mercoledì 31 dicembre 2014

Il naufragio della Norman Atlantic e l'agghiacciante giornalismo di destra

Il Naufragio della Norman Atlantic avvenuto in questi giorni è stato, tra le altre cose, un'ottima palestra per il più becero giornalismo italiano. Tante cose si sono dette. Per esempio, come riporta Gad Lerner in questo articolo Libero non ha potuto esimersi dall'incolpare Matteo Renzi per le 11 vittime. Come se il Presidente del Consiglio fosse al comando della nave o fosse materialmente al comando delle operazioni di salvataggio. Ma se ancora queste accuse, anche se ingenerose, possono essere comprensibili pensando a Renzi come a colui che ha moralmente la responsabilità della guida degli apparati e delle istituzioni italiane, sono invece realmente imbarazzanti, xenfobe, islamofobe nonché infondate le considerazioni pubblicate su il Foglio nella Preghiera del 30 Dicembre. Nell'articolo sopracitato, riprendendo quanto dichiarato da alcuni passeggeri, si afferma che degli uomini, nel tentativo di fuga dalla nave, avrebbero colpito e calpestato delle donne. Da qui l'autore si scatena in una sequela di considerazioni, una più strampalata dell'altra, e come vedremo, infondate. Gli uomini erano sicuramente di origine musulmana, turca, siriana, irachena, etc.; quindi avrebbero colpito le donne perché figli di una cultura maschilista; indi sarebbe per noi un errore e una colpa permettere l'immigrazione di questi nella libera, laica e woman oriented Italia.
Ometto di fare notare come le accuse sul maltrattamento e la discriminazione delle donne rivolte alla cultura islamica provengano dallo stesso giornale che vorrebbe cancellare il diritto all'aborto, che ha da sempre favorito la differenza di trattamento nel rapporto di lavoro fra le donne e gli uomini e che ha legittimato e giustificato il puttanaio berlusconiano. La questione non è solo culturale, ma innanzi tutto di correttezza e onestà giornalistica. Perché sarebbe bastato andare a leggere la lista ufficiale dei passeggeri per evitare di dire una serie così impressionante di puttanate. La lista, la seguente, è stata pubblicata da La Stampa di Torino

 

          

Come si noterà la maggiorparte dei presenti sulla nave, compreso l'equipaggio, è di nazionalità europea, tra Italiani, Greci, etc., con un numero di passeggeri provenienti da paesi islamici realmente esiguo. Anche a voler considerare i possibili clandestini, dato ancora tutto da valutare, tutte le deduzioni de La Preghiera risultano completamente infondate, anche considerando come l'equipaggio abbia fortemente smentito questa notizia, parlando sì di panico, ma escludendo scene di violenza collettiva. 

Insomma, uno splendido ed ennesimo caso di malainformazione, tendenziosa, xenofoba e islamofoba di una serie di media che della paura del diverso si nutrono.

lunedì 29 dicembre 2014

Coppie massacrate e malo giornalismo

Voxnews è noto per i suoi articoli tendenziosi. In questi giorni uno di essi ha goduto di una certa diffusione e condivisione in rete; l'articolo in questione racconta la vicenda di una coppia danese che, nei pressi di Copenhagen, secondo la ricostruzione confermata dalle forze dell'ordine locali, è stata aggredita prima da un ragazzo di colore, di probabile origine somala, e poi da un branco, sempre probabilmente di origine straniera. Fin qui i fatti, pur con molti commenti più o meno appropriati, raccontati anche da Voxnews. A questi fatti si somma poi il solito castello di frottole, dati non verificabili, interpretazioni e commenti.

Infatti nell'articolo si dice che le foto pubblicate provengono dal profilo della ragazza vittima del pestaggio, peccato però che il link riportato non porta a nessun profilo Facebook, bensì a questo sito http://www.uriasposten.net/archives/62498, di certo non una pagina Facebook, bensì un sito (blog?) d'informazione danese.
Vogliamo una fonte meno tendenziosa? http://speisa.com/modules/articles/index.php/item.577/nanna-i-was-beaten-with-chains-on-christmas-eve.html in cui, guarda caso, le motivazioni razziali spariscono. Prendi una notizia di cronaca, confermata, aggiungici i dettagli che vuoi, senza che siano evidenti motivazioni razziali, e ci monti su il caso. Per esempio, in uno di questi articoli citati viene buttato lì un dato: i musulmani in Danimarca sarebbero cinque volte più violenti dei Danesi. A parte che i musulmani, dato che l'Islam è una religione, se hanno la cittadinanza, condizione politica, sono Danesi, ma qual è la fonte di questo dato? Esiste una fonte? Perché non viene riportata? Perché anziché i post su Facebook non vengono riportate le dichiarazioni delle polizie locali?
Perché questo sarebbe giornalismo, vero giornalismo. E ce ne teniamo ben lontani.


lunedì 22 dicembre 2014

App per la flipped classroom, Explain everythink

Explain everythink è un ottima applicazione per tablet che consente di adoperare il proprio device come una lavagna interattiva. Le nostre lezioni potranno poi essere videoregistrate per essere poi salvate sul dispositivo o caricate sul proprio canale Youtube. L'applicazione funziona realmente bene, non presenta limitazioni ed è quindi davvero molto consigliata.

Sidney Sibilia, Smetto quando voglio

Smetto quando voglio è un simpaticissimo film di Sidney Sibilia. Il film racconta le vicende di un gruppo di ricercatori squattrinati che per sopravvivere a Roma si inventano spacciatori. Si succedono vicende sempre più comiche, in un crescendo assurdo, passando per boss, baroni universitari ed escort. Il film, molto divertente, mette in luce l'allucinante situazione dei ricercatori italiani, troppo qualificati per i lavori comuni, troppo disgraziati lavorare in un mondo, quello universitario, massacrato dai tagli alla ricerca.

domenica 21 dicembre 2014

Hayao Miyazaki, Si alza il vento

Si alza il vento è l'ultimo film di Hayao Miyazaki. L'opera racconta la storia di un ingegnere aeronautico, il signor Jiro, della sua passione e per il disegno e la produzione di aerei e per il suo amore  per la bella e malata Nahoko.  L'opera è il testamento cinematografico di Miyazaki, regala alcune fra le sequenze più poetiche nella storia della produzioni dello studio Ghibli. La sequenza finale è uno struggente addio dalla vita e dai disegni di uno dei più grandi registi del cinema contemporaneo, nonché dell'uomo che, se ancora ce ne fosse bisogno, ha dimostrato come il cinema d'animazione non sia per forza cinema per bambini.

Neil Gaiman, Coraline

Coraline è un romanzetto pubblicato nel 2003 da Neil Gaiman, vincitore, tra gli altri, del premio Hugo. La protagonista di questo racconto lungo, Coraline a punto, sempre in cerca di qualcosa di eccitante che possa riempire le sue vacanze da scuola, malgrado il divieto della madre apre una porta misteriosa chiusa a chiave e si ritrova in un mondo parallelo, con nuovi mostruosi genitori. Nel suo tentativo di tornare a casa la aiuteranno un gatto parlante e tre spettri di bambini imprigionati in questo mondo parallelo.
Il romanzetto, pur non eccellendo, è forse fra le cose migliori scritte da Gaiman fuori dalle pagine di fumetti. Certo c'è da chiedersi come un autore tanto profondo tra i baloon possa divenire così banale quando si trasforma in autore di racconti.

Makoto Shinkai, Il giardino delle parole

Il giardino de!le parole è un bel film d'animazione uscito in Giappone nel 2013, ad opera di Makoto Shinkai. Il film rappresenta la storia di  Takao, quindicenne giapponese appassionato del disegno e produzione di scarpe, e della professoressa Yukino, vittima di dicerie nella scuola in cui insegna, tanto da perdere ogni fiducia in se stessa e la voglia stessa di lavorare. I due protagonisti inizieranno ad incontrarsi e a frequentarsi, dopo che  per caso si sono ritrovati in un giardino nel centro di Tokyo, per ripararsi dalla pioggia.
Il film, ricco di momenti di riflessione e di silenzi, racconta il valore della parola disinteressata, del dialogo, dello scambio di emozioni. Di come persone del tutto diverse possano conoscersi e divenire qualcosa di speciale l'uno per l'altra, malgrado la differenza d'età e di cultura. Un opera appassionata e delicata ad un tempo, assolutamente da vedere.

giovedì 18 dicembre 2014

Lezioni di stile e scrittura creativa

Quello che propongo con questa serie di brevi lezioni è un approccio all'analisi formale di alcuni brevi passi, tratti da narratori che vanno dalla fine del 1800 fino alla fine del '900. Le lezioni non hanno alcuna pretesa di completezza, vogliono solo essere uno strumento, pensato in primis per alunni delle scuole superiori, per approcciarsi all'analisi formale di testi in prosa e, volendo, alla loro produzione.

Lezioni di stile 

giovedì 11 dicembre 2014

Fascismo liquido

Proprio ieri Marine Le Pen dichiarava l'utilità della tortura. A questa dichiarazione seguiva, qualche minuto dopo, una smentita che sapeva di fregatura. Infatti la politica francese aveva dichiarato (per le citazioni la fonte è il seguente articolo di Polisblog)

"La tortura...può essere utile [...] Troppo facile andare in tv e fare gli scandalizzati. Io invece credo che la gente che si occupa di terroristi, che deve ottenere informazioni da loro, è gente responsabile, che salva vite umane e ci possono essere dei casi in cui tutti i sistemi possono essere utili per far parlare un certo tipo persone. Bisogna riuscirci, e con tutti mezzi possibili".

