domenica 27 luglio 2014

E tu che formato scegli? A zonzo fra i formati proprietari delle suite office

Situazione pratica: esame di specializzazione, viene richiesta la produzione di una presentazione. Bene, cioè male. E che formato scegliamo? In realtà la risposta ci sarebbe e dovrebbe pure essere ovvia, ovvero la scelta dovrebbe ricadere sul formato aperto. Ma poi concretamente non si può dare per scontata questa scelta perché, come infatti è accaduto, il professore incompetente di turno utilizza una vecchia versione di Microsoft Office, e figuriamoci se ha anche solo lontanamente l'idea che possano adoperarsi formati aperti.
Ma questo non è l'unico problema: da quando Microsoft ha inaugurato i suoi nuovi formati proprietari, ha creato uno scompiglio generale, per lo più inconsapevole, fra gli utenti, soprattutto nel settore dell'istruzione. Chiunque sostenga esami, come docente o come studente, o chiunque lavori in una scuola pubblica, sa che ogni volta che produce dei documenti con una propria suite office corre il notevole rischio di non riuscire ad adoperarli sul posto di lavoro/all'esame.
E allora che si fa? I miei suggerimenti:

  1. Costringere l'amministrazione e chi lavora o pretende che si lavori al computer ad adoperare formati aperti. Si adoperi la suite office che si preferisce, ma il risultato finale devono essere dei formati aperti e dalla massima compatibilità.
  2. Se proprio si deve scegliere un formato chiuso, lo si prediliga con la massima compatibilità pluripiattaforma. Quindi al bando per esempio la suite office di Apple e i suoi formati.
  3. Meglio se si possono adoperare piattaforme plurisistema, anche in cloud. Quando posso scegliere, anche se permette solamente di salvare in formati proprietari, scelgo Google Drive, già solo per la comodità del fatto che, sia che io lavori su Windows, su Linux, Mac, Android o iOS comunque la suite quella è e quella rimane, senza dare problemi di compatibilità, cosa non da poco.
  4. NON PRETENDERE che tutti adoperino formati chiusi e vecchi di più di dieci anni. Quando incontro docenti che, di fronte ad un qualsiasi formato "+x" delle nuove suite Office di Microsoft si trovano spiazzati e non sanno come leggerli sui loro sistemi mi viene da urlare. Intanto i programmi per leggerli ci sono, e voi non potete pretendere che chi compra un computer, da diciamo 5 anni, e ha installata una suite Office Microsoft che non permette più di salvare i propri file nei vecchi formati proprietari ormai in disuso, faccia i salti mortali per venirvi incontro. Siete voi a dovervi evolvere, anziché accusare gli studenti di scarsa attenzione.

martedì 22 luglio 2014

Le ipocrite e razziste posizioni de Ilfoglio su Israele

A tutti coloro che difendono oggi le posizioni dello Stato di Israele (e ricordiamo che parlare di Israele è diverso dal parlare degli Ebrei come fedeli di una particolare religione), sostenendo che gli Arabi portano avanti posizioni indifendibili, si comportano da meri terroristi e in origine rifiutarono il piano del 1947 di partizione della Palestina in due stati, bene, a queste persone sarebbe il caso di ricordare quali furono i motivi per cui gli stati Arabi rifiutavano quel piano di spartizione (in un territorio in cui avevano visto una immigrazione forzata, da parte dei paesi occidentali, degli Ebrei). Per farlo mi avvalgo di una fonte in genere ritenuta neutra, Wikipedia.

"La gran maggioranza degli arabi che vivevano in Palestina (vi sono delle eccezioni, quali il Partito comunista) e la totalità degli Stati arabi già indipendenti respinsero il Piano. Da principio essi rifiutarono qualsiasi divisione della Palestina mandataria, e reclamarono il paese intero.

