lunedì 30 marzo 2015
Ma il secolo breve è davvero finito?
Il discorso che incomincia con questo post è di certo qualcosa di molto complesso e che mi riprometto di trattare più compiutamente. Tuttavia in questi giorni per diversi motivi mi sono trovato a riflettere su questa questione, ragion per cui provo ad esporre rapidamente quello che mi frulla in mente. La definizione di Secolo breve, data dallo storico inglese Hobsbawm al Novecento è nota ai più. Le considerazioni dello storico, la stessa periodizzazione fornita, 1914 - 1991, mi sembrano sempre più deboli.
Sia chiaro, il mondo è davvero cambiato dal 1991 ad oggi, non si discute. Ma questo cambiamento è così radicale come appariva negli anni novanta del Ventesimo secolo? Direi di no.
Partiamo da un fatto: la globalizzazione, che dagli anni novanta ha avuto largo sviluppo, era già in essere prima. Lo era già da un pezzo, a dire la verità, cosa di cui ci accorgiamo se guardiamo alla storia del Novecento con uno sguardo che abbraccia un panorama più ampio del semplice Occidente. Ci accorgiamo così che dall'epoca delle colonizzazioni e degli imperialismi, i modi di vivere, gli usi, i costumi e i prodotti occidentali trovano una sempre più ampia diffusione su tutto il globo.
Certo, la globalizzazione degli anni novanta si avvantaggia di un medium che prima aveva scarsa diffusione, la rete. Ma la rete è in realtà molto meno diffusa di quanto si crede, se ad essa hanno accesso ancora meno della metà degli abitanti del pianeta, e trova forti limitazioni nella censura che i singoli regimi applicano ai contenuti fruibili nel web. In questo senso, ancora oggi il ruolo più incisivo è giocato da altri media, tv e radio in primis. Mezzi molto, molto novecenteschi.
Parlavamo di ideologie. Ebbene, con la caduta della cortina di ferro, cosa è cambiato da questo punto di vista? Ad un comunismo che di comunismo aveva ben poco se ne è sostituito un altro, che di Marx sa ancora meno. Il capitalismo del libero mercato è ancora lì, immobile, anzi. Addirittura con la presidenza Clinton sono state cancellate le norme che distinguevano le banche volte al credito dei piccoli risparmiatori e le banche rivolte alla finanza, tornando di fatto ad una condizione pre-crisi del 1929. Ancora molto, molto novecentesco.
Sempre rimanendo nell'ambito delle ideologie, questi primi decenni del Ventunesimo secolo hanno visto la diffusione del modello liquido del partito, e la conseguente caduta del partito di massa. In realtà questo nuovo modello di partito è ancora ben lontano dall'affermarsi, sempre che ciò avvenga. Gli esempi tedeschi e italiani del Partito dei pirati e del M5S ci dicono che al consenso sui social network non corrisponde per forza il successo elettorale, soprattutto in un Europa in cui l'età media è molto alta. Non diverso il caso delle primavere arabe, del movimento degli Indignados spagnoli o di Occupy negli USA. I movimenti leaderless si sono fino ad oggi rivelati più che altro dei fuochi di paglia, hanno apportato nella politica una ventata di nuovi contenuti, ma senza riuscire a diventare forza di governo. Lì dove sono arrivati al potere, il caso di Syriza in Grecia, l'hanno fatto scendendo a compromessi e assumendo la struttura tipica del partito di massa guidato da una figura carismatica, un leader.
Del resto, ciò che appare evidente in questa prima fase del Ventunesimo secolo, è come assuma sempre più importanza l'apparente contatto diretto tra il leader e la massa, bypassando gli organi intermedi. Il partito liquido assomiglia sempre di più al partito nazione, il partito in cui il proclama del leader non viene più proposto a reti unificate, o dal balcone del palazzo presidenziale di fronte a folle adoranti, ma di fronte a folle adoranti pronte a distribuire i loro like sui social network. Cambiata la forma della comunicazione, non ne è cambiata la sostanza, un rapporto solo apparentemente alla pari. Tutto molto anni trenta del Novecento, tutto molto novecentesco.