Ma a questa dichiarazione seguiva la ritrattazione su Twitter, in evidente contraddizione.
"Interpretazione malevola. Tutti i mezzi possibili: i mezzi della legge, evidentemente non la tortura".

Interprétation malveillante. Face au terrorisme, pas d'angélisme. "Les moyens qu'on peut" : les moyens de la loi, évidemment pas la torture.

C'è qualcosa in questo gioco della Le Pen che noi conosciamo bene. Si parla di esposizione per eccesso, ma io, citando Vattimo, parlerei di politica liquida. 
Come dicevo, si tratta di qualcosa che conosciamo, una tecnica ben nota nel ventennio berlusconiano, quella del dire qualcosa, spesso un colpo assestato allo stomaco dei diritti o della costituzione, per ritrattare in maniera rassicurante. Una tecnica del genere è utile, serve a testare la reazione dell'elettorato e, allo stesso tempo, a tenersi sempre sulla cresta dell'onda. Marco Antonio un tempo incoronò Giulio Cesare di fronte alla folla per testarne la reazione, e di fronte ai fischi, fu proprio il dittatore a rifiutare la corona, ingraziandosi la massa.

Ma c'è di più: nell'epoca del pensiero liquido, della negazione della certezza, chi può dire cosa abbia realmente detto o pensato la Le Pen? Chi può dire che la sua smentita sia o no più credibile della prima affermazione? Nell'epoca dell'incertezza il politico di turno può dire qualsiasi cosa per poi ritrattarla, e sperare in questo modo di dare un colpo al cerchio e uno alla botte.

Ma Le Pen, e con lui nello stesso giorno il corrispondente italiano Salvini che, contemporaneamente dichiarava di essere per la castrazione chimica per gli stupratori, decide di compiere un passo in più. Se non c'è un limite alla tecnica, perché limitarsi? Ed ecco che allora vengono rispolverati i temi di un vecchio fascismo che pensavamo superato: invece il moto di antipolitica europea, il desiderio di eversione, il desiderio di un conflitto sempre più avvertito come liberatorio, la violenza contro il diverso, la riscoperta della violenza verbale e fisica (guardiamo ai nostri Casa Pound e allo schifo che si è impossessato di Roma) Tutto è giustificabile perché esiste e non esiste, è sempre ritrattabile. In questo senso l'antipolitica grillina è certamente più acerba, fatta di slogan e urla talmente evidenti e ridondanti da non essere nascondibili, anzi, nell'inesperienza della comunicazione pentastellata, il grillismo si gloria della propria fermezza. Paradossalmente, quella di Grillo and company è una comunicazione violenta ma datata.

Così su Twitter, su Facebook, a mezzo stampa o sottovoce si diffonde un nuovo fascismo strisciante, fatto di felpe e di facce per bene. Un fascismo liquido, un fascismo del ventunesimo secolo, a cui si dovrà rispondere con nuove armi ermeneutiche. Perché la contingenza economica non fa altro che favorire questo fascismo nuovo e vecchio ad un tempo.

foto: mattinonline.ch

lunedì 8 dicembre 2014

Perché ammettere, o togliere, tutti i simboli religiosi dalle scuole

Come ogni anno in questo periodo, nella scuola pubblica italiana si riaccende il dibattito sulla presenza di simboli religiosi cristiani. A fronteggiarsi due voci, l'una, laica e spesso laicista, l'altra, cattolica, più che cristiana.
In questo post proverò a confutare le principali obiezioni della posizione cattolica e a sostenere la mia tesi, ovvero che, in astratto, nella scuola pubblica italiana sarebbe il caso di ammettere tutti i simboli religiosi, in concreto, oggi, eliminarli tutti

In genere chi sostiene l'opportunità della presenza del presepe o del crocifisso nelle nostre scuole, lo fa adducendo queste argomentazioni:

Il crocifisso e il presepe sono simboli della cultura italiana
Questa argomentazione si fonda su un errore di prospettiva, ovvero il pensare che i simboli di una maggioranza religiosa all'interno di una comunità siano ipso facto simboli di tutti. L'identità delle minoranze viene in questo modo annullata e inglobata all'interno di quella della maggioranza. Questo errore di prospettiva è comune, soprattutto quando si discute di religione: ad ogni ateo sarà capitato almeno una volta di sentirsi dire che proprio perché ateo egli in realtà crede in un dio, dato che si pone il problema: come se non possa semplicemente esistere chi non crede. Ogni possibile differenza di veduta viene annullata e sommersa dall'idea dominante.  Basta riflettere per capire che invece il simbolo di una maggioranza non rispetta né rappresenta per forza le minoranze, ragion per cui, in un edificio come le scuole, in cui le distanze sociali, culturali, economiche, religiose e politiche dovrebbero essere annullate, questa prospettiva risulta mortificante.
Inoltre, se questi sono simboli della cultura italiana (ma lo sono davvero?), i simboli della cultura italiana sono stati e sono anche altri: lo sono stati i falli in cuoio delle menadi, i penati romani, le icone ortodosse, i Corano della cultura arabosiciliana; lo sono stati e forse lo sono ancora i fasci littori e la falce e il martello. Per qualcuno, addirittura, la Costituzione.

Il crocifisso e il presepe sono simboli universali di pace
Simile all'argomentazione precedente, anche questa si fonda sull'idea che ciò che la maggioranza sente valga per tutti. Chi per esempio pensa che il crocifisso sia in assoluto simbolo di pace, dimentica chi in nome di quel simbolo ha subito delle guerre; non c'è bisogno di tornare indietro nei millenni, basta andare al 2001, all'improvvida dichiarazione di guerra del presidente Bush, la chiamata alle armi per una crociata contro il terrorismo islamico.
Ma c'è di più: chi parla di questi simboli come simboli universali non riflette sul fatto che ogni civiltà pensa ai suoi simboli come universali, giusti, portatori di pace. Il Nazista che si riconosceva nella svastica o il Comunista che si riconosceva nella falce e nel martello non vedeva in sé il male, si credeva portatore di pace e di una giustizia superiore, vedeva e vede nei suoi simboli i simboli della sua pace, proprio come i Cattolici nel crocifisso e nel presepe.

Si è sempre fatto così
No, non si è sempre fatto così, il Cristianesimo, come ogni cosa, è un fenomeno storico che ha avuto un inizio e presumibilmente avrà una fine, e dire da parte di chi certe cose dovrebbe saperle che si è sempre fatto così è semplicemente un insulto al tempio della conoscenza che dovrebbe essere la scuola.

Sono le nostre radici
Argomento che si lega a quello precedente. Le radici sono tante: se parliamo dell'Europa, ci sono radici ben più profonde e antiche di quelle cristiane, le radici grecolatine, quelle indoeuropee, quelle legate alle popolazioni anatoliche che diffusero l'agricoltura, prima ancora le radici preindoeuropee delle popolazioni che si cibavano della cacciagione e della raccolta di ciò che trovavano. Tutte civiltà che hanno lasciato qualcosa; allora dovremmo risalire ai loro simboli. O ancora meglio, dato che fra i nostri geni possediamo un 2% dei geni dei Neanderthal, e dato che questi ci hanno lasciato i primi esempi di simboli religiosi con le loro pitture rupestri, occorrerebbe sostituire crocifisso e presepi con rappresentazioni di mammut e cinghiali.

A questo punto dovremmo rimuovere i nostri simboli e le nostre opere d'arte dalle strade e dalle piazze
No, non c'entra nulla, perché non si sta discutendo il valore di opere d'arte di reale interesse e valore storico culturale. Nessuno chiede la rimozione di simboli dalle strade, dalle piazze, nessuno chiede di smettere di studiare opere di indubbia matrice cristiana. No, Dante, Giotto, La Gerusalemme liberata rimangono nelle nostre scuole, non temete. Perché di esse va spiegato il valore, i docenti dovrebbero farlo, per esempio, dovrebbero spiegarne la matrice, se vogliamo anche i limiti. Il fatto che io spieghi la Gerusalemme liberata non è un invito a partire per le Crociate, né il fatto che io spieghi perché Dante mette Maometto nell'Inferno è un invito a trucidare gli infedeli.
Ma qui parliamo di altro, di oggetti che, per citare Verga, stanno all'arte come le donne del cancan sulle scatole dei fiammiferi stanno alla Venere di Milo. Sono la banalizzazione, la strumentalizzazione e l'instupidimento dell'arte e della cultura, che si fanno pancia e peggio ancora del paese.

Questi simboli non danno fastidio a nessuno
Il fatto che stiate leggendo questo post è una dimostrazione della falsità di questa affermazione.

