sabato 30 marzo 2013

Non chiederci la parola, Eugenio Montale

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Il male di vivere, Eugenio Montale

Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua della sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

venerdì 29 marzo 2013

E se Bersani fallisce


Nelle ultime ore è facile leggere, tra le righe dei titoli dei giornali, del fallimento del segretario del PD Bersani nel formare un nuovo governo. Per come la vedo io, non è questo il fatto di queste ore politiche. O meglio, diciamocela tutta: dalle elezioni in poi, che Bersani non ce la potesse fare a formare un governo, era ben chiaro. Perché i grillini sono dei fascistelli oltranzisti, perché con il PDL non ci si può alleare, pena tracollo elettorale, perché Monti è stato un flop.
E allora, qual è la questione? La questione non è se Bersani fallisce, ma come fallisce.
Chiariamo la questione, guardando agli scenari che si aprono per le prossime ore, scenari decisivi per lo stesso assetto istituzionale del nostro paese.
Primo scenario, quello che Napolitano cerca, con una certa ragione: Bersani rinuncia, si giunge ad un governissimo guidato da un uomo/donna super partes, pochi punti all'ordine del giorno ma senza grillini e l'elezione di un Presidente della Repubblica in relativa sicurezza. Uno scenario rassicurante nel breve periodo ma da cui è facile prevedere il tracollo elettorale dei partiti coinvolti dato che, salvo miracoli, da un governo del presidente si caveranno ben poche riforme incisive e soprattutto non verranno toccati i punti all'ordine del giorno dei rispettivi programmi. Ovviamente da un governo del genere si terrebbero lontani i grillini che, alle prossime elezioni, farebbero il pieno arrivando a divenire forza di governo, con tutte le incertezze del caso, ma avendo un Presidente della Repubblica legittimato, per quanto solo.
Secondo scenario, quello che secondo me cerca Bersani: Bersani si presenta comunque in Parlamento, forte di pochi punti condivisibili dalle forze "responsabili", ovvero in teoria votabili anche dai grillini. Delle due l'una, o i grillini si assumono oneri e onori del governo con il PD o, forse quello che in fondo spera Bersani, decidono comunque di non appoggiarlo, non permettono la nascita di un governo, assumendosene però le responsabilità e, spera il PD, perdendo almeno in parte il loro consenso. Fin qui i pregi di questa strategia; ma da questa scelta di Bersani seguirebbero la compromissione della legislatura perché il PDL non potrebbe accettare uno smacco del genere né sarebbe poi plausibile un governo PD-PDL con un altro nome alla guida. Questo quadro si verrebbe a realizzare proprio mentre Napolitano non potrebbe sciogliere le camere sicché l'unica possibilità rimasta al Presidente della Repubblica sarebbero le dimissioni anticipate. Dimissioni che dovrebbero servire ad accelerare l'elezione di un nuovo Presidente, ma anche in questo caso si andrebbe verso votazioni al buio, perché questo Parlamento non sembra in grado di eleggere con serenità il successore di Napolitano. Con ogni probabilità si arriverebbe all'elezione di un Presidente con la maggioranza relativa di PD e Monti, insomma un Presidente già in partenza fortemente delegittimato, per poi sciogliere le camere e indire nuove elezioni. Insomma, uno scenario a forte rischio ma con il pregio, l'unico, di poter ridurre la forza contrattuale e di ricatto dei fascistelli grillini.
Tutto ciò mentre, non dimentichiamolo, tra la magistratura e soprattutto tra le forze armate si vive sempre più un forte disagio. Senza voler fare previsioni paranoiche, ricordiamo anche in questo caso che un precedente c'è, ovvero ciò che si mosse in segreto in pieni anni '90 quando Mani Pulite furoreggiava e lo stato appariva senza guida. Allora un possibile colpo di stato fu sventato, ma oggi uomini di stato tali da riuscire in una simile impresa non sembra di vederne all'orizzonte, men che meno, mi sembra, ce ne sarebbe la voglia.