In questo primo scorcio del Ventunesimo secolo abbiamo del resto visto riaffiorare temi e ideologie che pensavamo scomparse. L'europa è stata attraversata da una ventata xenofoba e neofascista, alimentata dalle paure di pseudo-religiosità come quella dell'Is, figlia di una politica occidentale che, come nel Novecento, ha continuato ad armare di volta in volta il signore della guerra più utile ad amministrare il Medio Oriente, per poi denunciarne gli orrori ed invocare contro di esso la crociata civilizzatrice. Non per niente, la parola crociata è tornata nel nostro vocabolario, riportandoci indietro addirittura all'epoca dell'Impero Ottomano.
In Oriente Cina e Giappone, in un'escalation nazionalistica, si contendono il controllo del Pacifico, armeggiando liberamente con la storia, usata a scopo di propaganda: il caso ancora irrisolto del Massacro di Nanchino è l'esempio più evidente di come, dopo settantanni, non si sia capaci, o non si voglia fare luce su eventi traumatici che hanno coinvolto in primo luogo l'idea stessa di cosa è umanità e cosa non lo è. Il negazionismo giapponese, così come quello sempre più diffuso in Europa sul dramma dell'Olocausto, sul genocidio degli Armeni, sui genocidi delle popolazioni slave nell'ex Yugoslavia, sui crimini del Fascismo o della Francia coloniale, dimostrano come in tutti questi frangenti sia ancora endemicamente diffusa l'idea di una superiorità ontologica di una cultura occidentale, e in essa delle singole culture che di volta in volta si fronteggiano. Il nazionalismo russo poi, con le sue mire egemoniche sull'est Europa, richiama nazionalismi già noti nel Novecento.
Rimanendo nell'ambito culturale, al Postmodernidmo imperante nella seconda metà del Novecento, si affianca e si sostituisce una moderna forma di Realismo. Benintesto, se il Postmodernismo è stato per molti aspetti il simbolo del disimpegno dopo il tentativo di riconoscimento da parte degli intellettuali post Seconda Guerra Mondiale, il Realismo, oggi come ieri, si presta ad una facile manipolazione da parte dei potentati. Il descrivere una realtà così come la si pensa può divenire cassa di risonanza per l'idea diffusa di realtà che un partito-nazione, come nel caso del totalitarismo russo novecentesco, vuole propagandare. Se così fosse, il nuovo realismo, più che un ritorno all'impegno, potrebbe coincidere con un ritorno all'ordine.
Tutto ciò già dovrebbe dimostrare come la teoria del Secolo breve sia oggi poco condivisibile, come il Ventunesimo secolo sia, molto di più di quanto si potesse immaginare in passato, ancora una propagine del Ventesimo secolo.
Certo, come dicevamo abbiamo assistito al progresso rapido di alcune realtà, i paesi del BRIC, alla diffusione della scolarizzazione e dei diritti delle donne, degli anziani, dei malati. Ma in questi frangenti, purtroppo, non abbiamo assistito a quelle rivoluzioni che erano immaginabili con la fine dell'URSS. Semmai, in alcuni casi, abbiamo dovuto assistere nostro malgrado persino ad una involuzione. Sono ancora ben presenti in tutto il globo campi di concentramento, la tortura è pratica accettata in molte culture, mentre altre e altri paesi, come l'Italia, non fanno abbastanza per combatterla (il nostro paese è ancora privo di una legge che ne vieti la pratica), in alcune zone dell'Africa, dell'Asia, del'Europa e degli USA i diritti delle donne e degli omosessuali, anziché trovare un largo consenso, come immaginabile, sono sempre più sotto attacco, se non addirittura negati o aboliti.
