domenica 30 giugno 2013

La sindrome del novantesimo grado


Che l'Italia sia un paese strano lo sappiamo, non c'è bisogno di spiegarlo per l'ennesima volta. Ci sono tutta una serie di usi e costumi che ci contraddistinguono, in fondo sono parte di noi, senza di essi non sapremmo vivere.
Una di queste nostre abitudini io la chiamerei la sindrome del novantesimo grado. In pratica l'Italiano, abutiato da millenni di dominazioni, è del tutto inadatto ad immaginare un sistema democratico in cui si parli, si discuta, anche animatamente, e poi si decida a maggioranza. Sistemi in cui si rispettino i diritti delle minoranze, in cui si preservi la divisione dei poteri e la diversificazione delle funzioni.
No, noi non ce la facciamo: noi abbiamo bisogno di qualcuno che comandi per noi. A noi basta ubbidire.
E come scegliamo il nostro sovrano? Nel secondo secolo d. C. i Romani immaginarono un sistema che prevedeva la scelta dell'imperatore attraverso un criterio rigorosamente meritocratico, questi doveva essere il migliore possibile fra gli uomini. Decisamente noi questa abitudine l'abbiamo persa.
Noi preferiamo un'altra via, appunto, quella che, se fosse una patologia, chiameremmo la sindrome del novantesimo grado.
In pratica noi Italiani attendiamo il momento in cui i politici iniziano a spararla più grossa, a dire la cazzata sempre più evidente, a prenderci sempre più per i fondelli. Se ce n'è qualcuno che non lo fa, che predica la serietà, noi lo evitiamo, metti caso voglia rendere un paese serio l'Italia e porre davvero tutti i cittadini, ceti dirigenti compresi, di fronte alle loro responsabilità.
No, noi preferiamo il crescendo di schiamazzi finché non c'è qualcuno che, con impeto, ci urla Su, mettetevi a 90 gradi, io so come farvelo fare al meglio! e allora noi tutti in coro diciamo, Sì, mettiamoci a 90 gradi, lui sa come noi dobbiamo farlo, forse questa volta userà qualche unguento, ed ecco, abbiamo scelto il nostro capo popolo, il nostro duce, il nostro guru, il nostro sindaco, il nostro cavaliere.

Thomas Stearns Eliot, Siamo gli uomini vuoti

Siamo gli uomini vuoti

Siamo gli uomini vuoti
Siamo gli uomini impagliati
Che appoggiano l’un l’altro
La testa piena di paglia. Ahimè!
Le nostre voci secche, quando noi
Insieme mormoriamo
Sono quiete e senza senso
Come vento nell’erba rinsecchita
O come zampe di topo sopra vetri infranti
Nella nostra arida cantina

Figura senza forma, ombra senza colore,
Forza paralizzata, gesto privo di moto;

Coloro che han traghettato
Con occhi diritti, all’altro regno della morte
Ci ricordano – se pure lo fanno – non come anime
Perdute e violente, ma solo
Come gli uomini vuoti
Gli uomini impagliati..

Thomas Stearns Eliot

sabato 29 giugno 2013

Ma come si fa a leggere Cosmopolitan?

No davvero, ogni volta che sfoglio Cosmopolitan mi chiedo come si possa vendere spazzatura simile: articoli che sembrano un insulto all'intelligenza, un mondo avulso dalla realtà, incentrato sulle apparenze, su look inesistenti. Un mondo fatto di VIP mentre intanto fuori crisi economica e sociale imperano: si parla di stile spacciando per moda l'inutilità, vendendo ai più deboli d'intelletto questa narrazione come realtà. Peccato che spesso e volentieri i lettori credano a queste cazzate, senza un minimo d'assunzione di responsabilità da parte di chi in questo mondo ci sguazza.

 

Cosa succede nel PD?