mercoledì 27 marzo 2013

Grillo non sa cosa sia la credibilità


Beppe Grillo sbraita, sputa sul piatto da cui nel frattempo sta lautamente mangiando, sputtana, lui pensa, gli altri leader politici. Lo fa, lui ormai politico anche se non si può dire, sostenendo la mancanza di credibilità di tutta la classe dirigente. Certo, perché a dire che tutti fanno schifo si evita di dover esercitare un minimo di senso critico, dote che, se Grillo e soprattutto i suoi avessero, renderebbe davvero difficile dare un seguito alle puttanate che dice.
Perché Grillo, non ce lo dimentichiamo, è uomo di multiforme ingegno e soprattutto di mille idee, spesso diametralmente opposte tra di loro. Grillo è colui che spaccava i computer, il male assoluto, e ora vive solamente per la rete. Grillo è colui che sostenne la presenza di 110 basi NATO attualmente in Italia. Grillo è l'uomo di un programma fumoso, iperliberista da un lato, protezionista e francamente reazionario sotto molti altri aspetti.
Ma soprattutto, dato che si parla di credibilità: Grillo e grillini sostengono di essere solo loro a detenere il monopolio di questa virtù? Su quale base? Perché non hanno fatto nulla fino ad ora? È questo il fondamento della loro credibilità, il non essere esistiti, l'essere privi di ogni esperienza e competenza? La loro credibilità quindi deriverebbe dalle conseguenze ultime del mignottificio berlusconiano: non sanno far  nulla, non hanno mai fatto nulla, quindi sono meglio degli altri.
Se il fondamento della credibilità dei grillini è questo, allora, mi perdonino, ma piuttosto che loro mi accontenterei del più scalcagnato amministratore leghista o pidiellino che, quanto meno, una prova delle sue capacità al mondo l'ha già data.
Un'ultima conclusione: i grillini si adirano se chiamati con questo nome. Quando dimostreranno di avere una personalità a prescindere da Grillo, forse si guadagneranno quella credibilità di cui si fregiano immeritatamente e, magari, anche una dignità, che male di certo non farebbe.

Medea, Pier Paolo Pasolini

La Medea (1969) di Pasolini è una Medea pensosa, un personaggio innocente nella sua barbarie, umana nel suo essere maga, debole nel suo essere creatura sovrannaturale in un mondo stretto nel calcolo razionale. La rilettura dello scrittore e cinematografo italiano della vicenda di Medea, riprendendo l'omonima tragedia di Euripide più che la versione di Apollonio Rodio, è fortemente centrata sul contrasto tra dei mondi inconciliabili. D'un lato Medea e il mondo barbaro della Colchide, legato ai riti e ai cicli naturali, ancora immerso nella magia e in una religione ad un tempo primigenia e violenta, in cui il sangue è simbolo di vita e in cui la storia umana non è altro che uno dei tasselli di una storia ciclica e disumana. Dall'altro lato il mondo razionale di Giasone, uomo imbelle e calcolatore, che insieme alla sua compagnia scalcagnata di Argonauti giunge sino a Medea e senza merito alcuno la fa propria insieme all'agognato Vello D'oro. Eroi che non hanno nulla di eroico sin dall'aspetto, così umano, e che nel loro peregrinare non si fanno problemi a depredare templi o a dileggiare il dio di Medea.
Da quest'incontro non potrà che nascere la tragedia, tragedia che si sviluppa sino a scoppiare a Corinto quando, di fronte alla necessita per calcolo politico di nuove nozze per Giasone, la maga Medea ritorna se stessa, ritorna la barbara temibile che l'amore aveva annullato, sino a tessere il suo piano diabolico, prima solo immaginato, poi reso atto concreto. Costringere la futura sposa e suo padre alla morte per il senso di colpa, e poi uccidere se stessa e i figli del letto di Giasone: così come il Greco con la sua ragione l'aveva privata della patria, della famiglia e infine dell'amore, lei avrebbe privato l'odiato e amato uomo di tutto ciò che per lui potesse essere importante.
L'antico conosceva bene questa trama, dato che il mito di Medea era uno dei più antichi e diffusi. Questo bisogno di confrontarsi con un archetipo è stato vissuto nel corso dei secoli dai più grandi artisti, così Pasolini non può non paragonare il suo mondo, un mondo che si evolve sempre più, spiazzandolo, verso unaa razionalità diffusa, liquida, e il mondo degli affetti naturali, della terra e dei riti.
Il risultato di questo confronto è straniante, perché Pasolini, nel pieno della sua poetica, non lesina gli strumenti della sua cinematografia: lunghi silenzi, musiche ricorrenti e intimamente legate ai personaggi, paesaggi pensosi e desertici, sino alla prolessi della conclusione del film, capace di annullare la ricerca dell'originalità della vicenda, incentrando la riflessione sulla modalità di sviluppo della stessa. Nota al margine per Maria Callas nel ruolo di Medea, a suo agio nel ruolo della maga orientale, sfinge inespressiva nell' odio e nell'ordito dei suoi piani, passionale e pura nell'amore.
Un film difficile, consigliato ad un pubblico attento, colto e consapevole.

