venerdì 23 giugno 2017

Esami di Stato, giornali, tv e scuola di classe



Passata la seconda prova dell'esame di Stato 2016/2017, una cosa mi amareggia particolarmente, ovvero il fatto che, malgrado gli anni passati dall'epoca di Gentile, nel modo in cui parliamo della scuola italiana siamo ancora fermi alle posizioni di chi divideva in scuole di serie A o serie B (se non LegaPro), a seconda degli indirizzi frequentati dagli alunni.
In che senso? Basti pensare al battage mediatico sulla seconda prova: chi sa che prove sono state assegnate, non dico agli altri licei (qualcuno forse avrà sentito di Eco al liceo delle Scienze Umane), al di fuori di Classico e Scientifico, ma, che so, agli Istituti Tecnici o, peggio, ai Professionali? Ci sono tre quarti dei ragazzi che si stanno accingendo all'esame di Stato di cui, saccentemente, ci frega poco o nulla.
A dire la verità sui giornali qualcosa è comparsa: in ordine sparso i principali quotidiani nazionali (Corriere, Repubblica, Il Giornale e La Stampa su tutti) hanno pubblicato i testi delle prove proposte per alcuni istituti tecnici e per gli istituti alberghieri (ovviamente non tutte le articolazioni o tutti gli indirizzi). Senza soluzioni, perché al grande pubblico (che non ha fatto né Classico né Scientifico...) può interessare solamente leggere la traduzione di Seneca o la soluzione del problema matematico. Quello che stupisce davvero è come invece siano proprio gli insegnanti a non interessarsi della qualità delle suddette prove: detta in altre parole, ovunque sui gruppi social di insegnanti vedrete disquisire di Caproni, della bicicletta del MoMath Museum Of Mathematics di New York, ma di tutti gli altri, quelli delle scuole sfigate, gli alunni di serie B, nel loro caso non conta sapere se le prove somministrate valorizzassero o no le competenze, fossero facili o difficili, seguissero o no un indirizzo politico.
La realtà è che, al di là delle belle parole, i primi a fare una distinzione di classe e di censo, ancora oggi, nelle scuole, siamo noi insegnanti: soprattutto quelli che si vorrebbero fare portavoce della cultura della sinistra dai salotti dei licei.
Per questa ragione, e riprendendo quanto ho scritto su Facebook:
Proposito per il prosieguo degli esami di Stato e per il quieto vivere con i colleghi: ogni volta che citerete don Milani, la scuola e la sua funzione sociale, la lotta di classe, l'importanza dei contenuti, il ruolo fondamentale dell'esperienza, il rischio della pedagogia, lo schiavismo delle competenze, senza esservi mai fatti un giorno di istituto professionale o, peggio, di formazione professionale, verrete da me spernacchiati e villipesi per una durata di tempo variabile a seconda delle proporzioni della minchiata che avete asserito, secondo una scala di misurazione che va da zero a dichiarazione di Fusaro.

giovedì 22 giugno 2017

Esami di Stato, vecchie polemiche






Passata la 1° prova dell'esame di Stato, come ogni anno ciò che rimane è il corollario di polemiche, a partire da quelle suscitate dal post di Monica Cartia per continuare con Corlazzoli fino a chiudere con  Raimo su Internazionale.   