Matteo Renzi fa i capricci, come al solito, per cui vuole il congresso, ma solo quando dice lui, vuole le primarie, ma solo come dice lui, vuole essere segretario, ma solo se lo decide lui, e vuole essere il candidato Presidente del consiglio, ma solo perché lo dice lui. Insomma, il piccolo e antipaticissimo Berlusconcino del PD vuole la botte piena e la moglie ubriaca, senza per altro aver mai tratto le conseguenze per aver fatto bruciare la candidatura di Prodi a Presidente della Rpubblica. Nel frattempo rimaniamo anche in attesa di sapere come mai D'Alema, il suo peggior nemico, l'uomo da rottamare, sia improvvisamente diventato il suo miglior amico. Sarà mica che Renzi ha di nuovo il fatto di non essere altro che un astutissimo politico d'altri tempi?
Che poi diciamocelo, le Primarie aperte anche ai non iscritti sono una boiata che non si fa da nessuna parte, anche solamente per una questione di logica: l'elettore di un altro partito potrebbe venire a votare un candidato del PD non perché, come sostiene Renzi, lo potrebbe poi sostenere dopo, ma anche perché ritiene quel candidato un candidato debole che faciliti la vittoria del suo beniamino. Che so, metti caso che gli elettori del PDL venissero a votare Fassina anziché Renzi perché poi, contro Fassina, anche il peggior Alfano, per non dire Berlusconi, appare uno statista vero e vince facile? Che si fa?
Ah sì, giusto per la cronaca: Renzi ci smarona sulla storia dell'essere il Blair d'Italia. Ecco, giusto perché in Gran Bretagna se potessero cancellare dalla memoria gli anni della presidenza Blair lo farebbero, l'uomo dell'incondizionata alleanza con Bush Jr., a costo di mentire alla nazione sulle armi di distruzione di massa, l'uomo che ha spaccato la società inglese impoverendo i ceti più deboli, proseguendo, malgrado le apparenze, la politica della Tatcher. Già, la Tatcher, Il modello politico-economico di Silvio Berlusconi. Per intenderci.
Comunque il masochismo del PD lo riconosci dai dettagli, per esempio l'idea di adoperare Stefano "chiii??" Fassina come rivale di Renzi. Un uomo il cui carisma compete con quello delle pietre in una scarpa, capace di cambiare idea ogni tre o quattro minuti, perfetto per permettere ai big del partito di fingere, a vittoria avvenuta, la più smodata fedeltà a Renzi...tristezza...
Pensare che hanno a disposizione un cavallo di razza come Pippo Civati, riformatore vero, spacca abbastanza lo schermo, ha delle idee, comunica con il popolo anziché andare avanti a suon di proclami come Letta e Renzi: in pratica ti chiedi che cosa c'entri con il PD.

giovedì 27 giugno 2013

Cecità, José Saramago

Vuoi cheti dica osa penso, Parlla, secondo menon siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono
Cecità di José Saramago è un libro potente, che colpisce il cuore per la sua forza. Il plot del racconto in principio ricorda il genere della distopia: un'improvvisa malattia in un non meglio precisato paese costringe il governo ad internare i malati in una quarantena obbligata, dove, di fronte all'emergenza, solo in pochi tentano di mantenere la dignità della propria umanità, i più lasciandosi andare ai propri istinti, slla violenza, alla sopraffazione. In questa quarantena una sola donna, vedente, inganna tutti per seguire il marito, per non lasciarlo solo, lei sola è testimone degli orrori a cui giungono i soldati di guardia come gli internati. In questa lunga sequenza, che ricorda per certi versi Golding, l'autore tocca uno degli apici del romanzo nella descrizione dello stupro delle donne da parte degli uomini della camerata: una descrizione violenta, appassionata, senza alcun spazio per la letteratura erotica che oggi imperversa; in Saramago non c'è spazio per il compiacimento per il male, e l'orrore che si prova è senza fine.
Ma al contrario di quanto ci si potrebbe attendere, la libertà dalla quarantena non dipenderà dalla guarigione dei malati. Anzi, fuggiti dal manicomio in cui erano rinchiusi, i malati scoprono come siano ciechi in un mondo di ciechi. La città è divenuta un immenso, putrido immondezzaio, la ricerca del cibo rende i ciechi aggressivi, violenti, la difesa di un posto in cui dormire li abbrutisce. Gli escrementi, la sensazione di sporcizia fisica e morale è la costante di questo romanzo. Ben pochi mantengono in città un barlume di umanità: la donna ancora in possesso della vista, suo marito e i loro pochi compagni di prigionia, uno scrittore, una vecchia che, al di là delle apparenze, riconosce nella voce antica di una vicina di casa un segno per cui vivere e morire.
La discesa all'inferno dei protagonisti li porterà in un sepolcro involontario, un magazzino in cui dei ciechi, rimasti sepolti, sono morti, e dai loro cadaveri, dal loro fetore di decomposizione, mille fiammelle di fuochi fatui ne significano la scomparsa. Un viaggio attraverso un inferno dei viventi che porta infine i protagonisti della vicenda in chiesa, di fronte alla scoperta, simbolica, della cecità delle immagini sacre di fronte all'orrore di quella città: Il crocifisso, le statue, tutti con gli occhi bendati, ciechi e immobili di fronte all'uomo. Chi avrà compiuto quel gesto? Non c'è spiegazione. Eppure, solo dopo questa scoperta, sacrilega e infinitamente umana, i protagonisti potranno recuperare la vista, forse solamente per scoprire di essere più profondamente ciechi.
Dicevo di un libro potente, in cui ogni parola pesa, ogni dialogo, sempre nell'indiretto libero che caratterizza l'opera di Saramago. I personaggi senza nome possono essere specchio di tutta la aria umanità che popola questa vita e queste pagine, in cui anche il più pravo fra gli uomini può nascondere un fondo di umano sentimento, come il ladro di macchine, e in cui viene discavata la depravazione umana privata del lume della ragione. Ne emergono la solitudine e la stanchezza di chi, sola, vede, la protagonista del racconto, lume della ragione in un mondo di tenebre, per quanto tenebre bianche, tenebre di superstizione, di ignoto, di violenza.
C'è però spazio per la speranza anche in questo romanzo: ha gli occhi della donna dagli occhiali scuri,che dopo una vita dissipata decide di vivere con l'umile e saggio uomo dalla benda nera; ha gli occhi dello scrittore che, anche da cieco, continuerà a scrivere quanto non vede, ma ancora sente, finché ne sarà capace; ha gli occhi e la fedeltà del cane delle lacrime, difensore senza pretese della protagonista, sempre pronto ad accorrere a lei per asciugarne le lacrime.

