mercoledì 31 ottobre 2012

SCRIVERE È METTERSI LE DITA NEL NASO, Paolo Cognetti

SCRIVERE È METTERSI LE DITA NEL NASO:
   (Grazie al mio amico Matteo ho scoperto questo decalogo di Etgar Keret. Mi è piaciuto molto e mi sono preso la libertà di tradurlo. Ci sono dentro alcune idee di cui parliamo spesso ai laboratori, in particolare il punto 2 e il punto 5. Il punto 1 invece lo prendo per me, come proposito per il libro nuovo.)

1. Godi della scrittura.
Gli scrittori raccontano sempre quanto sia duro il processo di scrittura, e quanta sofferenza provochi. Mentono. Alla gente non piace ammettere di godere del proprio lavoro. Scrivere è un modo di vivere un’altra vita. Molte altre vite. Le vite di un’infinità di persone che tu non sei mai stato, ma che sono assolutamente te. Ogni volta che ti siedi e affronti la pagina e provi a scrivere - anche se non ce la fai - sii grato per l’opportunità che hai di espandere lo scopo della tua vita. È divertente. È figo. È dandy. E non lasciare che nessuno ti dica il contrario.

2. Ama i tuoi personaggi.
Perché un personaggio sia reale, deve esistere almeno una persona al mondo in grado di capirlo e di amarlo, non importa se approvando o meno quello che fa. Tu sei la madre e il padre dei personaggi che crei. Se non li ami tu non li amerà nessuno.

3. Quando scrivi non devi niente a nessuno.
Nella vita se non ti comporti bene vieni sbattuto in galera o in un istituto, ma nella scrittura si può fare tutto. Se nella tua storia c’è un personaggio che ti attrae fisicamente, bacialo. Se c’è un tappeto che detesti, brucialo nel bel mezzo del soggiorno. Quando scrivi puoi disintegrare i pianeti e sradicare intere civiltà con uno schiocco di dita, e un’ora dopo la signora del piano di sotto ti rivolgerà ancora il saluto.

4. Comincia sempre dal centro.
L’inizio è come il bordo di una torta bruciacchiato dalla teglia. Puoi averne bisogno per ingranare ma non è davvero commestibile.

5. Cerca di non sapere come va a finire.
La curiosità è una forza molto potente. Non perderla per strada. Quando stai per scrivere una storia tieni sotto controllo la situazione e i bisogni dei tuoi personaggi, ma lasciati sempre sorprendere dalle svolte della trama.

6. Non usare niente solo perché “si fa così”.
Gli a capo, le virgolette, i personaggi che mantengono lo stesso nome anche se hai girato pagina: sono tutte convenzioni che esistono per servirti. Se non funzionano lasciale perdere. Il fatto che una regola sia stata applicata in ogni libro che hai letto non significa che debba essere applicata anche nel tuo.

7. Scrivi a modo tuo.
Se provi a scrivere come Nabokov, ci sarà almeno una persona che l’ha fatto meglio di te (si chiama Nabokov). Ma se scrivi a modo tuo sarai sempre il campione del mondo dell’essere te stesso.

8. Assicurati di essere da solo nella stanza dove lavori.
Anche se scrivere al bar suona romantico, avere altra gente attorno a te ti rende conformista, che tu te ne accorga o no. Quando in giro non c’è nessuno puoi parlare da solo o metterti le dita nel naso senza problemi. Scrivere è mettersi le dita nel naso, e in mezzo alla gente la cosa non viene naturale.

9. Lasciati incoraggiare dalle persone a cui piace quello che scrivi.
E prova a ignorare tutti gli altri. Quello che hai scritto semplicemente non è per loro. Non importa. Il mondo è pieno di scrittori. Se cercano bene ne troveranno uno che li soddisfa.

10. Ascolta tutto quello che ti dicono ma non dar retta a nessuno (a parte me).
La scrittura è il territorio più privato al mondo. Nessuno può insegnarti come ti piace il caffè, e nessuno può insegnarti come scrivere. Se qualcuno ti dà un consiglio che suona bene e senti che è giusto, usalo. Se il consiglio suona bene e senti che è sbagliato, non ci perdere nemmeno un secondo. Potrà andar bene per qualcun altro ma non per te.

