giovedì 26 febbraio 2015

The Newsroom

The Newsroom è una serie televisiva, per ora alla terza stagione, creata da AAron Sorkin. La serie racconta il dietro le quinte della produzione televisiva di un telegiornale per un fantomatico network americano, la ACN. protagonista della serie è il conduttore televisivo Will McAvoy, repubblicano noto per la sua affabilità, che si riscopre giornalista scomodo e d'inchiesta quando si trova a collaborare con il suo nuovo produttore, la democratica MacKenzie Morgan MacHale. McAvoy inizia così a scavare all'interno della politica americana, in particolare facendo i conti con la sua parte, quella dei repubblicani, sempre più in mano a quelli che ad un certo punto verranno definiti i talebani d'America, il Tea Party.
Ciò che rende veramente interessante questa serie sono i tre piani narrativi attraverso cui si muove. Il telespettatore medio sarà colpito dalle dinamiche tra i diversi personaggi che compongono la redazione del telegiornale, un gruppo di ventenni di belle speranze e scarsa esperienza, galvanizzati dai due leader, il conduttore e la produttrice. Il secondo piano narrativo è quello della critica ad un sistema giornalistico che si fondi sugli ascolti, all'idea che per poter dare notizie, anche scomode, occorra tenere d'occhio il pubblico e magari addomesticarlo con il gossip. Ultimo piano narrativo è quello politico, e qui la serie si fa ancora di più soprendente, soprattutto se si pensa alla televisione italiana. La serie non ha paura di colpire e affondare in quelle che sono le fobie e le menzogne della politica americana, fatta di politici locali incompetenti o in malafede, collusioni tra potere politico e potere economico, diseguaglianze e paure infondate. McAvoy e la produttrice MacKenzie diventano strada facendo dei novelli Don Chisciotte, impegnati in una battaglia contro i mulini a vento che, forse, non potranno vincere, ma che non potranno fare a meno di combattere.


Roberto Saviano, Gomorra



Gomorra è un'opera letteraria molto interessante scritta da Roberto Saviano e pubblicata nel 2006 per i tipi di Mondadori. Definire cosa sia quest'opera è molto difficile. Il libro si divide in due sezioni, la prima di cinque capitoli, la seconda di sei.  Attraverso questi undici capitoli Roberto Saviano, io narrante, ripercorre le vicende della sua vita e delle sue inchieste attraverso la Campania della camorra. L'io narrato di Saviano quindi si trova ad avere a che fare con la filiera della produzione artigianale sommersa che alimenta il mercato delle grandi firme della moda, oppure scopre e analizza il dominio della camorra sulla vita della provincia campana, talmente radicato da condizionare le stesse manifestazioni del vivere sociale, le reazioni di fronte alle inchieste giornalistiche, alle retate, la stessa istruzione e la possibilità di un futuro dei cittadini. Fino ad arrivare alla vergogna della terra dei fuochi, quell'enorme fetta della regione adoperata per anni come discarica abusiva da aziende conniventi con le mafie provenienti da ogni angolo del paese e non solo. Nell'opera, attraverso dati d'inchiesta, si discute del mercato delle armi, del narcotraffico, di lavoro in nero, di guerre tra bande. Tutto, come detto, ha in queste disquisizioni un taglio giornalistico. Infatti prevale nel libro, per fortuna, il sapore del reportage, dell'inchiesta, del giornalismo che smaschera un sistema di connivenze e di paure radicato.
Eppure Gomorra non è solo giornalismo, non per niente da quest'opera sono stati tratti film, opere teatrali, serie televisive.
In molti momenti Saviano narratore si lascia andare a tirate moralistiche, a commenti, a inserti letterari e narrativi, con vicende reali o verosimili, che costituiscono la reale novità letteraria del volume, e insieme la sua debolezza. Saviano narratore, infatti, è mediocre. Le tirate moralistiche sono spesso noiose, le vicende del Saviano personaggio, per come vengono raccontate, poco credibili, tanto da fare sperare che si concludano rapidamente per tornare all'inchiesta. Eppure questa unione di narrativa e inchiesta, con la netta prevalenza, occorre ricordarlo, del dato documentario, è la novità letteraria del volume, almeno nel panorama italiano del primo decennio del Ventunesimo secolo. Tanto che per questo nuovo filone vengono coniate diverse definizioni: docufiction, new italian epic, UNO (oggetti narrativi non identificati), queste ultime due definizioni frutto dello studio e del lavoro del collettivo WuMing.
In sostanza possiamo dire che Gomorra lascia una enorme traccia di sé nel panorama letterario contemporaneo per due diversi motivi: il valore dirompente della sua inchiesta in un'Italia che certe sue verità, manifeste, si sforza in ogni modo di ignorarle, e per la novità tecnica del tentativo di mescolare narrazione e inchiesta in un nuovo formato.


