sabato 30 agosto 2014

Quando si scrivono articoli senza informarsi, si rompe il cazzo. Libernazione e le parole a vanvera sulla scuola

Spiace constatare la serie di inesattezze di questo articolo di Libernazione, intitolato I precari della scuola hanno rotto il cazzo. o La scuola dei profughi
In primis non è vero che chiunque si iscriva nelle graduatorie ha diritto a passare in ruolo. Andrebbe specificato che ci sono diversi tipi di graduatorie, ovvero delle graduatorie per le supplenze brevi e brevissime, e delle graduatorie per gli incarichi annuali. Alle prime può accedere qualsiasi laureato, ovviamente avendo dato delle materie specifiche all'università, e solo nel campo delle sue discipline. Alle seconde si accede solamente previo tirocinio o, in passato, solo dopo aver frequentato una scuola di specializzazione biennale. In ambo i casi, tirocinio e scuola di specializzazione, sono previsti test preselettivi e prove finali. Inoltre si può avere la possibilità di ottenere il posto fisso vincendo regolare concorso pubblico, accessibile però solamente a chi ha la suddetta specializzazione o ha svolto regolarmente il già menzionato tirocinio. In nessun caso è prevista la possibilità per i semplici laureati di poter ottenere il posto fisso. Cosa che, molto banalmente, implica che non basta mandare un curriculum per pretendere un posto a tempo indeterminato, anzi, occorre una discreta specializzazione, comparabile comunque alla competenza richiesta nei mestieri ad alto grado di specializzazione. Semmai il problema sta altrove, ovvero nell'assoluta mancanza di controlli DOPO questo primo importante gradino. Di fatto, dopo l'assunzione, non c'è più alcun controllo sul lavoro svolto dai docenti né, in pratica, esiste la possibilità del licenziamento. Ma questo, malgrado l'approssimazione del vostro articolo, non c'entra nulla con il fatto che i precari hanno rotto il cazzo.


giovedì 28 agosto 2014

Uninettuno e i Mooc in italiano

Fa piacere segnalare una buona iniziativa italiana. Tante volte ho parlato di MOOC e di come questi strumenti siano poco diffusi nel nostro paese. Ecco che nell'ambito del progetto OpenupEd Uninettuno propone una serie di MOOC molto interessanti, divisi per ambiti disciplinari. Non resta che sperare che questa pratica didattica e di aggiornamento si diffonda sempre di più anche nel nostro paese.
A seguire la pagina per accedere ai corsi e procedere all'iscrizione

http://www.uninettunouniversity.net/it/MOOC.aspx

foto: Cowinning.it

Tre miliardi che non sono tre miliardi, La7 e i 100.000 precari della scuola

Parlando della riforma che non c'è, quella della scuola, di cui tutti parlano ma di cui ancora non si sa nulla, anche una emittente in genere seria come La7 ieri ha dato dei numeri quanto meno approssimativi. Discutendo infatti della possibile assunzione a tempo indeterminato per 100.000 precari della scuola, l'emittente di Cairo nel suo telegiornale condotto dal bravissimo Mentana ha strombazzato un importo complessivo necessario di quanto meno 3 miliardi di Euro. Tanti, senza dubbio, però occorre capire di che stiamo parlando.

Quando parliamo di  100.000 precari della scuola, i cosiddetti precari storici, parliamo di gente che nella scuola già lavora, e con continuità. Una continuità tale, superiore ai 36 mesi di lavoro continuativo, per cui rischiamo già una multa dall'UE di 4 miliardi di Euro, senza che peraltro la multa risolva il problema.
Quando diciamo che questi precari lavorano con continuità intendiamo che nei loro confronti lo stato ha attuato un sopruso con la semplice finalità di risparmiare qualche lira: in pratica questi precari lavorano su posti effettivamente disponibili ogni anno, ma lo stato, da anni, anziché assumerli a tempo indeterminato, li assume con contratti che vanno dal primo Settembre al trenta Giugno, o al trentuno Agosto, in modo da non dover considerare i mesi estivi e gli scatti di anzianità.

