mercoledì 31 dicembre 2014

Il naufragio della Norman Atlantic e l'agghiacciante giornalismo di destra

Il Naufragio della Norman Atlantic avvenuto in questi giorni è stato, tra le altre cose, un'ottima palestra per il più becero giornalismo italiano. Tante cose si sono dette. Per esempio, come riporta Gad Lerner in questo articolo Libero non ha potuto esimersi dall'incolpare Matteo Renzi per le 11 vittime. Come se il Presidente del Consiglio fosse al comando della nave o fosse materialmente al comando delle operazioni di salvataggio. Ma se ancora queste accuse, anche se ingenerose, possono essere comprensibili pensando a Renzi come a colui che ha moralmente la responsabilità della guida degli apparati e delle istituzioni italiane, sono invece realmente imbarazzanti, xenfobe, islamofobe nonché infondate le considerazioni pubblicate su il Foglio nella Preghiera del 30 Dicembre. Nell'articolo sopracitato, riprendendo quanto dichiarato da alcuni passeggeri, si afferma che degli uomini, nel tentativo di fuga dalla nave, avrebbero colpito e calpestato delle donne. Da qui l'autore si scatena in una sequela di considerazioni, una più strampalata dell'altra, e come vedremo, infondate. Gli uomini erano sicuramente di origine musulmana, turca, siriana, irachena, etc.; quindi avrebbero colpito le donne perché figli di una cultura maschilista; indi sarebbe per noi un errore e una colpa permettere l'immigrazione di questi nella libera, laica e woman oriented Italia.
Ometto di fare notare come le accuse sul maltrattamento e la discriminazione delle donne rivolte alla cultura islamica provengano dallo stesso giornale che vorrebbe cancellare il diritto all'aborto, che ha da sempre favorito la differenza di trattamento nel rapporto di lavoro fra le donne e gli uomini e che ha legittimato e giustificato il puttanaio berlusconiano. La questione non è solo culturale, ma innanzi tutto di correttezza e onestà giornalistica. Perché sarebbe bastato andare a leggere la lista ufficiale dei passeggeri per evitare di dire una serie così impressionante di puttanate. La lista, la seguente, è stata pubblicata da La Stampa di Torino

 

          

Come si noterà la maggiorparte dei presenti sulla nave, compreso l'equipaggio, è di nazionalità europea, tra Italiani, Greci, etc., con un numero di passeggeri provenienti da paesi islamici realmente esiguo. Anche a voler considerare i possibili clandestini, dato ancora tutto da valutare, tutte le deduzioni de La Preghiera risultano completamente infondate, anche considerando come l'equipaggio abbia fortemente smentito questa notizia, parlando sì di panico, ma escludendo scene di violenza collettiva. 

Insomma, uno splendido ed ennesimo caso di malainformazione, tendenziosa, xenofoba e islamofoba di una serie di media che della paura del diverso si nutrono.

lunedì 29 dicembre 2014

Coppie massacrate e malo giornalismo

Voxnews è noto per i suoi articoli tendenziosi. In questi giorni uno di essi ha goduto di una certa diffusione e condivisione in rete; l'articolo in questione racconta la vicenda di una coppia danese che, nei pressi di Copenhagen, secondo la ricostruzione confermata dalle forze dell'ordine locali, è stata aggredita prima da un ragazzo di colore, di probabile origine somala, e poi da un branco, sempre probabilmente di origine straniera. Fin qui i fatti, pur con molti commenti più o meno appropriati, raccontati anche da Voxnews. A questi fatti si somma poi il solito castello di frottole, dati non verificabili, interpretazioni e commenti.

Infatti nell'articolo si dice che le foto pubblicate provengono dal profilo della ragazza vittima del pestaggio, peccato però che il link riportato non porta a nessun profilo Facebook, bensì a questo sito http://www.uriasposten.net/archives/62498, di certo non una pagina Facebook, bensì un sito (blog?) d'informazione danese.
Vogliamo una fonte meno tendenziosa? http://speisa.com/modules/articles/index.php/item.577/nanna-i-was-beaten-with-chains-on-christmas-eve.html in cui, guarda caso, le motivazioni razziali spariscono. Prendi una notizia di cronaca, confermata, aggiungici i dettagli che vuoi, senza che siano evidenti motivazioni razziali, e ci monti su il caso. Per esempio, in uno di questi articoli citati viene buttato lì un dato: i musulmani in Danimarca sarebbero cinque volte più violenti dei Danesi. A parte che i musulmani, dato che l'Islam è una religione, se hanno la cittadinanza, condizione politica, sono Danesi, ma qual è la fonte di questo dato? Esiste una fonte? Perché non viene riportata? Perché anziché i post su Facebook non vengono riportate le dichiarazioni delle polizie locali?
Perché questo sarebbe giornalismo, vero giornalismo. E ce ne teniamo ben lontani.