Ora, potrei dire che se Corlazzoli e Cartia criticano la scelta delle tracce, a occhio, la scelta delle tracce è stata ottima. Scherzi a parte, un conto è la scelta più o meno criticabile dell'attualità o della banalizzazione dei temi di grandi della letteratura come Caproni, Machiavelli, Leopardi, Foscolo, etc; un altro conto è il nascondersi dietro questi rischi per non ammettere che non si svecchia il proprio modo di fare e pensare la scuola da vent'anni. Ah, se, come Carlazzoli, non sapete nulla di robotica o della letteratura dal secondo dopoguerra ad oggi, la colpa non è del MIUR.
Il punto è che l'esame non serve a valutare se i ragazzi sono diventati saggisti o critici d'arte, ma per valutare competenze di base in un contesto simulativo. Per questo motivo, per esempio, la scelta di Caproni, autore fuori dal canone degli autori proposti dalle programmazioni scolastiche, è tutt'altro che sprprendente o scandalosa: vero è che spesso gli alunni non sanno nulla dell'autore, ma questo è un problema? Se vuoi fare il critico letterario sì, se devi fare vedere che sai trovare quattro figure retoriche e riconoscere i registri linguistici molto meno.
Riguardo alla produzione saggistica poi assistiamo ad un paradosso (neanche tanto sorprendente): per anni si è lamentato il fatto che il MIUR fornisse plichi di tracce troppo lunghi e che quindi gli studenti impiegassero troppo tempo a leggere i documenti, ma ora che il plico viene snellito, ecco che i documenti sono troppo pochi. La scelta dei documenti potrebbe essere migliore? Certamente, ma occorre tenere conto del fatto che i documenti, uguali oer tutti, devono essere leggibili dal liceo classico all'istituto professionale settore caseario o edile; insomma, dire che occorrerebbe mettere la ricerca à la page di tizio o caio senza pensare che taglierebbe fuori metà degli studenti italiani è un atteggiamento non volutamente ma chiaramente classista.
In ultimo, di nuovo, anche in questo caso occorre chiarire: stiamo sostenendo un esame per un dottorato o per essere assunti da un quotidiano? No, si stanno valutando delle competenze minime, tutto qui, e scusate se è poco.


sabato 17 giugno 2017

Il paradosso del barbiere, spiegato

Il paradosso del barbiere è un noto paradosso ideato da Bertrand Russell (e ripreso poi da Wittgenstein e dalla sua scuola) per spiegare per assurdo alcuni meccanismi della logica linguistica.
Letteralmente il paradosso è così formulato:
« In un villaggio vi è un solo barbiere, un uomo ben sbarbato, che rade tutti e solo gli uomini del villaggio che non si radono da soli. Il barbiere rade se stesso? »

In che senso parliamo di paradosso?
Analizziamo premessa e conclusione. I personaggi in scena sono il barbiere e gli uomini del villaggio, divisi fra coloro i quali sono in grado di radersi da sé, e coloro che per radersi necessitano del barbiere. Ad essere precisi però tutti i personaggi in scena non esistono di per sé, ma in base alla loro funzione logica che scaturisce dalla relazione con gli altri. A ben guardare, il barbiere è colui che rade o non rade gli uomini del villaggio, e questi sono coloro che si fanno o no radere dal barbiere.
Fino a qui tutto bene.
Il paradosso nasce però proprio dalla condizione logica del barbiere che si fonda sulla relazione con l'altro da sé. Se il barbiere, che ci viene detto essere ben rasato e indiscutibilmente uomo, rade coloro che non sono in grado di radersi, allora non è in grado di radersi perché il suo essere barbiere implica la capacità di radere la barba, ma se egli stesso non è in grado di radersi, allora necessita di un barbiere, ovvero di se stesso.

Cosa ci dice questo paradosso irrisolvibile? Ci dice che quando parliamo la realtà, ovvero la descriviamo in termini logici, lo facciamo attraverso il filtro linguistico. Di fatto noi non comunichiamo la realtà ma le relazioni che ci permettono di percepirla, come la relazione fra barbiere e clienti; ciò porta però all'assurdo, perché in maniera alogica tutti noi sappiamo che il barbiere rade se stesso, ma questa conoscenza empirica risulta incomunicabile in termini logici.

venerdì 16 giugno 2017

Dodici tesi per la sinistra

Il diritto alla proprietà privata è un portato culturale, non naturale, come tutto ciò che riguarda l'organizzazione sociale dell'uomo. Non esiste in natura, non è conosciuto​ fra gli altri animali, neanche fra quelli più vicini all'uomo quali i primati.

Se la proprietà privata non è un diritto naturale, ma espressione culturale, la sua difesa non può travalicare i diritti umani sanciti dalla condizione stessa di esseri umani.

L'uomo migra da ben prima che il diritto alla proprietà privata sancisca confini, individuali o comunitari.