Sotto un profilo più tecnico, gli arabi criticarono anche il tracciato di frontiera. Esso avrebbe portato a inglobare la gran parte dei villaggi ebraici all'interno dello Stato ebraico, mentre ciò non si sarebbe verificato per quanto riguardava la maggior parte dei villaggi arabi. Un'altra delle critiche riguardava il fatto che lo Stato arabo non avrebbe avuto sbocchi sul Mar Rosso e sul Mar di Galilea (quest'ultimo la principale risorsa idrica della zona) e che gli sarebbe stato assegnato solo un terzo della costa mediterranea. Oltre a questo veniva criticato il fatto che alla popolazione ebraica minoritaria (33% della popolazione totale) venisse assegnata la maggioranza del territorio.

La nazioni arabe, contrarie alla suddivisione del territorio e alla creazione di uno stato ebraico, fecero ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia, sostenendo la non competenza dell'assemblea delle Nazioni Unite nel decidere la ripartizione di un territorio andando contro la volontà della maggioranza (araba) dei suoi residenti, ma il ricorso fu respinto."

Ricordiamo cosa prevedeva questo piano, ovvero che a fronte di una popolazione composta per 2/3 di Palestinesi, il 55% del territorio sarebbe andato al nascituro stato Israeliano, con in particolare circa l'80% delle terre coltivabili. Ricordiamo che la Palestina non avrebbe avuto accesso alle acque dolci se non tramite Israele e solo 1/3 delle coste sarebbero spettate allo stato arabo.

Facciamo un paragone, tanto per capirci. Diciamo che dalla Siria le Nazioni Unite decidono di lanciare un'immigrazione forzata dei profughi anti Assad in Italia. Diciamo che questi profughi a lungo andare iniziano a costituire una discreta e compatta comunità, che si inizi a parlare di creare uno stato dei profughi in Italia. Diciamo che si vada a trattative, che a questa popolazione, una minoranza, venga assegnato quasi il 60% dell'Italia, in particolare le terre più fertili, la Pianuna Padana, i due terzi delle coste, diciamo da Genova a Taranto passando per la Sicilia, e tutte le fonti di acqua dolce. Ecco, voi avreste accettato? E se poi, nello stallo delle trattative, il nascituro stato si autoproclamasse, autoassegnandosi la totalità del territorio, voi che fareste? Resistereste? Ecco, sappiate che sareste dei terroristi per quello stato, del resto lo erano i partigiani per il Fascismo, gli Indipendentisti per gli Austriaci nell'Ottocento.

Ma c'è un di più, ancora più squallido. Il non detto della posizione che nega le responsabilità Israeliane nel conflitto di Gaza è ben chiaro: bene fecero in un atto di neocolonialismo gli stati occidentali a tracciare arbitrariamente i confini degli stati, bene fecero gli Israeliani ad autoproclamarsi stato di fronte alle resistenze arabe. Perché? Semplice: perché per questa posizione la cultura islamica è inferiore, e c'è poco da girarci intorno, e Israele, come enclave del mondo Occidentale in Oriente va difeso, senza se e senza ma, anche a costo di sorvolare sui suoi genocidi.

Foto: Europaquotidiano

venerdì 18 luglio 2014

Allora andiamo tutti a puttane

Silvio Berlusconi è uscito assolto dalla vicenda Ruby Rubacuori, una cosa che solo a dirla due mesi fa nessuno ci avrebbe scommesso un Euro. La cosa più triste è doversi dire che questa sentenza, molto di più di quanto Silvio Berlusconi ha mai denunciato, sembra una sentenza politica. Occorreva riabilitare Berlusconi per assecondare le riforme di Renzi, per non rischiare di perdere l'occasione di un Parlamento "costituente". Così è stato. Con buona pace del diritto.

