martedì 27 gennaio 2015

Una cosa su American Sniper

Una cosa su American Sniper: non discuto la tecnica della regia o la bravura dello sceneggiatore. Sono evidenti. Ma non venite a dire che si tratta di una narrazione neutrale. Ogni scrittore, sceneggiatore o regista è assolutamente libero, ci mancherebbe altro. Ma nella scelta del suo soggetto, del messaggio che vuole veicolare, compie una scelta che è tutt'altro che neutrale. O ce lo diciamo o ci prendiamo in giro. Eastwood ha scelto il suo soggetto, la vita di un personaggio controverso, un uomo che, per come ci viene raccontato, non ha alcun dubbio sulla liceità di ciò che ha fatto in guerra e sulla giustezza delle sue azioni. È un punto di vista manicheo il suo. È legittimo, ma non è che al regista e allo sceneggiatore questo punto di vista sia piovuto dal cielo. È frutto di una scelta narrativa. Possiamo discutere se, consapevolmente o no, il personaggio e la narrazione poi non conducono addirittura al punto di vista opposto. Ma la scelta narrativa e propagandistica sono evidenti. Ripeto, legittime, chiunque lo fa, ma non neghiamole.


foto: movieplayer.it

domenica 25 gennaio 2015

Caro Pippo, ora basta

Caro Pippo,
sono un elettore di sinistra. Uno di quelli che a Renzi e a D'Alema preferiva te e Vendola. Uno di quelli che in e da questa sinistra non si sente rappresentato.
Sono uno di quegli elettori che prima ha appoggiato Vendola nelle primarie tra lui, Bersani e Renzi, e poi ha appoggiato te nelle primarie tra te, Renzi e Cuperlo.
Ti dirò di più.
Sono un elettore strano, come ce ne sono in giro.
Da giovanissimo votavo destra, ammiravo Fini. Lo vedevo coerente. Non sono mai stato completamente abbagliato dai flash di Berlusconi, ma ho votato PDL, ho persino creduto nella guerra in Iraq. Per dire che le mie cacchiate le ho fatte.
Poi ho iniziato a lavorare, ho visto che il mondo che quella destra mi aveva dipinto non esisteva, ho visto e vedo tutt'ora il precariato. Sono passato dai contratti a progetto a contratti a tempo determinato, di questi tempi una botta di culo. Proprio per questo mio passato, già elettore di sinistra, tuo elettore, ho salutato con entusiasmo la scissione di FIni. Non votavo più quel personaggio e quelle idee, ma ne ammiravo la coerenza, l'onestà nel prendere atto che il tentativo di costruire una casa della destra italiana era fallito e che erano stati commessi numerosi errori. Altri poi ne sono stati commessi, il rifugiarsi nel porto sicuro del centro di Casini anziché avere il coraggio e la forza di fare qualcosa di assolutamente nuovo e a lungo termine.
Ecco, lo so che il paragone con FIni spaventa, ma potrei fare di peggio, paragonare con Alfano. Ma non te lo meriti.
Però ora, parafrasando una serie di articoli di Libernazione, con questo tira e molla hai rotto il cazzo. O sei dentro o sei fuori dal PD.
Qualche decennio fa Italo Calvino, nelle sue Lezioni americane, cantava il valore e l'importanza dell'Esattezza, del chiamare le cose con il giusto nome, del dire le cose come stanno - ecco, ricordiamolo ogni tanto a Renzi, sempre pieno dei suoi modelli anglosassoni che, visto il suo inglese, avrà letto in traduzione, ricordiamolo che c'è stata un'epoca in cui gli intellettuali italiani andavano ad insegnare i valori della sinistra a quel mondo, e che  quel modello e quel mondo lui li sta ammazzando - e le cose stanno in maniera abbastanza chiara: tu la battaglia per il PD l'hai persa. Ora ti tocca decidere, o ci rappresenti dentro il PD, o ci rappresenti fuori dal PD. Ma lo devi decidere ora, non in primavera. Avevi raccolto un bacino di consenso che andava capitalizzato, e invece stai riuscendo ad alienartelo.
Esci dal PD, perché nel PD di Renzi la tua voce non è prevista. Il PD di Renzi è un partito di centro, come i Democratici americani, ma con la sinistra europea ha davvero poco a che fare. Poi magari ha ragione lui, non lo so, ma io, tu, noi non siamo quello che dice lui. Io, tu, noi vogliamo una forza, non per forza un partito novecentesco, che ci rappresenti, che rappresenti non (solo) quelli che sono vicini o possiedono delle banche, non (solo) i piccoli e grandi imprenditori, una forza che sia contro l'austerity ma che abbia dei seri progetti, non le sparate del M5S, che ammetta che nella povertà è lo stato che si deve fare carico dei cittadini, che  lotti per dare diritti e non per toglierli, e che faccia in modo che quei diritti non stiano solo sulla carta, che valorizzi l'istruzione e non la lasci in mano a Faraone - ok, questo te lo chiedo da insegnante, no, davvero, Faraone no -  che sia attento alla rete, mezzo d'informazione come di demonizzazione,  che sia aperto all'integrazione, che sia pacifista ma non chiuso alle dinamiche e alle politiche internazionali. Soprattutto, una forza che abbia delle idee, che non sappia dire solo no, per quello basta il M5S.
Ora Pippo, se sei in grado di incarnare tutto questo, non perché tu debba essere il leader, ma perché potresti essere la goccia che fa traboccare un vaso che a sinistra scricchiola sempre di più, bene. Sennò, per cortesia, torna nei ranghi, quietati e goditi l'esperienza da parlamentare, perché di parolieri, ma non credo che tu lo sia, ne abbiamo già anche troppi a sinistra.