martedì 30 ottobre 2012

La Sicilia in un mare di nulla


Ebbene, il giorno dopo le elezioni in Sicilia siamo tutti qui a tirare le somme. Sono del resto varie le considerazioni che si possono trarre dal risultato della tornata elettorale: innanzi tutto è evidente il crollo della destra, divisa e screditata, una landa di anime perse attraverso cui neanche una figura carismatica e rispettata come Nello Musumeci è riuscita a trovare un senso. Ora Musumeci è politicamente, a livello regionale, finito. Gli spetterà forse qualche posto minore nel partito, appoggiato dal PDL dopo aver militato prima praticamente in ogni forza politica della destra, siciliana e non. Viva la coerenza.
D'altro canto un ragionamento simile, se non peggiore, si può fare per Micciché. Per carità, io posso solo stappare lo champagne pensando ad un personaggio come Micciché che viene sbeffeggiato alle elezioni, ma pensare che, per farlo votare, si siano messi assieme il movimento di Lombardo e quella che dovrebbe essere la forza pulita ed europea della destra italiana, Futuro e Libertà, fa capire come in realtà ben poco sia cambiato rispetto alle politiche conniventi della destra italiana di berlusconiana memoria.
Veniamo al vincitore, Crocetta.
Vincitore: sono parole grosse.
Crocetta vince come personaggio, non vince il suo partito, sconfitto dal Movimento Cinque Stelle (ora arriviamo anche a loro). Crocetta vince grazie alla sua carica folkloristica e demagogica, caratteristiche del resto di un po' tutti i candidati dei partiti siciliani. Crocetta si dice uomo antimafia: viene da dire che, se lo può millantare così facilmente ai quattro venti, forse non lo è davvero, ma mi auguro di sbagliare e soprattutto lo auguro alla Sicilia. Soprattutto però il dubbio sorge vedendo le frequentazioni di Crocetta durante la campagna elettorale, note un po' a tutti grazie alle cronache siciliane, e soprattutto vedendo con chi si è alleato Crocetta: ex uomini di Cuffaro e Lombardo, insomma, certo, tutti politici antimafia. Spero si colga il sarcasmo.
Dire poi che i suoi alleati saranno i cinque milioni di Siciliani è, implicitamente, l'ammissione della debolezza politica delle sue forse all'ARS, oltre che una frase vacua e, diciamocelo, una cazzata.
Un candidato presentabile la sinistra ce l'aveva, Fava. Ma, ovviamente, è riuscita a farselo scappare e a presentare una perfetta sconosciuta, rispettabile quanto vogliamo, ma politicamente un suicidio. Degno prosieguo dell'ammirevole attitudine della sinistra italiana a tentare di non governare.
Veniamo a Cancelleri e ai grillini. Il partito non partito di Grillo vince, forse addirittura stravince, e inizia subito con la sua azione di riforma della politica regionale, ci sarà poi da vedere se questa riforma sarà, ancora, demagogia fritta e rifritta o vera novità. Sta di fatto che, dichiarando che i grillini non si alleeranno con nessuno, mettono già una seria ipoteca sulla governabilità della regione e, se il buon giorno si vede dal mattino, dell'intera nazione.
Insomma, mala tempora currunt

Google per l'arte

Ammetto spudoratamente la mia ignoranza: non conoscevo il progetto Google Art Project, ne vengo a conoscenza oggi tramite La Repubblica Online (link). Una gran bella scoperta, la possibilità di conoscere, con dei giri virtuali in stile Street View, alcuni fra i più ricchi musei del mondo.
Ecco, io mi faccio un giretto virtuale agli Uffizi, voi fate quello che volete


Come una storia

Come una storia: Juan Sebastian Anlachi è un uomo qualunque alle prese con le disavventure della vita ordinaria; soffre da qualche tempo di una frequente stanchezza, tanto da mettere a repentaglio il suo quieto vivere. La ricerca delle cause dei suoi problemi lo porta a mettere in luce una vita inattesa e parallela, fino ad essere coinvolto in un gioco folle di visioni, passioni e omicidi

sabato 27 ottobre 2012

Una vergogna, sì, ma quale?


È vergognoso che la magistratura condanni un vecchio imprenditore puttaniere che ha malgovernato lo stato italiano conducendolo alle soglie del fallimento, ha attentato alla libertà della magistratura e della scuola pubblica, ha più volte sminuito la credibilità politica del paese di fronte alla platea internazionale, ha sputtanato il parlamento e la sua dignità costringendolo ad ogni sorta di legge ad personam, ha imposto una dittatura all'interno del suo partito inesistente, ha mentito, frodato, ingannato e rincoglionito il popolo italiano. Già, è proprio vergognoso.

Al di là del sarcasmo, ormai siamo al delirio, e mentre l'Italia è alle prese con la più grande crisi dal 1929, dobbiamo pure occuparci dei deliri di onnipotenza e di lesa maestà di un personaggio che la storia provvederà a ridurre a mera macchietta di un'epoca, il ventennio berlusconiano, che non ha fatto altro che segnare il declino inesorabile di un paese vecchio e corroto, come il suo ex premier

venerdì 26 ottobre 2012

Poi leggi David Foster Wallace

Solomon Silverfish, a parte il favore non da poco di averla amata per trentadue anni rendendola la donna più felice sulla faccia della terra, ha aiutato Sophie a usare la malattia per capire ciò che lei è e ciò che non è. Non sa di averlo fatto, perché da quando in qua anche il migliore dei maghi sa di usare la magia sulle persone e non la semplice abilità di uno svelto di mano e sciolto di lingua? Sophie crede di avere ormai capito alla sua età che la magia altro non è se non il semplice rapporto tra una persona e le altre persone che la circondano.

David Foster Wallace, Questa è l'acqua

Poi leggi Wallace, e ti senti meglio, vivo. Pace all'anima sua.