Però a questo punto, lasciateci tutti andare a puttane senza doverci sentire in colpa, senza essere multati con motivazioni bizzarre; lasciateci convincere con l'autorità o con il denaro delle minorenni a venire a letto con noi, perché se può uno, allora devono poterlo fare tutti gli Italiani. Lasciateci piombare in Questura, quando le nostre fidanzate avranno preso una multa per divieto di sosta o quello che volete voi, e tentare di sbrigarcela dicendo che ce ne occupiamo noi, che prendiamo in affidamento il caso. Del resto un insegnante è un pubblico ufficiale, come un ministro, un consigliere regionale o un capo del governo.
Se la legge è uguale per tutti, visto che a Silvio Berlusconi tutto ciò è concesso, in un paese che improvvisamente si scopre liberista e libertino, allora tutto sia concesso a tutti. Siete pronti a questa applicazione della legge?

foto: ilpattosociale.it

giovedì 10 luglio 2014

Se coloro che dovrebbero insegnare a vagliare le informazioni pubblicano bufale

Purtroppo molte volte in questi giorni mi è toccato di vedere docenti (?) che diffondono la ormai nota bufala di Renzi che definisce coglioni gli Italiani che lo votano per gli ottanta euro. Se già di suo diffondere notizie false e tendenziose è un reato punito a norma di legge, è ancora più sconvolgente e francamente vergognoso vedere come degli insegnanti diffondano questa spazzatura senza il minimo vaglio critico, e spesso lo difendano pure. Libertà di parola e di stampa non vuol dire libertà di diffamazione, e anche se questo reato viene commesso in rete non è meno grave, anzi. Ancora più grave che lo commettano coloro che dovrebbero insegnare il rispetto del diritto e a vagliare le fonti da cui attingere le informazioni. Una chiara dimostrazione di come, al di là dell'avventatezza dei politicanti di turno, i primi colpevoli dello sfascio della scuola siano proprio gli insegnanti.

Per la cronaca, qui trovate una compiuta critica e stroncatura della bufala che, come si vedrà, è davvero costruita in malo modo.