martedì 24 febbraio 2015

La supercazzola de #labuonascuola

Ci perdonerete il divertissement, ma siamo insegnanti, abituati a pretendere – da noi stessi come dai nostri alunni – discussioni consequenziali su informazioni verificate e congruenti. Per noi, dunque, il merito di una riforma si misura anche nel metodo con cui viene realizzata, e così non abbiamo potuto non guardare con occhi sognanti la performance del presidente Matteo Renzi alla kermesse PD sulla scuola celebrata in pompa magna domenica scorsa.
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lunedì 23 febbraio 2015

Elogio della complessità

Sempre più spesso capita di leggere articoli, o addirittura libri, caratterizzati da una comune cifra stilistica. In effetti, se non ci fosse una firma, difficilmente si potrebbe capire chi sia l'autore di questo o quell'intervento, questo o quel volume. Tutte le frasi, tutti i periodi, i paragrafi, i capitoli sono accomunati dalla ricerca della rapidità e della semplicità. Ma qual è l'idea (fondata?) che sta dietro questa scelta stilistica? Facile, ovvero che la semplicità coincida con ciò che, essendo facilmente e immediatamente percepibile, sia anche per sua natura più "logica", più vera. Così, per contrappeso, ad un periodare complesso corrisponde l'idea di un inutile appesantimento, di qualcosa da nascondere, della volontà di fregare.
Si tratta ovviamente di un modello retorico molto diffuso e sfruttato mirabilmente da numerosi politici. Pensiamo ad esempio alla comunicazione di Matteo Renzi o di Matteo Salvini, così attenta alla velocità tanto da abolire completamente il periodare complesso, anzi, da abolire addirittura frasi complesse che superino  centoquaranta caratteri. La frase semplice assume valore iconico, totemico: se è semplice è sicuramente vera.
Così vale per gli scrittori, sempre più gggiovani (con tre "g", mi raccomando), privatisi degli inutili orpelli dei tempi verbali che non siano il presente e l'imperfetto o di tutti quei modi che servano ad esprimere le varie sfumature della possibilità. Se la comunicazione deve essere rapida, come un post su Facebook, non può dilungarsi sulle paure e le incertezze, deve esprimere la sua subitaneità, la sua fondatezza. Ecco che tutto diventa un eterno presente indicativo.
A questa comunicazione rapida ed appiattita si associa un altro mito, quello del buon senso. Il buon senso si fonda sull'esperienza pratica, concreta, immediatamente realizzabile ed accessibile a tutti. Tanto concreta che non necessita, né merita, verifica. Se un'affermazione è di buon senso, e lo sarà tanto più apparirà semplice e di facile intuizione, non avrà di certo bisogno di verifica.
Eppure è proprio l'esperienza a farci dubitare del buon senso. Fosse per il buon senso la Terra sarebbe piatta, la Luna sarebbe un disco, il Sole girerebbe intorno a noi, e del resto il nostro pianeta sarebbe immobile; fosse per il buon senso le persone di colore sarebbero inferiori, gli omosessuali malati, gli epilettici dei profeti, i bambini dei piccoli adulti e le donne sottomesse. Fosse per il buon senso gli aerei non volerebbero, le navi non navigherebbero e noi vivremmo al freddo e al buio nelle caverne.
Il punto è che la storia dell'uomo nei suoi progressi non è fatta di buon senso. La storia dell'uomo è fatta di complessità, di ipotesi, di dubbi, incertezze, errori, ripensamenti. La storia dell'uomo è fatta di angoscia, patimenti, gioie, maltrattamenti e gesti di coraggio oltre ogni pensiero umano. Tutte cose che la nostra lingua è capace di esprimere, grazie e malgrado le sue mille incertezze, attraverso la spigolatura della sua complessità, le zone d'ombra delle sue apparenti contraddizioni o delle sue ripetizioni. Ad una lingua complessa corrisponde un pensiero complesso. Sì, forse si tende al barocchismo, ma se è l'animo nella sua multiforme essenza ad essere barocco, perché impedirlo alla lingua? Certo, sempre occorre cercare l'altro punto di fuoco della nostra traiettoria, ovvero la precisione. Sforzarci, pur nelle difficoltà e senza abiurare alla complessità, di cercare il termine che solo, anche fosse arcaico e desueto, riesce ad esprimere quella minima sfumatura che vogliamo rendere. Questo è certo un elogio del parlare complesso, retorico. Ma perché solo al parlare complesso si associa il desiderio e il tentativo di scandagliare davvero la realtà fino alle sue viscere, anche a costo, come per illustri esempi, di scoprirne la vanità.