 

mercoledì 26 giugno 2013

Sul concorsone per gli insegnanti

il concorsone per la scuola si avvia oramai a giungere un po' dovunque a conclusione. Non senza varie contraddizioni, come le prove scritte per cui è variata da regione a regione la griglia di valutazione, stilata solo dopo la prova , i numeri dei posti disponibili mai ben chiari, i compensi vergognosi per i commissari. Ma probabilmente la contraddizione più grande è un'altra: ci evolviamo verso una scuola che cambia, così doveva essere secondo il concorso, ma non sembra essere così per molti professori, spesso vinti dalla paura dell'ignoto. Sento da più parti sempre la stessa storia, ovvero di professori vecchio stampo a giudicare i candidati del concorso, professori contrari all'uso dei nuovi media o di nuove metodologie didattiche "a prescindere". Che senso ha in un concorso che dovrebbe svecchiare il mondo della scuola? L'impressione è che ci sia, da parte di quegli insegnanti che il concorso non lo volevano, un estremo tentativo di mantenere lo status quo e di evitare ogni tipo di cambiamento che possa mostrare, oltre alle lacune infrastrutturali, le mancanze dei docenti, arroccati sulle loro pratiche spesso vecchie di qualche secolo. Un esempio su tutti: chi oggi proponesse a scuola una pratica didattica vecchia già di un decennio come la webquest verrebbe visto come una specie di trasgressivo, come se stesse facendo chissà che cosa. Una scuola in cui le slides di powerpoint sono viste come la massima frontiera multimediale e osteggiate da chi viaggia d vent'anni con le sue fotocopie, in cui la condivisione di materiali, la digitalizzazione, il problem solving o la costruzione condivisa del sapere, che sia fatta online si un wiki o su dei quadernoni, tutte queste pratiche sono apertamente osteggiate dai collegi docenti, in cui tutto ciò che possa allontanarsi dal libro di testo e dai progetti da cui ricavare qualche forma di prestigio personale o guadagno economico va evitato e boicottato. Ecco, in questa scuola, a questi docenti è stato affidato il giudizio sui candidati, spesso giovani, del concorso. Ci sarà da ringraziare se non sarà un completo fallimento.