lunedì 22 dicembre 2014

App per la flipped classroom, Explain everythink

Explain everythink è un ottima applicazione per tablet che consente di adoperare il proprio device come una lavagna interattiva. Le nostre lezioni potranno poi essere videoregistrate per essere poi salvate sul dispositivo o caricate sul proprio canale Youtube. L'applicazione funziona realmente bene, non presenta limitazioni ed è quindi davvero molto consigliata.

Sidney Sibilia, Smetto quando voglio

Smetto quando voglio è un simpaticissimo film di Sidney Sibilia. Il film racconta le vicende di un gruppo di ricercatori squattrinati che per sopravvivere a Roma si inventano spacciatori. Si succedono vicende sempre più comiche, in un crescendo assurdo, passando per boss, baroni universitari ed escort. Il film, molto divertente, mette in luce l'allucinante situazione dei ricercatori italiani, troppo qualificati per i lavori comuni, troppo disgraziati lavorare in un mondo, quello universitario, massacrato dai tagli alla ricerca.

domenica 21 dicembre 2014

Hayao Miyazaki, Si alza il vento

Si alza il vento è l'ultimo film di Hayao Miyazaki. L'opera racconta la storia di un ingegnere aeronautico, il signor Jiro, della sua passione e per il disegno e la produzione di aerei e per il suo amore  per la bella e malata Nahoko.  L'opera è il testamento cinematografico di Miyazaki, regala alcune fra le sequenze più poetiche nella storia della produzioni dello studio Ghibli. La sequenza finale è uno struggente addio dalla vita e dai disegni di uno dei più grandi registi del cinema contemporaneo, nonché dell'uomo che, se ancora ce ne fosse bisogno, ha dimostrato come il cinema d'animazione non sia per forza cinema per bambini.

Neil Gaiman, Coraline

Coraline è un romanzetto pubblicato nel 2003 da Neil Gaiman, vincitore, tra gli altri, del premio Hugo. La protagonista di questo racconto lungo, Coraline a punto, sempre in cerca di qualcosa di eccitante che possa riempire le sue vacanze da scuola, malgrado il divieto della madre apre una porta misteriosa chiusa a chiave e si ritrova in un mondo parallelo, con nuovi mostruosi genitori. Nel suo tentativo di tornare a casa la aiuteranno un gatto parlante e tre spettri di bambini imprigionati in questo mondo parallelo.
Il romanzetto, pur non eccellendo, è forse fra le cose migliori scritte da Gaiman fuori dalle pagine di fumetti. Certo c'è da chiedersi come un autore tanto profondo tra i baloon possa divenire così banale quando si trasforma in autore di racconti.

Makoto Shinkai, Il giardino delle parole

Il giardino de!le parole è un bel film d'animazione uscito in Giappone nel 2013, ad opera di Makoto Shinkai. Il film rappresenta la storia di  Takao, quindicenne giapponese appassionato del disegno e produzione di scarpe, e della professoressa Yukino, vittima di dicerie nella scuola in cui insegna, tanto da perdere ogni fiducia in se stessa e la voglia stessa di lavorare. I due protagonisti inizieranno ad incontrarsi e a frequentarsi, dopo che  per caso si sono ritrovati in un giardino nel centro di Tokyo, per ripararsi dalla pioggia.
Il film, ricco di momenti di riflessione e di silenzi, racconta il valore della parola disinteressata, del dialogo, dello scambio di emozioni. Di come persone del tutto diverse possano conoscersi e divenire qualcosa di speciale l'uno per l'altra, malgrado la differenza d'età e di cultura. Un opera appassionata e delicata ad un tempo, assolutamente da vedere.

giovedì 18 dicembre 2014

Lezioni di stile e scrittura creativa

Quello che propongo con questa serie di brevi lezioni è un approccio all'analisi formale di alcuni brevi passi, tratti da narratori che vanno dalla fine del 1800 fino alla fine del '900. Le lezioni non hanno alcuna pretesa di completezza, vogliono solo essere uno strumento, pensato in primis per alunni delle scuole superiori, per approcciarsi all'analisi formale di testi in prosa e, volendo, alla loro produzione.