martedì 8 luglio 2014

Se l'insegnamento è una scienza

 Ammetto di essere pedagogicamente un ignorante, e così in questi giorni ho deciso d'iscrivermi ad un MOOC sulla didattica e la valutazione per competenze nel ventunesimo secolo. Ammetto che mi si sta aprendo un mondo, e soprattutto scopro giorno per giorno che certe idee che avevo sviluppato da solo in maniera solitaria e spontanea, non nascono dalla mia esperienza ma sono effettivamente patrimonio condiviso di un certo modello di didattica a cui, evidentemente, anche senza volerlo mi ispiro. Mi riferisco alla teoria di Lev Semënovič Vygotskij  sulle zone di sviluppo cognitivo e, soprattutto, le teorie di Glaser e Rasch sulla misurabilità quantitativa del nostro insegnamento. Giungiamo così al nodo della questione: se il nostro insegnamento è scientifico, deve essere misurabile in termini quantitativi e standardizzati nei suoi risultati, con criteri condivisi appartenenti a protocolli comuni. La cosa non è senza conseguenze: altrimenti ammetteremmo che la suola lavora al pari di un artigiano, su criteri di valutazione soggettivi e in tal modo contestabili. Il primo, forse il più importante, spiraglio per l'attacco definitivo alla scuola pubblica.
Se la scuola pubblica non garantisce ovunque il raggiungimento di risultati confrontabili su criteri condivisi, se cioè il primo e più importante soggetto della scuola, ovvero il fruitore della scuola stessa, l'alunno, non è determinante, se alla fine del suo corso di studi, seppur individualizzato sulla base delle sue specifiche esigenze, questo alunno non potrà aver raggiunto da Lampedusa a Trento dei risultati confrontabili e similari in maniera incontrovertibile, a che pro la scuola pubblica? Come difendersi dalle ingerenze private se le prime ingerenze private sono quelle della soggettività dell'insegnante che non ammette la dovuta scientificità dei criteri e dei protocolli che deve applicare?
Sono ben consapevole che questo vuol dire aprire un nuovo mondo nella scuola pubblica italiana; vuol dire limitare fortemente la libertà d'insegnamento, quanto meno entro il limite del diritto allo studio del primo soggetto della scuola. Vuol dire anche aprirsi a strumenti, certo da raffinarsi, che sono quelli delle prove oggettive. Quelle prove che in Italia sono additate come la rovina della scuola pubblica, boicottate, schernite, spesso trattate in maniera inconsapevole, come se dietro di esse non ci fossero anni di ricerca da parte di ricercatori provenienti da ogni dove, ma solo l'improvvisazione del politicante di turno. Forse, anche questa volta, dovremmo in primis ammettere il nostro peccato di supponenza.
Mi chiedo cosa avverrà quando, a partire dal 2015, i test PISA inizieranno a valutare anche il CPS, ovvero il Cooperative Problem Solving, la capacità (competenza?) di collaborare per la risoluzione di un problema. Del resto i test oggettivi, malgrado la mala propaganda subita in Italia, si strutturano come domande a risposta prevalentemente chiusa solo in alcuni paesi come gli USA, mentre altrove, come in Germania, si realizzano anche come domande a risposta aperta e lavorano soprattutto sulla competenza del pensiero critico, misurato secondo criteri standardizzati e condivisi.
Come si capisce parliamo di abissi rispetto alla nostra improvvisazione, a consigli di classe in cui i criteri di valutazione variano esponenzialmente per la presenza o per l'assenza del professore "bonaccione" o "stronzo" di turno.
Alla luce di tutto ciò, ancora di più, mi pare chiaro come la scuola pubblica italiana debba riformarsi a partire dalla sua classe docente, essere consapevole di essere almeno in parte essa stessa causa dei suoi mali, di essere pedagogicamente e didatticamente obsoleta, e così facendo di lasciare spazio ai continui attacchi dei politici di ogni schieramento, alla ricerca di un facile consenso popolare, o al contrario di essere in mano a sindacati più dediti alla tutela dei propri iscritti senza se e senza ma, anziché rivolgersi alla comune esigenza di svolgere un lavoro migliore nelle condizioni migliori possibili.

mercoledì 2 luglio 2014

36 ore per i professori

Un conto è riconoscere le ore che già facciamo e non vengono pagate; un conto è prevedere per tutti l'obbligo di rimanere a scuola il pomeriggio per attività laboratoriali, recuperi, aggiornamenti o la semplice rendicontazione della correzione delle verifiche o della preparazione delle lezioni (attività che nessuno ci paga perché svolte a casa); ma pensare di passare le ore di lezione da 18 a 36 settimanali, a stipendio invariato, e pensare che nel tempo libero dovremmo poi svolgere le attività che già oggi nessuno ci riconosce, tutto ciò per tagliare i posti dei precari, al di là di ogni considerazione sui posti di lavoro che si perderebbero, è un modo per dire che della scuola non frega realmente un cazzo e che se anche il servizio offerto è scadente è un problema di poco conto. La rivoluzione della scuola e nella scuola non si fa togliendo soldi, ma investendo nella formazione e nell'innovazione.

Edit:
Il problema sta alla base: anche io, fosse vero che gli insegnanti lavorino 18 ore settimanali, mi indignerei e pretenderei facessero di più. Peccato che uno studio della provincia di Trento pubblicato proprio quest'anno dimostra che, conteggiando anche correzione delle verifiche e produzione delle lezioni, attività non retribuite, gli insegnanti, con stipendio minimo di 1300 €, già ora lavorano 35 ore settimanali. Questa proposta di riforma parte da, voluti, luoghi comuni. Se diamo per vero quello che da anni dicono gli insegnanti e che dice questo studio, portando le lezioni a 36 ore settimanali, aggiungiamo le 17 ore non retribuite che comunque i docenti dovrebbero fare per correggere e produrre le lezioni, arriviamo alla cifra folle di 53 ore di lavoro settimanali. Fate un po' voi se è una cosa plausibile. 

The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....