Il potere performante delle parole: "operazione speciale" o "guerra", "adesione" o "espansione" e simili

 Una delle cose più interessanti del dibattito attuale sul conflitto ucraino è la riflessione possibile sull'uso delle parole nella propaganda. Da un lato e dall'altro dello schieramento mediatico si combatte una guerra di parole che ben definisce una caratteristica saliente della lingua: le parole non sempliemente leggono la realtà che ci circonda, ma ne formano la nostra percezione; le parole sono, in questo senso, performanti, ovvero formano l'idea stessa che abbiamo della realtà e degli eventi che accadono attorno a noi.

Esempi concreti di questo valore della parola sono l'uso discorde di alcuni termini, a seconda della parte che li adoperi. Così ad esempio sin dall'inizio del conflitto discutiamo sulla definizione: guerra o operazione speciale? Adoperando uno strumento come Visual Thesaurus ci accorgiamo di come la scelta non sia casuale: scegliere di adoperare il termine guerra conduce, attraverso i campi semantici afferenti, a concetti indiscutibilmente più crudi, legati ad un immaginario, da un lato negativo e di sofferenze, o di paure, come il terrore di una nuova guerra mondiale, da un lato eroico, come nel caso della guerra giusta. 



Dall'altro lato, la definizione operazione speciale, proprio a partire dalla parola "operazione" rimanda ad un campo semantico più neutro, o riferito più in termini medici, o a misure di ordine pubblico, se non ad un lessico legato alle scienze esatte: in ogni caso la parola operazione sposta il nostro sentire verso un'azione mirata, quasi chirurgica, e in ogni caso limitata.


Entrambe le scelte performano, ovvero formano attivamente la nostra definizione della realtà e del conflitto che si sta delineando, guidando implicitamente il modo in cui lo analizzeremo e il modo in cui ne parleremo.
Se guardiamo ancora ad altri termini che i commentatori, i pubblicisti e i propagandisti stanno scegliendo di adoperare, osserviamo come questo gioco linguistico abbia una larga eco (e conseguenze enormi sull'opinione pubblica). Ad esempio, coloro i quali in qualche modo e a vario grado legittimano l'intervento russo parlando di una precedente espansione della NATO, scelgono questo termine volutamente:



La parola espansione rimanda ad un universo sensoriale, ma anche a campi semantici avvertiti nell'opinione pubblica in maniera ondivaga (espansione economica, per esempio, con le contraddizioni che questo concetto porta con sé), ma anche inequivocabilmente negativa (impero, espansione coloniale, espansione territoriale). Usando il termine espansione si vuole quindi legare l'Alleanza atlantica ad una visione imperialistica della sua azione, visione che non emergerebbe invece se si adoperasse il termine più squisitamente neutro adesione (l'adesione alla NATO).

In questo caso infatti emerge più specificatamente il campo semantico legato al concetto di volontà, che evidenzierebbe come l'ingresso nella NATO riguarda in primo luogo la legittima e volontaria scelta di popoli e nazioni di aderire all'Alleanza Atlantica.
Un ultimo caso: il ricorso ossessivo alla parola pace. Sentiamo adoperare la parola pace in continuazione, ma ciò che è evidente è che non adoperiamo questo termine con la stessa accezione.

È indubbio che per qualcuno la parola pace ha un'accezione più squisitamente giuridica o politica, ma per la maggiorparte dell'opinione pubblica il termine pace è afferente ad un campo emotivo, legato alla ricerca della felicità e della tranquillità. Insomma, spesso leggiamo frasi come occorre favorire la pace, ma l'opinione pubblica legge, spesso, questo come un "lasciatemi in pace".


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