domenica 24 marzo 2013

Fahrenheit 451, Ray Bradbury e Francois Truffaut

Se due grandi del loro genere si uniscono per una collaborazione, non per forza e non sempre ne viene fuori un buon prodotto. Questo perché i due grandi in questione possono avere vedute molto discordanti, personalità talmente forti da giungere ad un interminabile scontro. Così non è, per fortuna, per quel che riguarda Fahrenheit 451, trasposizione filmica diretta da Truffaut del famoso libro di Ray Bradbury.

Il libro di Bradbury presenta, come tutti sanno, una città futuribile in cui la letteratura è divenuta illegale e proibita, tanto da rendere comune le pratiche di roghi pubblici dei libri o gli arresti per chi venisse colto a leggendo possederne. Un mondo quindi senza memoria e senza informazione, in cui tutto ciò che si conosce è ciò che la Grande Famiglia, il governo dispotico, concede di sapere. Un mondo quindi in cui il bombardamento d'informazioni è pilotato, tanto da anestetizzare il senso critico della gente.

In questo mondo il risveglio civile coincide con la volontà di trasgressione, con la volontà di conoscenza. Trasgredisce qui non chi fa uso di eccitanti o tranquillanti, ormai l'unico strumento per vivere e provare emozioni in una società lobotomizzata dalla televisione, ma al contrario chi ricerca il suo tempo, chi accoglie il bisogno del silenzio e dello spazio personale, della lettura come atto di conoscenza.

Truffaut riesce a pieno a rendere questo mondo di Bradbury, fra le mille citazioni libresche e il bisogno assillante di mettere in luce un'esigenza, quella della riflessione sulla trasmissione delle informazioni, della memoria e del senso critico nel mondo contemporaneo. La domanda, vedendo oggi questo film o leggendo oggi il romanzo, di fronte ad una società sempre più liquida e bombardata da informazioni spesso di dubbia fonte, sia tra la carta stampata che dalle tv e dalla rete, la domanda, dicevamo, è quale sarebbe la riscrittura oggi di Fahrenheit 451. È il libro oggi destinato a sparire o, peggio, è l'atto di conoscenza critica che sembra sempre più lontano dai nostri orizzonti?

giovedì 21 marzo 2013

La letteratura è la mia vendetta, Claudio Magris e Mario Vargas Llosa

Di rado si ha la possibilità di leggere una perorazione tanto appassionata della letteratura, come in questo esile volume edito dalla Mondadori nella collana Libellule. Anche perché di rado si può assistere al dialogare di un premio Nobel come Llosa e una fonte continua di spunti qual è Claudio Magris. E così nelle purtroppo poche pagine di questo libro i due autori discutono di alcuni spunti, a cavallo in realtà tra letteratura e politica (in tutto ciò il titolo del volume sembra cadere un po' a sproposito), alternandosi in acute analisi sulle specificità del romanzo, il tema del viaggio, il tempo del racconto e il tempo della vita, sino all'attualita della politica e ai nuovi populismi.

Il romanzo è stato il genere più censurato, perseguitato e proibito. Senza eccezioni. Nelle dittature religiose, nelle dittature politiche, di estrema destra o di estrema sinistra, compaiono sempre la censura, i tentativi di controllare il mondo della fantasia, dell'invenzione. Come se tutti regimi vedessero nella letteratura un pericolo per la loro esistenza. E non sbagliano. C'è un rischio nel lasciare che una società produca letteratura e s'impregni di letteratura. Una società impregnata di letteratura è più difficile da manipolare da parte del potere, è più difficile da sottomettere e da ingannare, perché l'inquietudine con cui torniamo nel mondo dopo esserci confrontati con una grande opera letteraria crea cittadini critici, indipendenti e più liberi i quanti non vivono quell'esperienza.