L'uomo migra per sua natura per cercare condizioni di vita favorevoli, sicché la mobilità, prima del diritto alla proprietà, è un diritto legato alla condizione di esseri umani.

La difesa della proprietà e dei confini, materiali o immateriali, non può prevedere la discriminazione di esseri umani in quanto tali sulla base di concetti legati alla proprietà, come identità, nazione, etnia, ceto.

Anche lì dove l'organizzazione sociale di una comunità preveda i postulati della proprietà privata, come classi sociali, tassazione fondata sulla proprietà, cittadinanza legata a motivi identitari, uso della violenza controllata per la difesa della proprietà e dei confini, i diritti umani hanno su questi postulati la precedenza.

Diritto umano insindacabile è il diritto alla felicità come piena realizzazione dell'uomo in quanto tale.

Il lavoro è strumento per il raggiungimento della felicità di cui sopra, per tanto lo Stato deve favorire ogni occasione che permetta a ciascun individuo la piena occupazione e l'emergere delle proprie capacità fisiche, intellettuali e morali.

L'uomo per sua natura sfrutta l'ambiente circostante, l'ambientalismo è strumento per una migliore condizione di vita, non è esso stesso un fine.

È obbligo della comunità organizzata fornire gli strumenti per la piena realizzazione di tutti gli uomini, compresi servizi sanitari, assistenza sociale, istruzione di ogni livello.

Cultura e religione sono espressioni dell'essere umano, per tanto spetta alla comunità difendere e promuovere tutte le forme di espressione artistica e religiosa, senza censure se non lì dove tali espressioni configurino esse stesse una violazione dei diritti umani.

Il sentimento è al contempo espressione della natura e delle culture dell'uomo, pertanto lo Stato deve difendere e promuovere parimenti ogni forma di espressione del sentimento e dell'affettività, nei limiti dei diritti legati alla condizione stessa dell'essere umano.


giovedì 15 giugno 2017

De Saussure, Wittgenstein: dalla linguistica alla logica linguistica

Da De Saussure in poi chiunque studi le questioni della lingua ha dovuto riconoscere come ogni linguaggio funzioni con meccanismi ben più complessi rispetto a quelli che normalmente siamo in grado di ammettere.
Il ginevrino ci informa infatti di come ogni linguaggio si fondi sul complesso rapporto tra langue e parole, ovvero tra tutte le scelte sintattiche, stilistiche, di registro e lessicali che lo strumento ci permette (langue) e la concreta ed individuale realizzazione personale (parole).


Ancora di più la questione viene complicata dal rapporto circolare che si instaura tra significante (il segno materiale che noi adoperiamo per veicolare un significato), il significato (l'idea che ciascuno di noi possiede e che intende veicolare attraverso il segno materiale) e il contesto che modella le idee del mittente e del destinatario. Praticamente, quando noi adoperiamo la parola "albero", indichiamo un referente concreto (l'albero che esiste o non esiste nella realtà), ma facciamo riferimento all'idea che come individui abbiamo di cosa sia un albero (significato) e veicoliamo questa idea attraverso dei fonemi (a-l-b-e-r-o) o dei morfemi.



Questo rapporto triangolare costituisce il segno linguistico, cioè lo strumento che, con Jakobson, permette il funzionamento della comunicazione, ovvero di veicolare un messaggio da un mittente ad un destinatario attraverso un canale in comune e adoperando un codice in comune.

Ne consegue che l'uso di ogni parola è convenzionale e arbitrario, pur seguendo di rado l'arbitrio del singolo parlante (nel caso dei grandi creatori di significato, come poeti, scrittori, filosofi e pubblicisti), dipendendo dal rapporto individuale (a livello della parole) tra significato, cioè l'idea mentale posseduta dal parlante, e significante, cioè qualsiasi strumento noi adoperiamo per veicolare il significato.

