quella del capitalismo sfrenato, quella delle bolle finanziarie, quella della politica e dell'economia che pensano di poter fare i conti senza l'oste, ovvero il popolo. E venendo a mancare il nemico, cambiano tante cose. Innanzi tutto il mondo arabo ha dato prova di un risveglio democratico inatteso, forse imprevedibile, sicuramente fecondo. La primavera araba, la caduta delle dittature, la lotta violenta e non violenta dei giovani arabi per i loro diritti. La voglia dei giovani arabi di poter competere con le potenze occidentali, di non vedere nell'occidente un nemico da distruggere, ma un competitore da superare con le armi dello sviluppo civile ed economico.

C'è un profondo insegnamento da trarre da quello che sta accadendo, e a cui i nostri politici sono sordi. Fra i giovani si diffonde un modo di pensare al loro futuro che travalica i confini dei vecchi schemi della comunicazione. La retorica del comizio, del comunicato video non attecchisce più. Ogni parola, ogni fatto viene soppesato sulla base dei dati concreti, ora realmente facilmente accessibili. Non puo' più bastare una promessa in campagna elettorale, non puo' più bastare il narcotizzare le menti con panem et circenses. La retorica di chi vuole il suo popolo ignorante non attecchisce più fra questa generazione che vede i propri diritti scavalcati da poteri che non comprende per il semplice fatto che non dovrebbero esistere. Un nuovo modello culturale attecchisce, di comunicazione e partecipazione diretta alle decisioni, sula base delle competenze acquisite, delle conoscenze, della voglia di sperimentare; sul principio che non è la comunità al servizio del potere, ma al contrario il potere al servizio della comunità.

Una retorica nuova, sferzante ma che allo stesso tempo pretende che chiunque si sollevi dal torpore, dal lerciume culturale a cui è stato costretto da una politica becera.
Questa onda, questo tsunami culturale, democratico, bussa alle porte dell'Europa, finora sorda, presa dalla sua cordiale xenofobia, dalle sue paure, dai suoi particolarismi. Ma qualcosa si muove, forse dopo il democratico Obama, il presidente di colore, forse dopo la primavera araba, ancora in corso e lungi dall'essersi conclusa e dall'aver determinato le sue forme e i suoi obiettivi, forse si avvicina anche la primavera europea. Nasce sulle ceneri di politiche di destra liberticide e succubi al mercato, nasce sulle ceneri del disastro di Fukushima, monito per ogni governo. Nasce dall'indignazione diffusa della gioventù europea. Nasce in Spagna con il movimento del 15 Maggio. Si propaga già in Francia. Da noi i girotondi, i vaffanculo day già esistono da un po' senza ancora essere arrivati ai sit-in permanenti. Che continui anche da noi con l'affermazione di volti nuovi, con i Pisapia, i De Magistris, ente che non viene dalla vecchia classe politica, pur avendo caratterizzato la loro vita per l'impegno vero e costante per la comunità? Nascerà dal mediterraneo la primavera europea?

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