"Ci rallegriamo per la vostra ingenuità, non invidiamo la vostra follia" Tucidide, ma si potrebbe dire dell'Italia.
"Restiamo umani" Vittorio Arrigoni, ma potrebbe riferirsi a chiunque, sempre
"Ci rallegriamo per la vostra ingenuità, non invidiamo la vostra follia" Tucidide, ma si potrebbe dire dell'Italia.
"Restiamo umani" Vittorio Arrigoni, ma potrebbe riferirsi a chiunque, sempre
Pastorale americana è un libro ingombrante, nel senso che non si può non rimanere colpiti da un testo così complesso e significativo, eppure non si può neanche non notarne certi paradossali difetti.
Il libro è ridondante, prolisso, di una lunghezza, e in certi tratti pesantezza, disarmanti, tanto da stendere anche il lettore accanito: per esempio la prima sezione del romanzo si dilunga in maniera così approfondita sulle circostanze in cui l'autore è venuto a contatto con la storia che si appresta a narrare, da lasciare sconcertato il lettore.
Un senso di straniamento protratto sino all'eccessivo.
Un altro difetto del romanzo, ed è paradossale, è il dire spesso troppo poco: la psicologia di alcuni personaggi resta poco più di un abbozzo, uno stereotipo; altri personaggi, che sconvolgono la vicenda, giungono nella storia dal nulla e nel nulla spariscono, per essere ripescati all'occorrenza, ma senza che questo possa dare al lettore l'idea di una solida trama. Per carità, si tratterà pure di una scelta voluta dall'autore, ma più che la sensazione di una realtà infranta, si ha l'impressione di una voluta presa in giro.
Un peccato, perché per altri versi si tratta di un testo potente nel suo cogliere l'impotenza dell'uomo di fronte ad una realtà che si spezza, che manda in frantumi l'ordine e la coerenza costruite a tavolino dal perbenismo e da una società in difficoltà davanti allo scoppio della follia contemporanea.
La società americana ne esce devastata, l'ordine costruito sulla sua democrazia appare una falsità, ma la stessa ricerca di una realtà più vera si infrange contro lo scoglio della violenza a cui uno dei personaggi giunge a ricorrere per smascherare le menzogne inconsce degli altri. Vittima in questo romanzo è colui che accetta questa finzione, che ad essa si assoggetta e che vive per non disturbarla, per non fare male agli altri, passeggiando nella vita con la leggerezza di una farfalla. Il canto del cigno dell'America degli anni cinquanta scoppia nel fragore delle bombe del 1968.
Ma il fragore della follia di Merry si perde nell'eccessivo perbenismo dello Svedese, talmente eccessivo da essere poco credibile, o nella madre, Dawn, figura misera, imbrigliata nelle maschere della miss., della madre incapace, della moglie infedele. Persino i colpi di scena finali, la scoperta dei tradimenti dei due coniugi e la scoperta del nascondiglio di Merry, ormai pluriomicida, non riescono a dare un vero perché a questo romanzo. E forse è questo l'unica interpretazione possibile: una serie di vicende apparentemente collegate dalla sconvolgente azione terroristica di Merry, ma la cui razionalità si scopre nulla in confronto al disordine imperante. Senza però che questo disordine sia infine se non dichiarato e manifesto; rimane il retrogusto amaro di un romanzo che avrebbe potuto essere altro ma che finisce per sfracellarsi nei giudizi morali del suo autore.
Mindomo è un portale, oltre che una serie di applicazioni mobile, che permette la realizzazione di splendide mappe concettuali, da salvare poi in cloud o in diversi formati sul proprio hard disk. Molto semplice la sua interfaccia, l'applicazione permette la realizzazione di ogni tipo di struttura per la nostra mappa
Un movimento democratico discute al suo interno e non accetta aprioristicamente la visione del suo leader.
Un movimento democratico rende pubblico il suo statuto ai suoi iscritti e ai suoi simpatizzanti.
Un movimento democratico non millanta di non aver preso rimborsi pubblici quando in realtà non li ha presi semplicemente perché non gli spettavano non avendo organi elettivi.
Un movimento democratico prende le distanze dalla violenza, perché violenza è sinonimo di forza, e la forza bruta, delle maggioranze come delle minoranze, non ha nulla a che fare con la democrazia, né quella rappresentativa né quella diretta.
Un movimento democratico non richiama una Piazzale Loreto 2.0 per chi non la pensa allo stesso modo, non definisce dei coglioni o gente che si fa prendere per il culo chi legittimamente non la vede alla stessa maniera.
Un movimento democratico non dileggia gli organi elettivi altrui per scegliere i leader o rappresentanti di altri movimenti, soprattutto se poi non è capace di realizzarne di propri in maniera credibile.
Un movimento democratico non vanta come vittoria il successo di un candidato sindaco, salito al potere grazie ad una promessa che si sapeva già non realizzabile e che, infatti, non è stata realizzata.
Un movimento democratico non pretende di avere la verità in tasca, ma ragiona e discute con le ragioni altrui, pur possedendo le proprie.
Un movimento democratico non stila liste di proscrizione di giornalisti, di politici, di intellettuali, di funzionari pubblici.
Un movimento democratico non tollera sui propri canali di informazione la violenza verbale, le minacce di morte verso chi non condivide le sue opinioni o chi critica il movimento.