Il re è morto, evviva il re


Silvio Berlusconi è stato condannato, in primo grado, a quattro anni di carcere. Attenzione, c'è ancora tutto il tempo per fare andare in prescrizione anche questa condanna. Eppure. Eppure è un simbolo, anche questo, un punto di svolta.
Perché fino ad ora l'ex premier era riuscito sempre a scampare le condanne, a imporre le sue leggi ad personam, fino all'imbarbarimento estremo del parlamento sul caso Ruby.
Sentire oggi lo starnazzare dei vari sciacali del PDL, sembra quasi l'ultimo canto di un cigno, nero e disperato, che urla la sua paura di scomparire. Ed è forse questo il destino di tanti personaggi da racconto di fantasia che hanno visto il loro potere fondarsi sul Cavaliere e che ora, sparendo l'uomo che tanto era superiore a tutti questi figuri, sanno di essere condannati ad un oblio che non cancellerà vent'anni di malaffare e di malgoverno

L'ordine nel disordine, riflessioni sul Postmoderno e la necessità di superarlo

Marco (Polo) entra in una citta’; vede qualcuno in una piazza vivere una vita o un istante che potevano essere suoi; al posto di quell’uomo ora avrebbe potuto esserci lui se si fosse fermato nel tempo tanto tempo prima, oppure se tanto tempo prima a un crocevia invece di prendere una strada avesse preso quella opposta e dopo un lungo giro fosse venuto a trovarsi al posto di quell’uomo in quella piazza. Ormai, da quel suo passato vero o ipotetico, lui e’ escluso; non puo’ fermarsi; deve proseguire fino a un’altra citta’ dove lo aspetta un altro suo passato, o qualcosa che forse era stato un suo possibile futuro e ora e’ il presente di qualcun altro. I futuri non realizzati sono solo rami del passato: rami secchi.

Se ti dico che la citta’ cui tende il mio viaggio e’ discontinua nello spazio e nel tempo, ora piu’ rada ora piu’ densa, tu non devi credere che si possa smettere di cercarla.

L'inferno dei viventi non qualcosa che sara’; se ce n'e’ uno e’ quello che e’ gia’ qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.

Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo piu’.

Il secondo e’ rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all'inferno, non e’ inferno e farlo

durare e dargli spazio.

Italo Calvino da: Le citta’ invisibili (1972)

Prendendo spunto da un articolo comparso su Is Pearson Magazine, Humanitas e humanitates, allargando il campo di riflessione, mi vengono in mente alcune considerazioni.

Come giustamente detto nell'articolo, la corrente culturale dominante negli ultimi quarant'anni, prescindendo dai suoi indubbi meriti, ha anche portato con sé una serie di danni collaterali non indifferente. Destrutturando dalla radice, eradicandoli quasi, alcuni dei valori fondanti la cultura occidentale, il Postmodernismo ha messo in crisi le nostre stesse strutture sociali, economiche, politiche nonché etiche. Intendiamoci: la messa in discussione dei valori tradizionali e perfino della conoscibilità della realtà ha portato anche enormi progressi. Lo sviluppo tecnologico, la liberalizzazione dei costumi sociali, la distruzione degli schemi mentali dogmatici e arcaici, sono tutti progressi che, eccezione fatta per gli ortodossi conservatori, in pochi possono davvero mettere in discussione.

Ma sappiamo bene come il processo di relativizzazione e di allontanamento da un'etica condivisa a favore del liberalismo e dell'individualismo portati agli estremi hanno portato anche alla crisi politica e "morale" (per quanto si possa oggi parlare di una morale pensando ad una morale oggettiva) che viviamo quotidianamente. Di fatto il pensiero debole, negando la possibilità stessa della nascita di nuove ideologie e di un'etica conseguente, pone in essere lo sfascio della nostra struttura sociale così come si è organizzata negli ultimi secoli.

Senza peraltro lasciar trasparire una nuova prospettiva. In questo senso il Postmodernismo non è stato altro che la sistematizzazione sociale del nichilismo di Nietzsche.

Vediamo il costituirsi di una nuova società apolide perché lontana da ogni appartenenza ad un territorio (e successivi rigurgiti localistici delle formazioni di destra), apolitica, priva di ideologie, ma anche astorica e amorale.

Al riguardo trovo finora maldestri i tentativi del New Realism di trovare un nuovo bandolo della matassa. Ancorarsi al "fatto", ritenendolo comunque dato incontrovertibile, significa semplicemente bypassare le conclusioni filosofiche degli ultimi decenni, senza confrontarsi con esse, senza avere il coraggio o la forza teorica di superarle.

Abbiamo bisogno di superare il Postmodernismo, abbiamo bisogno di una nuova cultura che, nell'irrazionalità abbia la forza e il coraggio di trovare un suo senso.

Nell'inferno dei viventi di Calvino l'ordine è un ordine del tutto umano, convenzionale se vogliamo, ma è l'ordine che dovremo trovarsi per poter vivere.