 

martedì 25 giugno 2013

La condanna di Berlusconi al processo Ruby


Dal dizionario etimologico Zanichelli
concussione, s. f. ‘abuso della sua posizione da parte di un pubblico ufficiale per costringere taluno a dare o promettere a sé o ad altri denaro o altra utilità


prostituzione
[vc. dotta, lat. tardo prostitutione(m), da prostitutus, part. pass. di prostituere ‘prostituire’; 1598]
s. f.
1 Attività consistente nel prostituirsi: esercitare la prostituzione; darsi alla prostituzione; istigare alla prostituzione; favoreggiamento della prostituzione; prostituzione femminile, maschile | (est.) Complesso delle persone che si prostituiscono, e fenomeno sociale che ne deriva: il mondo della prostituzione; la piaga della prostituzione.
2 (fig., lett.) Servilismo | (fig.) Avvilente subordinazione: prostituzione dell'ingegno, della cultura.

Premessa: questo post viene scritto da un fermo oppositore di Silvio Berlusconi che, tuttavia, cercherà nei suoi limiti di mantenersi oggettivo su quanto avvenuto, fermo restando poi che ancora ci troviamo di fronte al primo grado di giudizio e che, fino alla sentenza definitiva, in Italia vige la presunzione d'innocenza.
Partiamo dai fatti: Silvio Berlusconi è stato condannato, in primo grado, per i reati di concussione con costrizione e favoreggiamento della prostituzione minorile. Questa condanna giunge a seguito dello scandalo legato alla ragazza meglio nota in Italia come Ruby Rubacuori, la quale, secondo la tesi della condanna, sarebbe andata a letto, ancora minorenne, con Silvio Berlusconi, o comunque con lui avrebbe dato atto ad atti sessuali.
Mettiamo dei paletti. Sia chiaro che il fatto che una minore vada con Silvio Berlusconi, o con chiunque altro, non è di per sé un reato. La legge in Italia è abbastanza chiara: esistono dei paletti alla libertà di minori e maggiori nel compiere atti sessuali, ma in sé lo stato non s'impiccia nella vita privata del cittadino. Dicevamo di paletti: per esempio vengono tutelati i minori nei confronti di educatori che, essendo spesso a stretto contatto con essi, potrebbero tentare di profittarsi di loro; vengono poi tutelati i minori nei confronti dei pubblici ufficiali; infine, i minori, come anche i maggiori, vengono tutelati nei casi in cui la sproporzione gerarchica tra le persone coinvolte è talmente grande da poter configurare il reato di prostituzione. In che senso: immaginiamo una persona di venti-venticinque-trent'anni, senza arte né parte, o anche solo molto disposta a fare carriera nel più breve tempo possibile; immaginiamo poi un proprietario d'azienda nonché influente uomo politico, oltre che pubblico ufficiale, si ricordi, che offra aiuto alla prima persona e questa lo accetti; immaginiamo che in cambio il pubblico ufficiale chieda alla prima persona di partecipare a delle feste; immaginiamo che durante queste feste private il pubblico ufficiale, che mantiene e sovvenziona la prima persona, chieda a questa di compiere per lui degli atti sessuali. In questa condizione, la prima persona, o per arrivismo o per incapacità, non avrà realmente possibilità di scegliere. In questo contesto di sudditanza innanzitutto psicologica, oltre che materiale, si andrà a configurare il reato di favoreggiamento della prostituzione.
Ad aggravare il quadro descritto, va aggiunto il fatto che tale Ruby, nel momento in cui si sarebbero svolti i fatti, era minorenne.
Facciamo le dovute precisazioni. Tutto quanto raccontato prima è ricostruito per via indiziaria: non esiste la "pallottola fumante", ovvero, per ovvi motivi, Silvio Berlusconi non è stato colto sul fatto. Esistono però degli indizi, ovvero delle intercettazioni in cui a più riprese le ragazze coinvolte in questo scandalo parlerebbero degli atti sessuali compiuti durante le feste a casa dell'ex Presidente del consiglio; esistono alcuni riscontri oggettivi e delle dichiarazioni di alcune ragazze costituitesi parte civile. D'altro canto la stessa Ruby, Silvio Berlusconi e molte altre persone coinvolte nei fatti hanno sempre negato la veridicità di quanto si può ascoltare nelle intercettazioni.
Questa contraddizione non è in realtà irrisolvibile, sempre mantenendo la premessa da cui partiamo: si tratta di un processo per via indiziaria. Se consideriamo le ragazze che negano la veridicità di quanto esse stesse avevano in precedenza affermato nelle intercettazioni, esse stesse sono nella gran parte dei casi ancora legate al Cavaliere Silvio Berlusconi da legami politici (sono spesso parlamentari del suo partito) o economici, essendo ancora sovvenzionate da lui o sotto contratto per le sue aziende, quindi ancora soggette a quella sudditanza psicologica di cui parlavamo prima.