Un movimento democratico soprattutto, non si rifiuta di governare per aspettare di rimanere da solo sulle macerie di uno stato, né pretende per governare, pur non essendo maggioranza nel paese, di essere l'unica forza politica al governo.
Un movimento democratico non è nulla di tutto ciò, e chi vuole capire capisca, compresi coloro che più volte su questo blog mi hanno condannato a morte in nome di chissà quali tribunali popolari o mi hanno ingiuriato.
Tanto per essere chiaro e spiegare cosa penso di tutta questa questione tipicamente italiana, metto il link ad un altro blog che in maniera molto ben articolata dà delucidazioni su alcune boiate dette sui media.
Eccovi quindi il link.
Per inciso, la questione Stamina mostra anche qualcos'altro, ovvero quanto sia facile manipolare l'opinione pubblica in questo paese , conducendola ben lontana da un ragionamento logico.
Non è costituzionale la legge elettorale, bene. Non lo sono i finanziamenti ai partiti dati con un altro nome, OK, ma poi i grillini mi spiegheranno se sono meglio i finanziamenti o la necessita di mettersi al soldo di uno sponsor come fa il blog di Grillo con Casaleggio o la politica dei ricchi alla Berlusconi. Ma va bene, rimaniamo all'interno di fatti condivisibili.
Però mi spieghi Grillo dove sta la legalità nel suo additare i giornalisti critici, dove sta la legalità nell'occupazione del tetto di Montecitorio, dove sta la legalità nel continuare a minacciare il blocco del parlamento contro parlamentari che solo Grillo sostiene decaduti, mentre la stessa Corte Costituzionale li invita a legiferare per sostituire la leghe elettorale, quella sì, cassata. Grillo ci spieghi come potrebbero legiferare per la stessa Corte se fossero decaduti dal loro mandato. Ma se, come credo, non potrà spiegare le sue posizioni sui giornalisti e sulla decadenza del Parlamento, impari a tacere, perché nella sua arroganza sta trascinando folle sempre più assetate di sangue, pronte a seguire il primo macellaio che gliene farà sentire l'odore. Ma come insegnava Aristofane, c'è sempre un salsicciaio più scemo e spietato pronto a pendere il tuo posto da qualunquista.
Deck.in è una potente web app che consente la realizzazione di splendide presentazioni animate grazie ai mezzi concessi dal flash player, richiesto per la riproduzione delle nostre creazioni, come nel caso di Prezi. Il sito richiede una registrazione gratuita, ma con questo tipo di piano non potremo tenere online più di tre presentazioni. Vari i piani tariffari, e l'obiettivo dei realizzatori è una futura integrazione nelle applicazioni di google per l'educazione. Del sito esistono anche le applicazioni per iOS e Android.
Leggere Confessione di Tolstoj è un'esperienza. Per chi, come me, professa il suo ateismo, questa lettura è a tratti frustrante, snervante. Si ha talora l'impressione che la scrittura dell'autore voglia nascondere una malafede di fondo: anziché il viaggio di un ritorno alla fede, si ha talora l'impressione di una fede che vuole autogiustificarsi nella sua consapevole irrazionalità delineando un viaggio di progressivo riavvicinamento, passando dalle strettoie della fede e della filosofia.
Eppure non si può non rimanere ammirati dalla lucida consapevolezza di uno scrittore che, pur ritornato ad una fece sincera e profonda, non fa mistero di riconoscere la difficoltà nell'accettare quanto di dogmatico, misterioso e folkloristico è presente, nel suo caso, nella fede cristiana. Pratiche eppure accettate in nome di una fece popolare ben più sincera e profonda, a detta di Tolstoj, rispetto alla visione intellettualistica a cui rischiava di giungere il suo percorso.
Una riflessione profonda, che la si condivida o no, in un dialogo serrato tra ragione e spirito religioso.
Il treno ha fischito, troppo presto, perché arrivo in stazione quando sento i suoi vagoni sferragliare un lontananza. Cazzo. È già sera quando sono seduto in stazione.
È sera, dicevo, e siamo in quattro, attendiamo il treno che ci porterà a casa dopo una giornata di lavoro o di studio o fate un po' voi, insomma, credo che il concetto sia chiaro. Fuori il buio della notte ha già coperto le montagne in lontananza e un leggero venticello raffredda la serata, annuncia una nottata di pioggia: non un temporale, ma una pioggia fitta che a breve, si spera, accompagnerà il nostro viaggio.
Noi quattro sospiriamo, il treno viene annunciato in ritardo: la voce metallica agli altoparlanti si scusa dell'attesa mentre la signora di fronte a me scioglie una sciarpa troppo stretta, viola come il collo che libera. Si scusa con chi? Non si sa bene, così dobbiamo ascoltarla indifesi mentre scandisce le sillabe di un rosario laico uguale, sempre, in ogni stazione di questo dannato paese. La signora si toglie il cappotto bianco con bottoni in legno, lo ripiega con cura sul braccio destro. Dopo di che afferra un telefono cellulare ed inizia a parlare con una sua amica, stancamente. Nel racconto della sua giornata di lavoro la sua voce si fa sommessa, un lamento diffuso nella sala d'attesa.
