Tullio De Mauro e l'analfabetismo in Italia
Uno di quei temi a cui in Italia pare non si voglia dare ascolto. Ciclicamente Tullio De Mauro pubblica i dati sull'analfabetismo in Italia, e di volta in volta questi numeri divengono sempre più sconfortanti, sotto certi aspetti, o almeno sorprendenti. Di cosa parliamo? Innanzi tutto va chiarito in che termini parliamo di analfabetismo: proprio qualche giorno fa, spiegando ai miei alunni il valore dello studio come attività non direttamente rivolta ad un fine pratico, discutevo con loro proprio del fenomeno sconfortante dell'analfabetismo di ritorno. Dobbiamo quindi in primo luogo distinguere: da un lato abbiamo l'analfabetismo classico, quello comunemente conosciuto, ovvero l'analfabetismo di coloro che, non avendo mai avuto occasione di studiare, non possiedono le competenze per la lettura e la scrittura. Questo fenomeno, va detto, in Italia è quasi sconfitto, attestandosi su un 5% della popolazione che può essere benissimo considerato un dato fisiologico.
Ben altro problema è quello dell'analfabetismo di ritorno, ovvero l'analfabetismo di coloro che, dopo aver raggiunto un titolo di studi, per disuso perdono le capacità di lettura e scrittura. Stando ai dati di De Mauro circa il 33% della popolazione Italiana sarebbe a rischio analfabetismo di ritorno, possedendo solo competenze minime per le lettoscrittura. In generale poi, secondo il linguista, circa il 70% della popolazione italiana avrebbe competenze linguistiche talmente precarie da poter affermare che sia quasi incapace di comprendere testi minimamente complessi. Un fenomeno sconcertante, indice di una popolazione che avverte la necessità di leggere e scrivere come un peso di cui disfarsi quanto prima.
Svariati i motivi: esigenze lavorative, scarsa abitudine alla fatica della lettura, semplice disinteresse, disinformazione e "cattivi maestri". Ormai da almeno un quindicennio nel nostro paese infatti educhiamo le giovani generazioni allo studio come "esigenza pratica", qualcosa che debba dare rapido sbocco nel mercato del lavoro. Per carità, lo comprendo bene, in un'epoca di crisi come quella attuale predicare invece gli studi delle humanae litterae sembrerà sicuramente un atto eretico. Eppure non c'è nulla come gli studi umanistici che nella nostra storia abbia alimentato la creatività, l'ingegno, il progresso. Lì dove gli studi letterari divengono studio critico alimentano la fantasia e l'ingegno, la capacità di porre domande e darsi delle risposte, anche attraverso uno studio continuo lungo tutto l'arco della vita. Ecco che allora in un'epoca in cui si parla di formazione prolungata, fornire alle nuove generazioni gli strumenti per questa formazione potrebbe essere una scelta vincente.
Pena di scelte scellerate sarà produrre generazioni di robottini addestrati alle semplici azioni manuali, pronti a perdersi nel nulla delle loro incapacità di disarticolazione del reale quando, per la prossima crisi, smetteranno le loro attività e dovranno affrontare nuove insidie. Cosa faremo quando le nostre generazioni di analfabeti convinti che la cultura non serva dovranno affrontare nuovamente dei banchi e dei libri? Spereremo nell'ennesimo miracolo che pii insegnanti e sottopagati dovranno realizzare per il rispetto di una patria pronta a sbottare contro di loro se, malauguratamente, avanzano la richiesta di riconoscere i loro meriti?
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