Come sta andando a scuola?
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Siamo ormai quasi arrivati a metà del primo quadrimestre 2021 - 2022. Momento in cui si possono iniziare a fare alcune considerazioni. Come sta andando quindi quest'anno a scuola? Ovviamente parlo del mio piccolo punto di vista, sapendo bene che questo è parziale e statisticamente poco significativo. Tuttavia mi piace condividerlo come caso di studio.
Nell’attività didattica assistiamo ad un ritorno alle prassi consolidate. Del resto gli ultimi due anni avevano costretto noi docenti a diverse variazioni nel nostro modo di lavorare: in primis avevamo tutti sentito la necessità di una maggiore collaborazione tra colleghi, anche per non perdere la sensazione di vivere delle relazioni sociali consolidate tra i corridoi, nelle aule, nei momenti di riposo o durante le riunioni pomeridiane; inoltre durante gli ultimi due anni avevamo dedicato le nostre forze a diverse sperimentazioni didattiche per rispondere alle diverse esigenze della DAD; infine, proprio l'esigenza di sperimentare aveva condotto molti fra di noi a mettere in discussione una didattica che puntasse solo alla trasmissione dei contenuti disciplinari, in favore di una didattica che potesse permettere lo sviluppo di competenze (non senza contraddizioni e incertezze, sia chiaro).
In questo nuovo anno scolastico invece assistiamo ad un ritorno alle prassi consolidate: l'interscambio di consigli e informazioni fra colleghi è paradossalmente ridotto al lumicino; non che non si parli tra di noi quando ci si incrocia tra i corridoi, semplicemente non si parla di didattica, come se le priorità fossero altre, meno professionali e più sociali, se volete; inoltre, evidentemente, dentro la propria comfort zone i docenti non sentono la necessità di confrontarsi con i colleghi. La parola competenze non circola se non come parola in codice tra iniziati di sette segrete; al contrario, tutti o quasi sembriamo tornati alla scuola dei contenuti. Di per sé questo non mi stupisce: la scuola è per sua natura luogo della conservazione, museo del sapere; ciò che si promette di trasmettere da secoli sono contenuti canonici e trazionali: canonici perché fondati su canoni artistici e letterari (finanche scientifici) consoidati e difficilmente smuovibili; tradizionali perché, a punto, spesso figli di tradizioni inveterate. Come luogo di conservazione la scuola è per antonomasia luogo di resistenza alle "mode": nel bene, in quanto luogo che si ripromette di valorizzare i saperi significativi nel tempo contro saperi transitori e consumistici (avete presente la polemica sul perché parlare del vassallaggio anziché di come usare Excel, mettendo in contrapposizione una struttura sociale ricorsiva e perdurata per millenni in società anche molto diverse tra di loro con l'uso di un software che, come spesso capita nel settore, potrebbe essere caduto in disuso in quinta superiore per uno studente che ne avesse iniziato lo studio in prima superiore?). La resistenza della scuola alle mode si realizza però anche in maniera regressiva: nella valorizzazione di modelli classisti (come quelli proposti da Mastrocola e Ricolfi; nella ipersemplificazione tradizionalista del dibattito sui saperi e la loro trasimissione, classificando come moda profondi ripensamenti epistemiologici e metodologici.
Questa tendenza alla restaurazione si realizza, concretamente, nel ritorno alle lezioni tradizionali, per capirci, quelle frontali, docente alla cattedra, alunni immobili al banco. Tutto ciò ha ulteriori spiegazioni: la stanchezza accumulata in due anni di DAD, assieme alla paura di tornare a distanza, suggerisce di risparmiare le forze mentali; le stesse norme anticovid di fatto conducono a questo modello di insegnamento, limitando le attività laboratoriali o di gruppo in aula; ancora, la martellante propaganda anti DAD, la polemica sui spaeri perduti in due anni di insegnamento a distanza, i dati più o meno randomici sparati sugli esiti della DAD spingono a tornare a ciò che si è sempre fatto, senza per altro mettere in discussione obiettivi, metodi e risultati storici della didattica tradizionale (una dicussione che già emergeva con estrema difficoltà prima della pandemia).
Ne emerge una certa incapacità di ripensare la scuola: anche nella migliore delle ipotesi, oggi l'istituzione è ad andar bene luogo della simulazione; la trasmissione dei contenuti e la realizzazione di laboratori hanno come obiettivo la ripetizione e l'assimilazione di quanto scoperto e prodotto in altra sede da altri. Sembra impossibile pensare alla scuola come essa stessa luogo di produzione di sapere, luogo in cui la trasmissione dei contenuti e la realizzazione di laboratori didattici abbia come obiettivo produrre nuovo sapere, teorico o pratico, e ricerca scientifica. Eppure forse proprio questo passaggio, questa rivoluzione, potrebbe costringere ad un ripensamento generale del nostro stare in classe, dello stare con gli alunni, dello stesso stare in aula dei discenti, non più solo oggetti della nostra azione di insegnanti, ma essi stessi soggetti nella produzione di senso.
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