Una ragazzina aspetta di tornare a casa da scuola, avrà quanto? Tredici anni? Sembra che aspetti lì da una vita. Tiene in braccio un libro mentre siede in maniera scomposta sulla sua sedia. Il suo volto ha i lineamenti giovani, deve essere nel pieno della pubertà; gli zigomi sono spigolosi, ancora devono prendere le forme morbide di una bellezza che per ora si può solo immaginare. Sotto gli occhiali spessi di osso, neri come la notte di fuori che si fa sempre più fitta, degli occhi grandi, vispi, rincorrono le luci della sala, seguendo le mani che nervosamente massacrano le unghie e i polpastrelli. La ragazzina decide di mettersi in piedi e passeggiare, quello stare ferma la fa stare male, percorre a passi veloci decine di volte la diagonale della sala, scansando i sedili liberi;il suo passo è goffo, sembra un anatroccolo, dondola con le spalle mentre le scarpette basse, blu e rosse, suonano pesanti sul pavimento della sala, delle mattonelle avana con delle striature rosate che vogliono imitare il marmo, senza averne la fortezza.
Osservo analiticamente chi mi sta intorno, è il mio lavoro, faccio il giornalista o il filosofo, non me lo ricordo più. Per ogni movimento cerco di spiare un qualche segno nascosto, un'espressione sbucata fuori dal nulla, una qualche parola sfuggita a mezzabocca che possa lasciare spazio alla vera essenza delle persone, quella che tutti noi cerchiamo di nascondere, io per primo. Nel mio dirvi del resto che sono un filosofo o un giornalista, mento sapendo di mentire, perché forse non sono né l'uno né l'altro, forse sono solamente un disonesto rigattiere, un viaggiatore, un facchino, un diplomatico o un muratore. Forse quello che sono si mescola con quello che vorrei essere e che sarei stato se il tempo fosse stato dalla mia parte. Forse non è il tempo a non essermi stato alleato, forse sono io a non essere in grado di vivere e neanhe di osservare. Forse questo è solo uno sproloquio dovuto al fatto che poco prima di entrare in stazione ho deciso di bere qualche bicchiere di prosecco al bar, tanto per lasciarmi indietro una giornata da dimenticare. O forse, infine, questo paroliere naif è la maschera che indosso per nascondere un bluff di cui, io soltanto? Sono ben consapevole.
Che cosa hai fatto oggi, chiede la prima signora al telefono alla sua interlocutrice, senza attendere risposta, e nel frattempo scarta una caramella all'arancia da una confezione rossastra. La signora si schiarisce la voce grattandosi ls gola e inizia a parlare, sovrastando con la sua voce quella della persona dall'altro lato della cornetta, racconta di una lunga giornata al tribunale, dei soliti problemi che le ha già menzionato un'infinità di volte, tanto da non avere ancora voglia di parlarne; la persona all'altro capo del telefono sembra capire, tanto da cercare di cambiare discorso, non senza intercalare con una qualche battuta incomprensibile che fa sorridere la donna dentro la sala. Ti ho detto dell'ultima novità, tu potevi immaginare che quei due potessero stare insieme? Ci provano ancora una volta, ormai cos'è? Il quarto tentativo? Io direi che certe persone sanno solamente farsi del male. Che poi, se avessero voluto fare sul serio, avrebbero dovuto farlo molto tempo fa, quando ancora sia lui che lei erano in età per avere dei figli. Ora a che serve? A farsi compagnia l'uno con l'altra?
La ragazzina passeggia mentre la voce all'altoparlante, con aria assente, annuncia che il ritardo è cresciuto ancora, d'ora in avanti dovremo fare attenzione perché il nostro viaggio potrebbe essere cancellato. La ragazzina accoglie la notizia con uno sbuffo, pesta un piede e inizia a ticchettare con le mani contro il pomello della porta che dà sui binari, e già fuori non si vedono stelle, la pioggerelina scende fitta ed il vento scuote i rami degli alberi.
Per terra, rannicchiato accanto ad un muro, un uomo. Il suo odore di dolore riempie la stanza, ci inonda, ci dice che il nulla che sappiamo della sua storia è tutta la sua vita. Evitiamo di guardarlo, ma non so dire se sia pudore o paura.
Accanto a me c'è un mio amico uno di quelli con cui diciamo che ci conosciamo da anni, ma è la prima volta che mi capita di fare con lui questo viaggio. Io percorro spesso questa tratta, sono un pendolare, mi sposto ogni giorno per andare a lavorare e poi tornare a casa, qualunque sia il mio lavoro. Quando arrivo è già sera: spesso ho a stento il tempo per una doccia, preparo qualcosa di precotto da mangiare e poi a letto, perché dopo poche ore ci sarà di nuovo da prendere un treno. A volte mi capita che le cassiere dei supermercati mi prendano in giro per la roba che acquisto: effettivamente immagino che le mie scorte di scatolette, insaccati e pasta precotta possano sembrare eccessive, ma non sono mai stato uno dal palato sopraffino e, per quanto riguarda il cibo, più che a vivere per esso tendo a sopravvivere.