Sul piano dello sviluppo economico poi, intere aree del globo non hanno raggiunto i livelli di progresso attesi, dilaniati al loro interno da guerre civili e carestie che trovano, anche in questo caso, spiegazione nel retaggio e nel caos etnico, religioso ed economico delle colonizzazioni europee, del resto mai del tutto scomparse, se si pensa che alcune multinazionali occidentali hanno fatturati che superano anche centinaia di volte il prodotto interno lordo di molte nazioni.
Dato tutto ciò possiamo davvero parlare del Novecento come Secolo breve, e non, piuttosto, di un secolo lungo?
sabato 28 marzo 2015
Peter McPhee, The French Revolution 1789 - 1799
Peter McPhee è uno studioso australiano dell'Università di Melbourne, specializzato sulla storia della Francia moderna e contemporanea. In questo suo lavoro, The French Revolution 1789 - 1799, l'autore studia quella che è la più famosa rivoluzione avvenuta nell'Occidente, la Rivoluzione francese.
Leggendo il libro appare subito chiaro che la Francia rivoluzionaria è un paese preindustriale, in cui solo una piccola parte della popolazione vive nei grossi centri urbani, in particolar modo Parigi, e in cui il livello d'istruzione medio della popolazione è basso e comunque dipendente dall'educazione religiosa di base, fornita dai preti diffusi nelle campagne francesi. In questo contesto agiscono anche intellettuali illuministi che, partendo dagli assunti e dalle conclusioni raggiunte nella di poco precedente Rivoluzione americana, oltre che dai migliori frutti della speculazione illuminista, propagandano una rivoluzione culturale che debba agire assieme al regime consolidato, più che sostituirlo. Va tuttavia specificato come le teorie degli illuministi abbiano una circolazione limitata, mentre nelle campagne saranno diversi i motivi che spingeranno alla rivolta, in primis povertà, superstizione, maldicenze (ampia è ad esempio la diffusione di una narrativa pornografica ambientata a corte e con protagonisti il re e la regina di Francia).
Date queste premesse, risulta comprensibile come la crisi economica seguita alla Guerra dei sette anni costringa Luigi XVI alla convocazione degli Stati Generali, anche se, come viene notato nel volume, la richiesta della convocazione dell'assemblea giunge proprio da quel ceto sociale, quello dei nobili, che, nel tentativo di difendere i propri privilegi fiscali, accusa la monarchia di attentare aii principi stessi del potere e dello stato francese. Ben presto gli Stati Generali diventeranno terreno di scontro tra nobili e terzo stato, rappresentato per la maggior parte dalla borghesia, strato sociale che riuscirà a prevalere grazie all'insurrezione della città di Parigi e alla presa della Bastiglia, ponendo di fatto fine all'ancien regime.
La storia successiva della Rivoluzione risulta quanto mai controversa, dipanandosi tra diverse correnti, picchi di acume intellettuale, come La dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, e momenti di crudeltà inaudita, come nel caso dei massacri commessi a danno dei nobili e dei preti che tentavano di resistere alla diffusione del nuovo credo repubblicano. Sarà tuttavia con il terrore di Robespierre che il decennio rivoluzionario raggiungerà l'apice della sua violenza, il Terrore, comprensibile solo nell'ottica di una difesa estrema di una Repubblica già in crisi, in primis dal punto di vista finanziario. Dal Terrore la Francia saprà uscire solo con una svolta reazionaria e borghese, che tuttavia non saprà dare una stabilità alle strutture politiche nazionali, tanto da aprire le porte alla dittatura di Napoleone Bonaparte.