Da loro non ci concedono i nostri simboli
A parte che quel da loro, nella sua vaghezza, dice tutto e niente, questa è di per sé una fallacia logica, ben spiegabile con un paradosso. Mettiamo il caso di due paesi con due forme di diritto diverse, quali Italia e USA. Mettiamo che un Italiano commetta un reato negli USA, un omicidio, e venga per questo condannato alla pena di morte negli USA. Secondo questo ragionamento un cittadino americano che in Italia commettesse lo stesso reato, dovrebbe essere condannato a morte, in barba al nostro diritto, perché da loro si fa così.
Un altro esempio, forse meno gradito alla massa. Dato il fatto che se una coppia italiana omosessuale, recandosi negli USA, può ottenere un matrimonio legale, lo stesso trattamento dovremmo noi riservare a cittadini americani in Italia, ovviamente al di fuori del nostro diritto.

Siamo uno stato cattolico
In realtà la nostra Costituzione, così come la revisione del Concordato, sancisce la laicità del nostro stato, che quindi non prevede una religione di stato, ma anzi favorisce e tutela la libertà di culto di ogni minoranza, setta, credo e confessione.

Il Concordato ce lo impone
Ad essere precisi il crocifisso nelle classi è imposto da un regio decreto mai abrogato. Ma rimanendo al Concordato, esso è stato lo strumento con cui una dittatura ha ottenuto il riconoscimento politico del mondo cattolico, e già solo perché rappresenta l'asservimento dei presunti valori cristiani alle ragioni della politica di un regime come quello fascista, meriterebbe il suo superamento. Ma il Concordato è già stato rivisto in passato, con il governo Craxi, e del resto, un paese che chiede di poter decidere della propria politica economica e del proprio divenire, dotato di un Parlamento che ha la libertà di modificare la sua stessa Costituzione, non può nascondersi dietro ad un Concordato.

Alla luce di quanto scritto sopra, emerge la necessità di garantire in maniera differente le diverse posizioni in campo. Dimostrato come la presenza dei simboli cattolici non sia in assoluto da dare per scontato, va discusso come comportarsi di conseguenza. Nessun simbolo o tutti i simboli?

Diciamo subito che il buon senso vorrebbe, in una scuola realmente inclusiva, la possibilità di vedere i simboli dei diversi credo all'interno delle nostre mura scolastiche.
Ma il bene spesso è nemico del meglio.
Il compromesso sulla laicità dello stato raggiunto dalla nostra politica con il dominio culturale del Cattolicesimo prevede che sia lo stato stesso a raggiungere dei singoli accordi con i rappresentanti delle diverse fedi riguardo alla loro libertà di culto, all'edificazione di edifici di culto, alla tutela delle diversità. Questo principio si traduce nella sostanza nella quasi impossibilità, da parte delle minoranze, di ottenere rappresentanza e diritti, di fronte all'impellenza del consenso elettorale (alla solita maggioranza cattolica insomma) da parte dei governanti di turno. Basti solo pensare alle enormi difficoltà della minoranza musulmana presente in Italia, il 4% della popolazione, nell'ottenere i permessi per l'edificazione di moschee o per poter adibire a tale scopo edifici dismessi.
In una situazione simile, pensare che un dirigente scolastico, un politico o un prefetto possano ordinare di adibire nelle nostre scuole la presenza di simboli di minoranze, spesso politicamente scomode, è impossibile, pura fantascienza. Basti pensare che nessuna scuola in iItalia, almeno nel pubblico, prevede l'insegnamento della religione ebraica o dell'Islam come alternativa all'ora di insegnamento della religione cattolica.

Che fare allora?
Purtroppo, in uno stato che voglia dirsi laico, l'unica soluzione che rimane nel contesto attuale è il togliere qualcosa, ovvero quegli unici simboli religiosi che sono oggi concessi nelle nostre scuole. Toglierli perché uno stato che voglia dirsi unitario o rappresenta tutti o non rappresenta nessuno, e toglierli perché finché su di noi penderà la condanna di una dittatura culturale, quella cattolica, ma potrebbe essere qualsiasi dittatura culturale, non avremo mai la forza per un vero percorso verso diritti uguali per tutti.

sabato 6 dicembre 2014

Mitologia dell'insegnante italiano

Quando si parla della scuola pubblica italiana e dei suoi insegnanti, si contrappongono due visioni distinte, antitetiche, entrambe mitologiche. La prima, quella di stampo liberista e berlusconiano, vede negli insegnanti dei nemici, costruendone il mito di nullafacenti comunisti ignoranti. L'insegnante nell'ottica neoliberista berlusconiana è un intralcio, un feticcio di un tempo che fu, in cui il rapporto con il pubblico era veicolato da strumenti intermedi quali le istituzioni; l'insegnante, corpo intermedio, si macchia del peccato di voler formare una coscienza civica, comunista, nei discenti, un pubblico che, invece, potrà meglio essere addestrato attraverso altri strumenti, quali le televisioni. In quest'ottica quindi l'insegnante andava e va umiliato.
L'altro mito, antitetico, viene costruito dalla classe degli insegnanti stessa. L'insegnante si autodipinge come unica difesa rimasta di fronte alla distruzione della cultura: l'insegnante italiano è assolutamente convinto della propria formazione, della propria cultura, della propria visione del mondo, imputando ogni fallimento della cosa e della scuola pubblica nell'arco di tempo che va dal dopoguerra ad oggi esclusivamente alla politica, alla società, al sistema di reclutamento, all'incapacità del sistema universitario, etc.. Non esiste possibilità di autocritica, al punto che ogni paventato tentativo di proporre un sistema di valutazione degli insegnanti viene avvertito e propagandato come un attentato alla dignità della professione.

A ben guardare, entrambe queste costruzioni non sono altro che miti: l'uno si forma e si alimenta dell'altro, in effetti, l'uno non potrebbe esistere senza l'altro. Una classe docente che non ammette valutazione dà adito ai suoi detrattori di accusarla di pressapochismo; l'incapacità di riconoscere la professionalità dei docenti da parte del neoliberismo non fa altro che alimentare l'arroccamento dei docenti della scuola pubblica nelle loro posizioni, ritirati su di un Aventino fuori dal tempo e dal buonsenso.
Eppure basterebbe, appunto, un p' di buonsenso, per riconoscere i limiti di entrambi i miti. Così come è impossibile che tutti i docenti siano dei nullafacenti, e altrettanto vero che, come in qualsiasi lavoro, esistono mele marce ed esiste un problema nella formazione e nel reclutamento dei docenti, problema a cui la politica, i sindacati, i docenti stessi hanno contribuito.

Ovviamente il discorso proposto in questo post è esso stesso una costruzione, se vogliamo anche questo è un mito, una narrazione. Una narrazione fondata su determinate esperienze e su alcuni dati: l'età media dei docenti italiani è la più alta d'Europa, e anche tenendo in conto della formazione dovuta alle ormai chiuse Scuole di Specializzazione per l'Insegnamento, o ai recenti Tirocini Formativi, va detto chiaramente che una buona parte dei docenti italiani in cattedra non mette piede in un'aula universitaria o non frequenta un corso di livello universitario ormai da decenni; i risultati delle prove INVALSI degli studenti italiani, così come i risultati delle prove PISA, mostrano, piaccia o no, gravi lacune da parte dei nostri studenti nelle competenze logico linguistiche e logico matematiche; gli scarsi risultati ottenuti da molti docenti nella prova di logica e matematica alla recente prima prova del concorso a cattedra del 2012.

Esiste nella nostra scuola un problema di genere: è un dato che la maggioranza dei docenti italiani siano donne, con picchi nella scuola primaria che rasentano il monopolio. Sia chiaro qui che una docente vale quanto un docente; il problema è che nella nostra tradizione culturale maschi e femmine vengono formati e indirizzati in maniera stereotipata, maniera che ancora oggi si ripercuote sui docenti in attività e sui loro alunni. Nelle prove INVALSI, a qualsiasi livello, il risultato delle studentesse nelle prove di matematica è mediamente più basso di quello degli studenti maschi, sebbene i risultati ottenuti in molti altri paesi, in primis quelli dell'Estremo Oriente, in prove equivalenti, mostrano come le studentesse, se non condizionate, ottengono nelle materie scientifiche gli stessi risultati degli studenti maschi.
Al di là della bagarre sulle graduatorie varie ed eventuali, basta mettere piede in un qualsiasi Collegio Docenti per accorgersi di un dato: il corpo docente italiano è formato da (per la maggior parte) donne, caucasiche, cattoliche, malamente formate negli studi di pedagogia, comunque con una formazione che risale, in molti casi a decenni addietro, da troppo tempo lontane dagli studi accademici delle loro stesse discipline. Ancor di più, il pubblico, il destinatario del messaggio di questi docenti sono, ancora, piccoli, caucasici, bianchi e cattolici. Ogni altro destinatario esiste nella misura in cui si adegua a questo standard.
L'intercultura, lo scambio culturale, la tolleranza nelle nostre scuole si riducono ad una malcelata sopportazione: le minoranze sono ammesse finché si adeguano al volere e alle tradizioni della maggioranza, altrimenti sono reietti da criminalizzare; non esiste la possibilità di riconoscere la laicità della scuola pubblica, il pari valore delle tradizioni e culture altre ("e tu, piccolo, dimmi, da te cosa fate per le vacanze? Perché qui che siamo Cattolici si fa così"). condivisione ed arricchimento vogliono dire, nella nostra scuola, condivisione da parte del Cattolicesimo e arricchimento da parte di chiunque non sia cattolico. Condividiamo (imponiamo) presepe, crocifisso, etc., ma ad "arricchirsi" sono solo gli altri. Non esiste nella scuola pubblica, come nella nostra società, l'idea che a "condividere" siano tutti, compresi i non Cattolici e ad "arricchirsi" siano tutti, compresi i Cattolici. Non esiste per esempio all'ordine del giorno di nessun Collegio Docenti l'idea di affiancare nel Piano dell'Offerta Formativa l'ora di religione islamica, buddista, animista, induista, anche solo sulla forza degli Jedi, all'ora di religione cattolica; non sembra che nella scuola pubblica italiana ci si batta il petto o ci si fustighi per permettere l'apertura di moschee e luoghi di culto per le altre religlioni, o di veri spazi e tempi per atei e agnostici. La condivisione consiste in un io condivido e gli altri si adeguano, l'integrazione in un queste sono le condizioni, e ora integrati.