giovedì 19 febbraio 2015

Qualche considerazione sullo spauracchio Isis



Non c'è da nascondersi che in questi giorni le notizie sull'avanzata dell'Isis in Libia stanno sempre di più suscitando preoccupazione nel nostro paese. Si tratta di una paura legittima ma che non deve tramutarsi in panico, soprattutto perché si tratterebbe di una reazione immotivata. Una simile affermazione non nasce da spacconeria, sciovinismo o scarsa considerazione del possibile nemico, ma da considerazioni fattuali e di merito.
In primis cerchiamo di essere razionali. L'Isis, dove oggi esiste, vive perché ha approfittato di gravi crisi di stati al tracollo. Siria, Iraq e Libia sono stati esistenti solamente sulle carte geografiche, attraversati da mille divisioni e lotte da ben prima che questo famigerato califfato nascesse. Califfato che nasce dalle spoglie del regime sunnita iracheno, come forma di rivolta della minoranza sunnita nei confronti dello strapotere della maggioranza sciita ora al potere dopo gli anni del dominio e della dittatura di Saddam Hussein. Questa origine ci dice anche che l'Isis non è l'Islam, anzi, si identifica solo con una parte di esso, l'Islam sunnita, tanto che l'Iran fino ad ora nemico dell'Occidente, l'Egitto, la Giordania hanno preso parte fattivamente agli interventi contro il nascente stato islamico.
L'espansione verso la SIria dell'Isis è avvenuta secondo le stesse modalità: si è preso di mira un territorio già dilaniato dalla guerra, spingendosi poi verso il nord, verso i territori a maggioranza curda (ma senza provare a toccare i confini turchi, lo si noti). E proprio contro i Curdi l'Isis ha subito la sua prima battuta d'arresto. Di fatto è bastata una forza un minimo più organizzata, armata e motivata per fermarli.
Oggi l'Isis compare in Libia, senza averne preso il controllo, tutt'altro. Il panorama libico è se vogliamo ancora più complesso di quello siriano, già diviso in almeno tre fronti. In Libia si fronteggiano varie tribù e schieramenti, e fra essi quello dell'Isis è uno dei tanti, se vogliamo il più impressionante per l'Occidente, ma non per forza il più forte. Infatti l'azione dell'aviazione libica e delle forze egiziane stanno ricacciando nei bunker le truppe del califfato, truppe composte solo in parte da soldati di mestiere.
Ma veniamo a noi e alle paure che si diffondono in Italia.
In primis parliamo della paura che le armate dell'Isis giungano con i barconi dei migranti. Se così fosse, vorrebbe davvero dire che quelli del califfato sono alla frutta. Perché partire con i barconi vuol dire a) rischiare di perdere uomini armati e addestrati (tutte cose che hanno un costo) senza la certezza di arrivare, viste le condizioni del Mediterraneo e dei barconi b) avere degli uomini che, anche volessero muoversi in incognito, sarebbero immediatamente riconoscibili: in genere i migranti che arrivano sono in condizioni pietose, tanto che gli scafisti sono immediatamente riconoscibili perché gli unici in salute; se uomini dell'Isis volessero giungere in questo modo o dovrebbero rimanere per lungo tempo come cellule dormienti (con il rischio di essere nel frattempo però scoperti dal lavoro di inteligence) o verrebbero immediatamente catturati perché quanto meno sospettati di essere gli scafisti,
In realtà, se gli uomini dell'Isis volessero realmente penetrare in Italia, lo farebbero in prima classe con documenti falsi passando da stati terzi, come la vicina Tunisia o lo stesso Egitto, non certo in maniera così spericolata come attraverso i barconi.
E questa considerazione chiude questa parte del ragionamento: giungessero davvero con i barconi, vorrebbe dire che ogni altra possibile via è preclusa, tanto da lasciare a disposizione solo quella meno praticabile.
Altra considerazione. Un conto è stato fare la guerra a paesi nel caos e con forze armate ormai quasi inesistenti, un conto è portare la guerra su di un terreno che non si conosce contro un avversario organizzato. Non per niente, come si diceva prima, le armate Isis hanno evitato i confini della Turchia, stato ben più temibile delle odierne Siria, Iraq e Libia. Non dovrebbe lasciare indifferenti come uno dei cavalli di battaglia del jihaidismo moderno, la lotta contro Israele, sia stato del tutto assente dalla propaganda Isis. Meglio non svegliare il cane che dorme, perché l'intervento dell'esercito israeliano sarebbe la fine del califfato. Molti strateghi ed esperti militari hanno già dichiarato che basterebbero quindicimila uomini di un esercito occidentale ben armato per sbaragliare del tutto l'esercito Isis in Siria e Iraq, quindi anche su un terreno meglio conosciuto dal califfato e in cui ci si potrebbe dare alla guerriglia.
Quindi le minacce all'Italia cosa sono? Propaganda o follia. Entrambe le risposte potrebbero essere veritiere: minacciare Roma è per questo Islam fanatico un modo per galvanizzarsi, soprattutto di fronte all'intervento di altri stati islamici, come Egitto e Giordania, contro l'Isis.
Ma la minaccia può anche essere vera nella sua follia. E di follia si tratterebbe, come detto prima, viste le condizioni in cui lotterebbero i miliziani del califfato (a meno che tutto non si riduca a sporadici, per quanto gravi, attentati terroristici che alimentino un clima di tensione e nulla di più) e perché subentrerebbe un sistema di alleanze che fino ad ora è stato a guardare. Non dimentichiamo che l'Italia è uno dei paesi membri della NATO e che un attacco subito da uno dei paesi dell'Alleanza Atlantica equivale ad una dichiarazione di guerra a tutti i paesi membri dell'alleanza. Solo un folle, con le forze odierne dell'Isis, potrebbe pensare ad un simile attacco sapendo che ciò che ne conseguirebbe sarebbe una rappresaglia talmente violenta e potente da porre definitivamente fine al califfato.
Tra l'altro, e questo lo si dice come un dettaglio, le truppe dell'Isis in un simile attacco dovrebbero attraversare dei territori, Sicilia, Calabrie, Campania, non propriamente sguarnite e in cui, certo, lo stato è debole, ma in cui una forma statuale di certo non interessata a farsi sostituire da un'organizzazione totalitaria come quella del califfato esiste, e sono le organizzazioni mafiose. Si penserà sia cosa da poco, ma non è poi così vero, se si considera come nelle disponibilità della camorra stia l'arsenale dismesso degli eserciti dell'ex Jugoslavia.
Per concludere, se non è da escludere che l'Isis alimenti il clima di tensione con proclami e attentati terroristici, i reali rischi di un tentativo di invasione via mare sono realmente pochi, a meno che l'Isis non sia in realtà talmente in difficoltà da poter tentare solamente il colpo di teatro che galvanizzi i suoi. Ma un simile scenario costituirebbe il motivo per una risposta occidentale tale da porre fine, definitivamente, ad ogni ambizione del califfato.