In questo contesto di teorizzazione prettamente linguistica entra a buon diritto il ragionamento, di carattere logico-filosofico di Wittgenstein. Per il filosofo il rapporto tra linguaggio e logica è un rapporto di inclusione: la nostra conoscenza si realizza infatti in termini logici attraverso l'interpretazione dei fatti (ovvero delle interconnessioni tra elementi della realtà) ma si esprime in termini linguistici. Secondo questo modello tutto il dicibile è pensabile, così come l'indicibile, mentre non sempre il pensabile risulta dicibile e, in ultimo, l'impensabile è sempre indicibile. Attenendoci poi al confine tra dicibile e indicibile, possiamo definire dicibile tutto ciò che risulta parlabile, ovvero tutto ciò che risulta verificabile attraverso la polarità vero/falso; risulta di conseguenza indicibile tutto ciò che non risulti parlabile. La logica quindi trova come confine il non pensabile e il non dicibile, tanto che Wittgenstein poteva dire che è sempre meglio tacere su tutto ciò che non si può parlare.


Per Wittgenstein però, le parole che adoperiamo, oltre che essere arbitrarie e convenzionali, non fanno direttamente riferimento alla realtà, che noi conosciamo attraverso il pensiero logico: semmai le parole fanno riferimento alle relazioni che ciascuno di noi fa intercorrere tra gli enti della realtà che conosce attraverso il pensiero logico. Di questo meccanismo abbiamo una prova pratica quando cerchiamo di definire dei concetti astratti, come per esempio quello di "vendetta". Per definire il concetto di "vendetta" infatti dovremmo  porre la parola in riferimento alle parole afferenti allo stesso campo semantico, quindi per esempio alla parola "giustizia", alla parola "ingiustizia", alla parola "violenza", etc.


Ne consegue che il rapporto tra realtà linguaggio è fortemente filtrato dalle relazioni che siamo in grado di istituire tra gli elementi di cui attraverso il pensiero logico possiamo parlare. Questa relazione è biunivoca: non solo nomineremo le cose a causa delle relazioni (tanto che, come dirà David Foster Wallace, per stabilire se in una scopa sia più importante il manico o la spazzola occorre prima sapere come adoperi la scopa), ma inizieremo a percepire la realtà in base al linguaggio che abbiamo sviluppato e che è lo strumento attraverso cui esprimiamo il pensiero logico. Questo è il motivo per cui, da un lato, gli eschimesi possiedono centinaia di parole per nominare la neve, ma dall'altro lato sono in grado di percepire le diverse varianti della neve perché il loro linguaggio gli fornisce gli strumenti per farlo.

In conclusione, possiamo affermare che il linguaggio risponde a delle caratteristiche: possiede una funzione sociale che lo rende convenzionale, ma è al contempo individuale, momentaneo e arbitrario. Il linguaggio inoltre è lo strumento che adoperiamo per veicolare messaggi, sapendo però che tali messaggi non veicolano la realtà ma la percezione che di essa abbiamo, percezione che si è essa stessa formata attraverso il linguaggio. Quest'ultimo passaggio ci conduce ad un'ulteriore e fondamentale riflessione: occorre tenere distinti realtà fattuale e linguaggio che la interpreta (la mappa di Kubilai Khan è cosa diversa dal suo vasto impero, per quanto quella mappa possa essere redatta a grandezza naturale), e proprio per questo occorre diffidare da chi adopera parole in maniera stentorea e assoluta, facendosi portavoce di interpretazioni assolutistiche che sono, semplicemente, irrealizzabili attraverso il pensiero logico.


Bibliografia
Italo Calvino, Le città invisibili, "Supercoralli" e "Nuovi coralli" n. 182, Einaudi, 1972, pp. 170 pp.

Ferdinand de Saussure, Corso di linguistica generale, ed. Laterza, Roma-Bari, 1992

David Foster Wallace, La scopa del sistema, traduzione di Sergio Claudio Perroni, Stile libero BIG, Torino, Einaudi, 2008, XIV - 558

Roman Jakobson, Saggi di linguistica generale, a cura di Luigi Heilmann, Feltrinelli, Milano 1966