La nostra scuola è, nella maggior parte dei casi, trasmissione di una tradizione: la possibilità di innovazione, prima ancora che per gli scarsi mezzi, manca per la mancanza di formazione. Scarsa, soprattutto nei gradi più bassi dell'istruzione, è ancora la comprensione di un testo da parte degli stessi docenti, così come la capacità di usare la logica deduttiva: riprova ne sono i risultati della prima prova del recente concorso a cattedra. Assente o quasi la formazione su modalità e generi testuali che richiedano una formazione tecnica: analisi del testo, produzione di saggi, etc..
Manca spesso la capacità di contestualizzazione, di decostruzione e costruzione, di ricerca e vaglio delle informazioni: basterebbe vagare per i vari gruppi su facebook dedicati agli insegnanti per accorgersi di come gli stessi non vaglino le informazioni che condividono, commentino senza leggere, o peggio, comprendere le risposte altrui (senza parlare degli orrori grammaticali e delle castronerie pedagogico-didattiche che si potrebbero incontrare).

In questa condizione, per poter realmente pensare ad un miglioramento dell'istruzione pubblica italiana, la stessa scuola italiana dovrà partire dalla distruzione di ogni mito che la condizioni: quello neoliberista come quello autoassolutorio. Senza un reale superamento delle sovrastrutture che condizionano il funzionamento della nostra scuola, la formazione italiana e lo stesso futuro dei nostri discenti non potranno non essere condannati ad un lento e costante declino.

foto: caffescuola.wordpress.com

venerdì 5 dicembre 2014

Fare cultura è fare i conti con il proprio passato

Leggo in questi giorni che, da sondaggi, un eventuale partito della cultura si assesterebbe intorno al 6% delle preferenze dei votanti. Si tratterebbe di un partito che andrebbe a collocarsi nell'alveo del centro-destra e che avrebbe come scopo la promozione della cultura e la rimozione del monopolio della sinistra sulla stessa. Un simile partito vorrebbe essere uno strumento per superare gli steccati, i tanti "anti" della nostra cultura.

Cercherò qui di dimostrare come l'idea espressa da questo programma abbia a che fare solo con un certo tipo di cultura, quella industriale.
L'assunto di base è che la cultura vada promossa in quanto produttrice di ricchezza. Se permettete, la cultura andrebbe promossa di per sé, l'arte per l'arte, la scienza per la scienza, anche perché ciò che appare inutile oggi non è detto che lo sia domani e legare la cultura alla produzione di ricchezza vuol dire favorire, anche in questo ambito, ciò che appare utile e produttivo oggi.
Il partito della cultura vorrebbe muoversi nell'ambito del centro-destra, per superare gli steccati e superare il monopolio e la fabbrica di cariche del modello culturale del centro-sinistra. Di fatto cosa voglia dire tutto ciò non si sa bene: in Italia sembra che sia una colpa della sinistra il fatto che la destra non sia stata in grado di formulare dei suoi valori che andassero oltre un redivivo fascismo o un neoliberismo spinto e di mera matrice imprenditoriale, che considerasse tutto oggetto e tutto oggetto di vendita e di acquisto. Inoltre smantellare il monopolio della sinistra sulla cultura e sulla cultura delle cariche, costruendo un nuovo partito che si appropri della stessa gestione delle cariche, è quanto meno sospetto.
Si dice che l'Italia debba andare oltre l'"anti", l'antifascismo, l'antiberlusconismo. Il problema è che l'Italia agli "anti" non c'è mai arrivata, se non in maniera edulcorata e di facciata. Dall'amnistia generale dopo la Seconda Guerra Mondiale, alle prescrizioni berlusconiane, al mai avvenuto processo politico ai fallimenti dei rispettivi ventenni, il nostro paese non ha mai fatto realmente i conti con la storia. Perché sia chiaro che quando si parla di antifascismo e di antiberlusconismo, non si parla di uomini, ma di idee: gli uomini passano, non i simboli che incarnano. Dichiararsi e essere antifascisti vorrà dire essere contrari ad un certo bagaglio di valori e di idee, come l'essere antiberlusconiani (e il fatto che per questo secondo ventennio non si sia trovato appellativo migliore del patronimico, ce ne dice la pochezza intellettuale); l'essere contro il razzismo ideologico, il primato del potente, del ricco, sul povero, l'essere contrari ad ogni forma di organizzazione totalitaria, ad ogni abiura alla rappresentatività della politica; essere per la libertà della democrazia, per la libertà di idee, per la libertà di culto, per la libertà nella propria vita sessuale; essere per un diritto uguale per tutti, essere contrari alla pena di morte, essere favorevoli alla promulgazione di una legge contro le torture; essere per uno stato realmente laico che abbia voglia e potere per rappresentare tutti i credi; credere nei diritti dei lavoratori e che i capitani d'azienda non necessitino di uno stato amico e difensore quanto i precari e la classe operaia.

Questo e molto altro vuol dire essere antifascisti o antiberlusconiani, e dire che questi "anti" vanno superati, senza che chi si proclama fascista o berlusconiano voglia o sia in grado di ammettere limiti e colpe della propria ideologia, sarebbe non solo inutile, ma anche ipocrita e pericoloso.

domenica 30 novembre 2014

Opinioni, tesi e argomentazioni: l'ignoranza italiana della logica deduttiva

In questo mio intervento di oggi cercherò di chiarire quale sia la differenza tra un'opionione e una tesi argomentata. Per fare ciò partirò dalle definizioni di opinione, tesi e argomentazione fornite dal dizionario Treccani online, per discutere poi di come nel nostro paese ci sia al riguardo tutt'ora molta confusione.
opinióne (ant. oppinióne) s. f. [dal lat. opinio -onis, affine a opinari «opinare»]. –


1. Concetto che una o più persone si formano riguardo a particolari fatti, fenomeni, manifestazioni, quando, mancando un criterio di certezza assoluta per giudicare della loro natura (o delle loro cause, delle loro qualità, ecc.), si propone un’interpretazione personale che si ritiene esatta e a cui si dà perciò il proprio assenso, ammettendo tuttavia la possibilità di ingannarsi nel giudicarla tale: fino a che non sia dimostrata la verità, tutte le o. possono essere ugualmente vere o false; o. valida, probabile, assurda; l’o. dei più, della maggioranza; o. radicata,inveterata; è ormai o. invalsa, prevalente, comune, generale, unanime,universale; formarsi un’o. propria; dire, esprimere la propria o.; io la penso così,ma, ripeto, questa è solo una mia o. (o una semplice o., nulla più che un’o.);secondo la mia modesta o., oppure la mia debole o. sarebbe che ..., modi di presentare modestamente il proprio giudizio, di esprimere un parere o di affacciare una proposta; non mi sono fatto ancora un’o. in merito; sono convinto della mia o.; mi confermo sempre più nella mia o.; nonostante la smentita dei fatti, rimango della mia o.; anche questa è un’o., frase (spesso iron.) con cui ci si mostra disposti ad accordare credito alle ipotesi e ai giudizî altrui; qual è la tua o. in proposito?; ha delle o. tutte sue; non è possibile rimuoverlo dalla sua o.; difendere, sostenere le proprie o.; confutare, combattere un’o.; voler imporre agli altri le proprie o.;conflitto d’opinioni; accedere, aderire all’o. di qualcuno; condivido la tua o.; credo che anche tu sia della mia o., che anche tu la pensi come me. In partic., essere d’o. (o dell’o.), espressione con cui s’introduce la manifestazione del proprio punto di vista circa provvedimenti da prendere, sulla condotta da seguire, e sim.: sono d’o.che si debba insistere ancora (cfr. le locuz. equivalenti essere del parere, essere d’avviso); non sono di questa o., per affermare chiaramente il proprio disaccordo su quanto altri giudica o propone o ritiene opportuno. Nel linguaggio giur. è dettao. comune l’opinione prevalente dei giuristi in una determinata questione di diritto. È direttamente contrapposto a «fatto certo, positivo» nella frase prov. l’aritmetica(o la matematica) non è un’o., a proposito di verità inoppugnabili o fatti certi e provati, che bisogna accettare per quello che sono. Talora ha senso più vicino a convinzione, principio, soprattutto in materia morale, religiosa, politica, sociale:avere o. sospette, poco ortodosse; gente che cambia opinioni a ogni mutar di vento; non avere opinioni, essere privo di personalità morale; professare un’o., manifestarla abitualmente e francamente con le parole e nei fatti; avere il coraggio delle proprie o., sostenerle a viso aperto e comportarsi in modo coerente con esse;reati di o., denominazione di una categoria di reati, che comprende gran parte dei delitti contro la personalità dello stato, con particolare riferimento ai reati di propaganda e apologia sovversiva, nonché di vilipendio della Repubblica e delle istituzioni costituzionali. Con valore collettivo, l’o. corrente, l’o. dominante, l’atteggiamento ideologico, politico, morale, prevalente in un determinato momento storico: fu dunque il segretario dell’o. dominante, il poeta del buon successo (F. De Sanctis, con riferimento a V. Monti).