Dovremo recuperare la capacità di destare lo scandalo sociale, perché è forse, e molto semplicemente e umanamente, meglio vivere in un mondo dove desta sdegno l'immoralità del singolo, che però porterà alla riflessione e al superamento dei legacci e dei tabù, piuttosto che vivere in un mondo dell'amoralità dei molti, per sua stessa natura statico e asfittico.

Dovremo creare nuovamente la capacità di creare il dubbio, non il fugace sguardo su un tweet di 140 caratteri, l'interesse passeggero di chi, concentrato sulla propria individualità non si pone più il problema del prima e del dopo e del fuori il suo piccolo cerchio. Dovremo creare nuovamente il dubbio metodico così come lo stesso Nietzsche lo pensava, ben prima che il suo nichilismo annullasse le altre ideologie, divenendo esso stesso ideologia.

È la sfida del nuovo millennio, superare il lascito, l'ultimo, del secolo breve che, forse, così breve non è stato se, ancora oggi, viviamo delle sue idee.

lunedì 22 ottobre 2012

Sulle origini giudaico-cristiane dell'Europa, il concetto di origine e di tradizione

Le origini giudaico-cristiane dell'Europa sono uno dei miti ricorrenti della storiografia e della politca europea contemporanea. Di certo questa invenzione storiografica ha una sua ragione storica e politica, non è campata in aria come altre invenzioni, si pensi per esempio alla Padania (rimando ad un mio vecchio post, La Padania, questa sconosciuta, storia e ragione dell'invenzione di un mito.
Sulle origini di questo mito molto si può discutere: innanzi tutto l'interesse di parte della politica europea a rivendicare delle tradizioni comuni che distinguano da vicini, talora anche molto "espansivi". A ragione, seguendo una banale cronologia dei fatti europei, si potrebbe concludere che dal Medioevo ad oggi ciò che ha tenuto insieme il Vecchio Continente sia stata la religione cristiana.
Nulla da eccepire.
Ma quale religione cristiana?
Qui le cose cambiano: pensiamo alla riforma luterana, a quella anglicana, alle eresie, al Calvinismo, allo strabordante e bigotto Cattolicesimo, alle mille e più sette di matrice cristiana, spesso molto diverse l'una dall'altra.
È davvero questa la matrice comune dell'Europa? Se così fosse, la matrice comune del continente sarebbe nient'altro che l'idea stessa di differenza e divisione.
Un inciso: io non riesco poi a vantarmi di avere come origine una cultura che si fonda sul sacrificio di un uomo, un giusto, e che ha per secoli segregato e discriminato ogni forma di diversità: donne, diversità sessuali in genere, divergenze culturali e di credo.

Qualche forza politica allora si affaccia ancora oltre, richiamando le ascendenze pagane, greco-romane. Ma questa illustre famiglia non può di certo comprendere il ramo gallico dell'Europa o quello Germanico, men che meno quello Slavo. E non c'è neanche da pensare di andare a ripescare gli Indoeuropei, popolo di cui sappiamo soltanto che va teorizzata la loro esistenza; useremmo un mito (nel senso letterale di racconto) per spiegare un altro mito.

A rigore potremmo cercare altre ascendenze, non poi così gratificanti per chi vuole affermare, sottintendendola, la superiorità culturale dei popoli europei sui vicini di casa. L'Europa mediterranea potrebbe facilmente trovare radici comuni nel mondo mediterraneo, ampliato alle sponde meridionali e orientali del mare nostrum, mentre per il mondo germanico, quello slavo, quello gallico, illustri genitori andrebbero cercati altrove, muovendoci verso mari ben più freddi.

Ma tutto ciò, in fin dei conti, a che scopo?
Se la ricerca storica, archeologica, antropologica non fa altro che confermarci che lo spasmodico desiderio di genitori esclusivi che ci distinguano dai nostri vicini è per molti versi destinata a fallire, perché voler per forza tracciare dei confini anziché alzare dei ponti verso chi ci sta intorno? Perché cercare per forza ciò che ci distingue, anziché puntare a ciò che ci accomuna?

In quest'ottica il concetto stesso di tradizione e di origine è limitante, frutto di becera politica e di chiusura mentale. Chi ci vuole semplici cittadini di un'Europa che sia di origine giudaico-cristiana, celtica, mediterranea, germanica, slava o quello che volete, ci vuole semplicemente cittadini segregati in una piccola Europa, anziché cittadini cosmopoliti, viandanti in un mondo di eguali

Apologia del cazzeggio

Prendendo spunto da un recente articolo comparso su Rivista studio vorrei dire due paroline sul valore del cazzeggio. Argomento apparentemente abbastanza frivolo. Eppure chi di noi non ha mai provato vividamente la sensazione che un po' di sano cazzeggio gli avrebbe salvato la vita?