sabato 24 gennaio 2015

Sui fatti di Cremona


Così come occorre riconoscere che Destra non equivale in toto a Fascismo, allo stesso modo occorre essere chiari dall'altro lato dello schieramento. Diviene oggi sempre più necessario definire chiaramente che l'estremismo non ha nulla a che fare con la Sinistra e che questa Sinistra, se vuole essere democratica, dall'estremismo deve prendere le distanze.
Lo so, è una banalità. Ma in questi giorni occorre essere banali per essere chiari.
Occorre che ogni estremismo, ogni atto di violenza venga condannato, che non si mescoli qualsiasi fascismo, di destra o di sinistra, con l'arco democratico delle forze politiche, che questa violenza deve condannare e da questa violenza deve allontanarsi, sempre e comunque. Che venga da CasaPound, dagli anarchici o dai centri sociali.

venerdì 23 gennaio 2015

Marco Castagna, L'uomo della folla, o del Terrore dell'Utopia

Marco Castagna ci spiega all'inizio del suo intervento come la parola Crisi derivi dal verbo greco crino, letteralmente, io scelgo. Ciò che viene quindi messo in luce sin dalle prime pagine di questo breve saggio è come la Crisi, individuale o collettiva, abbia a che fare con la scelta.
Castagna infatti, partendo dall'assunto che la Realtà, qualsiasi essa sia, è sempre una costruzione sociale, ci spiega come Ideologia e Utopia siano due facce della stessa medaglia. Riprendendo il concetto di Script, ovvero uno schema di azioni o idee ormai costituite come una routine che tendiamo a preservare in maniera conservatrice e inconsapevole, l'autore mette in luce come l'Ideologia non è altro che l'insieme di questi Script che, ormai condivisi come patrimonio simbolico, tendiamo a preservare e ad assumere come Realtà.
Intesa in questo modo l'Ideologia, diventa chiaro come questa sia in realtà tutt'altro che inamovibile ed eterna. Infatti la Crisi sopraggiunge nel momento in cui un agente esterno costinge a prendere atto della possibile esistenza di altre realtà. Tale agente esterno, il Perturbante, è qualcosa che stona all'interno dell'Ideologia precostituita, che rompe l'equilibrio raggiunto.
Non tutti i Perturbanti hanno la possibilità di aprire una Crisi, perché nei confronti di essi la nostra reazione può essere di Orrore o di Terrore. Nel caso del primo, l'Orrore, esso si manifesta come l'avvertimento di un qualcosa totalmente estraneo al nostro complesso mondo di simboli, ad esso incompatibile. La nostra reazione sarà quindi di escludere dal nostro patrimonio ciò che causa Orrore.
Nel caso del Terrore invece, avvertiamo come questo Perturbante sia un elemento che destruttura il nostro patrimonio di simboli, ma non ne è del tutto estraneo. Il Perturbante che ci mette di fronte al Terrore, produce in noi Angoscia, causa in noi la Crisi, svela come le scelte possibili non siano limitate al ristretto campo dei valori simbolici riprodotti dai nostri Script, ma che nuove scelte sono possibili.
Quindi è questo Perturbante che permette l'altra faccia della medaglia, l'Utopia. L'Utopia è dunque il momento in cui ridisegnamo il nostro patrimonio di simboli, lo ricreiamo. Non esiste Utopia senza una Ideologia, ma non esiste Ideologia che non sia passata dalla fase dell'Utopia.
Proprio perché Ideologia e Utopia sono intimamente collegate, e con esse quindi la possibilità per noi uomini di un progresso, per Castagna ogni Ideologia (perché di questo si tratta) che voglia contestare o addirittura negare l'esistenza di questo patrimonio simbolico conddiviso, oltre che negare ciò che essa stessa è, risulta dannosa, impedendo di fatto il continuo trasformarsi del nostro patrimonio simbolico attraverso le fasi dell'Ideologia e dell'Utopia.
Inutile quindi rimarcare come, seppure causata da fatti che oggettivamente causano disorientamento e angoscia, la crisi valoriale sia per Castagna un momento positivo, in grado di aprire le porte al progresso delle civiltà. 
Marco Castagna, L'uomo della folla, o del Terrore dell'Utopia 