Claudio Magris in particolare ci delizia qui con alcune delle più belle pagine sul valore della letteratura come forma d'interpretazione di quanto c'è di insondabile nella vita, sino alla scoperta, alla messa in luce di demoni che l'autore stesso non può sapere di avere in corpo, qualcosa che risulta ignoto alla razionalità della saggistica ma che esprime una parte, non la sola, certo, dell'essere umano. È in questa sua profonda e quasi inconscia funzione conoscitiva che la letteratura si fa nemica di ogni forma di ignoranza e sfruttamento.

Già in Omero, d'altronde, Ulisse ritorna sì a Itaca, ma per ripartire un'altra volta, come dice nella scena mirabile in cui - dopo l'orribile, vittoriosa e sanguinosa conclusione del suo ritorno - c'è quell'indimenticabile colloquio coniugale tra lui e Penelope [...] Gli Ulissi che ci ha dato la letteratura post-omerica - non solo Dante, ma tanti altri autori - sono quasi sempre invece personaggi che si perdono per stada, che diventano altri rispetto a se stessi, che non riescono (o non vogliono) ritornare a se stessi. Ogni odissea pone la grande domanda: se si attraversi la vita diventando ancora più se stessi, cioè trasformandosi e cambiando ma restando fedeli alla propria identità, oppure se ci si perda e ci si snaturi.

il personaggio di Ulisse fornisce alcuni dei più bei spunti del volume, e sicuramente i due autori trovano nel tema del viaggio un argomento congeniale. Ulisse nelle sue mille incarnazioni e nelle sue infinite declinazioni reca con se la meraviglia della scoperta e il bisogno di pace, l'anelito all'ignoto e il desiderio del ritorno. Nel suo cantarsi ed essere cantato Ulisse rappresenta la scrittura che si fa riscrittura del reale, mentre essa stessa entra a farne parte, in un gioco modernissimo e vecchio di migliaia di anni, come dice Llosa

Una cosa affascinante dell'Odissea è che Ulisse non solo vive le sue avventure, ma le racconta due volte: alla corte dei Feaci e a Penelope. E le racconta in modo che ci siano contraddizioni con i fatti che gli sono accaduti, cosicché nel poema c'è un elemento di fantasia che rappresenta ciò che è la letteratura.

iIl tempo, un altro dei grandi temi della letteratura mondiale, viene analizzato dai due autori con commenti di suggestiva bellezza, così lo spazio della letteratura diviene composto di tempo impuro, come lo chiamava Svevo, un tempo in cui

Vivo adesso ricordandomi di qualcosa di passato, che non è solo un ricordo, come ad esempio un numero di telefono, ma è qualcosa (un evento, una passione) che cambia e mi cambia, nel momento in cui lo sto ricordando, rendendomi un po' diverso e diventando esso stesso un po' diverso nell'istante in cui lo integro nuovamente in me, mentre al tempo stesso io mi proietto nel futuro sporgendomi in avanti e portandomi dietro cose lontane divenute nuovamente vicine e quindi, in una certa misura, un po' differenti.

Un tempo che è come un utero, le cui dimensioni sono diverse a seconda di quello che contiene, ma è sempre realtà, non metafora. Un libro ricco, quindi, questo di Magris e Llosa, che riavvicina alla bellezza della letteratura guardandola un po' da lontano, ma sempre con un occhio vigile e innamorato.

mercoledì 20 marzo 2013

Roberto Bolaño, Amuleto


Amuleto di Roberto Bolaño è un libro che colpisce per la sua profondità, per la sua immediatezza linguistica, per la sua ricchezza lessicale e sintattica. Tra i passi e le parole della mancata scrittrice Auxilio, la madre di tutti i poeti messicani, come essa stessa si definisce, scorgiamo il fiorire e l'appassire di una generazione di sudamericani, ma non solo.

Dicevamo della ricchezza lessicale e linguistica. Difatti è la lingua di Bolaño che colpisce al primo impatto, con il suo periodare così fluido, così spesso nella subordinazione e ad un tempo agile alla comprensione. Si tratta del periodare del grande narratore che con assoluta padronanza riflette sui fatti di una gioventù perduta che fra le parole di speranze mai nate si perde e che nelle strettoie e nel peso di un passato autoritario si vede morire.