Ci sono giornate, mi sembra evidente, in cui la soglia di stress a cui siamo soggetti raggiungi livelli massimi di sopportazione: sono quelle le giornate in cui ci viene in soccorso il sacro fuoco del cazzeggio, quando stendersi e leggere un buon libro o un buon fumetto, ascoltare musica o vedere un film, o anche semplicemente uscire di casa e vedere il tramonto dalla panchina di un parco sono rimedi ben più consigliabili di farmaci e medicine. Con buona pace della produttività, dello stato sociale, di comunismo, marxismo, liberismo, austerity e menate varie. Quando ci condanniamo dentro gli schemi delle nostre rappresentazioni astratte e dimentichiamo che si lavor, si produce, si fatica per vivere, non il contrario, allora ci viene in soccorso il dolce far nulla.

Del resto, già per gli antichi, l'otium era ben più importante del negotium.

Con queste parole Calvino cominciava il suo Se una notte d'inverno un viaggiatore, e non credo ci sia molto altro da aggiungere

Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d'inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell'indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c'è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: «No, non voglio vedere la televisione!» Alza la voce, se no non ti sentono: «Sto leggendo! Non voglio essere disturbato!» Forse non ti hanno sentito, con tutto quel chiasso; dillo piú forte, grida: «Sto cominciando a leggere il nuovo romanzo di Italo Calvino!» O se non vuoi non dirlo; speriamo che ti lascino in pace.

Prendi la posizione piú comoda: seduto, sdraiato, raggomitolato, coricato. Coricato sulla schiena, su un fianco, sulla pancia. In poltrona, sul divano, sulla sedia a dondolo, sulla sedia a sdraio, sul pouf. Sull'amaca, se hai un'amaca. Sul letto, naturalmente, o dentro il letto. Puoi anche metterti a testa in giú, in posizione yoga. Col libro capovolto, si capisce.

Certo, la posizione ideale per leggere non si riesce a trovarla. Una volta si leggeva in piedi, di fronte a un leggio. Si era abituati a stare fermi in piedi. Ci si riposava cosí quando si era stanchi d'andare a cavallo. A cavallo nessuno ha mai pensato di leggere; eppure ora l'idea di leggere stando in arcioni, il libro posato sulla criniera del cavallo, magari appeso alle orecchie del cavallo con un finimento speciale, ti sembra attraente. Coi piedi nelle staffe si dovrebbe stare molto comodi per leggere; tenere i piedi sollevati è la prima condizione per godere della lettura.




giovedì 18 ottobre 2012

La cultura fra resistenza e innovazione

Quando si parla di cultura, in Italia, si fa sempre tanta confusione. Confusione intanto su cosa intendiamo cultura: una conoscenza pratica immediatamente spendibile, il nozionismo da salotto, una conoscenza teorica e astratta da circolo chiuso nella sua torre d'avorio, l'impegno politico e militante di taluni intellettuali. Ce n'è per tutti i gusti e, probabilmente, nessuna di queste accezioni del termine esclude le altre.

Ancor di più stupisce come questa confusione sia foriera di conseguenze negative per quelle istituzioni che dovrebbero "fare cultura", tacciate di volta in volta di essere chiuse in se stesse e auto referenziali, conservatrici e non al passo con i tempi o, al contrario, inutilmente impegnate in ricerche costose e senza alcun scopo pratico.

Capita spesso, parlando con gli amici, che qualcuno sollevi il dubbio su questa o quella ricerca medico-scientifica, fisico-astronomica. E non parliamo delle scienze umane, lì dove si fa fatica a fare capire anche solo che si possa fare ricerca, figuriamoci a fare capire che quella ricerca può anche essere utile ("ma scusami, se l'Eneide è quella da 2000 anni, a che serve studiarla ancora?").

Eppu, che la cultura, intesa come ricerca, studio e produzione critica, sia avulsa dall'esercizio comune del vivere, è sicuramente un bene: se il mondo della scuola e della ricerca, per esempio, avessero seguito esclusivamente i dettami della politica e del presunto buonsenso, oggi il mondo non sarebbe lo stesso. Si pensi al ventennio fascista in cui la scuola e le università sono state polo di resistenza, o alla rivoluzione culturale degli anni '70, quando, se la Cultura si fosse esclusivamente poggiata sui dettami della DC, non avremmo avuto quei profondi cambiamenti culturali che hanno portato ad un paese più aperto alla critica del poter costituito, con tutte le contraddizioni del caso.

Allo stesso tempo la Cultura, nel suo libero arbitrio, deve esser aperta alle innovazioni. Penso alle teorie rivoluzionarie di Freud nell'800, così come alle ricerche stupefacenti sulla relatività, della fisica quantistica, fino ad oggi al lavoro del CERN di Ginevra, con tutte le conseguenze anche per le scienze umane. Senza la relatività sarebbe difficile immaginare esistenzialismo prima e postmodernismo poi, con il carico di responsabilità e di libertà di queste correnti culturali.

