Usare Gramellini per spiegare come non si scrive (e non si argomenta)
Nel suo Caffè del 7 aprile Massimo Gramellini ci fornisce uno splendido esempio, da manuale direi, di come non si scriva un testo argomentativo.
Facendo riferimento ad un recente caso di cronaca, la condanna da parte del tribunale di Parma di un'insegnante rea di eccesso di metodi coercitivi nei confronti dei propri studenti, rimproverati per aver cosparso di feci il bagno della scuola, Gramellini sostiene che, dopo questa sentenza, nessun insegnante oserà più rimproverare i propri alunni: questo comportamento diventerà sempre più diffuso fra i docenti italiani perché, secondo l'autore, gli studenti italiani sono ormai abituati alla strafottenza perché sempre difesi da genitori iperprotettivi; del resto, sempre secondo l'autore, ormai anche i tribunali sono ben disposti a dare ragione ai suddetti genitori; infine, e forse cosa peggiore, il ministero non ha difeso la sua dipendente mentre avrebbe, anzi, dovuto denunciare i genitori per culpa in educando.
Il problema dell'articolo di Gramellini è che è male e maliziosamente argomentato. Occorrerebbe partire dal fatto che Gramellini pecca di generalizzazione, che, se anche nel caso specifico avesse ragione, da qui a dire che tutti gli studenti sono strafottenti ce ne passa; tra l'altro, citando poco e male i fatti, Gramellini evita di spiegare che, nel caso specifico, è abbastanza probabile che i genitori non siano stati affatto iperprotettivi. Infatti la sentenza del tribunale di Parma non si fonda solo sul racconto di studenti e genitori, ma anche e soprattutto sul racconto del dirigente scolastico e dei colleghi dell'insegnante; questo spiega anche perché il ministero non abbia difeso la docente, che era già stata sanzionata per gli stessi fatti da parte del dirigente scolastico, proprio a seguito delle spiegazioni raccolte a scuola dai colleghi; infatti, anche lì dove si volesse parlare di culpa in educando dei genitori, questo non toglierebbe l'eccesso di mezzi coercitivi della docente, che avrebbe strattonato, offeso e appellato in maniera discriminatoria gli studenti; ancor di più, la docente si sarebbe comportata così senza sapere neanche se i colpevoli degli atti di vandalismo fossero gli studenti che lei stava rimproverando. Stando ai fatti raccontati dalla sentenza, nell'azione dell'insegnante è venuta meno ogni finalità educativa, ovvero l'unico compito che invece l'insegnante debba assolvere. Insomma, Gramellini omette, generalizza, appella alle emozioni di pancia senza citare dati, fatti, sentenza.
Certo, si possono comunque trovare altre argomentazioni a sostegno della tesi di Gramellini, magari anche più fondate: si potrebbe per esempio dire che questo caso specifico si somma ad altri in cui l'autorevolezza dei docenti è stata o viene messa in discussione in maniera scorretta: ad esempio nei casi di docenti minacciati o aggrediti fisicamente, o anche solo nei casi di contestazioni ad insegnanti che, effettivamente, stiano cercando solo di mantenere il decoro in aula; tuttavia, anche in questo caso, si possono muovere delle obiezioni: quanti sono realmente questi casi, soprattutto se parliamo delle aggressioni? In realtà ogni anno si contano sulle dita di due mani (sempre troppi, ma troppi di meno del necessario per fare realmente statistica); quando si parla di decoro in classe, esattamente cosa si intende? Cosa è decoroso? Si pensi all'annosa questione del dress code nelle nostre scuole; infine, qualsiasi sia il motivo del rimprovero, rimane il fatto che la legge stessa sancisce il limite all'uso di mezzi coercitivi, limite che nessun docente può valicare, anche stesse pensando di farlo in buona fede.
In conclusione, l'articolo di Gramellini è un perfetto caso di studio di una tesi sostenuta male, male argomentata, alimentata dal bias di conferma del lettore e dell'autore, lontana dalla verifica dei fatti e delle fonti.
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