mercoledì 18 febbraio 2015

Metronews, Le lezioni online facilitano lo studio #laverascuola



ROMA Un ingegnere, Salman Khan. Un'idea forse banale: mettere online le lezioni per permettere ai ragazzi di rivederle a casa. Inutile dire che l'idea si dimostra un successo. I video di Khan, prima su Youtube e poi su Khan Accademy, ricevono nel corso degli anni milioni di visualizzazioni, permettendo a centinaia di migliaia di studenti di accedere da casa ad un patrimonio di conoscenze sempre più ampio. Insegnanti che creano lezioni  per i loro alunni, non per un pubblico generico o frutto di ricerche di mercato. Continua la lettura su  Le lezioni online facilitano lo studio 


lunedì 16 febbraio 2015

#laverascuola su Metronews

Da oggi c'è un altro strumento di comunicazione efficace che vigila sulla nostra scuola: l'inserto settimanale di Metro. Ho il piacere di presentarvi un progetto che settimanalmente consentirà di comunicare al grande pubblico la situazione della nostra scuola. Una comunicazione che parte dagli insegnanti ed arriva dritta ai cittadini. L'inserto verrà pubblicato sia su supporto cartaceo (Metro ha 900.000 lettori al giorno secondo gli ultimi dati Audipress) sia sul sito web del quotidiano Metro. Per chi non lo sapesse Metro è il sesto quotidiano nazionale per tiratura e viene distribuito principalmente nelle metro delle seguenti città: Roma, Milano, Torino, Firenze, Genova, Bologna. #questaelabuonascuolapernoi #laverascuola


