Dovevamo uscirne migliori, ne verremo fuori reazionari
Foto: http://www.felicitapubblica.it/2020/09/14/ne-usciremo-migliori-dicevano/ |
Premssa, d'obbligo: questo post si fonda su percezioni, non su dati. Non ho dati sull'argomento; ho letto, sì, qualche intervento di psicanalisti e psicologi, ma non ho nulla che confermi in maniera scientfica quanto affermerò nei prossimi paragrafi. Wittgenstein sosteneva fosse meglio non dire ciò di cui non si poteva parlare, ed è sicuramente vero; tuttavia mi permetto di esprimere qui un dubbio, che magari potrebbe alimentare future ricerche di persone ben più titolate di me.
Nelle discussioni in classe, una cosa che mi pare emergere fra gli adolescenti e non solo, è il malessere. Non il malessere di cui tanto si sta parlando, la crisi degli adolescenti dovuta alla distanza e alla mancanza di relazioni sociali (malessere che non ho intenzione qui di sminuire, affatto). Mi riferisco qui ad altro. Il malessere che sto osservando è una sorta di fastidio strisciante.
Fastidio verso cosa? Verso le persone che vanno tutelate, che vengono avvertite come un peso. Sembra che, dopo un anno di pandemia, l'idea che ci siano persone fragili da difendere (qualsiasi sia il contesto in cui questo precetto andrebbe applicato) crei problemi anziché consenso sul principio.
Mi è capitato di osservare questo fenomeno nelle discussioni in classe, in diverse classi, riguardo a diversi argomenti: si parta dalla discussione generale sulla pandemia, sulla necessità di limitare, tutti, le nostre libertà personali per preservare il diritto alla salute dei più fragili che sarebbero le principali vittime di un dilagare della pandemia; si continui con il fastidio di molti ragazzi nei confronti della polemica sul "cat calling" e, si badi, fastidio presente, anche se in misura minoritaria, anche fra le ragazze; si prosegua con il fastidio generalizzato in merito all'approvazione del DDL Zan, la legge contro l'omofobia, o le vere e proprie reazioni isteriche a cui si può assistere se, oggi, si parla di tutela dei migranti. Si finisca osservando le reazioni alla questione della consensualità o meno di una ragazza vittima di stupro.
Il minimo comun denominatore è sempre lo stesso: l'idea che il proteggere il più fragile sia per gli altri un fastidio nella misura in cui li priva di qualcosa (anche poco), li costringa a modificare comportamenti (in un periodo storico che già ci ha costretto a midificarne parecchi). Guardate come è sparito dalla discussione fra i ragazzi il tema dell'ambientalismo.
Sembra che molti ragazzi condividano sempre meno il principio per cui la grandezza di una civiltà non si misura (solo) nella sua forza economica o militare, ma nella capacità di garantire i diritti anche a coloro che non hanno la forza di affermarli.
Attenzione: ho la sensazione che la pandemia stia allevando una generazione che svolterà verso politiche reazionarie: è in fondo comprensibile, non è affatto detto che sia la cosa migliore che ci possa capitare
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