Si tratta quindi di precari che già lavorano quanto meno 10 mesi all'anno, se non addirittra 12 mesi all'anno. Se è quindi corretto il calcolo che stima in 3 miliardi di Euro il fabbisogno per pagare gli stipendi di questi docenti, va detto che di questi 3 miliardi, 2 miliardi e mezzo vengono comunque già spesi per pagare i precari. E allora, non è più conveniente, oltre che più giusto, procedere a queste assunzioni su tutti i posti disponibili, anziché incorrere in una multa da 4 miliardi di Euro senza peraltro risolvere il problema?

foto: La7.it

Tutti a parlare di scuola

Una considerazione molto poco professionale: mi farebbe piacere che tutti i colleghi che spuntano come i funghi quando si parla di reclutamento, scatti di anzianità e graduatorie, sui forum piuttosto che sui gruppi di discussione su facebook, si ricordassero di essere docenti anche quando c'è da dibattere di didattica, aggiornamento, nuove metodologie. Perché, guarda caso, quei topic piuttosto che quegli interventi vengono sempre analizzati e commentati dai soliti noti, mentre di graduatorie siamo tutti espertissimi.
Per dire, se poi ci trattano a pesci in faccia magari è anche colpa nostra.


venerdì 1 agosto 2014

Una cosa spiacevole che continuerò a fare

Al bancone del check-in non c’è ancora nessuno ma la fila ha già iniziato a formarsi, istintivamente, quando sui display è comparsa la scritta che dava, per il volo AP8079, semplicemente l’indicazione 34-35.
Iniziamo ad essere in tanti ai banconi 34 e 35, tutti fermi, immobili, accaldati. L’aria condizionata è spenta, o forse è la folla a renderla inutile. Un cagnolino soffre rinchiuso nella sua gabbietta, tenta di aprirla con la zampetta, guarda con occhi pietosi i passanti.
La fauna locale è varia: stranieri in pantaloncini dai colori pastello, l’ingegnere con il maglioncino leggero addosso, ad Agosto; le famigliole con figli a seguito, sudacchiati, gli imprenditori o presunti tali in giacca e cravatta, ad Agosto, gli insegnanti al rientro ai paesi, con le facce smunte e in piena crisi d’astinenza dalle graduatorie.
Sopraggiunge una donna, sarà sulla quarantina. Indossa dei pantaloncini di jeans, abbastanza corti, ma è bassa, non mettono in luce chissà che gambe. La scollatura è vistosa, ad angolo, evidenzia due seni prominenti. Tutti gli uomini la notano, con nonchalance si voltano per osservarla. Un tizio, alto, sul metro e novanta, la osserva compiaciuto guardando verso il basso, nel mentre si massaggia la barba curata. Il suo volto è scuro di carnagione, ha delle profonde occhiaie e dei capelli ricci che incorniciano degli occhiali in osso. Suda, tanto, mentre attende l’apertura del check-in.
Una donna si sposta più in là, esce dalla fila, sempre più lunga, per portare a spasso la figlia. La bimba ha bisogno di andare in bagno, ci tiene a che tutti lo sappiano. Al suo ritorno la donna scopre che la fila finalmente ha iniziato a muoversi, ha iniziato a comporsi in un bivio fra coloro che, seguendo il loro intuito, hanno scelto di dirigersi verso un bancone piuttosto che l’altro, sperando che l’hostess possa essere la più rapida. Poi c’è qualcuno che tenta, di tanto in tanto, di saltare la fila. Lo fa con le scuse più banali, chiede se quella è la fila dei soli bagagli a mano, millanta improbabili ricongiungimenti familiari con persone indistintamente più avanti nella fila. Ma siamo una coorte granitica, non facciamo passare nessuno, neanche i vecchi e i bambini. Arrivato il mio momento attendo dietro la linea gialla, la linea che mi separa dalla libertà dai venti chili del mio bagaglio. L’hostess mi guarda con faccia annoiata, immediatamente mi squadra, mi chiede insegnante? Evidentemente ce l’ho scritto in faccia, forse è l’andatura, il silenzio religioso, non lo so. Annuisco mentre dentro di me mi domando se rivedrò mai più il mio bagaglio, la domanda mi seguirà per tutta la durata del viaggio.
L’aereo ritarda la partenza: ci dicono un’ora, che diviene un’ora e trenta, poi due ore. Nel frattempo siamo sudati, tutti. L’odore del nostro corpo inizia a farsi sentire sempre di più, intanto ci aggiriamo come zombie per i duty free, cercando chissà quale meraviglia. Ne usciamo con dei pacchetti di chewingum e qualche copia dei quotidiani, senza neanche il pudore per nascondere che la prima pagina che cerchiamo è quella dello sport. Poi ci sono quelle che comprano le riviste di gossip, ma tu con quelle non riesci proprio a legare. Senti una signora che parla al telefono, citando un articolo su Torquato Tasso che ha appena esaminato al computer: speri che sia la tua vicina sull’aereo, ma sai che ovviamente non sarà così.
Quando le hostess, di nuovo loro, si avvicinano ai cancelli per l’imbarco, non c’è una fila ordinata. Non sappiamo già più cos’è l’ordine. Si forma un cuneo, un triangolo la cui area è stracolma di persone che hanno solo voglia di partire. All’avviso che prima verranno imbarcati gli utenti premium, poi le famiglie, qualcuno mugugna, altri fanno finta di non capire. C’è chi si inserisce strada facendo nella folla, scattando all’ultimo, sgomitando un poco, acquistando una posizione favorevole per sé e il suo bagaglio a mano. Fuori il cielo è limpido, ma sotto la cappa delle vetrate, in quell’ammasso indistinto noi avvertiamo solo il caldo. Giungo sulla navetta che è già mezza piena, comunque riesco a trovare un minimo appoggio visto il mio equilibrio precario. Il signore con il seggiolino ripiegato invece no, lui non si appoggia, crolla ora a destra ora  a sinistra, dando colpi di rotelle ora da un lato ora dall’altro.
Il mio compagno di viaggio è un tipo ansiogeno: dal momento in cui si è allacciato la cintura non ha smesso di muoversi. Tenta di dormire, cambia posizione, si appoggia al gomito, guarda dal vetro, controlla la posizione del sedile, controlla la posizione del sedile davanti, ruota a destra la manopola dell’aria condizionata, si spinge sulle gambe per guardare in avanti, guarda il tablet spento che tengo in mano, si spinge sulle gambe per guardare indietro, ruota a sinistra la manopola dell’aria condizionata, cerca con le mani il giubbotto salvagente. Alla partenza lo vedi allarmato per il rumore del motore, ma lo sarebbe lo stesso, a ragione, se il motore non facesse rumore. A cinque minuti dal decollo ha già perso due chili in sudore ed è riuscito a farmi passare la poca voglia di socializzare. Mi volto e mi accorgo che il tizio seduto oltre il corridoio, l’ingegnere con il maglione e delle infradito in pelle, ci fissa con sguardo vitreo. Immobile, non distoglie mai lo sguardo, sempre fisso su di noi. O è morto, o ci vuole morti.
Mi annullo leggendo per due ore pur di non strozzare il mio vicino che, nel frattempo, ha finto di dormire cinque volte, ha letto assieme a me qualche pagina del mio libro, ha studiato con cura il posizionamento del personale di bordo, delle uscite, degli altri passeggeri.
Arriviamo, e chissà perché, scatta l’applauso. Come se l’atterraggio non fosse previsto nel costo del biglietto, fosse un gentile omaggio della compagnia. Non provi neanche più a farlo notare, hai perso le speranze. Alcuni credi che non ti capiranno, non perché stranieri ma perché per tutto il viaggio hanno parlato in dialetti arcani. Appena le ruote hanno toccato il suolo hai sentito i primi cellulari squillare sì mamma, siamo atterrati, sta parcheggiando, liberatemi, vi prego.