Torniamo però a un punto toccato in precedenza: questa sentenza non indica una Magistratura che entra con il piede di porco nella vita privata del cittadino, ma più semplicemente indica che la Magistratura, di fronte ad una situazione di gravi indizi, tutela i più deboli, ovvero coloro che sono in questo caso i sottomessi nella ancora presunta rete di prostituzione, smantellando quella rete e condannandone gli artefici. Sia chiaro qui una volta per tutte: Silvio Berlusconi non viene condannato "per una scopata", come viene detto più o meno larvatamente da molti esponenti del PDL e da alcuni giornalisti; Silvio Berlusconi viene condannato perché avrebbe costretto una ragazza, non con la violenza ma mettendola in una condizione di sudditanza psicologica che persiste tutt'oggi, a compiere degli atti sessuali. In un qualsiasi stato, di fronte a questi indizi, la Magistratura avrebbe dovuto agire e avrebbe dovuto tutelare i più deboli smantellando il sistema di adescamento alla prostituzione.
Questa precisazione è d'obbligo di fronte ai commenti che vengono da più parti in cui, anche apertamente, s sottintende che, in fondo, il ruolo della donna è "quello", che è "normale che le cose vadano così", che Berlusconi è stato condannato "perché i giudici erano donne". Tutte considerazioni che presuppongono la mai scomparsa idea che il ruolo della donna sia implicitamente inferiore a quello dell'uomo e che al volere dell'uomo debba essa sottomettersi. Solo partendo da questo presupposto può essere tollerabile che una ragazza debba fare sesso con un uomo per trovare un lavoro, proseguire gli studi, fare carriera, sbrigare prima delle pratiche, etc. etc.. Una concezione da condannare, senza appigli nella giurisdizione.

Detto questo, ovvero, dopo aver trattato l'argomento esclusivamente dal punto di vista giuridico, passiamo al punto di vista politico.
Chi pensa di aver sconfitto Berlusconi sbaglia di grosso: di fatto Berlusconi non è solo un uomo, ma è anche ormai il simbolo di una cultura, di certe speranze.
Magari Berlusconi verrà davvero estromesso dai pubblici uffici, ma Berlusconi ha rappresentato delle domande a cui vanno date delle risposte, anche fossero dei "no" finalmente definitivi.
Berlusconi ha rappresentato sia la richiesta di liberalizzazioni, sia una diffusa chiusura nei confronti del diverso, culturalmente e biologicamente, per esempio. La scomparsa di Berlusconi non rappresenterà la scomparsa di queste questioni, forse addirittura le rafforzerà in un rigurgito conservatore, o forse rafforzerà la parte più riformista e apertamente di sinistra di questo stato. Certo dovremo ancora confrontarci con questa destra, e questa volta l'esistenza di Berlusconi non potrà ancora essere la scusa per l'immobilismo della nostra classe dirigente.

mercoledì 19 giugno 2013

In difesa di Valentina Polini


Molti dei miei lettori probabilmente non hanno idea di chi sia Valentina Polini. Onestamente, fino a qualche tempo fa neanche io ne avevo idea. Poi, complice una collega universitaria e amica in comune, mi sono trovato a leggere quanto questa giornalista/blogger scrive, e ho potuto osservarla nel suo impegno civile per la legalità e una buona politica nella mia terra siciliana, così come nel suo impegno per il Medio Oriente.
Alla luce di tutto ciò trovo vergognoso dover leggere che una persona simile, presa dallo sconforto, possa pensare di smettere di scrivere. Non per delle ragioni private, personali, ma spossata dagli attacchi di chi lei contesta, arrivati al punto di dileggiarla ed offenderla per strada con accuse e ingiurie irripetibili, che ne colpiscono la dignità di donna e di persona.
Colpire qualcuno nell'animo, minarne la credibilità con accuse risibili e, peggio, minarne lo spirito con offese, tutto ciò non ha a che fare né con il confronto di idee né con la politica. Si chiama con un nome ben preciso, ovvero fascismo, nel senso più becero del termine; nel costante bisogno di censurare le idee altrui perché scomode, nel voler tenere chiusa la bocca di chi può e vuole mostrare il fango nascosto sotto le belle apparenze. È un vecchio modo di intendere la politica e la Sicilia, un modo che non condividiamo più, sia chi in Sicilia è rimasto e vive questa terra, sia chi, come me, è dovuto emigrare per vivere. Il senso dello stato appartiene a noi, e voi siete solamente una razza in via d'estinzione