lunedì 19 gennaio 2015

Fascismo liquido II

Tempo fa avevo già parlato di un nuovo tipo di fascismo, liquido, molto più subdolo, che trova cassa di risonanza in una rete sempre più in mano a gruppi aggressivi e ignoranti. Riprova ne abbiamo avuto ancora in questi giorni di disinformazione sofisticata e organizzata sulle due cooperanti e sull'Islam, di gretto maschilismo.

Partiamo con Matteo Salvini.


Pare che le 2 ragazze rapite in Siria siano libere. Lo spero di cuore. E spero non siano stati pagati riscatti ai terroristi.

La notizia, va ripetuto, priva di ogni fondamento, viene ben presto ripostata da altri siti. Per esempio Spondasud.it.


La dose di illazioni viene rincarata dal vicepresidente del Senato, nonché giornalista, Maurizio Gasparri, che su Twitter, con abile retorica rinforza la notizia ponendola come richiesta di conferma

sesso consenziente con i guerriglieri? E noi paghiamo! @forza_italia
Ma  è stata tutta la rete italiana ad essere inondata da commenti sessisti come questi. Per esempio nella pagina del gruppo del M5S su Google +


Commenti sessisti come vediamo, che come dimostrato da più parti, non hanno poi alcun fondamento. Parlandoci chiaramente, possiamo convenire sul fatto che le due cooperanti siano state incoscienti. Ma, del resto, a differenza, spesso, di quanti hanno commentato sui social network la loro liberazione, le due ragazze, ventenni, si trovavano in uno scenario di guerra a condurre attività di volontariato, distribuire kit medici. Lo facevano, come dichiarato apertamente già prima della partenza, in favore di uno dei quattro schieramenti attualmente attivi nello scenario siriano, quello dei ribelli alla dittatura. Uno schieramento che, come acutamente dimostrato da Bufale.it, non è lo schieramento Jihadista, come invece è stato riportato in maniera (volutamente?) erronea dalla gran parte dei commentatori.

Ma il problema è che in questa galassia, un misto di social, forum e siti, la correttezza dell'informazione non ha alcuna importanza. Ad esempio, nella comunity Politica italiana su Google+ mi è di recente capitato di commentare questa immagine, Frutto di TzeTze

Anche in questo caso si tratta di una notizia priva di ogni fondamento. Ebbene, nel momento in cui si fa notare la falsità della notizia, ecco il tenore delle risposte





sabato 17 gennaio 2015

Scheda di valutazione del docente 2014 - 2015

Greta e Vanessa

foto: SkyTg24


Forse in pochi si ricordano di quando, era lo scorso secolo, Italiani partirono volontari per aiutare la resistenza contro un'altra dittatura nascente, quella di Francisco Franco. Quella dittatura che nasceva da una guerra civile riceveva il nostro soccorso ufficiale, il soccorso di una Italia fascista e di una Germania nazista. Le forze della resistenza, le forze repubblicane, ottennero aiuto finanziario e soccorsi militari solo dalla Russia di Stalin - certo, suona paradossale che uno dei più feroci dittatori della storia abbia lottato quasi da solo per la democrazia in Spagna - e da volontari che partivano da tutto il mondo.
I volontari, le forze repubblicane, furono sconfitti. La Spagna impiegò decenni per venire via da quella dittatura. Tutto ciò nel silenzio e nell'ignoranza della borghesia bene europea, che del sangue spagnolo non voleva sporcarsi le mani. I volontari erano folli, stupidi, dei visionari.

Certo, la storia non si ripete. Il paragone se vogliamo addirittura ci porta fuori strada ed è comunque tendenzioso. Ma ogni interpretazione dei fatti lo è.
Intanto qui abbiamo due ventenni, con più coglioni di molti cinquantenni che da dietro una scrivania sacramentano per il costo del loro riscatto, due ventenni che hanno deciso di schierarsi. Hanno sbagliato? Probabile. Hanno commesso un azzardo? Può darsi. In ogni rischio, in ogni scelta è presente la possibilità dell'errore. Intanto queste due ragazze si trovavano in Siria e fornivano kit medici a civili e a quello schieramento, composito, variegato e, anche, gestito da gruppi che noi consideriamo terroristi, che però lotta contro una dittatura. Dittatura che qualche scheletro nell'armadio ce l'ha, lo sappiamo tutti anche se oggi evitiamo di raccontarcelo, a partire dall'uso delle armi chimiche sulle minoranze etniche e sugli oppositori politici. Lo schieramento che queste ragazze hanno appoggiato è lo stesso schieramento che fino ad un anno fa tutti fortemente appoggiavamo, per moda, è evidente, perché l'odore delle primavere arabe ci aveva inebriato e di quell'odore di spezie e libertà ci piaceva riempirci la bocca, ci rendeva fighi, Poi sono arrivati i costi, i barconi, i migranti, e allora la Siria e i Siriani sono diventati luoghi e persone da evitare e di cui, se possibile, non parlare, Figuriamoci poi quando ci si sono messi i terroristi in casa nostra - ma queste ragazze non avevano di meglio da fare? -