Che poi in realtà a me piace viaggiare, mi dà la possibilità di vedere paesaggi che imparo a conoscere e ad amare, mi dà il tempo di riflettere. Non quei viaggi lunghi, quelli he solo a pensarci ti sale lo stress, no, quelli non mi interesano: a me interessano i viaggi abitudinari, quelli che fai ogni giorno, qurlli talmente alienanti che, se solo ne hai voglia, ti danno il tempo di impazzire o imparare a cconoscerti, non senza che le due cose possano avvenire contemporaneamente. Se guidassi un'auto non riuscirei allo stesso modo, dovrei fare attenzione alla strada, agli altri autisti, alle altre macchine; avrei la sensazione del tempo che sfugge tra le mie dita inutile, come se quel viaggio fosse il vero padrone della mia vita. Così invece le ore trascorse seduto a guardare dal finestrino o a osservare gli altri viaggiatori nei loro scampoli di vita sono mie.
Un cane ci guarda dall'ingresso della stazione. La stazione è piccola, sonnacchiosa mentre ormai la luna si fa alta. Dalla cittadina di provincia le voci si fanno sempre più smorzate, sembra che tutto debba sparire. Anche le auto sembrano non volersi avvicinare alle nostre facce, la mia, quella del mio amico accanto a me, quella della ragazzina, quella della donna con il cappotto e quella dell'uomo rannicchiato per terra. Sembra morto. No, respira, lentamente ma respira. Il cane piscia contro la porta e se ne va.
Il mio amico è uno scrittore. Uno di quelli bravi, intendo, non come me che butto giù qualche riga ogni tanto più per sfogo che per arte. Lui è uno di quelli che le parole sa metterle di fila, sa come arrivare al dunque, uno di quelli affermati, di quelli che può anche permettersi il lusso di dire agli altri come scrivere e come pensare. Non è come me che quando scrivo mi perdo fra mille rivoli, mi lascio trascinare dalla corrente, lascio che le immagini si facciano suoni, che piombino sulla carta con tutta la loro pesantezza, senza ritegno né pudore, come un adolescente che ancora non ha imparato che il mondo non ruota intorno a lui. No, lui sa come farsi leggere.
Ma è sempre così in ritardo questo treno, mi chiede il mio amico. È stanco, ha trascorso la giornata in ospedale a fare visita a suo fratello, gli è nato un nipote, tornerò domani, magari sul tardi, è uno spettacolo, la cosa più bella che ci potesse capitare. Annuisco, sorridendo stancamente, avrei solo voglia di essere sdraiato sul mio letto, non faccio neanche lo sforzo di tentare di immedesimarmi, anche se dovrebbe venirmi naturale. Un parto tranquillo, quattro chili di bambino, sprizza salute da quelle sue belle guance rosse rosse, esclama, tutto contento, sembra un coglione patentato, mica un intellettuale.
L'uomo rannicchiato respira ancora, sembra farlo malgrado il fastidio che dovrebbero procurargli tanti estranei a quell'ora in quella che in fondo è casa sua. Veste una felpa scura, il cappuccio copre parte del suo capo, mentre dei vecchi jeans si stendono a coprire le sue gambe. Non porta calze, solo delle vecchissime scarpe da tennis bianche. Sentiamo tutti il forte odore di urina, e tutti ci convinciamo che sia stato il cane.
Con il mio amico ci mettiamo a discutere. Ci siamo conosciuti all'università, studiavamo insieme lettere. Amavamo entrambi gli antichi, cimentarci nelle traduzioni di quei testi. Quei testi scritti in lingue che ormai nessuno più parla e che hanno così tanto da dire, almeno stando al mio amico. Io non lo so, ho smesso di pormi il problema. Ora il mio amico lavora all'università, insegna letteratura, mentre io sono finito a fare tutt'altro, impiegato alla motorizzazione, dico, ma forse sono un giornalista, o un filosofo, o mi sembra di suonare il piffero nella banda del quartiere. Meglio di niente, visti i tempi che corrono. Del resto di letteratura sono in pochi a vivere.
Scherziamo mentre l'allegra litania dell'altoparlante ci ricorda che il treno si sta lentamente avvicinando, eccolo, forse fra poco si vedrà, comparirà rannicchiandosi sul binario, quasi cappottandosi nella curva che precede la stazione e poi sarà qui. È notte, fa freddo e di intellettuali che mi parlano di bambini che non conosco e di lingue che non servono non ne posso già più. La signora è ancora al telefono, discute animatamente di cucina thailandese, sbuffa, gesticola, le sue mani lisciano la sua giscca, quasi a tenerla a bada.
Credo che la ragazzina abbia scavato una retta, la diagonale esatta della sala, con cura certosina, non c'è che dire, ha fretta, forse ha paura, forse le hanno instillato il terrore degli adulti che potrebbero approfittarsi di lei, magari ha anche un po' strizza del buio, ma figuriamoci se ne parla con le amiche quando si vanta di avventure con questo o quel ragazzo. Forse non ha mai neanche sfiorato le labbra di un ragazzino, o forse ha già conosciuto persino il sesso, io non lo escludo. Tutto sommato non sono affari miei, e comunque ha tutto il tempo per conoscere quella che sarà la sua futura tragedia.
Sono sempre più sicuro che l'odore di urina non sia colpa del cane.
È arrivato il treno, finalmente posso sparire, dileguarmi, i miei compagni di viaggio si nascondono fra i vagoni, il mio amico scende alla prima stazione, per fortuna.
Io non so se quell'uomo respirasse ancora mentre mi allontanavo dalla stazione.