E li sentii cantare, li sento cantare ancora adesso che non sono più nella valle, piano piano, appena un mormorio quasi impercettibile, i bambini più belli dell'America Latina, i bambini denutriti e quelli ben nutriti, quelli che avevano avuto tutto e quelli che non avevano avuto niente, che canto meraviglioso usciva dalle loro labbra, che meraviglia anche loro, che bellezza, benché stessero marciando spalla a spalla verso la morte, li sentii cantare e diventai pazza, li sentii cantare e non potei fare niente per fermarli, ero troppo lontana e non avevo la forza di scendere a valle, di mettermi in mezzo al prato e dr loro di fermarsi, perché stavano marciando verso una meta certa. L'unica cosa che potei fare fu alzarmi in piedi, tremante, e ascoltare fino all'ultimo sospiro il loro canto, ascoltare sempre il loro canto, perché loro vennero inghiottiti dall'abisso ma il canto rimase nell'aria della valle, nella foschia della valle che al tramonto risaliva le pendici e le vette.


Auxilio, la donna che da sola, inaspettatamente e senza eroismi, resiste asserragliata nei bagni dell'università di Città del Messico mentre la polizia reprime i moti del 1968. Auxilio che nel suo nascondersi viaggia fra passato e presente, incontrando le speranze della poesia e dell'arte messicane e sudamericane, ne vede le cadute, ne osserva il maturare ed il perdersi. Nelle storie, passate, presenti e future che di volta in volta si parano davanti alla protagonista o in cui è coinvolta, dicevamo, scorgiamo tutta una generazione di sudamericani. Quella generazione che, tra gli anni 60 e gli anni 70, ha contestato la cultura ufficiale, ha aperto le porte alle nuove ondate, ai nuovi movimenti letterari, alle avanguardie. Una generazione che spesso ha concluso la sua parabola nella polvere dell'oblio o, anche peggio, fra le poltrone di una borghesia sempre pronta a snaturarla e a renderla inoffensiva. Eppure una generazione che, nella lingua rigogliosa di Bolaño, ha avuto il coraggio di esprimersi, di raggiungere l'inferno delle fogne pur di essere se stessa, anche a costo di sconfinare, di essere apolide, di precipitare nell'oblio di una valle inesistente e di perdersi fra le lettere di un canto mai nato.


Pensai: malgrado tutta la mia astuzia e tutti i miei sacrifici, sono perduta. Pensai: che gesto poetico distruggere i miei scritti. Pensai: sarebbe stato meglio ingoiarli, ora sono perduta. Pensai: la vanità della scrittura, la vanità della distruzione. Pensai: è perché ho scritto che ho resistito. Pensai: è perché ho distrutto quello che ho scritto che mi scopriranno, mi picchieranno, mi stupreranno, mi uccideranno. Pensai: i due fatti sono collegati, scrivere e distruggere, nascondersi ed essere scoperta. Poi mi sedetti sulla tazza e chiusi gli occhi. Poi mi addormentai. Poi mi svegliai.

sabato 16 marzo 2013

Ernest Hemingway, Fiesta

Approcciarsi a Fiesta di Ernest Hemingway a tanti anni dalla sua pubblicazione non è operazione delle più semplici: le differenze culturali, il tempo che è trascorso, un intero mondo che è andato sempre più a sbiadire insieme agli ultimi scampoli del XIX e del XX secolo. Eppure questo romanzo ha ancora qualcosa da dirci, qualcosa che colpisce in profondità la sensibilità dell'uomo contemporaneo. Nella storia di Robert Cohon, di Jake, di Brett, nel loro vivere senza meta per un'Europa che ignora i suoi conflitti interiori, nello scorrere delle pagine tra un'ubriacatura e l'altra, nell'assenza di senso di vite che cercano in vano di trovare un perché in rapporti sempre più contorti e approssimativi, in cui le finzioni si accavallano ai non detti, in tutto ciò sentiamo l'eco modernissima di una generazione, la nostra, che ha scoperto a sue spese di avere nuovamente vissuto nell'inconsapevolzza, di aver volutamente tenuto gli occhi chiusi, vivendo per il semplice motivo dell'essere vivi, accettando tutto, cercando qualcosa che apparisse prima ancora di essere. Nell'amore di Brett e Jake, nell'impossibilità di questo rapporto si rispecchiano tutti gli amori impossibili di tutte le gioventù allo sbando e lasciate a se stesse nel loro essere miseramente gaudenti. C'è qualcosa di esiziale nella rappresentazione di questa gioventù. I protagonisti di questo romanzo non hanno la forza intellettuale e spirituale per chiedersi se, al di là del loro sollazzo superficiale, ci sia qualcosa in più. La sofferenza emerge a sprazzi: nell'apatia di Robert, nel correre tra le braccia di ogni uomo di Brett, nel bisogno dell'alcol di Mike, persino nell'apparente serenità di Jake. Tutto parla di qualcosa di non detto, di qualcosa che si respira nell'aria ma ancora non ha un nome, qualcosa che si prefigura nella decadenza dell'unica esseza ancora realmente innocente, la fiesta di Pamplona. L'amaro specchio di una gioventù che di lì a poco avrebbe conosciuto la consapevolezza della morte e della dittatura.

giovedì 14 marzo 2013

Tanto gentile e tanto onesto pare. Pare.