Eppure, eppure c'è più civiltà occidentale in un mignolo di queste ragazze che in Siria si sono schierate per i ribelli contro una dittatura e che in Siria distribuivano kit medici - certo, con le foto su Facebook, sono ragazze del loro tempo - che in ognuno di voi piccoli borghesi che in questo gesto leggete la stupidità dei vent'anni e i 33 centesimi a testa che queste volontarie vi sono costate con il loro riscatto.

martedì 13 gennaio 2015

Ci sono due coccodrilli ed un orangotango... sulla satira e i suoi fraintendimenti

Fra le tante questioni apertesi in Europa con gli attentati di Parigi, una che sta sottilmente attraversando l'opinione pubblica e gli scritti degli intellettuali o presunti tali è la questione sulla legittimità e i limiti della satira.

Lo dico subito. Non mi sento e non mi riconosco nella definizione secondo cui tutti siamo Charlie Hebdo. E mi spiego, ma almeno abbiamo tagliato la testa al toro.

La libertà di stampa e di opinione, compresa la libertà di satira, come sappiamo, è una delle grandi conquiste della cultura occidentale, conquista nel calderone delle libertà individuali inviolabili. Quelle libertà e quella difesa dell'individuo che, ci hanno insegnato i totalitarismi tutti occidentali del Novecento, sono l'unica difesa contro l'imposizione di uno stato etico.
Ma come lo stesso Novecento ci ha insegnato, il limite delle libertà individuali si pone nelle libertà altrui e nel principio di responsabilità individuale.

Prima di essere accusato di qualsiasi appoggio alle posizioni dell'estremismo islamico, no, non sto legittimando gli attacchi terroristici, reazioni estreme e sproporzionate ad una offesa che, se anche ci fosse stata, si sarebbe dovuta dimostrare e affrontare attraverso le consuetudinarie vie legali. Questo è ciò che richiede l'esistenza stessa di uno stato nato dalle ceneri dello stato liberale, uno stato che si pone come arbitro nello scontro sociale, che non prende le parti di nessuno ma garantisce che i diritti di tutti siano rispettati, valorizzandone le specificità.

Ma non ci possiamo nascondere: non tutto è satira. Molto di quanto viene pubblicato sotto questo nome è, ad andar bene, spazzatura.


Prendiamo questo meme che tanta diffusione sta avendo su Facebook, a partire dal caso di cronaca del Leghista condannato per aver postato la foto della ministra Kyenge ritoccata, modificandone il foto con quello di un orangotango. Si tratta esattamente della stessa cosa? No, la differenza c'è, e pure tanta. La prima vignetta, anche se discutibile, accosta l'immagine di un politico alle sue abitudini sessuali, dimostrate. Magari la vignetta è di cattivo gusto, anzi sicuramente lo è, ma si fonda su fatti. Fa satira. La seconda su cosa si fonda? Su, ad andar bene, un pregiudizio, una somiglianza, supposta, che è discriminatoria perché nasconde l'idea che le persone di colore non siano uomini. Idea tra l'altro che è stata diffusissima nella cultura occidentale e che ancora fatica a sparire. Questa non è satira, è spazzatura, oltre che una vignetta discriminatoria.
Fare satira sui difetti fisici altrui, oltre che degradante e di cattivo gusto, è discriminatorio.

Facciamo altri esempi.





Perché possiamo dire che questa è satira? Quella di Crozza, nelle diverse rappresentazioni di Brunetta e Bersani, è satira non perché faccia la semplice caricature dei due politici. Se vogliamo questa è la parte della sua satira che funziona di meno, anzi, che quando fa Brunetta mettendosi in ginocchio è francamente volgare. Ma la satira di questi due personaggi funziona perché gioca, portandoli agli estremi, sugli strumenti retorici dei due, sugli atteggiamenti, sulle idiosincrasie dei due personaggi. Non su invenzioni non provate, su falsi, su accuse infondate.  Lo stesso vale per la satira di Matteo Renzi.