Sto aspettando da tre quarti d’ora la valigia al rullo, ci danno in consegna assieme ad un volo che viene da qualche località esotica; io arrivo dalla Pianura Padana, già mi faccio abbastanza schifo da solo, c’è bisogno di ricordarmi che qualcuno ha i soldi per andare a Cuba o in Thailandia?
Il bagaglio non arriva, il tizio che era seduto vicino a me cammina come un ossesso scippandosi i peli della barba e i capelli, immagina la sua valigia chissà dove. Siamo accalcati al rullo per paura che qualcuno si prenda il nostro bagaglio anche se questo rischio non lo corriamo, il rullo continua a rimanere implacabilmente fermo. Uno straniero intona The lion sleeps tonight mentre un anziano accanto a me imbraccia uno smartphone più grande delle sue mani: inizia a messaggiare con qualcuno, fa risuonare una canzone dei Queen. Ma l’attenzione di tutti noi è sulla donna dai seni prominenti: durante il viaggio il suo seno si è liquefatto, nella sua scollatura è rimasto ben poco, tutti gli occhi sono su di lei mentre dubbi esistenziali si formano sui visi di ogni maschio presente. Il signore alto un metro e novanta continua a guardarla dall’alto in basso, in cerca di qualcosa che ormai non c’è più. La donna finisce per coprirsi, ad Agosto, con una sciarpa, pur di nascondere l’arcano, mentre dietro di lei il mio vicino di viaggio si dispera, ora per la scomparsa di quei seni, ora per la mancanza del suo bagaglio. Il vecchio si scatta un selfie, compiaciuto dell’esperienza, delle donne parlano dei colleghi che con i trasferimenti le scavalcheranno, il leone che piange ormai è un coro gospel, dei bambini piangono, delle mamme li rincorrono, quelle tette non ci sono più e il rullo è ancora fermo.