2. Stima, considerazione che si ha di una persona (cfr. l’uso analogo di concetto):ho buona o. di lui; non ho mai avuto grande o. delle sue capacità; ha un’alta o. di sé, del proprio ingegno, e sim., di persona presuntuosa.


3. Opinione pubblica: il giudizio e il modo di pensare collettivo della maggioranza dei cittadini, o anche questa maggioranza stessa, in quanto ha esigenze, convinzioni, atteggiamenti mentali comuni: avvenimenti che muovono, che interessano l’o. pubblica; l’o. pubblica ha diritto di essere informata; i giornali si fanno spesso interpreti dell’o. pubblica; guidare, influenzare, condizionare l’o.pubblica; essere assolto, condannato dall’o. pubblica. In qualche caso l’espressione allude piuttosto ai pregiudizî, alle convenzioni sociali: essere schiavo dell’o.pubblica; sfidare l’o. pubblica, disinteressarsi del giudizio della gente. Con riferimento all’opinione pubblica, sondaggio d’opinione, indagine statistica compiuta su un campione della popolazione per saggiare opinioni e reazioni su argomenti varî (divorzio, partiti, elezioni, personaggi pubblici e sim.).

tèṡi s. f. [dal lat. thesis, gr. ϑέσις (propr. «posizione, cosa che viene posta»), der. del tema di τίϑημι «porre, collocare»]. –


1.


a. Proposizione di argomento filosofico, teologico, scientifico, o attinente a un problema di critica letteraria o artistica, che si enuncia e si discute per dimostrarne la verità contro altre proposizioni contrarie: le 95 t. di Lutero, da lui affisse alla porta della chiesa d’Ognissanti di Wittenberg; enunciare, formulare una t.;svolgere, discutere, provare una t.; con sign. più ampio e generico, idea, opinione, valutazione personale: sostenere la propria t.; confutare, demolire una t.; secondo la t. di ..., stando alla t. di ... ; una t. insostenibile, una t. inconfutabile, ecc.Commedia, dramma, romanzo a tesi, nel linguaggio della critica letteraria, opere nelle quali l’autore si propone programmaticamente la dimostrazione di una tesi morale, sociale, politica, ecc.


b. In filosofia, affermazione e posizione teorica che si contrappone a un’altra, l’antitesi, in un’antinomia che nel pensiero kantiano e postkantiano idealistico e materialistico viene dialetticamente superata e composta nella sintesi.

argomentazióne s. f. [dal lat. argumentatio -onis]. –


1. L’argomentare; serie di argomenti a dimostrazione di un assunto: nel calore dell’a.; a. contorta, cavillosa; sono a. che non reggono.


2. Nella logica, con sign. più specifico, un insieme ordinato di proposizioni, una delle quali è posta come dedotta dalle altre.

Come si evince dalle definizioni, la prima e più evidente differenza fra un'opinione e una tesi è il criterio di veridicità: l'opinione, anche se di buon senso, esclude la possibilità di verifica della veridicità di quanto espresso. In questo senso, possiamo immaginare un insieme di opinioni, anche discordanti o antitetiche fra di loro, come un insieme di elementi di pari valore. Proprio per l'assenza della possibilità di verifica, l'opinione non assume nessun criterio scientifico, limitandosi ad uno stadio prescientifico, di impressione.

La tesi trova invece la sua stessa ragione di esistere nella possibilità di verifica. Una tesi esiste solo se dimostrabile, tramite argomentazioni che agiscono sugli ordini qualitativi e quantitativi. Non esiste tesi senza dati verificabili e, almeno nel campo delle scienze esatte, riproducibili. Una tesi, se verificata, non sta sullo stesso piano di tutte le tesi possibili sullo stesso argomento. Così come possiamo immaginare un'insieme di opinioni come un piano orizzontale in cui tutti gli elementi stanno sullo stesso livello, la tesi sta su un piano verticale più in alto rispetto alle opinioni, possiede un maggiore valore, dato dalla verificabilità delle sue premesse.

La tesi esiste solo se è in grado di confutare la sua antitesi. Se l'insieme delle opinioni esiste come un “et-et”, quello delle tesi è un “aut-aut”, o l'una o l'altra.

Ne consegue anche un altro principio: di fronte alla impossibilità di accreditare in maniera assoluta una tesi nei confronti dell'antitesi, il ricercatore dovrà prendere in considerazione la possibilità che non siano le tesi malformulate, ma che al contrario sia il quesito a cui la tesi risponde ad essere malposto.

La tesi fonda la sua forza euristica sulle argomentazioni che la reggono, da cui la tesi nasce per deduzione. Più le argomentazioni saranno probanti, incontrovertibili e riproducibili, maggiore sarà la forza della tesi. In questo senso si pone, in ordine d'importanza, la distinzione tra argomentazioni di autorità e di fatto. Le prime rappresentano, dal latino auctoritas, l'autorità di chi ci ha preceduto e studiato l'argomento: ipse dixit. Al di là della forza data dalla stessa importanza dell'autorità citata, le argomentazioni di autorità non possiedono un particolare valore euristico.

Maggiore importanza hanno invece le argomentazioni di fatto: rientrano in questo insieme i dati materiali raccolti, frutto di esperimenti, di raccolta documentaria, i dati statistici, archeologici, le notizie riportate dalle fonti, etc. Dalla comparazione di questi dati, corroborata dall'autorità delle argomentazioni di fatto, si deduce una tesi che ha nel processo che l'ha generata il suo stesso valore euristico, oltre alla possibilità di divenire essa stessa argomentazione alla base di nuove e successive tesi, in una catena euristica virtualmente infinita.

Questo metodo, nato nell'ambito delle scienze esatte ma applicabile con rigore metodo a qualsiasi ambito del sapere, dalle scienze storiche agli studi sociali, noi chiamiamo metodo logico-deduttivo e metodo scientifico.

Ogni metodo che non voglia basarsi sulla deduzione logica fondata su dati misurabili e/o riproducibili non è da considerarsi un sapere scientifico, fermandosi ad un livello ascientifico o prescientifico.

Data una definizione di opinione, argomentazione e tesi, procedo ora ad affrontare il problema della scarsa consapevolezza delle differenze fra questi concetti, e i metodi che sottendono, nel nostro paese.

Questo metodo scientifico di cui si è sopra parlato, sebbene trovi le sue basi già nel sillogismo aristotelico e nella tradizione filosofica occidentale, nasce e si sviluppa tra le scienze esatte, trovando, soprattutto in Italia, una storica resistenza nell'applicazione alle scienze umane. Rivalità tra intellettuali, prevalenza di un sapere induttivo, autorità della verità rivelata, sono tutte cause della scarsa conoscenza e rilevanza nel corso dei secoli del metodo scientifico. Si può pensare che la stessa grande influenza sul nostro mondo culturale sull'immaginario collettivo di personaggi, per il resto meritori, come Leopardi e la sua poetica dell'indefinito, Verga e il Verismo italiano, lontani dagli scopi progressivi del Naturalismo francese, Pascoli e D'Annunzio e tutta la poetica del simbolismo fondata su un processo conoscitivo analogico e alogico, abbiano fondato un sostanziale rifiuto nelle classi dirigenti italiane tra Ottocento e Novecento di un rigoroso metodo di ricerca euristico. Non diversa l'influenza di altre autorità che hanno influito sull'immaginario collettivo nostrano, come Montale, nel Novecento. In questo contesto vanno ovviamente poste delle eccezioni: per non citarne altre, quella di Manzoni e della sua ricerca storica e quella di Calvino, con la sua definizione di esattezza.

Ma questi esempi possono valere per le classi sociali più alte, per delle élite; per quanto riguarda le classi sociali meno colte, l'incapacità di distinguere tra opinione e tesi, con tutti i fraintendimenti e i misconoscimenti della realtà che ne seguono, nascono da due fattori: il sistema dell'istruzione italiana e il mondo dell'informazione.

Partendo da quest'ultimo, è evidente la pratica diffusa di accreditare come fatti delle semplici opinioni, di modificare dati o evitare di citarli in maniera corretta per rendere più credibile una notizia di scarso fondamento o uno scoop: si pensi alla recente polemica sulle presunte correlazioni tra vaccinazioni obbligatorie e autismo, polemica nata sulla carta stampata e su siti internet privi di ogni preparazione metodologica e scientifica, in cui i dati vengono volutamente omessi o amplificati con lo scopo di procurare allarme, vendere più copie, ricevere più contatti, etc..