Magris alla maturità non è uno scandalo


Come sempre pronto a farmi odiare, dico la mia sulla traccia su Claudio Magris alla prima prova degli esami di maturità di oggi. E dico subito che per me non si tratta affatto di uno scandalo, anzi, così tagliamo la testa al toro.
Vediamo perché non si tratta di nulla di così obbrobrioso come letto oggi in rete: nello specifico la traccia chiedeva di analizzare un breve testo dell'autore triestino. Ora, si dà il caso che una buona analisi del testo si faccia, appunto, sul testo, senza per forza conoscere qualcosa della poetica dell'autore, sempre che esista. Perché l'analisi del testo può essere fatta su qualsiasi testo, articoli di giornale, testi poetici o teatrali, saggi, scontrini fiscali. Insomma, tutto ciò che sia testo.
Insomma, l'analisi del testo era tecnicamente fattibile, a patto che i docenti avessero lavorato negli anni realmente sulle tecniche di analisi di un testo e non si fossero semplicemente limitati a dare durante il corso di studi quattro nozioncine in croce, spesso buttate lì senza alcun rimando linguistico o testuale.
Perché la poetica di un autore non vive sui manuali, sui libri di testo; vive fra le pagine di quell'autore, è da lì che bisogna partire, è lì che bisogna rintracciarla.
Analisi del testo vuol dire innanzitutto, appunto, lavorare su generi testuali, registri lessicali e sintattici, rimandi testuali, figure retoriche; da qui poi si lavorerà sull'interpretazione del testo nel suo significato letterale ed eventualmente poi sulle strutture metaforiche, individuando i temi portanti del testo; solo dopo si potrà pensare, se si conoscono queste informazioni, a contestualizzare il testo in un'epoca, in una corrente culturale, in una fase precisa dell'opera dell'autore. Insomma, innanzitutto si lavora sul testo, perché non esiste autore senza testo.

lunedì 17 giugno 2013

Lecturae Dantis

Un breve post, tanto per ricordarmi di essere vivo. Avrei in realtà argomenti su cui scrivere,ma per ora voglio meditare per bene. Vi segnalo invece la bellezza di alcune Lecturae Dantis che potete trovare in giro in rete o acquistare in DVD. In particolare segnalo le Lecturae Dantis dell'Università Svizzera Italiana, illuminanti per contenuti, certo molto diverse dalle Lecturae Dantis a cui siamo un po' tutti abituati grazie all'opera, non sempre meritoria, di Roberto Benigni. Per chi volesse riascoltare un po' di sana critica letteraria su Dante questa è una buona occasione, per aggiornare le proprie conoscenze o anche solo per rileggere con piacere alcune delle pagine memorabili della Commedia.

 

sabato 15 giugno 2013

Sulla Scuola Siciliana e sul Volgare italiano

Pubblico questo post in riferimento all'articolo comparso sul Corriere Della Sera del 13 Giugno, firmato da Cesrae Segre e, ancor di più, alle conclusioni tratte su Babylonpost.

Beh, diciamo che tra ciò che dice Segre e le conclusioni dell'articolo ci passa un abisso: un conto è dire che la Scuola siciliana ha avuto una diffusione per ora inaspettata in Lombardia prima che in Toscana. Del resto non dobbiamo dimenticare che prima della scuola puramente Toscana di poeti con fulcro prima a Siena e Pisa e poi a Firenze, prima, dicevo, il più importante centro culturale d'Italia era Bologna; va inoltre considerato come già dal 1100 circa Milano fosse un centro in rapidissima espansione, quindi fin qui nulla di strano. Ma poi da questo trarre delle conclusioni sulla lingua italiana è ben altro. Anche perché, si badi, tanta sorpresa per questi codici deriva proprio dal fatto che la Scuola Siciliana ha lasciato ben misera traccia sulla lingua italiana, certo per opera dei Toscani e soprattutto per l'influenza di Dante, che aveva tutto l'interesse a porsi come fondamentale momento di passaggio tra una lirica precedente, Stilnovisti compresi, e il nuovo filone che da lui avrà seguito (Petrarca per esempio non lo si comprende se non nel continuo confronto con Dante). Insomma, riassumendo i codici attestano una circolazione dei testi dei Siciliani in Lombardia; ma questa circolazione rimane comunque circoscritta (almeno stando a quello che abbiamo concretamente fino ad ora), tanto che in seguito questa scuola sarà principalmente conosciuta nelle forme toscanizzate che poi sono entrate anche nel volgare italiano, fino al paradossale fraintendimento, per esempio, della cosiddetta rima siciliana. In tutto ciò ha sicuramente un grandissimo ruolo Dante con il suo condannare nella Commedia Federico II e i Siciliani e con il suo porsi come spartiacque poetico e linguistico.

