Cacciari, Agamben, Odifreddi, ovvero dell'uomo di cultura che parla di ciò che non sa e che crede di sapere
Di recente Giorgio Agamben e Massimo Cacciari hanno scritto a quattro mani una lettera che mette in dubbio l'utilità e la liceità dell'uso del green pass per regolare l'accesso ai luoghi al chiuso. Le reazioni a questa lettera sono state molteplici, per esempio l'intervento di Mingardi e Corbellini su Linkiesta o quello di Flores D'Arcais su MicroMega. Anche volendo apprezzare la volontà di aprire un dibattito etico sul tema della discriminazione dovuta al green pass, il problema della lettera di Cacciari e Agamben è che la lettera si fonda una serie di semplificazioni, fallacie logiche e imprecisioni. Partendo dall'idea che il green pass generi discriminazioni: in generale chi studia scienze sociali sa che in una qualsiasi società le discriminazioni, entro certi limiti, sono inevitabili; più nello specifico, tolleriamo discriminazioni dovute ai comportamenti, mentre tendiamo sempre di più a considerare inique e dannose le discrminazioni dovute a "modi di essere", cioè a condizioni non dovute alla volontà dell'individuo. Bastino pochi esempi: riteniamo legittimo che solo le persone che hanno scelto di frequentare certi corsi e sostenuto certi esami facciano certe azioni, dal praticare certi mestieri, come quello del medico, al guidare un'auto dopo aver conseguito una certa patente di guida. Al contempo, non abbiamo sostanziali problemi ad ammettere che certi altri comportamenti possano comportare, per tempi ragionevoli e in modalità ragionevoli, anche la riduzione o la soppressione di alcune libertà, come nel caso dei detenuti. Al contrario non tolleriamo più che qualcuno sia discriminato per il colore della pelle, l'etnia dei genitori da cui è nato, l'orientamento sessuale, per delle sue disabilità, etc. Insomma, chiarito che la discriminazione in sé non viene condannata dalla società, ma che si condannano alcune discriminazioni, decade già l'argomento di Cacciari e Agamben che sostengono invece la necessità di evitare senza se e senza ma ogni discriminazione.
Lasciando perdere queste argomentazioni, che attengono più ad aspetti filosofici, quello che veramente impressiona della lettera di Cacciari e Agamben è l'incompetenza scientifica: i due filosofi definiscono i vaccini "sperimentali", quando in realtà i vaccini approvati hanno tutti ampiamente superato la fase sperimentale (a meno che non si voglia intendere che, in quanto ne vengono monitorati efficacia ed eventuali nuovi effetti collaterali, allora sarebbero sperimentali, perché questo però definirebbe sperimentale tutti i farmaci a prescindere); usano poi come argomentazione probante la mortalità di vaccinati in Gran Bretagna e Israele, quando quel dato ha in realtà un fondamento nella diffusione stessa della vaccinazione che lo rende ovvio da un punto di vista statistico.
In conclusione, quindi, la lettera di Agamben e Cacciari risulta essere la lettera di due uomini coltissimi che, ahinoi, si sono avventurati in un campo che conoscono poco e male.
E non sono gli unici.
Sempre di recente Piergiorgio Odifreddi si è avventurato sul tema del DDL Zan sulle pagine di EditorialeDomani. Secondo Odifreddi il DDL Zan non contrapporrebbe una visione di destra da una di sinistra, semmai contrapporebbe la Scienza (con la "S" maiuscola, si badi), ovvero le scienze esatte alle scienze sociali (con la "s" minuscola, come è ovvio). Per l'autore le scienze sociali sarebbero per loro stessa natura incapaci di fornire definizioni esatte degli argomenti che studiano in quanto "postmoderne" (aggettivo usato con accezione negativa) e ideologiche; proprio per la loro stessa natura di teorie fluide (ma il sottointeso è negli scritti di Odifreddi sempre lo stesso da anni: le scienze sociali non sono scienze, sono poco più di sette religiose) le scienze sociali concepiscono possibile la fluidità dell'orientamento sessuale, fluidità che, per Odifreddi, la Scienza (quella delle scienze esatte) smentisce. Per portare avanti la propria tesi Odifreddi elenca come la genetica, la biologia, l'anatomia, persino l'antropologia categorizzino in maniera duale le differenze nella specie umana. Per cui, ipso facto, per l'autore non c'è alternativa: il concetto di identità di genere, introdotto dal DDL Zan risulta dannoso e fuorviante. Sostanzialmente quindi per Odifreddi non esiste altro che il genere biologico, il resto è fuffa in quanto sono fuffa le scienze che formulano l'idea che esista altro. A leggere quanto detto risulta chiaro come Odifreddi, per sostenere la propria tesi, non riesca a confutare le argomentazioni opposte, tanto che sia costretto a fare qualcosa di diverso: sminuire la fonte stessa delle argomentazioni. Se fossimo in un dibattito fra due dibattenti parleremmo di attacco ad hominem. Per fare questo, tra l'altro, cita a sproposito proprio le catalogazioni dell'antropologia: è verò che l'antropologia adopera categorie, ma quando accade lo fa per scelta di comodo, non perché ritenga quelle categorie valide in assoluto (si pensi alla definizione di razza ancora in uso nell'antropologia forense); anzi, proprio dagli studi antropologici vengono alcune delle teorie che più supportano l'idea che oltre al sesso biologico vadano osservati anche orientamento sessuale e indentità di genere come elementi costitutivi della specie umana e della sua evoluzione nel tempo. Insomma, grattando la superficie dell'articolo, viene fuori che Odifreddi ha parlato di temi di cui poco conosce e poco capisce.
Per concludere, come dice Cundari su Cacciari, ma in maniera altrettanto valida per gli altri studiosi citati:
Per sfuggire alla seduzione delle fake news non serve essere né più intelligenti né più colti, semmai meno innamorati delle proprie convinzioni e più disponibili a metterle in dubbio, anche quando ci sembrino confermate dalle notizie (notizie che un algoritmo, o semplicemente l’ambiente che frequentiamo, preseleziona sempre, in qualche misura, per noi) [...] Paradossalmente, proprio l’autorevolezza e l’intelligenza dell’autore dimostrano come in certi casi – casi nei quali gli effetti di credenze infondate si misurano in migliaia di morti – nulla è meno maieutico, utile e istruttivo di un dibattito in cui ogni posizione sia messa sullo stesso piano.
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