Ancora più grave è la scarsa pratica con il metodo logico-deduttivo o scientifico di chi si occupa di formazione nella nostra scuola. A causa di quelle influenze già citate sopra, per lungo tempo la scuola pubblica italiana ha posto al centro del suo sistema di formazione lo studio umanistico, compiendo una scelta, di per sé non inefficace, ma che ha messo da parte la diffusione del metodo scientifico, tra docenti e discenti.

Al contrario di quanto avviene negli altri paesi sviluppati, nella nostra scuola fino alle soglie degli anni 2000 si è potuto scientemente non insegnare, se non nello studio delle scienze esatte, l'uso della logica deduttiva, l'uso e l'analisi dell'argomentazione. Di più: molti dei nostri insegnanti, essi stessi ignoranti del metodo deduttivo, sono ancora oggi refrattari alla sua acquisizione e alla sua trasmissione.

L'ignoranza del metodo logico-deduttivo, le scarse competenze logico-linguistiche e matematiche rendono oggi l'Italia il fanalino di coda fra i paesi sviluppati, ponendo le basi tristemente reali per i dati emersi nello studio Ipsos MORI sull'ignoranza della realtà diffusa nella nostra popolazione.

sabato 22 novembre 2014

Sette anni fa

Sette anni fa a quest'ora mi arrabattavo con il mio primo incarico da docente, la neve era già alta attorno a me in Valtellina e dei colleghi mi facevano da chioccia, amorevolmente. Sette anni fa a quest'ora iniziavo a scrivere il mio primo romanzo.

Oggi mi arrabatto a Verona nel tentativo di far piacere Dante e Pascoli a dei futuri cuochi, in sala insegnanti spiego il lavoro a docenti appena abilitatisi, a casa aspetto mia moglie e, quando e se rimane il tempo, tento di scrivere il mio secondo romanzo (che poi non sarebbe il secondo, contando gli scritti giovanili giustamente buttati nel dimenticatoio).

Per dire che il tempo passa e lo sento tutto, dentro, nelle ossa e nel cuore.

mercoledì 19 novembre 2014

Divina Commedia, genesi e struttura - presentazione




foto: wikipedia

Divina Commedia, genesi e struttura




foto: wikipedia

Diverso è bello

Malgrado ciò che ne dicono coloro che sbandierano la natura in ogni dove, ma che poi della natura sanno poco, la diversità è  cio che garantisce la vita. Se pensiamo all'evoluzione della specie Homo, senza la biodiversità, senza le variazioni genetiche che ci contraddistinguono, noi oggi non saremmo qui. Nella storia della nostra specie la sopravvivenza ad alcune malattie è dovuta proprio al mantenimento di diverse varietà dei nostri geni, diversità che ha consentito di resistere anche alle mutazioni di virus e batteri. Un caso celebre nella letteratura antropologica è quello dei diversi geni adattatisi a resistere alla malaria e che, in circostanze ben precise, sono anche causa dell'anemia e della talassemia. Del resto con i progressi della genetica stiamo anche apprendendo come funzioni l'invecchiamento, e ciò che ne viene fuori è come certi geni, che in gioventù sono assolutamente vantaggiosi per l'uomo, siamo poi causa nella maturità delle malattie neurologiche.
Le variazioni genetiche e il mantenimento di questa biodiversità sono stati talmente importanti da sopravvivere per milioni di anni: pochi sanno che fra le etnie dell'Africa spesso ci sono differenze nel patrimonio genetico comparabili a quelle che ci dividono dall'Homo Erectus.

La domanda da porsi, a questo punto, è, se questa diversità è stata ed è la nostra salvezza nella mostra evoluzione biologica, perché non dovrebbe essere così anche per la nostra evoluzione culturale? Perché non dovrebbe essere vantaggioso mantenere e proteggere la diversità culturale, una riserva di risorse da adoperare nelle diverse circostanze della nostra storia?
Basta passeggiare per le nostre strade per notare il fastidio nei confronti delle diversità, che si tratti di diversità sessuale, di ceto sociale, di etnia o di religione. Sotto la maschera dell'integrazione si nasconde la sottomissione: il migrante in casa nostra deve accettare i nostri usi e costumi, la nostra religione, le nostre leggi. Deve essere noi, senza diversità. I gay sono malati, ma si possono curare, e comunque farebbero bene a non mostrarsi. I poveri vestiti da poveri fanno un po' schifo, magari si vestano un po' meglio. Nel frattempo rinunciamo, inconsapevolmente, a delle risorse da giocarci nell'evoluzione della nostra cultura, della nostra società, al patrimonio e all'apporto di idee di queste diversità. Rinunciamo a ringiovanire la nostra cultura, pensiamo che la chiusura autistica possa risolvere i nostri problemi. Quando un giorno la diversità non busserà semplicemente alla nostra porta, ma, trasportata dalla fiumana della storia, ci piomberà addosso, saremo un po'più disarmati, più inconsapevoli, più incapaci di dialogare.
Per carità, sono scelte.

Politici a loro insaputa

Doveva capitare, era ovvio, e in un certo senso dispiace pure vedere come la stampa ci si sia buttata sopra, quasi non si aspettasse altro; del resto la contestazione di Grillo a Genova già avrebbe dovuto insegnare qualcosa, e l'antipatia suscitata trattando la stampa in toto come dei prezzolati ha fatto il resto. E così la contestazione della cittadina e parlamentare Taverna del M5S non stupisce, al massimo, se l'occasione non fosse tragica, fa sorridere. Come diceva Marx, la storia si ripete, ma la prima volta si mostra come tragedia, la seconda come farsa. Farsesca è apparsa la scena, la contestazione di gente che vive una situazione drammatica, sebbene io non ne condivida motivazioni e scelte, e questa parlamentare, una donna di cui nessuno davvero conosce le capacità, al di là della dote d"urlare, che sapeva solo offendersi e ripetere che lei, no, non è una politica.
Mia cara parlamentare Taverna, che tanto ti offendi per questo titolo, siete voi pentastellati la causa del vostro male, voi che per calcolo politico avete rifiutato di cambiare il paese, consegnando il PD e il paese a Renzi e alla destra. Voi rifiutate di essere chiamati politici, ma voi lo siete, avete giocato al gioco della politica, e avete perso. Voi ora venite fischiati, perché  tra sbagliare e vivere di rendita avete scelto la seconda, senza per altro farvi bene i conti. Dando così, sempre che ancora ce ne fosse bisogno, dimostrazione del vostro essere dilettanti allo sbaraglio, buoni ad urlare, e poco altro.
Forse ha ragione cittadina Taverna, lei del titolo di parlamentare non è neanche degna.

Foto: termometropolitico.it

venerdì 14 novembre 2014

Indigeni e coloni Greci in Sicilia tra il 750 e il 450, secondo De Angelis

Nel saggio Equations of culture: the meeting of Natives and Greeks in Sicily (fa. 750-450 b. C.), (link ) contenuto nel volume Ancient West And East, edito nel 2003, il prof. Franco De Angelis mette in luce l'influenza delle popolazioni indigene della Magna Grecia e della Sicilia su i coloni Greci, partendo da delle considerazioni molto interessanti: in primo luogo che l'interpretazione della colonizzazione greca sia stata per troppo tempo figlia della colonizzazione moderna e delle colonie britanniche fra Ottocento e Novecento; inoltre, che materialmente i coloni Greci erano spesso così numericamente inferiori rispetto agli indigeni da non poter non giungere ad accordi con essi.
Da queste considerazioni nascono varie conseguenze, in primis sull'analisi delle strutture politiche, religiose, economiche e urbanistiche delle colonie greche. Si ipotizza pertanto che la perdurante presenza della tirannia nelle colonie sia dovuta alla convivenza con popolazioni abituate a governi di una singola autorità, dato anche il vantaggio di trattare in questo modo alla pari con i vicini Fenici. De Angelis ipotizza poi che la precoce struttura ortogonale delle colonie sia dovuta alla necessità di garantire rapporti egalitari tra indigeni e coloni, come dimostrano i reperti archeologici che attestano la convivenza fra le diverse etnie. Convivenza dimostrata anche dai ritrovamenti nelle necropoli, in particolare dalle attestazioni di culti familiari, più ancora delle scarse prove di mescolanza fra divinità greche e indigene. Infine, data la fama della Sicilia come di una terra particolarmente fertile, si ipotizza che i coloni Greci abbiano, nelle colonie, fatto proprie le tecniche agricole degli indigeni, con cui del resto sono dimostrabili continui scambi commerciali. In conclusione  l'autore quindi conclude che il rapporto fra colonizzati e colonizzatori, ben lungi dall'essere stato il rapporto a senso unico fino a poco tempo fa descritto, con una popolazione nettamente più avanzata dell'altra, può probabilmente essere stato un rapporto biunivoco in cui le due diverse etnie si sono, fruttuosamente, influenzate a vicenda.   