Anastrofe e iperbato



Paragone, similitudine e metafora



Fedor Dostoevskij, Le notti bianche



Le notti bianche è un romanzo breve di Fedor Dostoevskij, pubblicato nel 1848. Si tratta quindi di un'opera giovanile di Dostoevskij. Il romanzo racconta le vicende di un protagonista, di cui non conosciamo il nome, ambientate a San Pietroburgo. Il giovane, un solitario sognatore, si imbatte per caso di notte in una ragazza che, camminando per strada, sta per essere importunata da un uomo. La ragazza, Nasten'ka, si intrattiene così per quattro notti chiacchierando con il protagonista per le strade della città, illuminate, come capita nei pressi del circolo polare artico, dalla luce del crepuscolo per l'intera durata della nottata. Il protagonista, incapace di vivere realmente nella società intorno a lui, confida di non avere mai avuto una donna, e immediatamente nasce in lui l'amore per Nasten'ka. Ma la ragazza confida di attendere ormai da un anno il ritorno dell'uomo che ama e che, anzi, l'uomo si trova proprio in quei giorni in città. Così Nasten'ka convince il protagonista a farsi complice del suo amore, recapitando una lettera all'uomo amato per ricordargli la promessa d'amore fatta alla ragazza ormai un anno prima. Proprio quando l'uomo sembra non voler comparire, tanto da vedere Nasten'ka avvicinarsi sempre più al sognatore, prefigurando un possibile lieto fine e un amore fra i due, ecco che il personaggio tanto atteso compare, portando via con se la ragazza. Al sognatore non rimarrà che il ricordo delle nottate in cui, sole, ha vissuto, e le lettere della donna che, ormai di un altro uomo, confida di volergli ancora bene e di desiderarlo ancora come amico.

Il romanzo è una radicale critica della figura del sognatore, tipica di tanto Romanticismo europeo. Il protagonista, privo di un nome proprio per la sua evanescenza, è del tutto incapace di vivere. Senza amici, non sa e non può sedurre e fare sua la donna amata, tanto da finire per aiutarla a divenire la donna di un altro. Nella sua idealità il protagonista non può essere che un perdente, sconfitto dalla vita e, in fondo, delegittimato e abbandonato dal suo stesso creatore.


domenica 15 febbraio 2015

Mio padre



I motivi di un silenzio.

Qualche mio lettore avrà forse notato la mia assenza da questo blog. Un'assenza che, chi mi legge sui social network lo saprà, ha avuto una causa ben precisa e, purtroppo, dolorosa.

Vivo in questi giorni un lutto che, purtroppo, faccio ancora fatica ad elaborare. Non vi tedierò con delle considerazioni personali che vadano oltre la più stretta necessità. Ma, come chiunque tenga un blog, questo strumento, tra le altre cose, è anche una sorta di diario personale. Il diario di un narcisista che pretende che questo scrigno segreto venga ogni tanto aperto da lettori sconosciuti e che la propria intimità sia oggetto di ammirazione. Ma sempre di un diario si tratta.

Ecco, è morto mio padre. In realtà mio padre aveva iniziato a spegnersi già quasi tre anni fa. Aveva iniziato a sparire, a poco a poco, per una serie di ischemie che, di volta in volta, gli hanno tolto qualcosa. Prima la possibilità di camminare come si deve, poi la possibilità di muoversi autonomamente, la capacità di elaborare o seguire ragionamenti complessi, la possibilità di nutrirsi autonomamente, fino alla stessa parola. Mio padre è morto su di un letto d'ospedale per un arresto cardiaco, ma già da tempo il genitore che era stato fino a qualche anno fa non c'era quasi più. Fino all'ultimo però ci ha voluto bene. Fino all'ultimo giorno mio padre ha continuato a rincuorarci tutti dicendoci che stava bene. Lo nutrivano per via venosa, aveva una piaga profonda cinque centimetri e larga quindici. Un rene non funzionava più e l'intestino ormai andava per conto suo. Non si è mai lamentato, ha sempre sopportato tutto, ha sempre continuato ad incoraggiarci.