La Cultura, lì dove mantiene la sua libertà, ha in sé gli anticorpi contro gli eccessi, contro i qualunquismi. È ad un tempo innovativa e conservatrice, cultura di ricerca e di resistenza contro giovanilismi, corsa all'ultimo bene di consumo e alla banalizzazione di quanto, nel mondo, la Cultura è capace di creare e influenzare, ovvero la vita stessa.

sabato 13 ottobre 2012

Il bastone, la carota e l'imbarbarimento autoritario

Ammetto le mie colpe, fino ad ora avevo cercato di non vedere la strumentalità di atteggiamenti e dichiarazioni del sempre più controverso ministro Profumo. Ma dopo le sue ultime dichiarazioni non si può più fingere.

Questo governo già da qualche tempo soffre di una deriva autoritaria e barbara, che ricorda epoche già vissute. Sulla, si spera falsa, certezza dell'inevitabilità di questo esecutivo e di una sua prosecuzione si sta giocando il destino politico di questo paese, sulle spalle di cittadini che si vogliono sempre più acquiescenti.

Dire che gli Italiani vanno trattati con il bastone e la carota: una dichiarazione in stile mussoliniano, così come il rilasciare in continuazione proclami; decidere tutto dall'alto nell'arco di una notte, imporre le decisioni, screditare i lavoratori; evitare di prendere decisioni controverse che potrebbero causare perdite di voti e colpire sempre i ceti più deboli.

Quest è una politica autoritaria: l'ultima volta che l'Europa ha imboccato questa strada, condendola di austerità, ha visto la luce solo dopo i campi di concentramento.

giovedì 11 ottobre 2012

Cosa sta accadendo nel mondo della scuola e perché questa notte difficilmente dormirò

Ogni anno scolastico, da quando insegno, sembra partire sempre peggio. Nulla di strano quindi se tra Ottobre e Novembre il mio umore è sempre sotto le scarpe. Ma quest'anno c'è un motivo in più. Ovvero la santa alleanza tra Banchieri e Liberisti.
Vi chiederete, cosa c'entrano questi figuri con la scuola? Beh, presto detto.
Uno spettro si aggira per il mondo della scuola già da anni, più o meno da quando un tipo bassotto e amante della f... è entrato in politica: lo spettro della privatizzazione della scuola. Uno spettro ben visibile in realtà, dato che si lavora alacremente per rendere le scuole delle aziende, con sindacati e finte opposizioni compiacenti, da circa vent'anni.
Ho già detto altre volte che c'è stato un lavoro certosino per rincoglionire gli Italiani e renderli dei perfetti consumatori: non lo dico solo io, ovviamente, ma signori intellettuali, giuristi, demografi e studiosi in genere. Lo dice del resto la qualità dei nostri media a grande diffusione. Del resto, se il nostro ex presidente del consiglio potè dire ai suoi uomini in Mediaset di non azzardarsi ad alzare il livello culturale dei suoi programmi perché a lui serviva un pubblico del livello culturale di una terza media, un motivo ci sarà.
Ma ancora non siamo arrivati al punto. Vedete cosa è accaduto in una notte?
L'ingegnerizzazione, meraviglioso neologismo per dire l'indicibile: tagli. Proviamo a immaginarlo con un dialogo, tre personaggi: il ministro, il docente di ruolo e il docente precario

Ministro: Ciao docente di ruolo, come va? Sai, sono qui per farti una proposta.

Docente di ruolo (doc, da questo momento): ministro, dimmi pure

Ministro: senti, già lo sai che tira brutta aria, tu sei poi in fondo un privilegiato. Bene, io ieri ho preso una decisione: da domani lavori 24 ore settimanali anziché 18.

DOC: Che cosa? E perché mai? E il mio giorno libero?!?

Ministro: non temere, quello in qualche modo te lo faccio avere, ma non pensare di avere qualche aumento di stipendio, non se ne parla. Piuttosto ti fai 15 giorni in più di ferie d'estate

DOC: Ma scusa, io già l'estate sto a casa perché le scuole sono ferme, che me ne faccio. E poi le ferie non utilizzate non me le paghi...

Docente precario (DOP da questo momento): Ministro, e io?

Ministro: tu, mi spiace, ti cerchi un altro mestiere, mi già mi hai scartavetrato abbastanza i maroni. Sempre a lamentarti? Ma vatti a cercare un bel contratto a progetto! E poi ho già i miei problemi: devo far credere a quel fesso del DOC che anche per loro non ci saranno tagli, che non finiranno a fare i segretari o i bibliotecari a scuola. Pensa poi se scopre che con 24 ore a scuola, non ha più neanche il giorno libero! Su su, vai a ramazzare per strada.

