Argomentare non è discutere, argomentare è provare

Vanverismo pedagogico


Di recente, organizzando un corso sul Debate come pratica didattica e competitiva per la scuola in cui lavoro, ho potuto osservare l'approccio di formatori molto più preparati e competenti di me sull'argomento, Matteo Giangrande e Pietro Alotto, nonché di colleghi esperti quanto me sull'argomento, o, legittimamente, meno.

Una cosa che, al di là della pratica specifica del Debate, è risultata evidente, è come su cosa voglia dire argomentare e su quali basi si giudichino le argomentazioni esistesse in alcuni casi una profonda confusione, spiegherò dopo perché legittima ma non più giustificabile. Questa impressione mi viene talvolta ribadita frequentando pagine facebook legate al mondo della scuola, come ad esempio quella che ritengo la più utile, pungente e preparata, Vanverismo pedagogico.

Le prime tendenze che mi capita di osservare sono l'assertività, nel senso linguistico e non psicologico del termine, e l'autoreferenzialità; sostanzialmente l'argomentare si risolve nell'affermare qualcosa che si presuppone provato implicitamente, o la cui veridicità è data per scontata, o, talvolta, provata dalla singolare esperienza personale presa a canone e modello di ogni esperienza possibile (rischio in cui, è evidente, sta cadendo anche questo post), o, infine, involuta in una petitio principii.

Senza pretendere che la mia osservazione abbia un valore assoluto, che valga cioè per tutti gli insegnanti di ogni ordine e grado, nella mia seppur breve esperienza è capitato spesso di osservare queste mancanze nella conoscenza della teoria dell'argomentazione, così come è capitato di osservare la non conoscenza della teoria della falsificabilità di Popper o del principio per cui correlazione non vuol dire causazione.

Insomma, mi è capitato di osservare che manca la conoscenza delle nozioni basilari dell'argomentazione. Non per tutti, grazie al cielo. Ma perché accade questo?

Io una mia idea me la sono fatta: perché pochi docenti italiani all'università hanno studiato questo tema. La gran parte di noi all'università ha studiato le proprie discipline, e, anche fra i linguisti, quelli che più si trovano ad aver a che fare con la questione dell'argomentare, la conoscenza dei meccanismi della comunicazione verte più sugli aspetti linguistici e formali che non su quelli logici e argomentativi. Anche quando si ha a che fare con la produzione di testi che dovrebbero essere argomentativi (saggi, articoli, tesine, tesi) spesso  ciò accade da autodidatta, senza una reale formazione al riguardo (anche in questo caso, grazie al cielo, non sempre).

Poi c'è il contesto in cui agiamo: un contesto che sempre più ci spinge a credere e a voler credere che tutte le opinioni hanno pari valore, anzi che il valore di un'opinione non è definito da criteri intrinseci (è fondata, è provata, si fonda su dati certi) ma estrinseci (la maggioranza crede/non crede in questa posizione, la mia parte crede/non crede in questa opinione).

Invece una volta di più occorre ribadire che argomentare non è semplicemente discutere, argomentare vuol dire provare qualcosa, dimostrare in maniera più inoppugnabile possibile che una certa tesi è valida "perché", e che occorre rispondere a quei "perché" affinché la tesi sia valida, che sono le risposte a quei perché che rendono valida una certa tesi o la invalidano, e che per rispondere a quei "perché" occorre scavare, cercare, informarsi. Ci sono delle tecniche per trovare i "perché", gli amici Giangrande e Alotto ne sanno molto più di me al riguardo, ma spero che ogni insegnante che ha conosciuto questo problema nella propria scuola, nel proprio dipartimento, si voglia fare portavoce della questione, per mettere in chiaro che nessuno può incolpare gli insegnanti di non saper fare qualcosa per cui non sono stati ben formati, ma che è altrettanto imbelle ignorare il problema e sfornare diplomati o laureati che non sanno distinguere un rapporto di correlazione da uno di causalità.

Commenti

Post popolari in questo blog

La sessualità nell'antichità

Alessandro Baricco, Castelli di rabbia

Saggio breve: D'Annunzio, una vita per la bellezza