mercoledì 30 ottobre 2013

Giocare con la lingua, Oblio, D. F. Wallace

Lo strumento principale di ogni scrittore contemporaneo è, a mio avviso, la lingua: in un certo senso, dimmi che lingua usi e ti dirò chi sei. Quasi sempre le scelte linguistiche degli scrittori sono consapevoli, l'uso di sintagmi, frasi, periodi, persino un certo font piuttosto che un altro, tutto ciò appartiene al patrimonio di strumenti che uno scrittore adopera consapevolmente. È vero pure che alcuni scrittori preferiscono una lingua poco curata, una scrittura di getto, ma anche in questo caso, a ben vedere, si tratta di una scelta e di una volontà stilistica ben precisa.
Raramente però ci si imbatte in scrittori in cui l'uso della lingua arriva ad una profondità così abissale da toccare la riflessione filosofica: è il caso del sempre più compianto David Foster Wallace e del suo libro Oblio, racolta di racconti in cui, tra gli altri temi, non può non spiccare la riflessione linguistica, spinta ai limiti del parossismo.
In questa raccolta osserviamo esperti di statistica spingersi nella raccolta analitica dei loro dati d'analisi sino al punto di confondere la realtà che indagano e l'inconscio che la nega, o, per rimane sul gioco linguistico, la follia del maestro d'elementari che imbratta la lavagna, in un raptus di follia, con la parola UCCIDILI, apparentemente di facile interpretazione, ma in realtà al centro di un cortocircuito linguistico, assenti mittente e destinatario di quel messaggio. Gli esempi si sprecherebbero, in un turbinare di lingue e di paradossi, tutto mette in risalto di questo genio, David Foster Wallace, che non per nulla è il più influente modello letterario per chi si affacci oggi sul mondo della scrittura. Un modello che porta all'estremo una riflessione, quella sulla funzione della lingua nella scrittura contemporanea, vecchia ormai d'un secolo, ma da cui sembriamo non poterci liberare, come se nel mondo dell'informazione accessibile a tutti, la funzione poetica della lingua, quella che regola il modo stesso in cui usiamo la lingua e il nostro lavorio sulle sue convenzioni, sia per tutti più importante della fuzione referenziale, ovvero della stessa realtà. Con buona pace del New Realism.

lunedì 21 ottobre 2013

venerdì 18 ottobre 2013

Pascale, Berlusconi e la decadenza di Santoro

Servizio Pubblico, la trasmissione di Michele Santoro ,essa in onda su La7, ha fato registrare ieri sera l'ascolto più alto della serata. Bene, anzi no, male, malissimo, perché la trasmissione di ieri sera è stata una delle cose più indecenti trasmesse di recente dalla televisione italiana, e lo dico da antiberlusconiano convinto. Tutta la trasmissione si è incentrata sul caso di una delle tante donne che girano e giravano intorno all'ex primo ministro Silvio Berlusconi e sul premio farlocco per lei inventato al festival del cinema di Venezia per farla felice. La donna infatti, con l'aiuto di Mr. B. Aveva ottenuto i fondi dalla RAI per produrre un film e presentarlo al festival. Una storia già nota, dato che questo scandalo risale ad anni addietro. Ma PR aggiungere pepe allo scandalo dei soldi pubblici spesi in malo modo, ecco che viene fuori il lato pruriginoso della vicenda, di cui non dirò nulla per il semplice fatto che di esso non me ne frega nulla. Perché sia chiaro, delle abitudini sessuali di Berlusconi interessa nella misura in cui possono influenzare la vita pubblica del paese, ma per il resto lui e la sua donna devono poter fare quello che vogliono nella solitudine le lenzuola, ovviamente senza delinquere. Quando l'attenziondei media, come nel caso della trasmissione di Santoro, supera questo limite, allora entriamo nel morboso, iniziamo a giocare ad un gioco di cui Berlusconi è maestro. È davvero questo che vogliamo? Rimettere in gioco un duomo che finalmente è riuscito da solo a mettersi ai margini della vita politica? Non era forse il caso di parlare di cose più importanti?
Santoro non risponderà alle critiche che gli stanno piovendo addosso, come non lo ha mai fatto: tirerà fuori il suo solito monologo e, come Berlusconi, come Grillo, si auto consacrerà. E noi come al solito saremo in balia degli uomini della provvidenza da soli al comando, in politica com in TV. Ma poter votare la decadenza anche dei vari Santoro, Grillo, Renzi e compagnia cantante?