Ecco, detto in breve quello che è accaduto. Tanto basterebbe per avere l'orticaria. Ma no, ci ha pensato il parlamento a mettere la ciliegina sulla torta! 
Di preciso ci ha pensato la commissione cultura della camera, in cui di cultura ce ne sta ben poca, ma in compenso c'è un nutrito battaglione di deputati del PDL pronti a portare l'orrida sperimentazione made in Comunione e Liberazione della Lombardia fin sui più alti scranni del nostro paesello.
Ora, dovete sapere che nella regione del celeste Formigoni, CL comanda; tanto che la regione si è fatta vanto, negli anni, di aver donato denaro pubblico per le scuole paritarie ad orientamento cattolico (stendiamo un velo poi sui soldi finiti alla scuola della moglie di Bossi). In codesta mirabolante regione, un donnino, tale Aprea, già gran consigliera di oscuri piani del fu ministro Gelmini e prima ancora del fu ministro Moratti, tale donnino insomma è riuscita a fare approvare una norma che prevede, come sperimentazione, l'assunzione diretta degli insegnanti da parte dei presidi, su modello delle scuole paritarie! Non so se voi lo sentite, ma il puzzo di raccomandazioni qui da me si sente da molto lontano. Da tanto lontano che il consiglio dei ministri aveva impugnato la norma, chiedendo al Consiglio di Stato di esprimersi sulla sua costituzionalità.
Quindi? Ma secondo voi un deputato PDL può stare con le mani in mano? No! Cosa fare se non riproporre la medesima norma direttamente in parlamento? E in più, ci mettiamo il carico!
E allora ci immaginiamo pure un sistema di autovalutazione e di resa pubblica dei risultati della scuola, per "creare una sana concorrenza" tra le scuole. Detta in altri termini, rendo pubblici i miei risultati in modo che tu, utente, venga più felice  nella mia scuola. Ora, al mio paese di gente in malafede, il modo migliore per fare una cosa simile è iniziare a far lievitare i voti dei miei alunni, tanto i genitori saranno ben felici di vedere in pagella un bel nove in tutte le materie, anche se il figlio bruca l'erbetta insieme alle capre. E tutto questo perché? Per "importare il sistema già collaudato e funzionante delle scuole paritarie". 
Se non è genio questo.
Ah, per chi non lo sapesse, più iscritti, più finanziamenti, più soldi da spartirsi: non vi lamentate se vostro figlio non saprà chi era Dante, malgrado il suo 10 in Italiano.

Insegnanti di ruolo: ovvero, mi lamento che la scuola fa schifo ma non sciopero e non mi muovo neanche se sono pagato. E ora?

Allora, il governo ha intenzione di passare le ore lavorative degli insegnanti da 18 a 24, mantenendo immutato lo stipendio (parliamo sempre delle ore lavorative a scuola, quelle a casa non ce le hanno mai pagate). I miei amati colleghi di ruolo che non si schiodano dalle loro cattedre neanche se li pesti a sangue, alzeranno finalmente le loro regali chiappette per scioperare, o come al solito a fare la parte dei rompiballe toccherà agli insegnanti precari che, tra le altre cose, da un provvedimento del genere sono drasticamente colpiti, dato che porterebbe altri 6.500 tagli?

La realtà è che non ho dubbi che scioperi per questi motivi otterrebbero adesioni bassissime: la classe degli insegnanti è composta da fin troppi pecoroni pronti a lamentarsi se la macchinetta del caffè non funziona, ma a non smuovere un muscolo se vengono toccati i posti di lavoro altrui. Fermo restando che poi dovrebbero insegnare l'educazione civica.
Si protesta tanto contro il concorso, legale e legittimo, e nessuna voce si alza contro questi tagli mascherati. E allora diciamocela tutta: quanti insegnanti in ruolo supererebbero il concorso? Perché non le rimescoliamo davvero le carte, ci rimettiamo tutti in gioco e vediamo davvero chi dovrebbe insegnare in Italia?
Spesso i miei colleghi sono la dimostrazione che chi insegna in Italia lo fa perché cercava semplicemente un posto fisso: ma forse poi lo capiranno che con 24 ore lavorative perdono il sacrosanto giorno libero (e vaglielo a spiegare che poi il giorno libero non è neanche sancito dalla legge ma è una consuetudine...)

mercoledì 10 ottobre 2012

Le ragioni di chi sciopera

"Tanto non cambia nulla, tanto se ne fregano"
Ecco, dategli il pretesto per calpestarci, dategli il modo per farlo, e poi lamentatevi che le vostre lamentele silenziose non sono state ascoltate. Per poi alla fine tuonare dietro cattedre che non meritate che, ecco, lì al comando stanno solo ladri, che fanno tutti schifo, che la scuola come qualsiasi altro diritto viene massacrato da politici corrotti e banchieri.
Ma la realtà è che, come in ogni organizzazione mafiosa che si basa sul silenzio, voi che tacete di fronte ai veri diritti che spariscono nel nulla, voi che tacete quando la carta costituzionale viene calpestata semplicemente perché nel vostro misero "particulare" vi conviene, voi siete loro complici, mafiosi, pusillanimi e corrotti come loro; solo che loro almeno hanno il coraggio di esserlo

Sebastiano Cuffari, Doceo

Come stanchi colombi

Nel gelo del mese di rapida morte

Si sta, soli

Al nido novello

Solo attendendo l'estivo addio

Verso un'alba rosata

Sconcerti, addenda sugli scioperi e le proteste nel comparto scuola

Trovo sconcertante che davvero si possa pensare che nella scuola pubblica non ci debba essere uno straccio di selezione. Trovo sconcertante che qualcuno possa credere che una laurea, l'attestazione di qualche conoscenza disciplinare, possa indicare il diritto di essere insegnanti. Lo trovo sconcertante perché chi lo dice sembra non avere mai messo piede in una scuola pubblica, posti di lavoro in cui la follia e l'illogicità regnano sovrane e dove, spesso, le competenze certificate dieci, venti, trent'anni fa non sono più state aggiornate, con il bene placido dei sindacati, più interessati a racimolare iscritti che al bene di un'istituzione pubblica.