Lavoro ormai da anni cercando di integrare le nuove tecnologie nella didattica di quelle materie che, apparentemente, sono più lontane dall'informatica, come l'insegnamento della letteratura italiana, della geografia o della storia.
Ultimamente poi mi sto trovando a confrontare l'uso di diversi device nella didattica, e devo dire che per me la scelta fra PC o tablet è abbastanza scontata. Il tablet vince a mani basse grazie ad una migliore predisposizione alla lettura, una durata maggiore della batteria, un numero infinitamente maggiore di applicazioni dedicate alla didattica e alla scuola.
Se poi la scelta si dovesse restringere, non avrei ancora problemi a dire che preferisco Android ad IOs, grazie al numero di applicazioni freeware, open source, alle applicazioni dedicate al mondo dei disturbi dell'apprendimento o delle disabilità.
L'informatica a scuola, come serie di strumenti rivolti alla didattica prima ancora che come disciplina, è una risorsa immensa, che il nostro paese sfrutta ancora veramente poco, sia per i limiti finanziari delle risorse dedicate alla scuola, sia per la forma mentis, ancora troppo diffusa, dei nostri insegnanti, spesso ancorati a forme d'insegnamento e a metodologie provenienti da decenni di pratica, come se la pratica, senza l'aggiornamento, possa essere la sola risposta alle domande che le nuove generazioni di alunni ci pongono.
Akira, di Katsuhiro Otomo, tratto dall'omonima graphic novel dello stesso autore, è uno dei capolavori del cinema fantascientifico dei tardi anni ottanta. Quanto di buono e allo stesso tempo angosciante la fantascienza aveva saputo immaginare dopo la Seconda Guerra Mondiale e l'Olocausto nucleare di Hiroshima e Nagasaki, assieme all'emergere del filone cyberpunk, tutto emerge nell'opera di Otomo, assieme ad una verve mistica e ad un bisogno di purezza primigenia che richiamano tanti capolavori del genere, Blande Runner in primis.
Tetsuo, uno sbandato qualsiasi appartenente ad una gang di motociclisti, si trova coinvolto un una serie di esperimenti volti a scoprire l'energia primordiale che sta alla base della vita stessa. Alla sua ricerca si dedicano i suoi amici, Kaneda in primis, che dovranno fare i conti con una realtà inaspettata: una volta affiorati i suoi poteri, del Tetsuo che conoscono non rimarrà nulla, mentre il nuovo Tetsuo, incarnazione di un potere distruttivo e privo di controllo, seminerà il panico. L'unica speranza, se così si può chiamare, è data dall'intervento di Akira, anch'egli figlio degli stessi esperimenti che hanno portato Tetsuo alla follia e che ha raggiunto l'energia primigenia, pur venendo da essa consumato. Akira, ritornato alla vita, ferma Tetsuo, dopo che l'intero film è stato percorso dalla messianica attesa del suo ritorno. Ma l'avvento e la nuova dipartita di Akira non sono prive di conseguenze. Alla scomparsa di Akira di Neo-Tokyo non restano che le macerie, e i raggi di luce che compaiono allo sparire delle nubi non fanno altro che ricordare che il compito dei sopravvissuti sarà la rinascita.
In Akira quindi troviamo mescolarsi molte delle suggestioni della fine del ventesimo secolo: lo scoppio delle violente proteste giovanili all'affacciarsi della crisi economica degli anni novanta, un mondo di disadattati al margine della società, l'attesa di una redenzione che provenga da istanze spirituali, la paura di un nuovo olocausto bellico, l'orrore per una politica corrotta e impotente.
Akira racchiude tanto di quanto è stato e in parte è ancora l'uomo dell'Occidente post-industriale, smarrito e impaurito, figlio della tecnica e a caccia di qualcosa che possa ancora nutrire la sua speranza.
Akira è quindi una pietra miliare della fantascienza moderna, un fumetto da leggere e un film da vedere assolutamente per chiunque voglia capire un po' meglio il perché in certi casi la storia di genere possa assurgere al grado di capolavoro.
Tutti sappiamo che Silvio Berlusconi è un maestro nell'arte dell'uso della parola, giocando finché si può con i gangli della sua ambiguità. Non sorprendono affatto quindi le frasi riportate dall'ultimo libro di Bruno Vespa con cui compara la condizione della sua famiglia alle persecuzioni hitleriane degli Ebrei. Non sorprendono perché Berlusconi, forte dell'ambiguità del suo messaggio, l'ha potuto subitamente rettificare; ma intanto l'ha detto.
Occorre però andare oltre, e ricordare come sia un falso storico sostenere che l'appoggio e la solidarietà di Berlusconi verso le comunità ebraiche sia assoluta. Sono ancora ben impresse nelle menti di molti le numerose circostanze in cui Silvio Berlusconi ha sminuito le colpe del Fascismo, riducendole a sparuti errori, difatti falsificando la storia: si pensi solamente al fatto che le leggi razziali vengono promulgate qualche mese prima in Italia e poi in Germania.
Silvio Berlusconi ha a più riprese paragonato il suo governo e la sua persona al governo e alla persona di Benito Mussolini, ingigantendone i meriti, se mai ce ne furono, pur di poter sfruttarne tematiche e posizioni ideologiche a fini propagandistici, e questo paragone sulla famiglia Berlusconi non è che l'ultimo atto di una spregiudicata manipolazione della storia che comincia con il riuso de Il principe di Machiavelli, prosegue con la santificazione di uno spregiudicato corrotto e corruttore come Bettino Craxi, passa attraverso i controversi rapporti con la mafia, fino alle continue comparazioni con un'età dell'oro del Fascismo del tutto inesistente.