"Questa è una vignetta che apparve sul giornale nazista tedesco Der Sturmer, nel 1933. il titolo citava il “pan-ebraismo”: “Una rana è seduta nell’erba verde. Non fa questo, non fa quello, non fa nulla. Ma accecati dal luccichio dell’oro, tutti gli volano in bocca.”" (fonte: federazione sionistica italiana)
Come vediamo anche in questa vignetta l'accostamento uomo-animale si nutre di e serve ad alimentare pregiudizi, pregiudizi di lungo corso e che sono serviti ad alimentare la campagna di stampa a sfondo razziale del Nazismo. Campagna dagli esiti ben noti. Era questa satira? O dobbiamo chiamarla con un altro nome?

Se un giornale decidesse di pubblicare una immagine in cui foste ritratti mentre violentate dei bambini, senza che nulla possa anche solo lontanamente avvalorare quella diceria sul vostro conto, sarebbe satira o diffamazione? Basterebbe la veste caricaturale a rendere quella satira?

sabato 10 gennaio 2015

Questioni di metodo su quanto si dice e si scrive in questi giorni sull'Islam

Non so in quanti hanno notato che, fino a questo momento, di quanto accaduto a Parigi in questi giorni hanno parlato tutti. Ma proprio tutti. Giornalisti, politici, scrittori, tuttologi vari ed eventuali. Mancano all'appello però due pezzi fondamentali dello scacchiere della cultura. Guarda caso. Storici e antropologi.
La cosa non è di poco conto. Coloro che avrebbero oggi più titolo per parlare dell'evoluzione recente dell'Islam, per ora stanno in silenzio. Studiano, analizzano.

Non per niente in questi giorni si è rincorsa la fiera degli assoluti. I difensori di varia specie della cultura occidentale hanno in ordine schierato l'armamentario del Cristianesimo trionfante e dell'Illuminismo libertario, mettendo in luce invece la barbarie islamica, il neomedioevo islamista, una cultura priva dell'Illuminismo, etc.

C'è in Italia, in diversi settori, purtroppo una malattia, quella degli "ismi". Ogni fenomeno deve essere categorizzato (cosa di per sé non sbagliata), ma, una volta che verrà inserito nel suo contenitore a tenuta stagna, esso assumerà ipso facto valore di verità. Come se il suffisso "ismo" indichi qualcosa che diviene, per natura o fede, vera.

In realtà un po' di sano metodo storico inviterebbe ad andarci piano con queste facili interpretazioni. Lasciando perdere il lunghissimo dibattito sulla centralità tra fatti e interpretazioni, possiamo ragionevolmente essere tutti d'accordo che dati certi fatti, a cui possiamo verosimilmente accostarci dimostrandone consistenza e veridicità, come essi verranno interpretati rientra nel campo delle interpretazioni. Verità di scienza, ovvero fino a prova contraria. Qualcosa di verosimile, non di vero.

Tutto ciò che è stato detto ad oggi sui fatti di Parigi andrebbe letto ed interpretato in questa luce. Facendo poi attenzione ad un altro dettaglio, in realtà fondamentale. Nel momento in cui, come si sta facendo, applichiamo categorie come quelle dell'Illuminismo, del Medioevo, concetti come quello di Teocrazia o di rivoluzioni leaderless, stiamo usando delle categorie nate per l'Occidente (qualunque cosa esso sia, sempre che sia) e valide per l'Occidente. Non per questo e non per forza valide per altre culture e civiltà. E nel fare questo stiamo già, involontariamente o in malafede, producendo un falso storico che si basa su un assunto neocoloniale e razzista, ovvero il presupposto che la cultura occidentale che quelle categorie ha prodotto sia un paradigma da applicare alle altre culture, di per sé più arretrate.
(Un inciso: la storia stessa dell'Occidente ci dimostra che tutto ciò che sappiamo del paradigma è la sua assenza; che la storia non è una linea retta verso tempi aurei e illuminati, ma piuttosto una rete dove mille linee si intersecano. I nuovi difensori dell'Illuminismo contemporaneamente propongono la restaurazione della pena di morte, l'uso della tortura, del resto mai realmente scomparsa. I nuovi difensori dell'Illuminismo e del Cristianesimo trionfante sono spesso espressione di un capitalismo estremo e di una borghesia frustrata, ben lontani, per esempio, dal Contratto sociale e dall'assenza di proprietà privata di Rousseau. Per dire)
Questo metodo, oltre a falsare la prospettiva con cui parliamo di culture e civiltà diverse dalle nostre, semplifica grandemente le questioni sul tavolo, permettendo alle visioni estremiste di turno di trovare facili risposte a problemi complessi. Un buon antropologo sa che per conoscere una società in essa si deve calare, non semplicemente studiarla dall'esterno. In buon storico sa che anziché partire da dati di seconda mano dovrà cercare, lì dove possibile, fonti di prima mano e adoperare categorie e periodizzazioni relative a quella cultura e a quella società. Proprio per questi motivi non esiste nella nostra lingua una seria bibliografia di testi arabi, fonti di prima mano, tradotti, tanto da costringere i nostri pochi storici interessati a ricorrere a testi francesi o scritti in altre lingue.