Foto: wikimedia

giovedì 13 novembre 2014

Chi ha usato questo letto, Raymond Carver

Chi ha usato questo letto è una raccolta di racconti di Raymond Carver, forse la sua più importante. La raccolta, purtroppo giunta poco prima della morte dello scrittore, segna anche un momento di svolta nella poetica dell'autore, da tempo impegnato a trovare nuove vie per la sua espressività tra i versi della poesia più che nella prosa. La ricerca della parola esatta che squadri il reale porta, in conclusione della raccolta, Carver a intraprendere nuove vie al di fuori degli ambienti e dei personaggi che ha sempre analizzato. Lontano dall'America della provincia e dal mondo proletario, Carver torna alla Russia di Cechov, non per celebrare uno dei suoi autori preferiti, ma per scoprire la realtà delle piccole cose nell'umile cameriere che serve la sua famiglia nel giorno della morte.
Non possiamo sapere verso dove si sarebbe diretta la creatività di Carver se il cancro non l'avesse portato, sappiamo che i suoi racconti hanno rifondato un genere, che sono una lettura obbligatoria per chi voglia conoscere come la realtà possa ancora essere conosciuta in un'epoca, la nostra, in cui i dettami del postmodernismo negano l'esistenza stessa.

L'argumentum ad populum, quando la maggioranza non ha ragione

L'argumentum ad populum, il sostenere che si ha ragione perché c'è una maggioranza che lo conferma: questa fallacia logica è tipica della (mala)politica italiana, un fraintendimento (voluto o frutto d'ignoranza) della democrazia. Se vogliamo dietro ci sta l'idea degenere che il politico non debba fare altro che tradurre in realtà il volere del popolo, qualunque esso sia.

Così, giusto per ricordare la storia becera di questa argomentazione, a partire dal 1933, a colpi di maggioranza il regime hitleriano promulgò le leggi razziali che colpirono il primo luogo, ma non solo gli Ebrei. Era la maggioranza a volerlo. A partire dal 1938 lo stesso fece l'Italia di Mussolini, tra l'altro spesso andando oltre il dettato hitleriano, in una sorta di malato spirito di competizione. Anche allora era la folla a volerlo.

Torniamo indietro nel tempo: a partire dal Medioevo e per lungo tempo, sempre gli Ebrei furono considerati la razza maledetta, i presunti uccisori del Cristo, tanto da essere esclusi da ogni forma di tutela e di rappresentanza. Era la maggioranza a volerlo.

Fu la maggioranza a scegliere la crocifissione di Gesù di Nazareth

Era una grande maggioranza dei cittadini ateniesi ad essere d'accordo alla condanna a morte di Socrate.

Fu la maggioranza a votare la distruzione della piccola isola di Melo da parte di Atene.

Se volete continuiamo.


Appleseed Alpha, Masamune Shirow


Appleseed Alpha è un film d'animazione tratto dal manga Apleseed di Masamune Shirow, pubblicato nel 1985. In effetti Appleseed Alpha è una sorta di reboot della serie, riprende i personaggi originali della serie ma modifica parecchi dettagli.
L'impatto visivo del film è notevole, una buona realizzazione al computer permette di dare maggiore profondità ai personaggi e alle vicende, rendendo più attuale un comparto visivo che, altrimenti, avrebbe potuto soffrire lo scorrere del tempo. Il genere, il cyberpunk, ha del resto nel corso di questi trent'anni perso parte del suo appeal.
Proprio di questo limite soffre il film, dato che ciò che poteva apparire nel 1985 fantascientifico, sembra ad uno spettatore di oggi abbastanza scontato. Il mondo di Appleseed in cui droidi e uomini vivono assieme un un pianeta post terza guerra mondiale sembra qualcosa di ampiamente sfruttato, così ciò che poteva un tempo semrbrare originale, oggi appare annacquato. Per essere poi una storia ambientata in un mondo cyberpunk, sembra agli occhi dello spettatore contemporaneo praticamente assente qualcosa che associamo in maniera indissolubile al genere, ovvero la rete.
Il film poi soffre di ritmi spesso troppo lenti che, assieme a quanto detto, ne minano la fruibilità. Nel complesso Appleseed Alpha rimane una visione consigliata agli amanti del genere e della serie originale; per il resto dei possibili spettatori, meglio rivolgersi ad altro.


foto, sonyentertainmentnetwork.com/

mercoledì 12 novembre 2014

Giorgio Napolitano e la sua carriera politica

Recenti indiscrezioni né confermate né smentite sostengono in maniera sempre più insistente che il Presidente Giorgio Napolitano lascerà il suo incarico a Gennaio.
Cosa pensare di questo presidente?
Il giudizio politico su Napolitano presidente deve, a mio avviso, prescindere dalla carriera politica precedente. Nel suo passato politico Giorgio Napolitano non era di certo esente da macchie, basti pensare ai suoi commenti sull'intervento armati russo in Ungheria.
Appare invece pretestuoso accusare Napolitano per la presunta trattativa stato/mafia: il compito di un politico non è quello di ritirarsi in mondi astratti e ideali, ma di sporcarsi le mani; se trattare con la mafia avesse realmente impedito le tragedie successive, allora avrebbe potuto essere definito un successo. Ciò che mancò non fu la buona volontà, semmai la lungimiranza politica e la capacità di analisi, di fronte ad un interlocutore, la mafia, che trattava per mantenere vivo il suo status quo.
Il Giorgio Napolitano politico è anche quello delle prime leggi sull'immigrazione clandestina, con i retaggi culturali che ne sono seguiti.
Il Giorgio Napolitano presidente è stato però altro. Un servitore dello stato, in condizioni difficili, che ha fatto del suo meglio. Forse non abbastanza, ma non si può negare al presidente il tentativo di accompagnare l'Italia in una difficilissima transizione.
Di Napolitano presidente si ricorderanno le ingerenze politiche, forse: la sopportazione di Berlusconi fino all'evidente tentativo di eliminarlo politicamente; il tentativo di un governo tecnico di pacificazione, la rielezione e il pesantissimo discorso di insediamento al secondo mandato, l'accusa all'intera classe dirigente italiana di cui è lui stesso parte. Di lì in poi un uomo solo al comando durante i tentativi di insediare un governo, il fallimento Bersani, il debole governo Letta e, ora, l'uomo della provvidenza Renzi.
Oggi, sempre più un corpo estraneo al nuovo corso, Napolitano si avvicina alle dimissioni, conscio che il suo tempo in politica si è ormai esaurito e che una nuova epoca e nuovi volti, non per forza migliori dei precedenti, salgono alla ribalta.

Il mondo di Raymond Carver

Ci sono alcuni autori che, una volta che hai iniziato a conoscerli, ti accompagnano per lungo tempo, pian piano ti conducono nel loro mondo, ti aiutano a ragionare e a vedere i fatti in maniera sempre un po' diversa da quella a cui sei abituato. Questo è il caso di Raymond Carver, colui che per molti ha reinventato il racconto moderno.
Una caratteristica costante del racconto di Carver è la narrazione in prima persona. Questa scelta stilistica ovviamente facilita l'immedesimazione del lettore con il narratore. Quasi sempre i narratori dei racconti di Carver ne sono anche i protagonisti, sempre immersi in vicende che si snodano negli ambienti urbani della piccola provincia americana a cavallo degli anni '80. Pochi tratti fisici, perché ciò che conta è l'analisi psicologica, sempre approfondita, sfrondata di tutto ciò che può essere eccessivo. Un linguaggio piano, quasi basico, privato di ogni orpello retorico, che vuole giungere al succo della vicenda, non perché pretenda di coglierne la realtà, quello di Carver non è mero realismo, ma per giungere al paradosso nella maniera più limpida possibile.
Ciò che è chiaro alla fine di ogni racconto di Carver è come l'incomprensione sia sempre dietro l'angolo, come non sia data mai realmente la possibilità di esprimere e sentire l'amore o l'affetto altrui, come la realtà stessa nella sua materialità inquini fino a distruggere ogni prospettiva sentimentale, spirituale o metafisica
Quello di Carver è un mondo di piccole cose, di lavori da niente, di disoccupati, di disadattati, di alcol, a volte di canne, di macchine. È un mondo in cui televisione e radio sono lo sfondo perenne, in cui le strade dell'America profonda sono il paesaggio, in cui la vita quotidiana è il rumore di fondo che, costante, impedisce ogni profondità fino alla rottura dell'equilibrio; fino a quando un dettaglio, un'immagine, una parola, una lettera, un documentario, qualcosa non buca lo schermo di un mondo stilizzato per risplenderne l'irrazionalita.
L'io narrante dei racconti di Carver ne è quasi sempre una proiezione autobiografica, ma questo non deve far pensare che nei suo racconti l'autore scriva la sua autobiografia. Piuttosto Carver, come dovrebbe fare ogni buon scrittore, parla di ciò che conosce bene, di affetti conchiusi, di soldi che non bastano mai, di lavori ripetitivi. Proprio per la conoscenza che ha di questo mondo, finali come quello di Cattedrale divengono ancora più emblematici, la riscoperta di un senso in un mondo, quello della fine del Novecento, che di senso, anche per noi uomini del Ventunesimo secolo, sembra non averne.

venerdì 7 novembre 2014

Ma la Buona scuola funziona?