Un uomo che ha fatto e continua a fare male alla civiltà di questo paese, dando il largo ad ogni possibile populismo e processo di imbarbarimento della vita civile dello stato. Un cancro che s continua, in maniera ingiustificata, ad evitare di estirpare.
Penso che il motivo per cui spesso sono molto attento ai dati statistici è che dietro quei numeri ci sono delle persone. Ci facciammo caso poche volte, me solo pensassimo a quanto è radicale l'intervento dell'uomo sulla realtà intorno a noi, forse ci renderemmo conto di quanto l'antropizzazione voglia dire vedere uomini in ogni fenomeno di cui parliamo.
Così quando parlo dei dati sulla disoccupazione, in realtà parlo dell'uomo seduto di fronte a me in treno; quando discuto dei migranti, parlo dei ragazzi cinesi che abitano vicino al mio monolocale; quando parlo dei migranti, ho davanti ai miei occhi i kieimille viaggi dalla Sicilia verso il nord Italia e viceversa per prendere servizio ogni anno in qualche nuovo paesino.
Il rpblema, come diceva Arrigonii, è he dovremmo imparare ad essere umani.
In Grecia si uccide. Dovevamo aspettarcelo, dovevamo immaginare che primao poi sarebbe successo. Prima ha cominciato Alba Dorata, e ora che l'organizzazione neofasccista è decapitata somo gli xenofobi ad essere ccolpiti. Per strada, in piazza, dove capita.
La globalizzazione dei capitali, ei mercati, una gestione dissennata dell'eonomia che calpesta gli uomini non può non avere conseguenze. Anche nella ricca e colta Europa, anche nella patria ella filosofia. Perché la fame viene prima di ogni cosa, e chi sa parlare alla pancia della gente, per garantire i propri interessi, questo lo sa bene.
E così la parabola di Alba Dorata diviene una metafora: un'organizzazione paramilitare che finge di parlare alla gente ma che, come sempre, vive di poteri forti che la sorreggono e della paura che sa cavalcare. Come la destra estrema, come il grillismo.
Quella della Grecia che ripone la sua fiducia in un partito xenofobo, strillone, violento, sarà davvero un'alba dorata o un triste crepuscolo
Dicci qualcosa di sinistra. Che non sia solo uno slogan, che non sia solamente una frase luminiosa e piena d'ingegno suggerita da questo o quel comunicatore. Renzi, abi pietà di noi e dicci qualcosa realmente di sinistra. Parlaci del tuo programma, cosa vuoi fare davvvero, leggi, dati, provvedimenti, alleanze, idee.
Perché nel tuo calderone c'è di tutto, tanta destra, tanta politica delle figure carismatiche, e non per niente nel tuo progetto il PD non dovrà esssere altro cache un corollario di Matteo Renzi e dri suoi cambiamenti di idea a seconda dell'orientamento dell'elettorato. Ma di sinistra c'è ben poco, e io di un'Italia che vota l'uomo anziché le idee ne ho piene le balle.
Lo strumento principale di ogni scrittore contemporaneo è, a mio avviso, la lingua: in un certo senso, dimmi che lingua usi e ti dirò chi sei. Quasi sempre le scelte linguistiche degli scrittori sono consapevoli, l'uso di sintagmi, frasi, periodi, persino un certo font piuttosto che un altro, tutto ciò appartiene al patrimonio di strumenti che uno scrittore adopera consapevolmente. È vero pure che alcuni scrittori preferiscono una lingua poco curata, una scrittura di getto, ma anche in questo caso, a ben vedere, si tratta di una scelta e di una volontà stilistica ben precisa.
Raramente però ci si imbatte in scrittori in cui l'uso della lingua arriva ad una profondità così abissale da toccare la riflessione filosofica: è il caso del sempre più compianto David Foster Wallace e del suo libro Oblio, racolta di racconti in cui, tra gli altri temi, non può non spiccare la riflessione linguistica, spinta ai limiti del parossismo.
In questa raccolta osserviamo esperti di statistica spingersi nella raccolta analitica dei loro dati d'analisi sino al punto di confondere la realtà che indagano e l'inconscio che la nega, o, per rimane sul gioco linguistico, la follia del maestro d'elementari che imbratta la lavagna, in un raptus di follia, con la parola UCCIDILI, apparentemente di facile interpretazione, ma in realtà al centro di un cortocircuito linguistico, assenti mittente e destinatario di quel messaggio. Gli esempi si sprecherebbero, in un turbinare di lingue e di paradossi, tutto mette in risalto di questo genio, David Foster Wallace, che non per nulla è il più influente modello letterario per chi si affacci oggi sul mondo della scrittura. Un modello che porta all'estremo una riflessione, quella sulla funzione della lingua nella scrittura contemporanea, vecchia ormai d'un secolo, ma da cui sembriamo non poterci liberare, come se nel mondo dell'informazione accessibile a tutti, la funzione poetica della lingua, quella che regola il modo stesso in cui usiamo la lingua e il nostro lavorio sulle sue convenzioni, sia per tutti più importante della fuzione referenziale, ovvero della stessa realtà. Con buona pace del New Realism.