foto: Emirates.com

La sessualità nell'antichità

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/7/7f/Tomba_Della_Fustigazione.jpg

La sessualità nell’antichità viene spesso considerata in maniera indistinta e, altrettanto spesso, si ha la presunzione di credere che sia stata la modernità a scoprire la libertà sessuale e a conoscere pratiche e differenze sessuali prima ignote. In realtà questo pregiudizio va sfatato, e del resto, se ci fermiamo già solo all’antichità classica, numerose fonti epigrafiche, opere letterarie e opere d’arte ci mostrano un mondo ben diverso rispetto a quello che comunemente pensiamo.

Va subito detto che la sessualità, nel mondo antico, ha a che fare con i rapporti gerarchici e le pratiche religiose in maniera molto più evidente e onesta che nella nostra società.

Per quanto riguarda la sessualità nella pratica religiosa, l’astinenza rituale esiste anche nell’antichità, si pensi ad esempio alle vestali romane, ma, cosa ignota in epoca moderna, esiste anche una prostituzione rituale che coinvolge talora tutte le donne di una comunità: capita per esempio che le donne di determinate comunità debbano, in genere in relazione al culto di Afrodite, avere almeno una volta nella vita rapporti sessuali con degli sconosciuti, anche da sposate. In questo caso il rapporto sessuale non viene considerato un tradimento o un atto di per sé deprecabile.

Una più stretta relazione fra attività sessuale, procreazione e religione sarà invece tipica del Cristianesimo. Va chiarito che sappiamo che comunemente nel mondo romano le donne sposate praticassero il sesso anale come forma di contraccezione, per evitare gravidanze indesiderate; in epoca cristiana invece il tasso di natalità durante il matrimonio salirà notevolmente, almeno fino all’epoca della Rivoluzione francese e all’Illuminismo, quando, in relazione alla diffusione delle idee illuministe nelle diverse comunità, vedremo abbassarsi il tasso di natalità durante il matrimonio e contemporaneamente alzarsi il tasso di donne che arrivano al matrimonio avendo già dei figli, sintomo di una visione della sessualità più libera.

Quando si parla dell’antichità si fa una certa confusione tra omosessuatà, pedofilia e pederastia. La pratica omosessuale era comune nel processo di formazione dei giovani, sia per quanto riguarda i fanciulli che per le fanciulle. Questa pratica era in genere legata ai rapporti gerarchici, era quindi comunemente avvertico come cosa normale che chi si trovasse in una posizione preminente potesse nutrire desideri sessuali, e che li realizzasse, nei confronti dei suoi sottoposti, qualsiasi fosse il loro sesso. Così nei tiasi come nelle eterie gli adulti a cui erano affidati dei minori potevano normalmente praticare attività sessuali con questi: va notato che, nel caso dei maschi, la pratica della penetrazione anale non era diffusa, mentre si preferiva l’eiaculazione tra le gambe del minore. Veniva invece avvertita come una perversione l’attività sessuale in cui l’adulto avesse ruolo passivo.

Lo stesso rapporto gerarchico si istituiva in realtà anche nei confronti delle donne adulte nell’ambito della famiglia e nei confronti degli schiavi. Per questo motivo l’uomo poteva liberamente fruire della propria donna e dei propri schiavi senza destare scandalo, per quanto in realtà il matrimonio venisse avvertito come qualcosa di funzionale alla procreazione, alla prosecuzione della famiglia, della gens o della tribù, mentre il piacere dell’attività sessuale veniva ricercato, appunto, nel rapporto con gli schiavi, con donne libere o nella prostituzione.

