Correggere verifiche, deliri di impotenza e non solo
Correggere verifiche è una di quelle attività che ogni insegnante eviterebbe come la peste: quasi sempre noiose, volutamente schematiche per permettere anche all'allievo più somaro di inventarsi una qualche minima risposta. Spesso si è costretti ad inventarsi improbabili domande a risposta chiusa, freccette che zigzagano allegramente per la pagina in cerca di una qualche mano più o meno esperta che le faccia combaciare, le metta in relazione. Inutile dire il nostro smarrimento quando, dopo giornate di fatica nel preparare queste benedette verifiche a prova di impedito, assistiamo spenti alle domande più idiote e alle facce perse nel nulla di una classe, in cerca di una risposta che dovrebbe, penso, sbucare miracolosa dal crocifisso dietro di me, o, meglio ancora, comparire dal nulla da qualche lago disteso sopra il planisfero.
Perché, sia chiaro, di studiare non se ne parla, sarebbe troppa fatica e troppa soddisfazione per gli insegnanti, non mi sembra il caso.
In questi casi allora l'insegnante assiste a biro che intessono rapide ghirigori di risposte casuali, ardite metafore che ricoprono i candidi spazi vuoti di una risposta aperta, nascondiglio perfetto del perfetto imbroglione che, pur di mascherare la sua impreparazione, venderebbe sua madre.
Tutto vede l'insegnante, tutto conosce. Spesso fa finta di non vedere, per amor di pace, per non dover incorrere, come il professore delle medie di Antonio Albanese, in ricorsi, contestazioni, menate varie, no no.
Chi ne soffre? La verità? Nessuno davvero: non gli alunni modello, quelli che ce la farebbero anche senza di noi povere e meschine figure, pantomima di cosa dovrebbe davvero essere l'insegnante. Non chi da questo florilegio di quiz guadagna qualche punto in più in pagella. Non i genitori, lieti, seppur con l'inganno, di poter vantare i risultati dei figli.
E così il gioco continua, perpetuo. Il gioco a cui noi tutti giochiamo ogni giorno
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