Servizio Pubblico, la trasmissione di Michele Santoro ,essa in onda su La7, ha fato registrare ieri sera l'ascolto più alto della serata. Bene, anzi no, male, malissimo, perché la trasmissione di ieri sera è stata una delle cose più indecenti trasmesse di recente dalla televisione italiana, e lo dico da antiberlusconiano convinto. Tutta la trasmissione si è incentrata sul caso di una delle tante donne che girano e giravano intorno all'ex primo ministro Silvio Berlusconi e sul premio farlocco per lei inventato al festival del cinema di Venezia per farla felice. La donna infatti, con l'aiuto di Mr. B. Aveva ottenuto i fondi dalla RAI per produrre un film e presentarlo al festival. Una storia già nota, dato che questo scandalo risale ad anni addietro. Ma PR aggiungere pepe allo scandalo dei soldi pubblici spesi in malo modo, ecco che viene fuori il lato pruriginoso della vicenda, di cui non dirò nulla per il semplice fatto che di esso non me ne frega nulla. Perché sia chiaro, delle abitudini sessuali di Berlusconi interessa nella misura in cui possono influenzare la vita pubblica del paese, ma per il resto lui e la sua donna devono poter fare quello che vogliono nella solitudine le lenzuola, ovviamente senza delinquere. Quando l'attenziondei media, come nel caso della trasmissione di Santoro, supera questo limite, allora entriamo nel morboso, iniziamo a giocare ad un gioco di cui Berlusconi è maestro. È davvero questo che vogliamo? Rimettere in gioco un duomo che finalmente è riuscito da solo a mettersi ai margini della vita politica? Non era forse il caso di parlare di cose più importanti?
Santoro non risponderà alle critiche che gli stanno piovendo addosso, come non lo ha mai fatto: tirerà fuori il suo solito monologo e, come Berlusconi, come Grillo, si auto consacrerà. E noi come al solito saremo in balia degli uomini della provvidenza da soli al comando, in politica com in TV. Ma poter votare la decadenza anche dei vari Santoro, Grillo, Renzi e compagnia cantante?
In molti avranno letto in questi giorni l'inchiesta, comparsa su Repubblica, sulle scuole calcio e il business che le muove. In molti quindi avranno letto i numeri di questo business: parliamo di circa settemila scuole calcio in tutto il paese, numeri da scuole dell'obbligo insomma, se non, in certi casi, una diffusione più capillare della scuola stessa.
Tutti noi insegnanti abbiamo avuto o abbiamo a che fare con alunni che praticano il calcio, anche a livello agonistico: chi di noi poi insegna in quella creazione del duo Gelmini/La Russa chiamato impropriamente Liceo Sportivo deve vedersela ogni giorno con classi di trenta circa aspiranti calciatori o giù di lì. Molti di loro stanno solo vivendo un'illusione, come è facile immaginare. Stando all'inchiesta citata precedentemente, solo un ragazzo su cinquemila esordisce in Serie A; tutti vengono spinti a continuare, per evidenti interessi economici, convincendoli di essere i futuri Balotelli, quando al massimo molti di loro giocheranno nelle serie minori con stipendi da operaio, per qualche anno.
Ma la cosa peggiore dello sport agonistico in questa età è la pretesa, avallata spesso da famiglie e allenatori, di una maggiore importanza rispetto alla scuola pubblica. Chiariamoci: l'istruzione di questi ragazzi viene prima dello sport non perché chi scrive è un insegnante, ma perché dà loro gli strumenti per sopravvivere allo sport stesso e ai suoi tempi; la carriera di uno sportivo non si protrae in genere oltre i quarant'anni, e con un età media di morte che ormai supera gli ottant'anni diviene lecito discute di cosa faranno questi ragazzi dopo la loro breve carriera.
Invece ci ritroviamo ad acconsentire alle richieste di questi seducenti educatori e venditori di illusioni: vediamo alunni svogliati, presuntuosi, assenti e completamente disinteressati nei confronti di tutto ciò che non sia un pallone; inconsapevoli persino dei sacrifici che le famiglie compiono per la loro istruzione e per a loro formazione. Alunni che rivendicano persino il diritto di uscire prima da scuola o di essere avvantaggiati nello studio per poter prendere parte agli allenamenti.
Domanda: perché un ragazzo che non vuole studiare ma andare a lavorare, prima di poterlo fare deve attendere i sedici anni, ovvero la fine dell'obbligo scolastico, e non può sottoscrivere contratti di praticantato fino a questa età, né quindi aver alcun tipo di pretesa nei confronti dell'istruzione obbligatoria, mentre gli sportivi possono? Ha davvero l'attività agonistica una dignità maggiore e un'importanza nella società più grande dell'educare i cittadini del domani, del farne degli esseri critici, capaci di adoperare il loro cervello per decodificare i messaggi complessi della società contemporanea? È l'ignoranza che avalliamo sotto il peso di queste illusioni un diritto o un costo sociale, salatissimo, che paghiamo tutti come prezzo ad un totem comune, figlio della televisione, della moda e dei falsi miti, quello della celebrità e della centralità del mondo dello sport?