Ludwig Wittgenstein, Tractatus Logico-Philosophicus, traduzione note e introduzione di G.C.M. Colombo S.J., Fratelli Bocca editori, Roma-Milano, 1954



mercoledì 14 giugno 2017

Il metodo Fusaro, spiegato



Arrivi a scuola, in attesa degli scrutini leggi le ca$$ate quotidiane di Diego Fusaro su Lettera43, che di sociologia e antropologia non sa una fava e che di economia conosce solo il termine capitalismo, e dopo cinque righe di farneticazioni senza costrutto logico, scritte in una pessima sintassi e con un presuntuosissimo uso di un lessico pseudotecnico, con una sequenza di ripetizioni che farebbero prendere 4 al più mediocre dei miei alunni, capisci che fare istruzione e divulgazione, in maniera seria, è, nella società delle webstar della rete, un obbligo civile.
Mi risulta del resto che il pensiero filosofico preveda la validità di una tesi finché essa non viene confutata. Nel caso specifico: Fusaro ritiene le migrazioni governate dal criptocapitalismo, ignorando o volendo ignorare il fatto che le migrazioni sono strutturali e che le migrazioni lungo i mari e attraverso i confini hanno caratterizzato la storia dell'uomo ben prima del capitalismo; quando parla di capitalismo e cita Malthus Fusaro mescola pere e mele, mettendo assieme realtà distanti concettualmente e temporalmente, mescolando il tutto in favore del lettore poco avvezzo (e tra le altre cose, le teorie demografiche di Malthus sono anche un tantino smentite dalla biologia, dato che si fondavano sul concetto di razza); Fusaro parla per l'ennesima volta di Teoria gender, ma, per l'ennesima volta, è incapace di produrre alcun tipo di prova che documenti la formulazione della suddetta teoria.
Invero Fusaro butta dentro in un gran calderone tanti bei concetti appartenenti alla vulgata popolare della filosofia novecentesca e ottocentesca (nazione, patria, capitale, capitalismo, studi di genere) e gioca al gioco delle tre carte sfruttando una sintassi farraginosa che mescola coordinazioni fuorvianti a criptiche subordinazioni ed un lessico tecnicistico volutamente oscuro, figlio di attento studio, con l'obiettivo di far apparire complesso un pensiero che è tutto sommato semplice e banale (non si va oltre le rivendicazioni urlate di Giorgia Meloni o di Matteo Salvini). Il testo di Fusaro è figlio di cattiva o brutta divulgazione, come mostra una qualsiasi analisi condotta con un test di leggibilità (vedi foto, analisi condotta sul secondo paragrafo dell'articolo) ed ha come scopo il dare un padre nobile ed una webstar ad una destra che, tutto sommato, oggi non ha intellettuali mainstream.

giovedì 8 giugno 2017

Una proposta per un laboratorio di scrittura a scuola

Il seguente prospetto è il frutto della rielaborazione di quanto appreso durante il corso di formazione "Video-riprese di azioni d'insegnamento e formazione dei docenti: il Feedback Formativo e la Valutazione per l'apprendimento", erogato dall'Università degli studi di Verona e tenuto dal dott. Maurizio Gentile. Questo progetto di ricerca e formazione ha avuto come scopo favorire l'implementazione e lo sviluppo del feedback formativo nell'attività didattica. Nella mia attività di sperimentazione ho elaborato e messo in pratica un laboratorio di scrittura che integra la consueta attività di verifica delle competenze linguistiche attraverso la produzione di elaborati. Nella mia sperimentazione la produzione degli elaborati è intervallata da un momento di confronto tra pari a conclusione della prima stesura, la cosiddetta brutta; un secondo momento di confronto, in questo caso tra studenti e docente, si realizza alla riconsegna degli elaborati, sui quali vengono segnati gli errori ma non indicate le correzioni. Gli elaborati vengono riconsegnati con giudizi estesi che ne indichino pregi  e difetti; in una terza  fase di confronto, questa volta tra pari, gli studenti provano ad ipotizzare le correzioni agli elaborati, partendo dalle valutazioni e dalle indicazioni fornite dall'insegnante. L'ultimo momento di connfronto si realizza alla definitiva consegna delle verifiche, accompagnate dalle correzioni del docente o dall'accettazione del docente stesso delle correzioni apportate dagli studenti.