Mio padre mi manca.
Mi manca la sua mano che si stringeva alla mia mentre passavo con lui le nottate in ospedale, e non so chi dei due rincuorava l'altro. Mi manca non avere i suoi consigli, mi manca il suo sorriso, mi manca quella persona che ha accolto mia moglie come fosse sua figlia, che anche di fronte alla sofferenza mi ha spinto a partire per lavorare dall'altro lato del paese.

Non vi dirò che va tutto bene, né che mio padre era un eroe. Ma se oggi dovessi dire che cosa sia l'umanità, ecco io l'umanità la ricordo come gli occhi di mio padre che, mentre lo salutavo per andare a prendere un aereo promettendogli che ci saremmo rivisti dopo una settimana, mi fissavano, umidi, come se sapessero che non avremmo mantenuto quella promessa.


Insegnare letteratura oggi



Cosa facciamo quando scriviamo? Cosa facciamo quando scriviamo poesia? Cosa insegnamo a scuola quando parliamo di letteratura? Queste domande, apparentemente banali, hanno trovato innumerevoli risposte nel corso dei secoli. Nessuna di queste risposte ha però mai potuto sperare di essere la risposta definitiva, forse perché l'argomento è talmente complesso da fuggire da una soluzione univoca. Eppure non possiamo fare a meno di porci queste domande, e non possiamo non farcele anche noi insegnanti, che la letteratura la dobbiamo spiegare.

Perché l'uomo scrive?

L'uomo scrive, ma non lo ha sempre fatto. La scrittura nella storia dell'uomo è un'invenzione relativamente recente, possiamo dire che il 99% della nostra storia si è svolta senza testi scritti. Questo non vuol dire certo che l'uomo non comunicasse, anzi. Ciò che cambiava erano codici e canali di comunicazione. Occorre notare qui che questi cambiamenti non sono da poco né neutri, perché sappiamo bene come codice e canale modifichino anche l'atteggiamento del mittente e dei destinatari nei confronti del messaggio. Tuttavia, rimane un nocciolo comune alla storia dell'uomo, il bisogno di comunicare, qualsiasi sia il modo o lo strumento che si adoperi per farlo.

Ma perché la letteratura, e, nello specifico, perché la poesia?

Ecco, se dovessi dare delle risposte a queste domande, direi che una risposta non c'è; c'è una mezza risposta.
La letteratura, nel senso più ampio del termine, esiste perché raccontare ci definisce. Raccontare ciò che facciamo ci definisce, rispetto agli altri nostri simili e rispetto a coloro che sentiamo diversi. Ci definisce persino rispetto al resto della natura, avvertita come incapace di raccontare. Raccontiamo perché siamo uomini, iniziamo a farlo appena nasciamo, piangiamo e urliamo perché raccontiamo il nostro stupore, e continuiamo perché raccontiamo i nostri bisogni primari. Crescendo impariamo a raccontare bisogni e necessità sempre più evoluti, sviluppati, complessi. A volte arriviamo persino a metterli su carta; altre volte su tela, o li scolpiamo su un pezzo di marmo o di argilla, altre volte ancora li filmiamo con una telecamera o una webcam. Il più delle volte ci limitiamo a dirli a voce, parole che sfuggiranno nel momento stesso in cui verranno proferite. Ma il bisogno che muove tutti questi atti non è diverso.

La letteratura esiste perché abbiamo bisogno di mettere assieme i fatti, abbiamo bisogno di metterli in sequenze, di collegarli fra di loro, di tramandarceli in forme che siano valide per tutti, e in primo luogo in forme che siano valide per chi le pensa, le elabora, le dice. Lo scopo della letteratura non è diverso da quello della storia o da quello della scienza. La letteratura ci serve per spiegare il mondo, e, nel fare questo, spiegare noi stessi.

E la poesia?