Vedete il signore ritratto qui sopra, bene, questo è l'arbitro della politica italiana. Sì certo, in realtà lo sono per lui i suoi parlamentari, perché, sapete, lui non è eleggibile. Una storia come tant, un incidente, una famiglia rovinata, non la sua, una condanna penale, e il gioco è fatto. Non di meno il signore qui sopra, Beppe Grillo, con il suo movimento tiene in scacco il parlamento italiano pressoché da quando alle elezioni ha raggiunto circa il 25% dei consensi.
Come? Beh, è bastato sfruttare l'ondata d'indignazione che ha pervaso il paese, per carità, giustamente, dopo un ventennio, quello berlusconiano, di mala politica. I desideri e le paure di generazioni allo sbando sono state interpretate da un esperto di media come il fido Casaleggio e da un comico carismatico come Grillo in un programma inconsistente, a tratti persino pericoloso. Come nel caso della sanità, predicando l'abolizione della vaccinazione obbligatoria per i bambini, o come nel caso della scuola pubblica, dove si accavallano un'accozzaglia di idee iperliberiste come l'annullamento del valore legale dei titoli di studio o il giudizio degli alunni sui docenti come base dei finanziamenti alle scuole.
Un movimento che del resto fa della propaganda in rete il suo cavallo di battaglia, forte dell'ignoranza Italica sul media. Quanti sanno che solo il 60% degli italiani ha accesso alla rete? Peggio ancora, in quanti hanno una seppur minima educazione nella ricerca delle fonti in rete? Ben pochi davvero, e così ciò che Casaleggio e Grillo dicono sul blog diventa legge, dogma, incontestabile. Un mantra che viene ripetuto fino alla nausea dall'armata brancaleone dei parlamentari a cinque stelle, salmodianti in coro la litania dell'approvazione delle leggi che seguiranno esclusivamente il loro non-programma.
Intanto da quasi un mese l'Italia è allo sbando, senza un minimo di prospettiva, con questa varia congerie di capacità, e incapacità, che non sembra essere disposta ad assumersi la responsabilità di governo se non come forza unica in parlamento, come se elezioni non contassero nulla, lasciando nel caos un paese che ha bisogno urgente di essere governato.
Al mio paese, Misterbianco, il più grande datore di lavoro, la multinazionale Almaviva, sta per dichiarare 650 esuberi, probabile primo stadio di una chiusura definitiva, con un totale di quasi 3000 dipendenti licenziati nel catanese e altrettanti nel palermitano. Nel silenzio dei grillini, o della spalla Crocetta, buoni fino ad ora solo a piazzare colpi ad effetto e norme dal profilo demagogico, a nominare una ragazzetta alla formazione e un parolaio alla cultura, a rifiutare un finanziamento ai partiti che a loro non spetterebbe, come se questo potesse risollevare l'economia della nostra terra.
Ecco, se i grillini e chi per loro, dopo tante parole, ci volessero anche degnare di concludere qualcosa, non per il loro bene, non per pretendere la guida di questa o di quella camera, nel peggior stile della politica italiana, volessero smettere di rilasciare dichiarazioni a cazzo ai giornali stranieri per lamentare il fango mediatico italiano quando vengono smascherate le puttanate che dicono, ecco, se volessero comportarsi un minimo responsabilmente invece di riempire inutilmente gli articoli dei giornali, se volessero informarsi sulle cose reali anziché dipendere da un blog che, è evidente, come nel caso dello statuto dei cinque stelle che nessuno di loro conosceva, li ha presi per il culo assai gioiosamente, insomma, se volessero far ciò per cui sono stati eletti, l'Italia cortesemente ringrazierebbe.