Questo volume si caratterizza per la ricchezza dell'analisi, condotta sempre con rigore e corredata da un ricco apparato bibliografico. In conclusione l'analisi conduce alla domanda che dovrebbe essere posta riguardo alla Rivoluzione francese, ovvero che importanza ha avuto questo processo rivoluzionario nella storia dell'Europa che si avviava verso la rivoluzione industriale? E per gli altri continenti? E oggi?
venerdì 20 marzo 2015
Se la scuola diventasse davvero un'azienda - Metronews #laverascuola
Di certo avrete sentito paragonare la scuola ad una azienda. Un paragone forzato, utile solo a puntare sui poteri del nuovo dirigente scolastico. Ragioniamo: un'azienda fattura miliardi di euro e investe, i manager puntano sui ricavi e tagliano i rami morti, i settori o i prodotti non competitivi. Riconvertire solo se conveniente, al massimo si tiene il prodotto scadente a costo zero.Continua a leggere su Se la scuola diventasse davvero un'azienda
L'oblio della memoria e la nascita della democrazia
Con il passato, con la Storia con la lettera maiuscola, con la memoria, a volte succedono cose strane. Cose che, a pensare male, potrebbero essere l’indizio di una cattiva coscienza. Cose come il dimenticare, l’oblio voluto, la damnatio memoriae di qualcosa di cui, al contempo, ci si vanta.
martedì 17 marzo 2015
lunedì 16 marzo 2015
Ogni tanto una soddisfazione
Prof, ho scoperto che mi piace CalvinoChe dire, ogni tanto una soddisfazione, per fortuna. Una boccata d'aria fresca, in questi giorni di riforme apocalittiche, ansia pre-esami e polemiche varie ed eventuali.
Ho riletto Il visconte dimezzato, Il cavaliere inesistente, Il barone rampante e adesso sto leggendo le Cosmicomiche.
Prima li guardavo e basta e mi sembravano pesanti ma adesso a leggerli mi sono piaciuti molto, aveva ragione ahahaha
martedì 10 marzo 2015
Sulla riforma facciamo uno sforzo di fiducia - Metronews
Ok, diamoci tutti una calmata. L’urgenza non c’è, e non si capisce se prima c’era e poi sono tutti rinsaviti, ma intanto tutto si è bloccato. E con questo? E se fosse proprio ora la volta buona? Se fosse arrivato il momento, per una volta, di dare fiducia al Parlamento? Il DDL ci dà un’occasione insperata, quella di discutere davvero, dopo mesi di chiacchiere, su cosa dovrebbe essere la buona scuola.
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martedì 3 marzo 2015
Saggio breve: D'Annunzio, una vita per la bellezza
| Foto di Thanks for your Like • donations welcome da Pixabay |
Sin dalla pubblicazione delle sue prime opere, Gabriele D’Annunzio è sempre stato capace di destare meraviglia, stupore e scandalo, tanto da crearsi addosso una patina di invidia e di rancori dura a sparire. Questi sentimenti di malcelato disprezzo nei confronti di questo autore trovano spesso una ragione ancora più forte di esistere nella scelta di aderire alle idee del Fascismo. Nondimeno Gabriele D’Annunzio è uomo del suo tempo: vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, l’autore è attore e artefice di quelle che sono le idee diffuse tra gli intellettuali del suo tempo, quel variegato sistema di idee e paure che viene chiamato Decadentismo.
Per i motivi sopra elencati, riguardo all'opera di Gabriele Rapagnetta, in arte D'Annunzio, è da tempo aperto un controverso dibattito. In sostanza, la questione che si pone è la seguente: quello dannunziano è reale Estetismo?
Al riguardo, con questo saggio verrà sostenunta una tesi ben precisa, ovvero che in D’Annunzio la scelta vitalistica o superomistica, finanche quella divistica, sono forme di espressione di un bisogno: la difesa della bellezza nella sua purezza, messa in pericolo dalla moderna società di massa.