Beh, abbiamo appena detto che la letteratura serve a spiegare il mondo. Ecco, un piccolo atomo sperduto in questo mondo è l'uomo, e la poesia quasi sempre serve proprio a spiegarsi l'uomo. La poesia, la lirica in particolare, non serve esclusivamente a "raccontare" il mondo, ma nello specifico serve a "raccontarsi". A raccontare l'uomo all'uomo, a definire ciò che è umanità da ciò che non lo è, nelle diverse epoche e nei diversi luoghi. Saremmo nel torto nel pensare che il raccontarsi appartenga solo alla poesia. Qualsiasi narratore si racconta mentre racconta qualcos'altro. la scelta del nostro soggetto, dell'argomento della nostra narrazione non è mai neutrale. Decidiamo di parlare di qualcosa perché, nel farlo, decidiamo di dire anche qualcosa di noi stessi. Ciò non toglie che, se esiste una forma letteraria che più nel corso della storia dell'umanità si è adattata a questo scopo, questa forma è stata la poesia.

La letteratura, la poesia in particolare, servono a dire cos'è il mondo e cos'è questo piccolo atomo chiamato uomo che nel mondo si aggira. Questo nostro messaggio sgangherato, fratello delle altre arti come delle scienze, è un farmaco ad un tempo sia per chi lo produce, che nel farlo, anche attraverso un parto doloroso trova se stesso, sia per chi la letteratura la riceve, la legge, la gusta. Chi magari non è o non si sente in grado di dirsi come farebbe uno scrittore, ma sente il bisogno almeno di sentirsi raccontato, e per farlo sceglie che questa operazione venga svolta da chi, si spera, sappia farlo con le parole più belle, con le espressioni più icastiche, con le frasi che più sappiano cogliere l'essenza di ciò che siamo, come di ciò che non siamo.

La letteratura risponde ad un istinto, ad un bisogno, ed è per questo che sentiamo il bisogno di farla come di tramandarla. Di spiegarla a scuola. La letteratura, come le altre arti e le scienze, ci rende uomini nel senso più alto e pregnante del termine. Un istinto che, consapevolmente o no, proviamo tutti. Un istinto a cui rispondiamo in mille altre maniere, non dobbiamo illuderci. La letteratura non è la vita nella sua interezza e non è l'unico strumento che sia in grado di raccontarla. Cinema, pittura, scultura, tutte le arti, lo studio di ogni scienza, tutti questi sono strumenti che si rivolgono, in ultimo, allo stesso obiettivo. Dire cos'è l'uomo, dire cos'è ciò che ci circonda e cercare di trovare una spiegazione al nostro esistere in questo ambiente. Tutto qui.

Un'ultima considerazione: la letteratura non per forza esisterà per sempre. Quando essa smetterà di parlare a qualcuno, quando la sua voce non servirà più, la letteratura morirà. Cosa che non ne ridurrà il valore che oggi, come nel corso degli ultimi trenta secoli, ha e ha avuto. Un valore universale pur nelle differenze nel tempo e nello spazio. Un valore che, ci auguriamo, questo strumento continuerà ad avere ancora per lungo tempo, un valore da nutrire, da far proliferare e da diffondere. La letteratura è strumento di conoscenza, e come ogni strumento di conoscenza è stata anche vittima e carnefice. La letteratura ha avallato le peggiori guerre e persecuzioni, così come è stato stimolo e strumento per il progresso dell'uomo. Tutto ciò perché coloro che si sono imbattutti e impelagati in questo strumento, chi più e chi meno, hanno sempre lavorato sulla stessa domanda, sullo stesso obiettivo. Dare forma con le parole alle paure e alle speranze dell'umanità, dare una definizione persino di ciò che dovrebbe essere o di ciò che è l'uomo.

Per tutti questi motivi pensiamo che ancora oggi abbia senso fare e parlare di letteratura. Per questi motivi pensiamo che abbia senso conoscere anche le letterature delle civiltà lontane, nel tempo e nello spazio. Uno studio che, anziché ridotto in favore di calcoli opportunistici ed economici, andrebbe favorito e ampliato, a cui andrebbero dedicate sempre più ore e impegno, a fronte di quanto invece avviene nella scuola contemporanea. Possiamo discutere dell'ammodernamento delle metodologie didattiche, ma con una consapevolezza. Non esiste metodologia didattica senza un obiettivo di fondo da definire chiaramente e da raggiungere, e oggi, in chi pensa e gestisce la scuola, questo obiettivo, nella sua funzione più alta di formazione di individui e cittadini, non esiste o è annebbiato da interessi che con la scuola non hanno a che fare, come l'addestramento di lavoratori e consumatori.


The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....