L’attività sessuale non aveva un luogo dedicato: certo, nell’ambito della famiglia c’era un certo pudore, ma sappiamo per esempio che un’abitudione molto diffusa a Roma era quella di praticare il sesso di fronte a degli spettatori, durante o a fine cena piuttosto che nella propria intimità di coppia.

Per quanto riguarda le attività sessuali che non prevedono penetrazione, esse erano conosciute e praticate, per quanto anche in questo caso si ritenesse lecito che l’uomo o la donna libera ricevessero queste pratiche o le praticassero sempre in relazione alle loro posizioni gerarchice. Le prostitute come i corrispettivi uomini praticavano queste attività a tariffe piuttosto basse, spesso facendosi vanto delle loro abilità.

Non esisteva censura nei confronti dell’omosessualità, avvertita come qualcosa di naturale. La censura nei confronti della pratica omosessuale si data alla tarda antichità, quando, con il Cristianesimo ormai religione di stato, le abitudini sessuali subiranno una vera e propria rivoluzione

Johm Younger, “Sexual Variations: Sexual Peculiarities Of The Ancient Greeks And Romans” A cultural history of sexuality in classical world, 56-86

I fallimenti del presidente Matteo Renzi sono questioni culturali

Certe mattine ti capitano cose strane, come per esempio ascoltare l’onorevole Gasparri e dovergli dare ragione. Come questa mattina, quando ad Omnibus su La7 Gasparri sosteneva che a Matteo Renzi fino ad ora è mancata la capacità di mediare le diverse posizioni. Che sia stato un errore d’inesperienza, come sostiene Gasparri, o scelta politica, a noi non è dato saperlo. Il fatto è che Matteo Renzi ha preso il potere sulla base di un assunto: lui è il rottamatore, non ha bisogno del passato e dell’esperienza dei politici che l’hanno preceduto. Ragion per cui non ha bisogno di mediare. Mettiamo pure che la principale forza d’opposizione gli ha servito l’occasione sul piatto d’argento, dato che il M5S, che oggi si sveglia con Di Maio come forza parlamentare, ha sprecato un anno in una inutile e insulsa opposizione urlata e di piazza, senza spiragli di trattative. Insomma, il Parlamento italiano è stato un’accozzaglia di monologhi, di gente che non si ascolta e neanche si voleva ascoltare. Con buona pace di un Civati, sempre sottostimato in casa PD, un uomo che, se ascoltato di più, tanto avrebbe potuto dare al governo, in termini di mediazione con le altre istanze e in termini di contenuto.

Oggi Matteo Renzi, al di là del risultato delle elezioni europee, si trova ad un passo dal baratro, perché la sua riforma del Senato si scontra contro diversi ostacoli, in realtà tutti extraparlamentari. Solo il 2% della popolazione sa in che cosa consiste la riforma, la maggioranza preferirebbe piuttosto abolire questa istituzione e, se la si deve mantenere, piuttosto preferirebbe le preferenze alla elezione di secondo grado portata avanti dalla riforma. Per un uomo attento all’opinione del momento, come Renzi, questa potrebbe essere una situazione molto pericolosa perché, un’opposizione abile potrebbe fare esplodere la situazione mettendo in luce come, al di là delle apparenze, il primo ministro stia giocando le sue carte in termini che assomigliano sempre di più ai metodi della prima repubblica. Con buona pace della rottamazione.

Ci sono dei dati che sono sconfortanti, e non sono quelli economici, che sono disastrosi. Il fatto che solo il 2% della popolazione conosca la riforma costituzionale è di per sé un fatto grave che dovrebbe fare riflettere. Senza per questo addossare la colpa al primo ministro, anche se, in questo senso, la sua comunicazione ha fatto cilecca (bisogna anche dire che non entrare nel merito delle decisioni è tipico della sua retorica); una cosiì scarsa percentuale è indice dello scollamento tra il popoplo e le istituzioni, ma è anche indice della scarsa cultura sociale e istituzionale degli Italiani. Lo so, è un tema ricorrente dei miei post, ma se il 70% della popolazione non comprende un testo complesso, vuol dire che non è in grado di seguire il processo storico così complesso che ci troviamo di fronte; questa dovrebbe essere la prima questione nazionale e dovrebbe indurre tutti i responsabili ad un’attenta riflessione e alle relative assunzioni di colpa, partendo dalla politica, passando per le amministrazioni pubbliche, i media fino ad arrivare al sistema istruzione nei suoi primi artefici, ovvero gli insegnanti.