Una prima chiara dimostrazione di questa tesi viene fornita da D’Annunzio in un suo romanzo, Il piacere, pubblicato nel 1889 e sin da subito considerato uno dei manifesti dell’Estetismo europeo. Protagonista del romanzo è Andrea Sperelli, un dandy che rinfranca il proprio spirito nella ricerca della bellezza della forma, applicata ad ogni campo della vita sociale. Per Sperelli forma più alta della bellezza è quella della parola, tanto che per il personaggio (come per l’autore) “Un pensiero esattamente espresso in un verso perfetto è un pensiero che già esisteva preformato nella oscura profondità della lingua. Estratto dal poeta, séguita ad esistere nella conscienza degli uomini. [...] Quando il poeta è prossimo alla scoperta d'uno di tali versi eterni, è avvertito da un divino torrente di gioia che gli invade d'improvviso tutto l'essere.” Insomma la bellezza è piacere, non solo nell’atto del suo conseguimento, ma nella pratica stessa della sua ricerca.
L’azione politica di D’Annunzio va quindi vista in questa prospettiva: non un qualcosa che abbia senso di per sé, ma come l’atto di ricerca di una forma di azione che sia ad un tempo bellezza, o che ne sia difesa, e che in questo modo si giustifichi. Al riguardo possiamo quindi affermare che l’impegno di Gabriele Rapagnetta (il vero cognome del nostro autore) prima con la destra, poi con la sinistra, e infine vicino al Fascismo, sia il tentativo estremo (e mal riuscito) di difesa di una bellezza avvertita come ormai divorata dal mercato, dalla società di massa e dalle loro esigenze, una bellezza elitaria certo e anacronistica, ormai al suo tramonto (Barbéri Squarotti 1982).
Nondimeno occorre riconoscere come il continuo tentativo del nostro autore di porsi al centro dell’attenzione dei media e del pubblico metta in dubbio la sua reale vocazione estetizzante, lasciando piuttosto immaginare il prevalere dello smisurato io del poeta nei confronti di ogni altra istanza (Gioanola 1997)
Ma sia l’esito delle vicende di D’Annunzio, sia i risultati delle sue opere migliori smentiscono questa tesi. Partendo da queste ultime, la ricerca della perfezione formale in opere dai tratti più intimi come i migliori componimenti di Alcyone o le pagine più ispirate di Nottuno mostrano come, pur nelle alterne fortune e ispirazioni, la ricerca della bellezza formale sia il tratto costante dell’opera dannunziana. Tratto tipico dell’intera vita dell’autore, che anche quando si ritirerà dalle vicende politiche e pubbliche, si rinchiuderà nella sua splendida e variegata villa presso Gardone Riviera, monumento al suo estro e al suo gusto.
In conclusione possiamo affermare come sia il personaggio di Andrea Sperelli ne Il piacere o le pagine migliori di Alcyone e di Notturno, dimostrino quanto il tratto tipico dell’opera letteraria di D’Annunzio sia la ricerca estetica e formale. Tratto che contraddistingue la vita stessa del poeta, nella sua vita pubblica come in quella privata, fino alla morte.
AAVV., Enciclopedia italiana, Treccani 2015
G. Barbéri Squarotti, Invito alla lettura di Gabriele D'Annunzio, Mursia, Milano 1982
G. D'Annunzio, Il piacere, 1889
G. D'Annunzio, Alcyone, 1903
G. D’Annunzio, Notturno, 1921
E. Gioanola, Introduzione al Novecento, Colonna, Milano 1997
Saggio breve: il falso mito dell'estetismo di D'Annunzio
Chi è l'esteta? Oggi questo termine ha assunto un accezione diffusa, spesso spregiativa, come di persona i cui gusti, i modi e il linguaggio siano eccessivamente raffinati. Tuttavia, storicamente, l'Estetismo è "Propriamente, atteggiamento del gusto e del pensiero che, in quanto pone i valori estetici al vertice della vita spirituale, considera la vita stessa come ricerca e culto del bello, come creazione artistica dell’individuo." (Treccani 2015). In questo senso l'Estetismo è un movimento culturale e artistico che si diffonde in Occidente tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, nell'ambito del Decadentismo. Tra i suoi iniziatori troviamo grandi della letteratura europea quali Oscar Wilde, Joris Kars Huysmans o il nostrano D'Annunzio.