mercoledì 16 ottobre 2013

Contro lo sport agonistico e le scuole calcio in età adolescenziale

 
Il titolo di questo post fa riferimento allo sport agonistico nell'età adolescenziale, ma, per evidenti motivi culturali, in questo paese il titolo del post non può non fare riferimento al calcio.

In molti avranno letto in questi giorni l'inchiesta, comparsa su Repubblica, sulle scuole calcio e il business che le muove. In molti quindi avranno letto i numeri di questo business: parliamo di circa settemila scuole calcio in tutto il paese, numeri da scuole dell'obbligo insomma, se non, in certi casi, una diffusione più capillare della scuola stessa.

Tutti noi insegnanti abbiamo avuto o abbiamo a che fare con alunni che praticano il calcio, anche a livello agonistico: chi di noi poi insegna in quella creazione del duo Gelmini/La Russa chiamato impropriamente Liceo Sportivo deve vedersela ogni giorno con classi di trenta circa aspiranti calciatori o giù di lì. Molti di loro stanno solo vivendo un'illusione, come è facile immaginare. Stando all'inchiesta citata precedentemente, solo un ragazzo su cinquemila esordisce in Serie A; tutti vengono spinti a continuare, per evidenti interessi economici, convincendoli di essere i futuri Balotelli, quando al massimo molti di loro giocheranno nelle serie minori con stipendi da operaio, per qualche anno.

Ma la cosa peggiore dello sport agonistico in questa età è la pretesa, avallata spesso da famiglie e allenatori, di una maggiore importanza rispetto alla scuola pubblica. Chiariamoci: l'istruzione di questi ragazzi viene prima dello sport non perché chi scrive è un insegnante, ma perché dà loro gli strumenti per sopravvivere allo sport stesso e ai suoi tempi; la carriera di uno sportivo non si protrae in genere oltre i quarant'anni, e con un età media di morte che ormai supera gli ottant'anni diviene lecito discute di cosa faranno questi ragazzi dopo la loro breve carriera.

Invece ci ritroviamo ad acconsentire alle richieste di questi seducenti educatori e venditori di illusioni: vediamo alunni svogliati, presuntuosi, assenti e completamente disinteressati nei confronti di tutto ciò che non sia un pallone; inconsapevoli persino dei sacrifici che le famiglie compiono per la loro istruzione e per a loro formazione. Alunni che rivendicano persino il diritto di uscire prima da scuola o di essere avvantaggiati nello studio per poter prendere parte agli allenamenti.

Domanda: perché un ragazzo che non vuole studiare ma andare a lavorare, prima di poterlo fare deve attendere i sedici anni, ovvero la fine dell'obbligo scolastico, e non può sottoscrivere contratti di praticantato fino a questa età, né quindi aver alcun tipo di pretesa nei confronti dell'istruzione obbligatoria, mentre gli sportivi possono? Ha davvero l'attività agonistica una dignità maggiore e un'importanza nella società più grande dell'educare i cittadini del domani, del farne degli esseri critici, capaci di adoperare il loro cervello per decodificare i messaggi complessi della società contemporanea? È l'ignoranza che avalliamo sotto il peso di queste illusioni un diritto o un costo sociale, salatissimo, che paghiamo tutti come prezzo ad un totem comune, figlio della televisione, della moda e dei falsi miti, quello della celebrità e della centralità del mondo dello sport?