Non so ancora se parteciperò allo sciopero di venerdì: sono ovviamente contrario agli ennesimi tagli alla scuola, ma favorevole al concorso, e francamente mi dà fastidio unirmi sl baccano di chi oggi protesta contro un concorso legittimo mentre, per comodità, non muoveva dito contro le incostituzionali code del ministro Gelmini o la cancellazione del diritto al trasferimento di provincia del ministro Fioroni. I paladini dei diritti di oggi sono, nel non detto, i paladini dell'illegalità di ieri.

Ma questo è brutto da sentirsi da dire per chi pretende diritti che forse non ha.



venerdì 5 ottobre 2012

La giornata dell'insegnante: e io ringrazio ancora i miei alunni

Ieri s'era una mia ex alunna mi ha mandato un messaggio, a suo modo commovente: mi ringraziava per averle trasmesso la passione per lo studio e mi diceva che, forse, senza l'anno trascorso assieme non avrebbe compiuto la scelta che ha fatto nel proseguire gli studi. Immaginate come ci si sente a leggere una cosa del genere, sono di quelle cose che ti risollevano la giornata.
Senza dimenticare che il merito dei progressi dei miei alunni, di tutti, è esclusivamente loro. Il più grande insegnante della storia, a suo modo, Socrate, insegnava la sua unica certezza, il sapere di non sapere nulla per certo. Se c'è una cosa che mi preme trasmettere è proprio questa, l'arte del dubbio.
Non sono di quelli che pensano che i cori da stadio degli ex alunni indichino che sei un buon insegnante: quelli si ottengono anche permettendo semplicemente di non fare nulla in classe e fingendoti amico dei tuoi allievi. Ma se c'è una cosa che ho imparato da questi pochi anni di insegnamento è che i ragazzi sono ricettivi, come spugne, capiscono, assorbono, si accorgono di chi si sforza per loro e di chi li ha mollati, e questo segna davvero il rapporto. Più dai, più cerchi di dare loro, più ti stimeranno, al di là delle dimostrazioni d'affetto.
Io i volti dei miei alunni li ricordo ancora, non sono poi tanti, anche se qualche nome comincia a svanire. Però sono più le cose che ho imparato io da loro di quelle che sono riuscito a trasmettere, e finché sarà così forse sarà ancora il caso di fare questo mestiere.
Ps.
Me lo ricordo ancora quando i miei primi ex alunni, rivedendomi dopo un anno, mi dissero che, incredibilmente, passati al triennio del liceo classico si erano scoperti più preparati di quel che credevano. Non so se mentivano, ma quello è stato uno dei più bei giorni della mia carriera.


martedì 2 ottobre 2012

La casta

Una casta, nel linguaggio comune di oggi, è cosa ben diversa dalla definizione che troverete sui dizionari.

Una casta oggi è un gruppo di persone che si oppone, da una condizione di potere, all'essere trattato in maniera paritetica agli altri

Una casta oggi è un gruppo di persone che si arroga condizioni di vantaggio rispetto agli altri ceti sociali

Una casta oggi è un gruppo di persone che legifera o fa legiferare nel suo interesse, o già solo impedisce che le leggi vigenti siano applicate ai propri interessi.

Una casta si oppone ad ogni tentativo di riforma della propria condizione che possa ledere le proprie condizioni di vantaggio, che esse siano state raggiunte lecitamente o no

Una casta discute, dibatte e decide in maniera assolutamente autoreferenziale, escludendo dalle decisioni ogni orizzonte che vada oltre l'hinc et nunc del suo interesse, mancando di prospettiva storica

Una casta sbraita e protesta solo quando vengono toccati i propri interessi, mai semplicemente perché una scelta, popolare o impopolare che sia, possa anche essere illegale o incostituzionale.

Nella casta la solidarietà esiste per compartimenti stagni, secondo gerarchie di subordinazione, in cui gli ultimi anelli possono essere anche quelli sacrificabili e di cui non si piangerà la scomparsa.

Chi entra a fare parte della casta chiude gli occhi di fronte alle reali necessità della realtà fuori dalla casta, per occuparsi esclusivamente del raggiungimento del suo obiettivo, che sia l'arricchimento personale, una posizione di prestigio o semplicemente la sicurezza del posto fisso.

Raggiunto l'obiettivo personale, la solidarietà di casta scompare.

 

Sarà mica che gli insegnanti, noi insegnanti, siamo ancora una casta, per quanto fra le più miserabili?

 

The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....