Del 30% della popolazione che potrebbe essere in grado di capire di cosa stiamo parlando, solo una piccolissima porzione ha seguito l’iter parlamentare della riforma, ha capito cosa è in ballo, cos’è l’ostruzionismo e perché questa pratica viene adoperata. Su sessanta milioni di abitanti, solo un milione e duecentomila persone.

Ora il primo ministro si vende mediatore sulla legge elettorale, apre alle preferenze. Ci si dimentica sempre che uno statista dovrebbe pensare in termini di lungo periodo, non in base ai sondaggi. Sono passati solo pochi anni da quando, con un referendum, le preferenze sono state abolite, e oggi che l’opinione pubbilca, più per stanchezza della propria classe dirigente che per comprensione delle implicazioni possibili, le pretende a gran voce, tutti si inchinano alla vox populi.

Il problema vero non sono le preferenze o le nomine, le elezioni di secondo livello o l’estrazione a sorte. Il problema sono i sistemi di pesi e contrappesi, il problema è che tutto il sistema istituzionale alla fine si regga su basi solide, democratiche, egualitarie e giuste. Ci sono diversi modelli, ma tutti devono garantire comunque non solo la governabilità o solo la rappresentatività, ma che tutto funzioni e che nessun potere prevalga. Saremo capaci di capirloo vivremo e moriremo di sondaggi?

L’altro dato sconfortante è la sostanziale sconfitta, almeno fino ad ora, di Renzi in Europa. Renzi, e la Mogherini con lui, sono stati sconfitti perché la retorica della rottamazione può forse funzionare in un paese, l’Italia, in cui la classe dirigente è stata storicamente inadeguata. Ma questa retorica è inspiegabile in Europa e di fronte a governi che hanno ben governato i loro paesi. Di fronte ad un’Olanda, una Germania, una Finlandia, una Gran Bretagna, non c’è motivo per cui una donna di scarsa esperienza come la Mogherini debba essere scelta come commissario, e questo è stato un errore politico, almeno fino ad oggi, di Renzi. Pensare che il resto del mondo ragioni e pensi come l’Italia è segno di provincialismo, essere incapaci di capire le situazioni e di adeguarsi alle nuove esigenze è segno di stupidità: Matteo Renzi, se vuole governare questo stato, ha l’obbligo di dimostrare che non è né l’uno né l’altro.



foto: formiche.net

Il fallimento dell’Argentina e “degli altri modelli possibili”

L’Argentina dichiara il default, certo per motivi di mera speculazione finanziaria o quasi, ma il dado è tratto. Perché l’Argentina, come l’Islanda, era stata vista come il modello possibile per chi si opponeva all’austerità senza se e senza ma della Germania e della UE, per chi considera il Fondo Monetario Internazionale come un organismo criminale. Intanto l’Argentina dichiara nuovamente fallimento, non è capace di pagare adeguatamente i suoi creditori.

Pensare oggi in un mondo globale di poter adoperare gli stessi stratagemmi finanziari di cinquanta, cento anni fa, è una mera illusione, demagogia. Non esiste più l’autarchia, nessuno è invulnerabile alle crisi altrui, nessuno può pensare di giocare con l’inflazione e la deflazione per fuggire l’economia fattasi rete.

E l’Italia? In Italia questa percezione manca: viviamo in un sistema di piccole imprese, di scarsa abitudine all’imprenditoria, nulla attenzione o quasi all’innovazione. Lo vediamo in ogni settore, passando dalle resistenze alle riforme dell’organizzazione statale, ai mile cavilli, all’arretratezza del sistema istruzione, fino alle piccinerie sindacali e industriali. Ma il dato sembra endemico, radicato nella mentalità italiana: in molti sembrano realmente convinti che sia possibile a breve termine un processo di deglobalizzazione; l’autarchia mussoliniana, già fallimentare negli anni trenta, applicata ad un’economia, quella dell’Italia contemporanea, intimamente e inconsapevolmente legata all’economia europea e a quella mondiale. Anche in questo caso, l’inconsapevolezza e l’incomprensione della situazione sono il reale problema della condizione italiana, la crisi economica ne è soltanto il sintomo più evidente.







foto: FOREXINFO

The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....