 

giovedì 10 ottobre 2013

Sulle parole di Giovagnini

Onestamente non capisco il perché della polemica sulle parole del ministro Giovagnini. Per intenderci, il ministro ha definito "inoccupabil" gli Italiani a seguito della pubblicazione dei dati OCSE che certificano, come già si sapeva, le scarsissime competenze dei nostri compatrioti nella comprensione e nell'uso della lingua italiana e nella matematica. Dati già immaginabili, dicevo, se pensiamo a quanto già pubblicato da Tullio De Mauro, che parla di un settanta per cento di Italiani che non comprendono un testo complesso.

Di fatto, piaccia o no, gli Italiani rispetto ai coetanei degli altri paesi OCSE sono inoccupabil o comunque destinati a mansioni inferiori.

Polemica inutile, quindi. Piuttosto occorrerebbe discutere dei perché. Inutile risulta l'intervento di Vittorio Feltri che riduce il problema alla mancanza di competenze pratiche, sdoganando l'ignoranza come un problema di poco conto per chi si dedicherà ai lavori manuali. Insomma, un articolo figlio ci una visione ben precisa, di chi pensa che la cultura sia importante solo per una certa élite.

Meglio, decisamente meglio, Gramellini. L'ignoranza italiana è figlia di una scelta politica bipartizan e ormai vecchia di vent'anni. Sono vent'anni che i fondi per l'istruzione e la ricerca vengono ridotti, si decide che la figura dell'insegnante o quella del ricercatore sono meno importanti di tronisti e conduttori televisivi, si decide che puntare sul digitale terrestre sia più importante che puntare sulla rete internet. Insomma, di cosa stiamo parlando? Parliamo di ministri che hanno legiferato infischiandosene della Costituzione e del bene comune. E ora ne paghiamo le conseguenze. Tutti.

 

lunedì 7 ottobre 2013

Apologia di Kenshiro (Hokuto No Ken) e varianti


Talvolta guardo questo mio blog e mi chiedo se manchi qualcosa, così inizio a spulciare fra i vari articoli e le varie sezioni e mi accorgo di qualche lacuna, di qualche articolo che avrei voluto scrivere e che non ho trovato il tempo di mette giù. Così mi ci arrovello per settimane, perché quando hai voglia di fare qualcosa, di solito, il tempo per farla non c'è mai.
Così è successo per Kenshiro, famosissimo manga di Tetsuo Hara e Buronson, uscito in quegli anni ottanta che tante perle ci hanno regalato. Una serie che ha segnato fortemente una generazione di mangofili, malgrado il bando dalle reti nazionali per la sua violenza.
Kenshiro, Ken, l'ultimo erede della scuola di arti marziali di Hokuto, si aggira per il mondo in cerca della sua amata Giulia, rapita dal compagno di giochi nonché arcinemico Shin. Ma questo è solo l'inizio, perché Giulia passa di mano in mano neanche fosse una bambola gonfiabile, fino alla scoperta del suo essere l'imperatrice dello stato che riporterà la pace in un mondo condannato all'anarchia e alla tirannia.
Nel frattempo si succedono i vari personaggi della serie che tanto si sono fatti amare dai lettori, Ray, Toki, uno dei fratelli di Kenshiro, Sauzer, Raoul, le varie scuole di arti marziali che si contendono il dominio del mondo, Hokuto, Nanto, Gento, Hokuto Shin, i fratelli demoniaci di Ken. Ad accompagnare Ken due bambini visti nel loro diventare adulti, Lynn e Burt.
Kenshiro, Hokuto No Ken il titolo originale, fu un manga noto per i suoi anacronismi e i suoi errori o le sue mancanze della trama: i personaggi passavano da buoni a cattivi e viceversa con la velocità dei lottatori di wrestling, il passato di Ken è nebuloso, peggio ancora la reale età dei fratelli, persino il loro vero numero.
Nonostante queste mancanze Hokuto No Ken si è fatto amare per i suoi personaggi carismatici, per una rappresentazione dei combattimenti che ha fatto epoca (quanti bambini tentavano di infilare le loro dita negli orifizi dei loro amici, convinti in questo modo di colpire qualche punto di pressione, gli tsubo?). Su tutti due personaggi: Ray, che come ogni buon comprimario, risulta infinitamente più simpatico di Ken, e Raoul, il fratello ne cattivo che poi tanto cattivo non è, che legna di fraccate Kenshiro per tre quarti di serie, fino a soccombere al vero erede della scuola di Hokuto.
Dl manga infine sono state tratte una serie animata di larghissimo successo, come detto, vari oav, più o meno decenti in verità, un prequel e vari spin off sui personaggi principali, come quelli su Toki e quelli su Raoul.