Da cosa deriva questo processo di facile e mistificante semplificazione?
Dobbiamo, a mio avviso, dirci chiaramente una cosa. L'Italia ha un radicato problema nella rimozione di fatti storici. Si pensi alla rimozione dei fatti del Fascismo, degli anni di piombo, della guerra di conquista e di quella civile che chiamiamo Risorgimento, fino alla profonda ignoranza dei fatti e degli eccidi compiuti da e per gli Italiani nelle nostre colonie. È forse per questo che nel nostro paese, di fatto, a differenza di quanto avviene altrove non esiste o quasi una letteratura del meticciato.

Abbiamo di fronte fatti nuovi, che non possono essere semplicemente ridotti a categorie preesistenti e nate per circostanze e culture diverse. Tirare fuori Illuminismo, Medioevo e company è metodologicamente inutile. Ad oggi uno dei pochi interventi sulla stampa nazionale che si sforzi di non essere banalmente semplificatorio è quello pubblicato da Internazionale, non a caso, a firma di Bernard Guetta.

Tra l'altro, coloro che si sono erti a difensori dell'Occidente, spesso ignorano bellamente principi e valori che proclamano di voler difendere. Penso per esempio agli interventi di Ruperth Murdoch  o, per stare alle vicende nazionali, alla richiesta dell'assessore alla cultura della regione Veneto ai genitori degli alunni Musulmani, invitati a dissociarsi dagli attentati. I principi del diritto, la libertà di culto, la responsabilità individuale, spazzati via dalla vena populista o dalla banalissima ignoranza.

Tutto questo per dire di come, anche in bella prosa, visioni mistificanti, banalizzanti o semplicemente ignoranti si stiano facendo largo, soprattutto nella nostra opinione pubblica. Non dimentichiamo che l'Italia è il paese più ostile alla cultura islamica in Europa secondo i risultati di un sondaggio della americana Pew Research Center, lo stesso paese in cui è più profondo il divario fra percezione della realtà sociale e realtà stessa.

foto: Internazionale.it

giovedì 8 gennaio 2015

A problemi complessi soluzioni complesse

Ieri l'attentato di Parigi ha lasciato l'Occidente, qualunque cosa sia, basito e in imbarazzo. Un attentato come questo mette alla luce numerosi nervi scoperti, le paure che serpeggiano in Europa ormai da anni, un misto di pulsioni, superstizioni, dicerie e verità. L'attentato a Charlie Hebdo diviene comodo strumento di propaganda per i partiti di estrema destra, islamofobi o aperrtamente nazifascisti, che hanno vita facile nell'alimentare queste paure. Quei partiti che fino all'altro ieri si sono battuti contro la satira del giornale, oggi ne divengono accaniti difensori. Quei partiti, quei movimenti, quelle persone che fino a poche ore fa si battevano contro i diritti delle donne e degli omosessuali, oggi si scoprono garanti delle conquiste del pensiero illuminista, contro una teocrazia islamica indefinita, un califfato, quello dell'ISIS contro cui in realtà non hanno mosso un dito. Le stesse persone che vorrebbero lasciare le cooperanti in mano ai loro rapitori in Siria, quelli dell'aiutiamoli a casa loro, ma se qualcuno lo fa è un cretino e un untore, come il medico di Emergency ammalatosi di Ebola, ecco questi oggi sarebbero i nostri baluardi. Non c'è poi molto da domandarsi il perché dell'estremismo islamico.

