Langone, le prove scritte, la demenza digitale

 


Scrive oggi Langone su Il Foglio allo scopo di difendere le prove scritte dell'esame di Stato.

[…] la scrittura è un antidoto al veleno digitale. Una piccolissima dose, visto che se non sbaglio stiamo parlando di pochi fogli e una biro, non di interi codici miniati e penne d’oca, eppure meglio di niente. “Il digitale ora si sta mangiando fette del mondo fisico” dice il neuroscienziato Vittorio Gallese. Felice la scelta del verbo: mangiare. Sinonimo di divorare, sbranare, consumare… Gli schermini a cui stiamo incollati tutto il non più santo giorno sono i principali indiziati del calo del QI registrato guarda caso nei paesi tecnologicamente avanzati, guarda caso dal 2000 in avanti, prima dal francese Christophe Clavé e poi dal tedesco Manfred Spizter, neuropsichiatra anch’egli e autore di “Demenza digitale”. Si pensa che il rimbecillimento collettivo derivi, almeno in parte, dall’impoverimento lessicale e dalla semplificazione appunto della scrittura: “La scomparsa delle lettere maiuscole e della punteggiatura sono colpi fatali”. Digitare un brevissimo messaggio su Whatsapp e vergare un ragionamento su carta sono, ai fini dell’intelligenza, azioni molto diverse. Lo vedo con le mail, decadute perché percepite come troppo impegnative, troppo formali, troppo lunghe. Tante persone anche attempate preferiscono messaggiare, le mail vanno oltre le loro attuali capacità cognitive: serve un oggetto, una chiusa, una firma… Non sono più capaci di scriverle e cominciano a non essere più capaci di leggerle, l’ho sperimentato varie volte. Viva le prove scritte, dunque, viva la scuola pre-digitale ossia la scuola del Novecento: il secolo in cui il Quoziente d’intelligenza cresceva sempre. 

Mi pare però che il giornalista mescoli cose diverse: l'inversione dell'effetto Flynn, l'abbassamento del Q. I.  si registra dagli anni 70, non c'entra con il digitale. Secondo alcuni studi poi il calo registrato nelle misurazioni del Q.I. sarebbe fisiologico (al netto del fatto che il Q.I. stesso è un parametro non del tutto oggettivo e comunque limitato): dato che il cervello si adatta plasticamente all'ambiente e stiamo sviluppando una società sempre più interconnessa in cui la nostra reciproca interdipendenza cresce giorno dopo giorno, assistiamo ad una fase in cui tende a prevalere l'intelligenza collettiva più che quella individuale.

Al netto di tutto ciò. per quanto riguarda la scrittura i neuroscienziati dovremmo forse tenere a mente la filologia classica. Scopriremmo che nell'antichità classica, quella greco-romana, non esisteva distinzione tra minuscolo e maiuscolo né l'uso degli spazi, è questo non ha impedito a Platone di scrivere la Repubblica, a Clistene di inventare la democrazia, a Cicerone di stendere le filippiche e via dicendo. Tra l'altro, come sanno i neuroscienziati, l'area del cervello che adoperiamo per la letto-scrittura è un'area di risulta, non nasce con quella funzione; questo uso è un suo adattamento recente e non c'è ragione per non pensare che il lobo temporale si possa adattare nuovamente alle sollecitazioni dell'ambiente. Tra l'altro, le osservazioni di Spitzter, che Langone cita, sono state criticate proprio perché individuavano il Q. I. come unico parametro e criterio di misurazione dell'intelligenza (si pensi invece all'apporto, anch'esso contraddittorio, delle intelligenze multiple di Gardner) e instaurano un rapporto causale lì dove forse è più plausibile ipotizzare un rapporto di correlazione. la domanda è, i nostri alunni ragionano male e scrivono male (sempre che sia vero nei gradi numeri) per la digitalizzazione o il fattore che abbrevia i tempi di concentrazione è un altro ed è lo stesso che poi agisce sulla scelta di scrivere in registri linguistici informali e rapidi e preferendo il digitale? È il digitale che sta togliendo il tempo della riflessione, o è la scelta della società di vivere in maniera sempre più interconnessa e frenetica che spinge ad accelerare sempre e comunque, nella vita normale come in digitale?