 

mercoledì 12 giugno 2013

Sull'immigraziome, l'integrazione e l'omosessualità solo battaglie di retroguardia

Una mia insegnante, ai tempi dell'università, un giorno ci fece notare una cosa in sé banale, ma grande come ogni scoperta geniale: è tipico della cultura europea teorizzare qualcosa di già di fatto scomparso per, estremo tentativo, preservarlo. Fu così nel Medioevo per i tre ordini teorizzati da Adalberone di Laon, nella realtà ormai in via di superamento; fu così per la piccola proprietà terriera propugnata dai giacobini come base economica della Francia, mentre già si affacciava la Rivoluzione industriale; fu così per la controriforma del concilio tridentino, tentativo di negazione di un diffusissimo moto di protesta contro le gerarchie e pratiche ecclesiastiche; è oggi così nella sempre più fervida discussione sulla famiglia europea e sulla stessa cultura europea.

Sempre di più sui giornali si leggono strali contro la legalizzazione dei legami fra omosessuali, contro le adozioni per le coppie omosessuali; negli ultimi vent'anni poi la letteratura nostrana sulle origini giudaico cristiane della cultura europea è stata infinita, così come i tentativi della politica di fare accettare questo principio in Europa.

Tutte battaglie di retroguardia.

Perché nel frattempo il mondo si è evoluto, perché quella famiglia che era tipica di una certa società si evolve di fronte all'avanzare di una nuova società e di nuove esigenze; perché i flussi migratori non sono arginabili, nessuno potrà plausibilmente impedire ad un migrante che fugge la guerra o le malattie di cercare di evitare la morte; perché integrazione non può voler dire imporre norme e abitudini senza spiegarle e senza soprattutto ammettere che altre norme e costumi possono essere altrettanto sensate e legittime.

Andiamo verso ma società del meticciato, che nel corso del prossimo cinquantennio al massimo rinnoverà una Europa di suo ferma e stantia. Per chi non lo avesse notato, di fronte a delle Americhe ancora vitali e ad un'Asia sempre più centro del mondo, il meticciato, come nell'epoca dell'Atene classica fatta grande dai meteci, potrà essere la sola nostra ancora di salvezza.

 

Sul caso Cucchi, non sulla sentenza

Mi sono preso un po' di tempo prima di scrivere qualcosa su Stefano Cucchi. Perché non volevo parlare a caldo, non volevo che ciò che avrei scritto fosse frutto dell'emozione. Era un rischio tangibile, soprattutto di fronte alle dichiarazioni di alcuni politicanti pronti a bearsi di una giustizia (sic) finalmente fatta.
È vero, le sentenze non si contestano; si può e si deve ricorrere quando si ritiene ingiusta una sentenza, si può e si deve cercare di modificare dall'interno uno stato, lavorando sulle sue leggi, sui suoi ordinamenti, sulla sua cultura. Non sismo con chi manifesta contro un'istituzione come la magistratura, soprattutto se questa scardina un sistema di potere e corruzione come quello che da anni regge il nostro paese.
Ma l'orrore per il caso Cucchi non sta (solamente) nella sentenza. L'orrore è più profondo: è l'orrore di fronte alla barbarie, di fronte ad un paese, prima ancora delle sue istituzioni, che non è capace di fare i conti con se stesso, che si volta dall'altro lato per non vedere le ingiustizie, che gioisce persino di fronte alla menzogna rassicurante senza alcun senso critico. In un paese dotato di questo senso già allo scoppiare del caso Cucchi sarebbe montata un'ondata di indignazione civile tale che in molti sarebbero saltati, avrebbero nel silenzio fatto le valige per lasciare incarichi che ricoprivano indegnamente. Sia da destra che da sinistra, perché Stefano Cucchi poteva essere uno qualsiasi fra di noi: un ragazzo dei centri sociali, un estremista di Casa Pound, un leghista fermato durante una delle tante manifestazioni pro Padania, un pidiellino che manifesta contro la magistratura o un militante del PD che manifesta con la FIOM. Invece il nulla, eccezion fatta per la solita stampa di sinistra, spesso ribattezzata dei sinistri da coloro che vogliono tappare gli occhi pur di non smuoversi dalle loro posizioni. Perché noi siamo quelli che difendono gli indifendibili, ecco cosa siamo.
Un paese schifosamente di destra, ecco cosa siamo: di quella destra più becera, quella che prenderebbe a manganellate gli omosessuali, recluderebbe i disabili, violenterebbe le prostitute e sparerebbe ai carcerati, perché però un tempo si poteva stare con le porte aperte. Un'Italia in cui l'operaio che protesta è un rompicoglioni, il migrante che fugge la guerra civile un peso, le donne dovrebbero stare a casa a fare la calzetta e magari, se possibile, tirarci un pompino quando torniamo a casa. Questo è il paese, questa è la nostra acqua.
Non mi stupisce la sentenza sul caso Cucchi, come non mi hanno stupito le sentenze sulla scuola Diaz, come non mi stupisce il fatto che nessuno parli delle donne che muoiono ogni giorno battendo in strada violentate da maschi italiani; non mi stupisce più nulla di tutto ciò, e forse questo è quanto c'è di più grave, perché sempre di più la barbarie di questo nostr evo mi sembra normale.