Ci terrei a precisare alcune cose: l'islam è talmente complesso che parlarne genericamente sarebbe come parlare di cristianesimo senza distinguere tra cattolici, ortodossi, protestanti, testimoni di Geova, pentecostali, etc.. Ma al di là di questo Il fenomeno estremismo islamico, da condannare senza appello, va contestualizzato e storicizzato. Dire che l'Islam è una religione violenta è una imprecisione: lo è nella misura i cui, come il cristianesimo o l'ebraismo o qualsiasi altra religione, non ammette l'esistenza di altri credi. È totalizzante, come qualsiasi religione. Nell'Islam manca una figura come quella del Papa per in cattolici, una figura istituzionale, mancando i sacerdoti, la stessa ortodossia islamica è discussa fra sciiti e sunniti. Insomma, attenzione a generalizzare. 
Da un punto di vista storico l'estremismo islamico nasce nel Novecento, con il panarabismo e le rivendicazioni contro l'Impero Ottomano e nell'Impero Ottomano, e poi contro la mancata realizzazione da parte dei paesi occidentali di quanto promesso durante la grande guerra. Ad aggravare il tutto subentrano poi la questione israelopalestinese e la spartizione russo-americana delle aree di influenza, in cui di volta in volta si sono armate fazioni contro le altre ad uso e consumo delle maggiori potenze e per l'accesso a petrolio e gas.
Oggi il mondo islamico vive un periodo di transizione: arricchimento vertiginoso e mal distribuito, immigrazione e mobilità interna accentuate, paura per quanto potrà accadere con la scomparsa degli idrocarburi, transizione demografica con una minore natalità, sviluppo stentato ma presente di sistemi democratici; il tutto sempre e comunque sotto forti influenze occidentali. È una situazione davvero complessa in cui si mescolano aspetti religiosi, culturali, ma soprattutto socioeconomici e politici. Si pensi alla rivolta di Tunisi di qualche anno fa o a quella egiziana, parliamo sempre di mondo islamico, eppure nei ragazzi che hanno occupato le piazze sfido a trovare esclusivamente estremisti islamici. Insomma facciamo attenzione a non fare di tutta l'erba un fascio e a non cercare (e creare) a tutti i costi un nemico perché è ciò che l'estremismo, qualsiasi estremismo, vuole. Ultima precisazione: nella Repubblica centrofricana sono i cristiani ad ammazzare con i maceti i musulmani e gli animisti, e questo non giustifica assolutamente nessuno, né nessuno è giustificato o giustificabile perché 15 anni fa nel Kosovo erano i cristiani a praticare la pulizia etnica sui musulmani. Sono fatti, ma sono fatti che si alimentano tra di loro.

Inoltre, siamo proprio sicuri che quanto successo sia poi esclusivamente frutto dell'odio intereligioso? Sembra che i tre attentatori siano tre miei coetanei, nati in Francia, cresciuti in Francia e istruiti in Francia. Eppure i tre evidentemente odiavano la Francia. La domanda è: a che punto i nostri sistemi educativi e di trasmissione dei valori hanno fallito? Nel farli sentire francesi? Nel far loro condividere i valori della Francia?  L'idea che l'integrazione sia semplice assimilazione, come se i valori passino per osmosi, quella ha fallito. Faccio l'esempio della realtà italiana, e sospetto che quella francese sia in questo senso più avanzata. I miei alunni vedono realmente poco i loro genitori, tanto che, letteralmente, molti di questi genitori non sanno neanche che scuola i loro figli frequentino. La maggior parte delle loro ore i ragazzi le passano a scuola, in giro per gli spostamenti, in attività "ricreative" come oratori, centri sportivi etc., o con gli amici. Certo l'influenza dell'ambiente familiare è grande, ma non così importante come in passato. Sospetto lo stesso avvenga in Francia. Questi ragazzi che diventano terroristi, in primis, sono ragazzi che si sono sentiti soli, abbandonati dallo stato, e che in qualcos'altro, come la religione, hanno trovato un loro rifugio. Non per niente sono in molti anche i convertiti all'Islam. Tutto ciò è una mia idea, eh, sia chiaro, non ho reali dati alla mano che la confermino o la smentiscano. Ci sarebbe da vedere la percentuale di donne islamiche che lavora nei paesi occidentali, giusto per capire quanto è veramente forte questo retaggio familiare o se, invece, come sospetto, molto di questo fanatismo viaggi attraverso la solitudine della rete. Ma a giudicare dal numero di occidentali che si convertono all'Islam ogni anno, dal numero di convertiti che decidono di immergersi nel mondo dell'estremismo islamico, di mettersi a disposizione delle organizzazioni terroristiche in questo o quel territorio di frontiera culturale e e religiosa, sospetto che stiamo ignorando i problemi sociali che alimentano questo terrorismo di ritorno. Molti di questi ragazzi erano e sono esclusi della e nella società, senza appigli, figli dei quartieri più poveri, senza prospettive o futuro. L'Islam, come il neofascismo, è per loro l'esperienza totalizzante che il capitalismo occidentale oggi non è. La parcellizzazione, l'individualismo sfrenato di cui ha parlato ancora ieri qualche mio contatto, è la causa, o almeno una delle cause del fenomeno. È il ritorno ad un fondamento religioso cristiano la soluzione? Personalmente credo di no, da laico, credo che dobbiamo essere in grado di costruire una società realmente inclusiva in cui i diritti e i doveri non siano un'imposizione ma un patto sociale realmente condiviso. Per fare questo prima che le armi servono strumenti culturali nuovi, nuovi tipi di mediazione, occorre mettersi tutti in gioco. Ma tutto ciò è un altro discorso, il discorso del giorno dopo. 

