Oreste dietro Amleto

Fra le questioni aperte legate alla figura di Shakespeare una fra le più interessanti è la domanda se l'autore inglese conoscesse o no il teatro greco, e, qualora lo conoscesse, se la frequentazione dei drammi greci fosse o no mediata da traduzioni latine.
All'interno della diatriba, altrettanto dibattuto è il debito di Shakespeare nei confronti dei tragediografi greci, Eschilo in particare, per la costruzione del personaggio di Amleto e della sua tragedia. È molto semplice, infatti, osservare le similitudini tra Amleto e Oreste: entrambi i personaggi sono figli di un padre, un re, ucciso con l'inganno, inganno ordito proprio dalla moglie del re e dal suo amante; Oreste e Amleto vengono informati dell'inganno da una visione ultraterrena, il primo avvisato da Apollo, il secondo dal fantasma del padre; entrambi i personaggi ottengono la vendetta con la morte dei traditori; entrambi i personaggi verranno comunque in qualche modo puniti per il loro gesto, Amleto con la morte, Oreste con la persecuzione delle Erinni, divinità ctonie vindici del sangue versato.

Fino a qui parrebbe che Shakespeare abbia plagiato il mito greco, ma in realtà, a partire probabilmente da un mitologema comune, le due storie hanno nei tragici greci e con il drammaturgo inglese sviluppi e significati diversi. 

Nella trilogia eschilea dedicata al mito degli atridi assistiamo allo sviluppo di un passaggio epocale nell'evoluzione della polis greca, attraverso la successione dei delitti di una faida familiare: la morte di Agamennone per mano di Egisto e Clitemnestra, e la successiva vendetta di Oreste, portano la vicenda alla risoluzione solamente tramite l'intervento esterno di Teseo, di Apollo e di Atena, che conducono il giudizio dell'assemblea di Atene sul diritto delle Erinni di perseguitare il il matricida Oreste. Oreste e Apollo sostengono il maggior diritto di Oreste a punire la madre traditrice, ritenendo più grave il tradimento di un patto fiduciario come il matrimonio rispetto al delitto di sangue: l'assemblea darà ragione ad Oreste e ad Apollo contro le Erinni, sancendo la vittoria del diritto comunitario sul diritto alla faida. In questo contesto, Oreste (e la sua amata sorella Elettra) appare una figura piatta e monodimensionale, privo di dubbi, terrorizzato non dalla gravità del suo reato, ma dallo stupore della successiva persecuzione. Oreste, che appare già come il giusto vindice del padre nell'Odissea, non prova rimorso uccidendo la madre e sviluppa il suo amore quasi incestuoso nei confronti della sorella Elettra e nell'amicizia fraterna di Pilade.

Amleto, dal canto suo, ricevuta l'epifania del fantasma del padre, è vinto dal dubbio; il principe di Danimarca cerca conferme, teme l'intervento del demonio (come le Erinni, la presenza ultraterrena dal mondo dei morti appare inquietante, mortifera, ingannevole), decidendo di fingersi pazzo per condurre la propria inchiesta. La follia di Amleto fornisce al personaggio più volte occasione di realizzare la propria vendetta, occasioni che però il protagonista del dramma non tramuta mai nell'atto che pure pare cercare. D'altro canto, la follia di Amleto distrugge l'amore per la donna amata Ofelia, più volte descritto come un amore fraterno, conducendo la donna ad una vera follia e alla morte. Nello sviluppo degli eventi, smascherati Gertrude e Claudio, rispettivamente moglie del re morto e madre di Amleto l'una, e amante della vedova, nonché fratello del defunto l'altro, Amleto viene sfidato a duello da Laerte, fratello di Ofelia, e nello scontro si realizza la vendetta: Gertrude, madre di Amleto, beve la coppa avvelenata dedicata al figlio, e Claudio muore della spada avvelenata che egli stesso aveva predisposto per il principe di Danimarca. Amleto stesso giunge alla morte, ferito dalla stessa spada, concedendo come lascito al nuovo sovrano Fortebraccio il consiglio dell'amico fraterno Orazio.
Se Oreste è piatto e monodimensionale, Amleto è sfaccettato, pluridimensionale, incoerente; se Oreste predispone la vendetta, Amleto pare evitarla, fino ad imbattercisi suo malgrado; se Oreste pare del tutto indifferente alla madre, Amleto pare strenuamente legato a Gertrude, tanto che si è potuto parlare di rapporto edipico e criptoincestiuoso tra i due; se Oreste è atterrito dalla persecuzione più che dal delitto, Amleto invece più volte si dichiara atterrito dal dubbio e dalla paura della sofferenza post-mortem, vittima dell'incapacità di decidere, del timore che conduce all'inazione. Se Oreste è l'eroe della certezza, Amleto è l'eroe del dubbio.

il ragionamento ondivago di Amleto nel monologo dell'atto III



Alcuni critici hanno evidenziato somiglianze tra l'Amleto di Shakespeare e l'Oreste di Euripide, ben piu problematico dell'eroe eschileo. Tuttavia, senza poter dimostrare la conoscenza del teatro greco da parte dell'autore inglese, sembra difficile poter andare oltre la semplice ipotesi di simili filiazioni. Più concretamente è possibile ipotizzare l'origine comune dei due miti, il mitologema dell'uccisione del vecchio re da parte di uno nuovo e più giovane, che lo spodesta facendosi sposo della vedova; il mitologema simboleggia la morte della vecchia stagione e il sopraggiungere della nuova. A partire da questo nucleo il teatro tragico greco ha sviluppato la vicenda di Agamennone e Oreste, piegandola all'interpretazione della propria realtà, quella della polis nel suo sviluppo (Eschilo), nelle sue contraddizioni e decadenza (Sofocle ed Euripide); dal canto suo Shakespeare reinterpreta il mitologema piegandolo alla descrizione della realtà problematica, priva di certezze, contraddittoria della società del XVII secolo. In un caso come nell'altro Oreste e Amleto si fanno portavoce dello spirito del proprio tempo, descrivendone a pieno virtù e vizi.

Per approfondire
Valentina Mancinelli, Oreste e Amleto: variazioni sul mito, Tesi di laurea in Storia dello Spettacolo nel Mondo Antico https://www.academia.edu/19357870/Oreste_e_Amleto_variazioni_sul_mito 

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