Onestamente non capisco il perché della polemica sulle parole del ministro Giovagnini. Per intenderci, il ministro ha definito "inoccupabil" gli Italiani a seguito della pubblicazione dei dati OCSE che certificano, come già si sapeva, le scarsissime competenze dei nostri compatrioti nella comprensione e nell'uso della lingua italiana e nella matematica. Dati già immaginabili, dicevo, se pensiamo a quanto già pubblicato da Tullio De Mauro, che parla di un settanta per cento di Italiani che non comprendono un testo complesso.
Di fatto, piaccia o no, gli Italiani rispetto ai coetanei degli altri paesi OCSE sono inoccupabil o comunque destinati a mansioni inferiori.
Polemica inutile, quindi. Piuttosto occorrerebbe discutere dei perché. Inutile risulta l'intervento di Vittorio Feltri che riduce il problema alla mancanza di competenze pratiche, sdoganando l'ignoranza come un problema di poco conto per chi si dedicherà ai lavori manuali. Insomma, un articolo figlio ci una visione ben precisa, di chi pensa che la cultura sia importante solo per una certa élite.
Meglio, decisamente meglio, Gramellini. L'ignoranza italiana è figlia di una scelta politica bipartizan e ormai vecchia di vent'anni. Sono vent'anni che i fondi per l'istruzione e la ricerca vengono ridotti, si decide che la figura dell'insegnante o quella del ricercatore sono meno importanti di tronisti e conduttori televisivi, si decide che puntare sul digitale terrestre sia più importante che puntare sulla rete internet. Insomma, di cosa stiamo parlando? Parliamo di ministri che hanno legiferato infischiandosene della Costituzione e del bene comune. E ora ne paghiamo le conseguenze. Tutti.
Dopo il voto di fiducia in Parlamento e la spaccatura di fatto del PDL, va riconosciuto a Letta di essere riuscito in qualcosa in cui il PD da anni fallisce, vincere. Letta ha vinto una battaglia parlamentare contro chi lo voleva fare cadere, certo, giocando d'attacco sul fronte nemico, lusingandone l'area governativa, inducendola a creare un filone sempre più vicino a CL (e solo il destino conosce quanto pagheremo in futuro questa decisione). Ma si tratta della vittoria di una battaglia, non di una guerra.
Certo, sembra vero che da oggi Berlusconi conti molto meno in Parlamento, ma ne siamo sicuri? La scelta apparentemente ridicola del fare retromarcia e votare la fiducia ha in realtà una sua logica: mette in difficoltà gli scissionisti mostrando un lato ragionevole del leader e lo fa ancora salire sul carro del vincitore, ben consapevole di come la memoria degli Italiani abbia breve corso. Quando ci sarà da vantare il governo Letta, anche Belusconi lo potrà fare, mentre comunque è sempre disponibile la possibilità di lamentarne il fallimento e di epurare chi lo ha costretto a questa miserabile sconfitta.
Se non avverrà la scissione la vittoria sarà mutilata, Berlusconi avrà ancora armi da giocare e il suo ricatto sul paese sarà ancora ben presente. D'altro canto gli scissionisti sanno bene che senza Berlusconi, alle prossime elezioni, sono ben poca cosa, in un campo in cui già in passato hanno fallito ben altri calibri, come Fini e Monti.
Così Alfano e soci avrebbero dovuto oggi sperare che Berlusconi li costringesse alla scissione con le sue scelte irresponsabili, ma il caimano, oggi più un camaleonte, ha ben compreso la posta in palio e rapidamente è ritornato sulle sue scelte. Se Alfano e compagnia cantante vorranno andarsene dovranno farlo per loro scelta, per volontà di potenza, perché il leader è stato alla fine disposto a scendere a più miti consigli. Oggi gli scissionisti possono cantare vittoria, ma il loro desiderio di separarsi dal resto di un PDL sempre più estremista diventa ora più difficilmente comprensibile per un elettorato ancora fortemente legato a Silvio Berlusconi.
Insomma, quello che oggi appare come un risultato positivo per l'anti berlusconismo rischia invece, se si deciderà di giocare secondo le regole del vecchio caimano, in una sconfitta. Perché dopo vent'anni ancora non capiamo che Berlusconi non si batte con magie di palazzo o con legittimi interventi della magistratura, ma culturalmente, riuscendo a diffondere un progetto di Italia diverso dall'Italia gaudente, irresponsabile e libertina portata avanti negli ultimi vent'anni.
Quindi il metodo Boffo esiste, il metodo con cui i giornali di Berlusconi massacrarono il direttore dell'Avvenire e poi l'ex alleato Gianfranco Fini; con cui tentarono di ricattare l'allora presidente di Confindustria Marcegaglia; a dircelo non è un subdolo comunista o un detestabile no global, bensì i neo ex ministri pidiellini del governo Letta che, a fronte dell'editoriale di oggi del direttore de Il Giornale Stefano Sallusti, comunicano che non si lasceranno intimidire e che non permetteranno che su di loro ci si scagli con il sopra citato metodo.
Quindi il metodo Boffo esiste, e a dircelo sono gli stessi esponenti della destra che se ne sono avvantaggiati per anni.
È una bella scoperta, ma come detto ieri, anche questa uscita ha un che di satirico. Ancora una volta la fronda interna del PDL richiama alla mente Gianfranco Fini e la sua uscita dal partito di Silvio Berlusconi. E non ci si può non chiedere quanto tempo si è perso.
The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....