Il problema della discussione sulla pandemia è in primo luogo un problema di metodo
Analizzando questi anni di narrazione e discorso sulla pandemia, mi sembra sempre più di poter trarre alcune conclusioni, spesso, lo ammetto, sconfortanti. La prima, la più importante, in prospettiva, è che la discussione sulla pandemia è in primo luogo caratterizzata da un problema di metodo. Difatti sui media, nell'azione politica, nelle discussioni da bar e da salotto televisivo la discussione sul Covid ha evidenziato la radicale tendenza della classe dirigente e della popolazione che l'ha espressa a ragionare in termini deduttivi o autoritari. Per accorgersi di questo dato occorre fare degli esempi e delle analisi.
Possiamo per esempio notare che più volte si è cercato di piegare la realtà a teorie prive di supporto nei dati o che limitavano la complessità della situazione. Diceva Paolini nel suo spettacolo ITIS Galileo, per descrivere l'atteggiamento dogmatico degli aristotelici del XVII secolo, "questa è la teoria, la realtà cortesemente si adegui". Per capire a cosa mi riferisco, si pensi agli innumerevoli slogan che sono stati sostenuti da politici e presunti esperti: "il virus è clinicamente morto"; "il vaccino ci proteggerà dal contagio"; "il contagio avviene solo tramite droplet"; "le chiusure hanno causato un danno psicologico"; "le scuole sono sicure"; "pensiamo all'apprendimento perso"; "alleniamo il sistema immunitario"; "il virus diventerà endemico". Tutte queste affermazioni non sono risultate per forza in blocco scorrette (del resto, per la legge dei grandi numeri...) ma sono state fondate su teorie preconcette che dovevano essere applicate a prescindere ad una realtà di per sé mutevole, complessa, e in larga parte ignorata.
D'altro canto un altro elemento tipico della narrazione degli ultimi anni è stato l'appello all'autorità e la divizzazione delle figure sanitarie: basti pensare alla perenne presenza sui media di figure come Zangrillo, Bassetti, Burioni, Galli, Crisanti, Silvestri, Gandini e altri, perennemente interpellati in quanto auctoritas, a prescindere dalla loro reale competenza sulle questioni affrontate e persino a prescindere dai risultati delle loro predizioni o ipotesi. Anche in questo caso, non tutto quello che hanno detto queste autorità è risultato falso (e non tutto è risultato vero), ma la loro autorevolezza non è stata affermata in base ai dati, semmai i dati sono stati letti in base alla loro autorevolezza.
Del resto all'analisi dei dati si è preferita la narrazione simbolica e salvifica: una retorica da guerra da un lato, l'immagine della figura salvifica del Migliore dall'altra. La retorica di guerra ha così prodotto una simbolizzazione alienante: gli ospedali come prima linea sul fronte; le scuole come baluardo da proteggere e santuario del futuro; la critica feroce e a prescindere dell'intellettuale dissidente, che ha triturato sia figure borderline o dichiaratamente novax come Cacciari, Agamben e Freccero, sia intellettuali specchiati come Montanari e Barbero, colpevoli però di aver avanzato posizioni critiche su alcune scelte governative. Anche in questo caso spesso la critica non ha riguardato il merito delle affermazioni, ma l'atto stesso della critica. Più ambigua è stata la retorica sulle figure degli insegnanti: in un primo momento eroi (del focolare, vista la loro attività a distanza che permetteva ai genitori in smart working di lavorare tenendo impegnati i figli in DAD), poi disertori nel momento in cui hanno avanzato critiche alla permanente retorica delle scuole sicure; ancora più netta la contrapposizione tra il buon soldato, il cittadino che ha fatto il proprio dovere vaccinandosi, e il nemico, il novax (prima il nomask), il nemico interno che causerà il crollo del fronte di fronte al nemico esterno, il virus, che nella retorica attuale è, comunque, sempre meno un problema, sempre più un avversario con cui scendere a patti, "dobbiamo accettare 3-4000 morti per tre, quattro mesi all'anno, come prezzo per la libertà".
Sulla retorica salvifica, basti rapidamente pensare alla messianica attesa dei vaccini prima, alla dogmatica fede poi nel "governo dei migliori", dogmatica al punto da non poterne mettere in discussione gli atti o i dati: "i numeri li diamo noi".
Alla luce di tutto ciò si può osservare anche che è mancata l'interdisciplinarità o la capacità di adoperare il ragionamento induttivo, dato che sono state sistematicamente ignorate le indicazioni provenienti da scienze diverse dalla medicina. Facendo una rapida carrellata, sono state ignorate le indicazioni sulla propagazione de virus nell'aria da parte dell'Ingegneria, come gli studi di Buonanno; nessun seguito hanno avuto le predizioni su base statistica di gruppi come Predire è meglio che curare di uno statistico come Tosi o di fisici come Battiston e Ferretti; le considerazioni pedagogiche e organizzative sull'organizzazione del complesso sistema scolastico di esperti pedagogisti come Cappa, Corsini o di insegnanti come Spicola, o anche l'appello dei 2000 presidi contro la riapertura delle scuole sono caduti nel vuoto. Ciò che più fa specie, è che tutti gli autori citati hanno preso posizione sulla base di dati e studi sistematicamente ignorati.
Solo una scienza ha avuto voce in capitolo: la scienza economica. Anzi, tale scienza ha avuto talmente tanto peso che, si può ipotizzare, la medicina e la sua elevazione al di sopra di ogni altro sapere è stato funzionale: la medicina, in questo contesto, è stata strumento e ancella dell'economia.
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