Sul conflitto in Ucraina


In queste settimane in classe è capitato, ovviamente, di parlare assieme agli studenti del conflitto scoppiato in Ucraina. Abbiamo provato a leggere articoli, a documentarci attraverso più fonti, video e audio, fino ad analizzare le posizioni emerse nell'opinione pubblica. Una in particolare, la posizione neutralista o pacifista, è quella che più si sta facendo sentire nel dibattito pubblico. Riguardo a questa posizione, ho provato ad elaborare una mia riflessione.






Sostanzialmente secondo questa tesi occorre non fornire supporto militare all'Ucraina e cercare di giungere al più presto alla pace, evitando il conflitto con la Russia, per svariati motivi. 

Il primo di questi argomenti è un argomento di principio: la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti è sbagliata a prescindere; in merito a questa argomentazione si osserva infatti che l'Italia esclude in Costituzione l'uso della guerra, e tuttavia va osservato che la Costituzione esclude l'uso della guerra come strumento di offesa, non come strumento di difesa, anche degli alleati. Del resto si può osservare che ci sono tuttavia circostanze in cui l'uso della forza militare è concretamente l'unico strumento possibile per la risoluzione dei conflitti, anche perché in assenza di quell'intervento si sarebbero perpetrati crimini ancora peggiori: guardando alla storia recente, cosa sarebbe accaduto della Polonia nel 1939 senza l'entrata in guerra di Francia e Gran Bretagna e, successivamente, degli USA? Cosa nel Libano degli anni '80 senza il frapporsi dei caschi blu ONU? Cosa in Kosovo negli anni '90 senza l'intervento NATO? Cosa in Ruanda nel 1994? È pur vero che con l'intervento militare, chi interviene, anche se con le migliori intenzioni, compie a sua volta stragi o eccidi: esempi concreti ne sono i bombardamenti di Dresda, Hiroshima, Nagasaki, o il bombardamento di Belgrado; tuttavia decidere di intervenire per evitare la prosecuzione di crimini o occupazioni è un atto che risponde al criterio di giustizia e, inoltre, decidere di non intervenire di fronte a delle violazioni certe ed evitabili per paura di violazioni solo probabili o possibili è illogico.
Chi sostiene che la guerra vada evitata a prescindere parte spesso da un principio: meglio evitare un inutile spargimento di sangue prolungando gli atti di belligeranza, anche se con la resa; tuttavia, nel caso di resa, nulla vieta, in realtà, che violenze, finanche la pulizia etnica, continuino anche dopo la fine della guerra.
In ultimo, è vero che la guerra è voluta dai potenti ma combattuta e subita dai deboli, ma proprio partendo dalla contrapposizione forte-debole, non aiutare l'Ucraina vorrebbe dire accettare il principio che è lecito e accettabile lasciare il debole in balia del più forte.

Secondo argomento della posizione neutralista è che la Russia si sarebbe sentita accerchiata dall'espansione della NATO, e, per questo motivo, l'intervento militare russo sarebbe legittimo come atto di difesa o di ridefinizione dei poteri nella zona. Tuttavia la legittima richiesta di sicurezza della Russia può e deve risolversi nelle proteste, negli atti di diplomazia, persino nelle minacce, ma non può comunque realizzarsi con una guerra come strumento di offesa, se accettiamo il principio che la risoluzione dei conflitti con la guerra è sbagliato; del resto, l'Ucraina non sarebbe comunque entrata nella NATO, proprio perché fra i membri dell'alleanza prevaleva e prevale l'intenzione di non ammetterla per non suscitare tensioni con la Russia; ma, partendo da una prospettiva più tecnica, è persino scorretto parlare di una espansione della NATO in termini imperialistici: la NATO non si "espande" nel senso che non si tratta di annessioni imperialistiche ma di libere adesioni all'alleanza, e, se queste adesioni dei diversi stati sono libere, esse sono espressione della sovranità popolare e della sovranità di ogni nazione sulla propria politica di alleanze.
Un'argomentazione che vuole essere più pragmatica è quella per cui la Russia sarebbe nettamente più forte dell'Ucraina e quindi la conquisterà comunque; questa argomentazione si fonda però sulla confusione tra certo, probabile e possibile: il fatto che la vittoria russa sia più probabile non la rende certa, anzi, più la guerra si prolunga più l'evento probabile diviene un evento possibile. Del resto, l'esperienza del primo mese di guerra mette in dubbio la netta superiorità russa sul campo di battaglia.

Secondo la prospettiva neutralista attaccare la Russia implicherebbe dare avvio ad una Terza guerra mondiale; se questa argomentazione è vera, non è corretta la conseguenza che se ne trae come una certezza: dovesse scoppiare la Terza guerra mondiale, saremmo attaccati dalla Russia: nuovamente questo argomento scambia il certo con il probabile e il probabile con il possibile; se dovessi analizzare la probabilità che un fatto A conduca ad un fatto Z attraversando i diversi passaggi corrispondenti alle varie lettere dell'alfabeto, sapendo che da un passaggio all'altro la probabilità che gli eventi di realizzino è del 99%, scoprirei che alla fine della serie la probabilità che si realizzi Z non sarebbe del 99% ma di circa 80%, perché in ogni passaggio a poco a poco le circostanze rendono meno probabile il verificarsi degli eventi. Allo stesso modo, dovessimo appoggiare anche militarmente le truppe ucraine in Ucraina implicherebbe in automatico il tentativo di invasione russo in Italia? In realtà, è chiaro da quanto anticipato, no: ci sarebbero tutta una serie di passaggi da attraversare (fallimento di ogni trattativa; fallimentoo delle difese NATO; passaggio indiscriminato attraveso la spazio aereo o marittimo di diversi stati sovrani; attraversamento o conquista degli stati frapposti tra la Russia e l'Italia...) che renderebbero il fatto non solo tutt'altro che certo, ma neanche probabile, forse possibile solo sulla carta. Si tratta quindi di una fallacia logica del piano inclinato. Ugualmente, sostenere che se scoppiasse la Terza guerra mondiale sarebbe fatale per l'umanità a causa dell'uso delle armi nucleari è un uso fallace della logica, realizza nuovamente una fallacia del piano inclinato, saltando tutti i passaggi che rendono un fatto possibile o probabile anziché certo; tra l'altro, questo tipo di argomentazione anziché appellarsi alla razionalità fa perno sull'emotività e sulla paura.

Un'altra argomentazione, molto più prosaica, è quella economica: la prosecuzione del conflitto ha gravi conseguenze economiche e sociali sul nostro paese; esempi di queste conseguenze sarebbero del resto già evidenti: l'aumento dei costi dei beni alimentari e il rischio di penuria di petrolio e gas. Tuttavia è tipico di ogni aggressione si fonda sulla paura nell'aggredito o in chi dovrebbe solidarizzare con lui per le conseguenze di una eventuale resistenza o solidarietà, ma accettare di soccombere a questa paura implicherebbe venire meno ai principi di solidarietà e di giustizia. 

In fin dei conti, non aiutare gli ucraini confermerebbe l'ipotesi che l'uso della forza e della paura in maniera intensa e improvvisa siano strumenti più validi della contrattazione e del diritto nella risoluzione dei conflitti, fornendo un principio nella gestione delle relazioni internazionali a governanti come Putin, che sul principio della legge del più forte pensano di fondare la propria politica, senza per altri versi garantire la reale conclusione delle violenze, la cessazione degli eccidi o persino il venir meno dei rischi per gli stati democratici e l'espressione della loro sovranità nazionale.




 

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