Sia chiaro: non si sta dicendo che andrebbe abolita la scrittura, ci mancherebbe. Si dice che è semplicistico il lavoro di concausazioni che fa Langone [calo nei risultati Q.I. (che in realtà precedono il digitale) - peggioramento nella qualità della scrittura (peggioramento che andrebbe dimostrato: sulla base di quali dati lo si  misura o su che criteri? Ad esempio uno studio condotto nei college americani ha dimostrato che alla percezione di un peggioramento nella scrittura non corrisponde la realtà, e dal confronto  fra gli scritti di inizio Ventesimo secolo e quelli degli studenti attuali, il numero di errori non differisce in maniera significativa);  si tratta di un peggioramento localizzato in alcune aree o in tutto il pianeta? È o no correlato con altri fattori sociali ed economici? - diffusione del digitale). Secondo alcuni antropologi  gli uomini del Paleolitico che vivevano in piccole comunità avevano un Q.I. superiore a quello degli uomini che li hanno seguiti - per intenderci, gli uomini pre e a cavallo della rivoluzione cognitiva - proprio perché a poco a poco "l'intelligenza collettiva" ha iniziato a sopperire a quella individuale. Stando così le cose, quello che è avvenuto nel Ventesimo secolo, la crescita dal Q. I., sarebbe l'eccezione nella nostra evoluzione, non la norma, e dimostrerebbe semmai un periodo di forte prevalenza dell'individualismo. E quelle erano comunità prive della scrittura. 

Infine, la correlazione tra il pensare bene e alcune scelte grafiche nella scrittura esiste, ma non pare essere così significativa: anzi, a dirla tutta,  la scelta di iniziare ad usare la spaziatura, segni diacritici più chiari, la distinzione tra minuscolo e maiuscolo corrisponde ad un tentativo di semplificazione della scrittura, a tutto vantaggio di finalità pratiche e di massa, non dell'elaborazione simbolica e complessa. Semplificazione è anche scrivere xke in un sms come facevamo noi due decenni fa, cosa che i nostri alunni non fanno più. E perché lo facevamo? Perché lo strumento lo richiedeva: ma perché lo strumento lo richiedeva? Non per limiti dello strumento in sé, ma perché la società intorno ci chiedeva di usare in quel modo lo strumento (il costo per ogni sms e il limite arbitrario di 40 caratteri). Insomma, pare che nel testo di Langone si evidenzino delle correlazioni ma le si tratti come concause.

Riguardo al calo dell'attenzione lamentato da Langone e da molti altri, questo è  provato dagli studi di neuroscenziati, che dimostrano come il tempo medio di'attenzione sia passato da 12 a 8 secondi. Quello che, di nuovo, si contesta è l'assunto: dato che calo del Q.I., abbassamento della durata della concentrazione e diffusione del digitale sono contemporanei, allora l'uno è causa degli altri. Correlazione non vuol dire causazione, altrimenti potremmo dire che la causa dell'abbassamento del  Q.I. medio sia la scomparsa contemporanea dei ghiacciai delle Alpi. Quello che si afferma qui è che i fatti siano correlati ma che la causa di tutti e tre i fatti stia a monte, e stia nell'organizzazione della società che ci stiamo dando. Non siamo più interconnessi perché usiamo il digitale; usiamo il digitale perché siamo più interconnessi e non potremmo essere più interconnessi con i metodi analogici. Idem per la scrittura: non scriviamo peggio (sempre che sia vero) perché usiamo il digitale, ma usiamo il digitale perché vogliamo scrivere peggio - ovvero in maniera più rapida e adatta ai tempi che la società intorno a noi sta richiedendo.

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