martedì 11 giugno 2013

sabato 1 giugno 2013

La morte di Ottaviano Augusto secondo Santo Mazzarino


Roberto Bolanõ, Chiamate telefoniche

Chiamate telefoniche di Roberto Bolanõ racchiude alcuni fra i più bei racconti dell'autore cileno, morto pochi anni dopo la pubblicazione di questo volume attendendo un trapianto di fegato.

Tra le pagine del libro vediamo rincorrersi personaggi al limite dell'anonimato, quasi dei fantasmi, la cui unica ragione di esistere sta nella possibilità per il narratore di dare loro vita. Dei miserabili le cui vite sono costellate di fallimenti, errori prevedibili, dissoluzione e incomunicabilità, in un affastellarsi di scene rapide, cinematografiche, intervallate da improvvise epifanie di umanità.

Amore e morte, arte e spazzatura, come giustamente spesso si dice dell'arte di Bolanõ. L'umanità nascosta fra i disadattati, fra i nevrotici, gli ultimi, gli sconfitti e i bohémien. L'umanità che si scopre sacra mentre si gira un porno, come nel racconto intitolato Joanna Silvestri, o che si nasconde fra i meandri della prostituzione e della mafia russa, come ne La neve. Storie in cui sono proprio le persone che all'apparenza dovrebbero essere le più lontane dal sentimento del rispetto umano, sono proprio quelle persone a disvelare realmente cosa è vita e cosa ci rende e degni di vivere.

In altri casi invece il lettore non può non riconoscersi nell'assoluta immobilità e incapacità a comprendere il reale di personaggi quasi anonimi. È così in Detective, che dà il titolo alla seconda sezione del libro, e ancor di più in Chiamate telefoniche, da cui trae il titolo il libro: in questo racconto addirittura i protagonisti non hanno nome e con essi identità, sono solo contraddistinti dalle lettere A. e B., in una vicenda talmente paradossale e dolorosa da poter occorrere a chiunque.

Si parlava di amore e spazzatura: in Bolanõ questi elementi si rincorrono; non c'è storia in cui i protagonisti non affrontino il loro bisogno di umanità facendo l'amore, e non c'è storia in cui i lati peggiori del vivere umano non vengano affrontati di petto. Alcolismo, droga, prostituzione, violenza, pornografia: tutto ha pari dignità nei racconti dell'autore, perché tutto è specchio dell'umano vivere, in cui, al di là della visione infranta del reale, si può riconoscere un bisogno di affrontare in maniera virile le follie del vivere umano, privo di certezze e sconvolto finanche dalla violenza della persecuzione e della carcerazione.

Un autore per il ventunesimo secolo, come giustamente si dice da più parti per Roberto Bolanõ; forse proprio per questo suo modo virile di affrontare il non senso, non rassegnato, in un continuo anelito all'umanità lì dove essa appare più lontana.

 

The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....