Progetto di apprendimento: 

Laboratorio di scrittura

Contesto

Argomento: Esercitazione guidata e autocorrezione nella produzione di elaborati di tipo regolativo, narrativo, informativo e argomentativo

Tempo totale di apprendimento: 250 minuti circa

Numero di studenti ipotetici: 20

Descrizione: L'attività, strutturata in tre fasi, consta di una fase produttiva individuale e una serie di fasi di discussione guidata e di cooperative learning. In particolare, oltre all'azione di tutoraggio da parte del docente, l'attività vuole valorizzare l'azione di tutoraggio tra pari.

Obiettivi

Competenze linguistiche; Competenza collaborativa

Risultati previsti

Identificare: Riconoscere la richiesta della consegna

Identificare: Identificare i concetti chiave dell'elaborato

Produrre (Applicazione): Produrre un elaborato rispondente alle consegne

Riflessione: Riflettere sul feedback ricevuto dal docente

Fornire un feedback (Valutazione): Fornire un feedback ai compagni nel lavoro di gruppo

Valutazione (Valutazione): Autovalutare i propri elaborati

 

Attività di insegnamento-apprendimento

Prima attività: produzione di un elaborato

Prima fase

Attività: Lettura, Osservazione,  Ascolto.

Tempi: 20 minuti

Composizione gruppo: 20 studenti

Insegnante: Il tutor è presente in aula.

Consegna e lettura delle tracce. Stesura di una prima scaletta dell'elaborato.

 

Seconda fase

Produzione

Tempi: 100 minuti

Composizione gruppo: 20 studenti

Insegnante: Il tutor è presente in aula.

Prima stesura in brutta dell'elaborato. Lavoro individuale da parte di ogni singolo studente

 

Terza fase

Produzione collaborativa

Tempi: 15 minuti

Composizione gruppo: 20 studenti

Insegnante: Il tutor è presente in aula.

Rilettura collaborativa dell'elaborato: in coppia o in piccoli gruppi gli alunni confrontano le scalette realizzate con le prime bozze dell'elaborato, suggerendo modifiche inerenti morfologia, sintassi, coerenza e coesione del testo

 

Quarta fase

Produzione

Tempi: 45 minuti

Composizione gruppo: 20 studenti

Insegnante: Il tutor è presente in aula.

Ricopiatura in bella dell'elaborato

 

Seconda attività: rielaborazione condivisa

Prima fase

Discussione

Tempi: 10 minuti

Composizione gruppo: 20 studenti

Insegnante: Il tutor è presente in aula.

Attraverso una discussione guidata l'insegnante indica quanto è stato fatto bene nella composizione degli elaborati ed elenca gli errori più frequenti: vengono citati anche i casi particolari. Segue la distribuzione delle prove corrette, senza voto.

 

Seconda fase

Collaborazione

Tempi: 15 minuti

Composizione gruppo: 20 studenti

Insegnante: Il tutor è presente in aula.

I componimenti corretti dal docente vengono riletti e commentati in piccoli gruppi da tre o quattro individui. Ogni studente deve ipotizzare il voto assegnato dal docente.

 

Terza fase

Discussione

Tempi: 5 minuti

Composizione gruppo: 20 studenti

Insegnante: Il tutor è presente in aula.

Vengono confrontati i voti ipotizzati dai gruppi con la valutazione formativa data dall'insegnante

 

Quarta fase

Collaborazione

Tempi: 30 minuti

Composizione gruppo: 20 studenti

Insegnante: Il tutor è presente in aula.

I gruppi precedentemente stabiliti o di nuova formazione rileggono gli errori per elaborare delle correzioni condivise

 

 

Terza attività: consegna degli elaborati rifiniti, assegnazione dei voti

Prima fase

Discussione

Tempi: 10 minuti

Composizione gruppo: 20 studenti

Insegnante: Il tutor è presente in aula.

Il docente discute nuovamente l'esito degli elaborati rifiniti in gruppo, mettendo in luce i miglioramenti. Vengono poi date le valutazioni sommative, date dalla media ponderata tra la valutazione dell'elaborato individuale (70% del voto) e la valutazione del lavoro di autovalutazione e rielaborazione svolti in gruppo (30% del voto)

 

 

The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....