Eneide, Publio Virgilio Marone
Giorces, CC BY 2.5 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.5>, via Wikimedia Commons |
Ci sono volte in cui un autore è fin troppo critico nei confronti della propria opera; ci sono altre volte in cui, invece, il miglior lettore ed interprete della creazione artistica è proprio il suo autore. Nel caso dell'Eneide è noto che Publio Virgilio Marone avesse ordinato la distruzione del manoscritto dell'opera prima della sua morte, ordine contraddetto da Mecenate e i suoi. E così l'Eneide ha visto, dalla sua pubblicazione, una diffusione enorme ed un successo pressoché universale, anche se spesso sono stati evidenziati i limiti dell'opera. Limiti evidenti, del resto, tanto che in ogni lettore che si sia apprestato alla lettura dei 12 libri che compongono il capolavoro virgiliano sorge naturalmente il dubbio: l'Eneide è un capolavoro della forma poetica o un fallimento del racconto epico?
I meriti dell'opera: malgrado l'opera manchi di una revisione, la tecnica dell'autore cesella versi che restano memorabili nel tempo; alcuni personaggi assurgono ai vertici della storia della letteratura, due su tutti, Didone e Turno.
Difetti evidenti: Virgilio manca di spirito epico, è evidente, e anche la narrazione in generale vivedi alti e bassi. Per essere chiari, Virgilio proprio non sa scrivere il genere; lì dove riesce meglio, lo fa imitando spudoratamente Omero; dove invece l'opera brilla di luce propria, lo fa perché prevale lo spirito lirico del poeta. Tanto Virgilio maneggia poco il genere che il suo protagonista risulta piatto, monocorde, noioso: verrebbe da chiedersi se, con Enea, Virgilio avesse davvero intenzione di celebrare la dinastia giulia. Non per niente si finisce per avere in simpatia Turno più di Enea: entrambi sono vittime del volere delle divinità, ma mentre Turno almeno giungerà alla consapevolezza dei propri eccessi, non così Enea. Enea è immobile: Achille, che è l'incarnazione della guerra, giunge alla fine alla simpatia per il nemico e alla consapevolezza dell'ineluttabilità della morte; il pio Enea non vive maturazione alcuna, mostra la propria pietas unicamente nell'accettazione acritica e anaffettiva della volontà divina, della fortuna, non mostra nessuna grandezza, né epica né tragica.
Alla luce di tutto questo, l'Eneide è o no un capolavoro? Dipende da cosa si voglia leggere: se si cerca un poema che ceselli il verso, che affondi nella lirica, sì; se si voglia leggere un poema epico che possa reggere il confronto con i capolavori omerici, onestamente, no, l'Eneide non regge il confronto, finendo per confermare le ragioni di Virgilio che ne voleva la distruzione.
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