Leggo da più parti che il confronto pubblico lanciato dal governo Renzi sulla buona scuola non starebbe poi dando i risultati tanto attesi. Dopo qualche mese dal lancio dell'iniziativa, le proposte postate sul sito sono circa 60.000. A fronte di un corpo docenti italiano che supera le 720 mila unità. Considerato che in molte scuole c'è stata una vera e propria imposizione da parte dei dirigenti scolastici su i collegi docenti per aderire all'iniziativa, si capisce come l'attenzione nei confronti della consultazione sia in realtà minima.
I perché credo siano tanti:  in primis i docenti, naturalmente refrattari ad ogni tentativo di sovvertire l'ordine, nel bene o nel male, perché di riforme/tagli sulla loro pelle ne hanno viste già tante e perché spesso difendono quelle poche posizioni che hanno acquisito negli anni, senza neanche accorgersi o chiedersi se si tratti di un bene o di un male. L'interesse poi delle famiglie e degli studenti è stato praticamente nullo, e se vogliamo, per fortuna, visto che le proposte più strampalate postate sul sito sembrano venire proprio da chi è estraneo al sistema dell'istruzione e non ne conosce lo specifico.
Ma forse c'è qualcosa di più, ovvero un nuovo bisogno di demandare la decisione a chi dovrebbe saperne di più, a chi è competente.
Non è un mistero che il grande limite del sistema dell'istruzione italiana è stato lo scarso riconoscimento, nel corso degli anni, della competenza e della professionalità dei docenti, anche da parte dei docenti stessi. Forse il fallimento della Buona scuola può essere interpretato così: non solo, speriamo, la mera apatia dell'italiano, ma il riconoscimento che su un argomento complesso come l'istruzione le soluzioni non possono essere le semplici toppe proposte da questo o da quello, ma l'unica speranza è avere un'idea di scuola, di cosa pensiamo i nostri ragazzi debbano essere dopo il loro percorso di studi, cosa debbano sapere, saper essere e sapere fare. Non robetta.

giovedì 6 novembre 2014

Discutiamo del rapporto tra internet e democrazia



Mi sembra giusto discutere di questo video. Non posso non apprezzare la scelta open source che, al contrario di quanto avvenuto in Italia, garantisce la piena trasparenza di un sistema così strutturato. Però, come detto nella conferenza, prima che strumentale, la questione è culturale. Pensiamo ai dati della recente ricerca Ipsos MORI, allo sfasamento tra dati reali relativi, per esempio, alla società italiana, e la percezione diffusa. Ora, pensiamo anche di dare uno strumento decisionale come questo ad una società in cui diffusamente la percezione del reale sia distorta. Cosa accadrebbe? È lecito pensare che un rappresentante, al di là delle sue competenze specifiche, debba sempre seguire il voto di una folla di persone che, plausibilmente, non è altrettanto competente? Lasciando la decisione in mano ad un sistema che, almeno in teoria, potrebbe coinvolgere l'intera società, quanto è alto il rischio corporativista? Mi vengono in mente i comuni medievali, una democrazia per molti aspetti diretta e di fatto bloccata dai corporativismi, per questo dovette prima prevedere consigli decisionali più ristretti, poi addirittura la presenza di un'istituzione esterna come il Podestà.
L'accesso all'informazione garantisce la competenza? Inoltre, il digital divide non rischia di escludere alcune fasce di reddito e di età dal processo decisionale e, invece, sovrarappresentare altre?
In Italia assistiamo ad un nuovo fenomeno: pensiamo alla consultazione sulla Buona Scuola, con un numero di partecipanti relativamente basso. Possiamo ipotizzare influisca la disillusione, ma forse inizia a subentrare, dopo il fallimento politico diffuso del M5S una nuova consapevolezza, che non tutti sanno o devono essere competenti au tutto, ma, proprio per questo, non spetterà a tutti decidere su tutto. 


mercoledì 5 novembre 2014

La similitudine nella poesia simbolista


Per chi avesse problemi con Prezi, ecco le slides su su slideshare

La similitudine nella poesia simbolista

Fra poco Stefano Cucchi si sarà picchiato da solo

Sento con un certo disgusto le parole del segretario del SAPPE alla Zanzara sulla morte di Stefano Cucchi, parole con cui annuncia tra l'altro la denuncia a Ilaria Cucchi, rea di avere leso la reputazione della polizia penitenziaria. Tra le altre cose Donato Capace non ha potuto fare a meno di accusare la famiglia Cucchi di avere abbandonato il figlio.
E anche fosse?
Questo dà diritto di picchiarlo mentre è recluso?
Questo dà diritto di tenerlo recluso fingendo che sia un senzatetto albanese?
Questo dà diritto ai diversi tentativi di insabbiamento del caso?
Questo dà diritto alla diffamazione della famiglia?
La cosa più spregevole di tutto ciò è come un giudizio morale su un ragazzo serva a coprire gli errori della polizia e dei medici. Evidentemente la morte di un ragazzo che "aveva intrapreso una brutta strada" vale di meno di quella di un figlio di una buona famiglia, e non merita giustizia.


martedì 4 novembre 2014

Ciò che gli Italiani non sanno

È qualcosa che viene denunciato su questo blog già da anni, ovvero l'ignoranza diffusa nel nostro paese. Non mi riferisco al non sapere la data di nascita o di morte di questo o quel poeta, tutto ciò sarebbe nozionismo, ma al fraintendimento sistematico della realtà.
A riprova di quanto detto svariate volte, su un po' tutti i giornali sono comparsi i dati allarmanti di una ricerca Ipsos MORI che dimostra, su campioni provenienti dalla gran parte dei paesi sviluppati, come gli Italiani siano coloro che conoscono meno la realtà che li circonda, dando ovviamente largo spazio quindi a paure e complottismi.
Due dati su tutti: la disoccupazione reale del nostro paese si attesta al 12,6 %, quella percepita ad un pauroso 49 %; il dato sulla presenza di immigrati è altrettanto imbarazzante, con un 30% percepito sulla popolazione totale italiana, a fronte di un 7% reale, di cui appena il 4% di Musulmani.

Insomma, si aprono tutta una serie di questioni, in primis su come gli Italiani si informano, su come vagliano le loro informazioni; ma c'è poi da discutere di come i media italiani agiscano, manipolando i dati e le informazioni, in funzione del rapido successo e dello scandalo; andrebbe poi aperto un capitolo sulle reali competenze acquisite nella scuola pubblica italiana, soprattutto per quanto riguarda l'analisi e la comprensione dei testi.

Si tratta di dati allarmanti, ovviamente, su cui occorre riflettere con attenzione; da sempre un popolo ignorante è un popolo facilmente sottomesso e soggiogato da questo o quel potere, da questa o quella paura o da questo o quell'entusiasmo

Update
Ritengo che il problema sia complesso e che non si possa risolvere se non agendo su più piani, a partire dall'istruzione, continuando per i mezzi d'informazione di massa, finendo per coinvolgere la stessa classe politica e la società civile; non è solo il problema delle competenze nell'uso e nella comprensione della lingua, competenze che oggi la scuola fatica a dare; non è neanche un problema della sola informazione, perché ci fossero le competenze di cui sopra sarebbe facile smascherare chi manipola le informazioni; ma non è solo un problema di istruzione e informazione, perché c'è una classe dirigente che sulla propaganda perenne ha vissuto per anni, così come c'è una società civile, nel suo complesso, che ha smarrito l'idea di rappresentanza, ora semplicemente delegando al potente di turno, ora gettandosi in avventati, sconclusionati e disinformati attivismi.

Repertori per la Flipped Classroom

Siti per i video e per le videolezioni:
http://www.raiscuola.rai.it/, permette di organizzare i video assemblando delle lezioni, a cui puoi aggiungere anche voci da wikipedia

http://ed.ted.com/ come raiscuola permette di assemblare lezioni, da TED e da Youtube, aggiungendo domande a risposta aperta e a risposta chiusa, a te arriveranno le risposte.

https://www.khanacademy.org/ da cui tutto ha avuto inizio...

http://new.ovo.com/, brevi video di carattere enciclopedico

Approfondimenti

http://www.pearson.it/digital-literacy corso della pearson che fornisce utili spunti.

https://itunes.apple.com/it/course/per-una-didattica-innovativa/id733494225  materiali vari sulla classe capovolta, provenienti dalle sperimentazioni dell'ITIS Majorana

Applicazioni

Prezi http://prezi.com/user/unur3bpse_rq/ (questa è la mia pagina) ottimo per fare delle slides e presentazioni un po' più fighe del solito
Deck.in http://deck.in/ altro sito per realizzare belle slides
slideshare http://www.slideshare.net/sebastianocuffari/ (sempre la mia pagina) per mettere slides o cercarne di già fatte
mindomo https://www.mindomo.com/it/ per realizzare mappe concettuali
mindmeister http://www.mindmeister.com/it anche questo per realizzare mappe concettuali
Lucidchart https://www.lucidchart.com/ il più completo per realizzare mappe concettuali
lucidpress https://www.lucidpress.com/ per realizzare testi impaginati come se fossero delle riviste
Socrative http://www.socrative.com/ per realizzare questionari online, anche in modalità molto simili a dei videogiochi, molto coinvolgente per gli alunni
Questbase http://www.questbase.com/ anche questo per realizzare questionari online
Zunal http://zunal.com/ sito per realizzare webquest

su tutti, fondamentale
Google drive
permette di creare documenti condivisi, anche in contemporanea, archiviare 15 giga di documenti sempre visibili da ovunque e qualunque dispositivo

foto:stelliniudine.gov.it

The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....