L'estremismo non ha religione, si fonda su interpretazioni che pretendono di essere totalizzanti. E genera altro pensiero totalizzante, la paura del diverso che diviene indistinto. Occorre sempre ricordare che a problemi complessi si risponde con risposte complesse, che richiedono tempo e perseveranza. La paura genera odio, l'odio genera ulteriore paura, in un circolo vizioso. Occorre essere razionali, comprendere, analizzare, studiare, storicizzare, conoscere cause ed effetti, distinguere, discernere, dialogare. Rispondere oggi all'odio con altro odio non farebbe altro che alimentare il circolo degli estremismi, degli autoritarismi, dei totalitarismi. Dietro l'odio religioso si nascondono ragioni economiche, politiche e sociali, dobbiamo essere in grado di analizzarle e risolverle, anziché arrivare per l'ennesima volta al tentativo di imporre una cultura e una civiltà, qualsiasi esse siano, su altre.


venerdì 2 gennaio 2015

Il Postmoderno è morto, evviva il Postmoderno

In questi ultimi giorni tra le pagine dei principali quotidiani e  quotidiani online si è discusso della presunta morte del Postmodernismo. Su tutti bastino gli articoli di La Lettura o di Internazionale.
Quella sulla fine del Postmodernismo è tuttavia una discussione datata: se ne parla già da qualche anno. Per esempio così faceva Lettera43 già nel 2011.
In che senso il Postmoderno sarebbe morto?
La spiegazione più interessante in realtà viene da uno dei miei più illustri contatti su Facebook, Morgan Palmas, direttore di Sul Romanzo, che per questo mi permetto di citare
"bisognerebbe pure discutere dei trend editoriali, che stanno divenendo condizionanti nel sottobosco. Faremo ancora i conti anche con Franco Fortini e Alberto Arbasino, per non parlare di Sciascia e Volponi, eppure, guardando lo stato dell'arte con occhi sufficientemente disincantati, ammesso che si possa fare, mi pare di comprendere che una rivoluzione silenziosa si è oramai insinuata dentro la letteratura. Qualcosa che non è più postmodernismo."
Si parla di un ritorno al realismo, ma forse, con Luperini, occorrerebbe parlare di Ipermodernismo ( sul dibattito sul concetto di Ipermodernismo si veda qui e qui) , un ritorno alla scrittura documentaria, al reportage, a partire dal tanto dilettantesco quanto centrale Saviano; un ritorno alla realtà priva di eccessive sperimentazioni che passa dal più recente Ammaniti ai Wu Ming. Una scrittura che è essa stessa evoluzione del Postmoderno, perché, lo si noti, nel Postmoderno trova alcune delle sue basi.
Postmoderno infatti non è solo tecnica combinatoria, ma anche visione complessa della realtà, decifrabile solamente attraverso una ricerca vorticosa e labirintica. In questo senso il Postmoderno, nel suo pastiche letterario costante, e non solo linguistico, fa proprio anche il realismo del primo Novecento, quello dei Faulkner, dei Proust, con il suo periodare vorticoso.
E allora cosa è morto del Postmoderno?
Forse dovremmo dire che ciò che va sparendo è il pop, la cultura che tutto mette sullo stesso piano, alto e basso, bianco e nero, verità e finzione. Quella cultura che aveva dato i suoi esiti migliori nella letteratura combinatoria così come nella cultura musicale di artisti come i Beatles, dei Queen o nel punk, insomma, quella cultura non trova più spazio, non può sopravvivere alla crisi economica e valoriale di questo inizio di Ventunesimo secolo.
Un ritorno alla documentazione della realtà, insomma, ma una realtà che parte dal basso, dalle periferie, senza pretesa di cambiare il mondo, come pura testimonianza, ma che, dalla periferia, con un turbinio linguistico che vuole raggiungere il centro del mondo mira alla verità, una verità difficile, ma ora, forse, nuovamente raggiungibile.


    

giovedì 1 gennaio 2015

Patrick Modiano, Villa triste



Villa triste è un romanzo di Patrick Modiano pubblicato nel 1976. Il romanzo, ambientato nell'Alta Savoia all'epoca della Guerra d'Algeria, racconta di un giovane misterioso, che si presenta come il conte Chmara. Il conte Chmara si innamora di Yvonne, giovane e promettente attrice. I due protagonisti si danno alla vita mondana, nella Savoia gaudente della memoria dell'autore; memoria che vacilla, che ricostruisce, che confronta. Il ricordo del mese passato assieme dai due giovani protagonisti si infrange contro il desiderio, quasi una pulsione infantile, di fuggire in America, di rifarsi una vita lì. Sarà innanzi a questo sogno che le vicende dei due si separeranno per sempre, divenendo melanconico e ironico ricordo.
Modiano, attraverso una lingua ricca, un periodare accuratamente costruito e un continuo saltare tra memorie passate, sogni, ricordi letterari e cinematografici riesce a rendere il senso di una storia che è in primis storia individuale, fatta delle piccole cose di ogni giorno, sfuggente, un misto di verità e immaginazione. L'ultimo lascito del Ventesimo secolo

The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....