Quando chiamate i servizi clienti


venerdì 8 marzo 2013

Contro il dogmatismo grillino

Quindi, ricapitoliamo: tutto quello che Grillo dice è legge, indubitabile e incontestabile. Se Grillo dice che occorre indagare sui soldi della casta, intende che bisogna indagare solo sugli altri, non su di lui. Se Grillo dice che i deputati e i senatori devono essere preparati e competenti, si riferisce ai parlamentari altrui, non ai suoi. Se Grillo dice che l'azione dei parlamentari deve essere trasparente, si riferisce ai parlamentari altrui, non ai suoi, che non devono partecipare ai talk show né rilasciare interviste ai giornali. I giornali del resto non devono permettersi di parlare dei grillini perché sono tutti in malafede e al soldo della casta. Se i giornali contestano ciò che Grillo e Casaleggio affermano, i giornali non controllano le loro fonti mentre tutto ciò che viene dalla rete è a prescindere corretto, proprio perché fabbricato dalla rete. Se Grillo dice che i finanziamenti pubblici sono uno scandalo, ha insindacabilmente ragione, mentre i suoi finanziamenti poco trasparenti e l'aver inaugurato un sistema capitalistico di finanziamento utilizzando le pubblicità di google, questo è lecito e onesto. Se Grillo usa la violenza contro gli oppositori o contro chi semplicemente gli rivolge domande, si tratta di insopportabili attacchi contro il movimento. Se Grillo minaccia la violenza se il resto dei partiti non seguiranno i ricatti del movimento, si chiama coerenza e onesta politica, e anzi è Grillo ad averci salvato dalla rabbia che ha fomentato. Se Grillo si rifiuta di condividere le responsabilità di governo assieme agli altri partiti, causando l'ingovernabilità, si chiama coerenza.

Cronaca di una gita: day three

Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade

Ho tanta
stanchezza
sulle spalle

Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare.
-- Giuseppe Ungaretti, Natale
La città delle immagini, dove antico e moderno si rincorrono in un susseguirsi di forme e di luci, dove tutto scorre senza tempo. La città delle luci e delle ombre, delle epifanie, delle conversioni. Colonnati e marmi incorniciano la fede e la violenza, i gladiatori sono gli eroi, come i santi, gli imperatori delle sacre famiglie che sverginano suore e vestali. Tutto è bene e male nella Roma dei papi e dell'Impero, perché bene e male non sono che lo stesso scudo osservato da troppo vicino o troppo lontano, mentre il futuro della città compare come una conversione tra i sogni di Enea e le croci di Pietro. E su tutti un letto di spine d'acacia.

giovedì 7 marzo 2013

Cronaca di una gita: day two

La città come strati, in un incredibile addensarsi di memorie, vite. Il tempo che trascorre lascia solo macerie e non conoscerai, viaggiatore, la vera potenza di Sparta quando di essa troverai soltanto i ruderi.
C'è qualcosa che rende inquieto intercettore moderno osservando sacro e profano che si mescolano nel generare alcune delle più belle opere della storia, ed in queste lo scatto di vita dell'artista che, di nascosto, segna nel tempo la sua esistenza, il suo spirito, le sue idee. Quante volte passeggiò Socrate fra le strade di Atene insieme a Platone, Alcibiade, Crizia e tutti gli altri suoi discepoli? Quante volte Diogene urlò cercando un uomo? Forse che lo si potrà trovare solo dove lui non v'è più?                    

martedì 5 marzo 2013

Cronaca di una gita: day one

Sono le quattro del mattino, la sveglia suona, la colazione rapida e poi via, sotto la doccia. La partenza si avvicina.
Il treno delle cinque e trenta viaggia puntuale ed è incredibile scoprire quanta gente viaggi verso Milano a quell'ora. Il cambio e poi via verso Lodi, in attesa di un Intercity che, in sei ore, ci porterà a Roma.
Arriviamo alle tredici, già devastati: dopo aver scaricato i bagagli, ci incamminiamo verso il museo dell'Ara Pacis. L'edificio, eccessivo, soverchia la classica e un po' retorica bellezza del monumento, sminuendola.
Camminando per la città si rimane estasiati per la barocca bellezza della Roma dei papi, per i millenni di storia che si rincorrono e accavallano, per il caos calmo di una città maestosa e sonnolenta, in cui le memorie si stratificano senza cancellarsi, le nature si mischiano in una Roma caciarona e raffinata, inno alla decadenza e alla vita.
Semplicemente meravigliosa, come la volta del Pantheon e le sue leggende, come la fontana di Trevi e le sue forme, come le mille piazze e le scalinate di Piazza di Spagna.
Insomma, Roma

venerdì 1 marzo 2013

Uno vale uno di 'sta m...