Dal manga, come è ovvio, vennero tratte anche varie parodie. Una tutta italiana che vi consiglio di andare a
recuperare è Kenshemo!

mercoledì 2 ottobre 2013

Uno a zero, ma attenzione al contropiede.

 

Dopo il voto di fiducia in Parlamento e la spaccatura di fatto del PDL, va riconosciuto a Letta di essere riuscito in qualcosa in cui il PD da anni fallisce, vincere. Letta ha vinto una battaglia parlamentare contro chi lo voleva fare cadere, certo, giocando d'attacco sul fronte nemico, lusingandone l'area governativa, inducendola a creare un filone sempre più vicino a CL (e solo il destino conosce quanto pagheremo in futuro questa decisione). Ma si tratta della vittoria di una battaglia, non di una guerra.

Certo, sembra vero che da oggi Berlusconi conti molto meno in Parlamento, ma ne siamo sicuri? La scelta apparentemente ridicola del fare retromarcia e votare la fiducia ha in realtà una sua logica: mette in difficoltà gli scissionisti mostrando un lato ragionevole del leader e lo fa ancora salire sul carro del vincitore, ben consapevole di come la memoria degli Italiani abbia breve corso. Quando ci sarà da vantare il governo Letta, anche Belusconi lo potrà fare, mentre comunque è sempre disponibile la possibilità di lamentarne il fallimento e di epurare chi lo ha costretto a questa miserabile sconfitta.

Se non avverrà la scissione la vittoria sarà mutilata, Berlusconi avrà ancora armi da giocare e il suo ricatto sul paese sarà ancora ben presente. D'altro canto gli scissionisti sanno bene che senza Berlusconi, alle prossime elezioni, sono ben poca cosa, in un campo in cui già in passato hanno fallito ben altri calibri, come Fini e Monti.

Così Alfano e soci avrebbero dovuto oggi sperare che Berlusconi li costringesse alla scissione con le sue scelte irresponsabili, ma il caimano, oggi più un camaleonte, ha ben compreso la posta in palio e rapidamente è ritornato sulle sue scelte. Se Alfano e compagnia cantante vorranno andarsene dovranno farlo per loro scelta, per volontà di potenza, perché il leader è stato alla fine disposto a scendere a più miti consigli. Oggi gli scissionisti possono cantare vittoria, ma il loro desiderio di separarsi dal resto di un PDL sempre più estremista diventa ora più difficilmente comprensibile per un elettorato ancora fortemente legato a Silvio Berlusconi.

Insomma, quello che oggi appare come un risultato positivo per l'anti berlusconismo rischia invece, se si deciderà di giocare secondo le regole del vecchio caimano, in una sconfitta. Perché dopo vent'anni ancora non capiamo che Berlusconi non si batte con magie di palazzo o con legittimi interventi della magistratura, ma culturalmente, riuscendo a diffondere un progetto di Italia diverso dall'Italia gaudente, irresponsabile e libertina portata avanti negli ultimi vent'anni.

 

The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....