Tuttavia, riguardo all'opera di Gabriele Rapagnetta, in arte D'Annunzio, è da tempo aperto un controverso dibattito. In sostanza, la questione che si pone è la seguente: quello dannunziano è reale Estetismo?
Al riguardo, con questo saggio verrà sostenuta una tesi ben precisa, ovvero che in D'Annunzio, più che prevalere un reale e puro interesse per la bellezza, ciò che possiamo osservare è il tentativo di adoperare un sentimento diffuso fra gli intellettuali europei contemporanei per il proprio tornaconto.
Infatti, leggendo lo stesso autore nel romanzo in cui più innalza i valori dell'Estetismo, ci appare chiaro come la ricerca della bellezza sia per D'Annunzio, più che un fine, un mezzo. Ben lontano dalla ricerca della bellezza per la bellezza, Andrea Sperelli, il protagonista del romanzo, dedica tanta cura al suo corpo, alle sue maniere, al suo abbigliamento, per un obiettivo: l'affermazione di se stesso (e la sopraffazione degli altri). Inevitabilmente questa tendenza, già chiara nel Piacere diventerà quella prevalente dopo la conoscenza di (Nietzsche) (Gioanola 1997).
Non va dimenticato poi come D'Annunzio abbia ben chiara la situazione del mercato intellettuale italiano coevo. La sua vita, come quella di Sperelli, deve essere "inimitabile". Questa inimitabilità ha però un obiettivo: creare l'immagine di un uomo superiore, da prendere come vertice irraggiungibile, un divo. Un divo che, in quanto tale, accrescerà le sue vendite (e quelle del suo editore) (Berardinelli 1982).
Proprio quest'ultimo tratto, il dato che la biografia di D'Annunzio è inscindibile dalla sua opera letteraria, diventa strumento per affermare che l'autore si muove "nello sforzo disperato di salvare la bellezza dalla definitiva rovina nell'economicità [...] sempre più spinta [...] verso la morte, il silenzio" (Barberi Squarotti 1982)
Anche leggendo le opere in cui però apparentemente prevale il tratto estetizzante, come le Laudi e, soprattutto, Alcyone, la ricerca della bellezza, della musicalità, quel verso tanto cantato dall'autore come strumento di reale conoscenza, è sempre strumento di affermazione della superiore sensibilità del poeta. Leggendo La pioggia nel pineto possiamo osservare come sia sempre l'autore a condurre, attraverso la sua superiorità iniziatica, l'interlocutore, Ermione, verso la fusione con la natura. Così il vitalismo del componimento è contemporaneamente affermazione del superomismo dannunziano e momento di ristoro, quasi l'attesa del momento in cui l'io del poeta potrà trovare l'agognata e sicura affermazione.
In conclusione possiamo affermare come sia il personaggio di Andrea Sperelli ne Il piacere che la biografia stessa di D'Annunzio confermino come per l'autore l'Estetismo, più che un fine, sia un mezzo di affermazione e che, anche dove la vena estetizzante sembra essere più forte, la bellezza appare come momento di riposo e di ristoro nell'attesa del nuovo assalto e del sicuro successo del superuomo.
AAVV., La cultura del 900, a cura di A Berardinelli, Mondadori, Milano 1982
AAVV., Enciclopedia italiana, Treccani 2015
G. Barberi Squarotti, Invito alla lettura di Gabriele D'Annunzio, Mursia, Milano 1982
G. D'Annunzio, Il piacere, Treves 1889
G. D'Annunzio, Laudi del cielo, del mare, della terra, degli eroi, 1903
G. D'Annunzio, Alcyone, 1903
E. Gioanola, Introduzione al Novecento, Colonna, Milano 1997
The Pitt, R. Scott Gemmill
The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....
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