Gli uomini di scienza sanno che ci sono due modi per interpretare il mondo, ovvero partire dal semplice per tentare di comprendere il complesso, oppure partire dal complesso, semplificarlo in segmenti via vis sempre più semplici. Entrambi i metodi sono rischiosi e si prestano a banalizzazioni e strumentalizzazioni, e tuttavia, se adoperati con le opportune precauzioni, entrambi sono fruttiferi. Il loro rischio è però evidente: la mistica, un complesso irraggiungibile o la semplificazione mistificatoria di ciò che semplice non è. Che si tratti dell'ideologia, il mercato come il marxismo, o la demagogica convinzione che per guidare uno stato basti una massaia, queste categorie sono almeno in parte riutilizzabili anche in politica, in letteratura, persino per analizzare questo blog.
Quando i Greci, 2500 anni fa inventarono la democrazia, avevano ben chiaro una cosa: c'è differenza fra democrazia e demagogia. La democrazia sin dai suoi albori è quel regime politico in cui tutti hanno libertà, diritto e dovere di voto, libertà e diritto di parola, ma in cui le competenze vengono riconosciute. Ecco che, in democrazia, se dovrò eleggere i rappresentati li sceglierò consultando il numero più alto possibile di elettori, che voteranno liberamente sulla base dei loro interessi, delle loro idee, del loro credo.
In democrazia però uno non vale sempre uno: ci sono occasioni in cui a decidere non è la maggioranza, ma il più competente. Non credo che a qualcuno potrebbe venire in mente di far scegliere il sito per una centrale nucleare ad un pastore, se ha a disposizione un ingegnere o un fisico per prendere la decisione. Allo stesso modo, pur vivendo in democrazia, non sono gli alunni a decidere cosa si studierà oggi, ma il docente, perché più competente. Non sono gli operai in fabbrica a suggerire cosa produrre, ma gli esperti di marketing. Non è il paziente ad operare, ma il medico. Non sempre, per fortuna, uno vale uno.
Nel motto oltranzista dell'uni vale uno, cavallo di Troia del M5S per espugnare il Parlamento, possiamo ora leggere ampi tratti di demagogia. Il risultato è che, come già a Parma, una masnada di incompetenti nel diritto sederanno ora alla Camera e al Senato, decideranno per tutti, pur non rappresentando nessuno. Vorrei sapere come fa a rappresentarmi una studentessa venticinquenne, non ancora laureata, non avendo fatto esperienza del mondo del lavoro. Il suo uno non vale uno, non può valerlo, vale in realtà di meno dell'uno dell'insegnante che ancora la sta formando, per esempio, e che quindi si presume sia più competente di lei.
L'amministrazione di Parma ha dovuto prendere ripetizioni di diritto, per dirla cordialmente, prima di accorgersi di non poter realizzare gran parte del suo programma. Crocetta in Sicilia occhieggia in maniera imbarazzante a questa demagogia, a questo populismo. E in questo non c'è nulla di diverso ontologicamente dal troiaio berlusconiano, in cui la scelta, la cooptazione, almeno avvenivano per altri meriti, quelli a letto. Almeno il mignottificio di Berlusconi qualche abilità, squallida e degradante, ce l'aveva.
Qui invece ci troviamo di fronte a gente che ha portato avanti delle istanze spesso irrealizzabili, cooptati da Grillo, senza una linea comune, senza voce in capitolo sulle decisioni da prendere in Parlamento. Un bel nugolo di nulla insaporito dalle urla genovesi e dalla caciara di chi, pur essendolo da anni, si vergogna di essere un clown.
Un losco figuro che già ha messo sotto scacco il paese, lo sottopone al suo ricatto. Sotto la maschera del moralizzatore tace il fatto che nel suo movimento è un despota, che non lascia libertà di espressione ai suoi adepti, che punta all'incasso lasciando per mesi l'Italia nella situazione di stallo in cui si trova per poi poter urlare ancora contro la casta e l'inciucio. Un politico che trae la sua forza da vent'anni di puttanate berlusconiane, che di esse raccoglie il peggio, senza lasciar vedere spazi di miglioramento o, quanto meno, lasciar intravedere la possibilità di ricredersi su questi giudizi.

The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....