Lezioni di stile 

giovedì 11 dicembre 2014

Fascismo liquido

Proprio ieri Marine Le Pen dichiarava l'utilità della tortura. A questa dichiarazione seguiva, qualche minuto dopo, una smentita che sapeva di fregatura. Infatti la politica francese aveva dichiarato (per le citazioni la fonte è il seguente articolo di Polisblog)

"La tortura...può essere utile [...] Troppo facile andare in tv e fare gli scandalizzati. Io invece credo che la gente che si occupa di terroristi, che deve ottenere informazioni da loro, è gente responsabile, che salva vite umane e ci possono essere dei casi in cui tutti i sistemi possono essere utili per far parlare un certo tipo persone. Bisogna riuscirci, e con tutti mezzi possibili".

Ma a questa dichiarazione seguiva la ritrattazione su Twitter, in evidente contraddizione.
"Interpretazione malevola. Tutti i mezzi possibili: i mezzi della legge, evidentemente non la tortura".

Interprétation malveillante. Face au terrorisme, pas d'angélisme. "Les moyens qu'on peut" : les moyens de la loi, évidemment pas la torture.

C'è qualcosa in questo gioco della Le Pen che noi conosciamo bene. Si parla di esposizione per eccesso, ma io, citando Vattimo, parlerei di politica liquida. 
Come dicevo, si tratta di qualcosa che conosciamo, una tecnica ben nota nel ventennio berlusconiano, quella del dire qualcosa, spesso un colpo assestato allo stomaco dei diritti o della costituzione, per ritrattare in maniera rassicurante. Una tecnica del genere è utile, serve a testare la reazione dell'elettorato e, allo stesso tempo, a tenersi sempre sulla cresta dell'onda. Marco Antonio un tempo incoronò Giulio Cesare di fronte alla folla per testarne la reazione, e di fronte ai fischi, fu proprio il dittatore a rifiutare la corona, ingraziandosi la massa.

Ma c'è di più: nell'epoca del pensiero liquido, della negazione della certezza, chi può dire cosa abbia realmente detto o pensato la Le Pen? Chi può dire che la sua smentita sia o no più credibile della prima affermazione? Nell'epoca dell'incertezza il politico di turno può dire qualsiasi cosa per poi ritrattarla, e sperare in questo modo di dare un colpo al cerchio e uno alla botte.

Ma Le Pen, e con lui nello stesso giorno il corrispondente italiano Salvini che, contemporaneamente dichiarava di essere per la castrazione chimica per gli stupratori, decide di compiere un passo in più. Se non c'è un limite alla tecnica, perché limitarsi? Ed ecco che allora vengono rispolverati i temi di un vecchio fascismo che pensavamo superato: invece il moto di antipolitica europea, il desiderio di eversione, il desiderio di un conflitto sempre più avvertito come liberatorio, la violenza contro il diverso, la riscoperta della violenza verbale e fisica (guardiamo ai nostri Casa Pound e allo schifo che si è impossessato di Roma) Tutto è giustificabile perché esiste e non esiste, è sempre ritrattabile. In questo senso l'antipolitica grillina è certamente più acerba, fatta di slogan e urla talmente evidenti e ridondanti da non essere nascondibili, anzi, nell'inesperienza della comunicazione pentastellata, il grillismo si gloria della propria fermezza. Paradossalmente, quella di Grillo and company è una comunicazione violenta ma datata.

Così su Twitter, su Facebook, a mezzo stampa o sottovoce si diffonde un nuovo fascismo strisciante, fatto di felpe e di facce per bene. Un fascismo liquido, un fascismo del ventunesimo secolo, a cui si dovrà rispondere con nuove armi ermeneutiche. Perché la contingenza economica non fa altro che favorire questo fascismo nuovo e vecchio ad un tempo.

foto: mattinonline.ch

lunedì 8 dicembre 2014

Perché ammettere, o togliere, tutti i simboli religiosi dalle scuole

Come ogni anno in questo periodo, nella scuola pubblica italiana si riaccende il dibattito sulla presenza di simboli religiosi cristiani. A fronteggiarsi due voci, l'una, laica e spesso laicista, l'altra, cattolica, più che cristiana.
In questo post proverò a confutare le principali obiezioni della posizione cattolica e a sostenere la mia tesi, ovvero che, in astratto, nella scuola pubblica italiana sarebbe il caso di ammettere tutti i simboli religiosi, in concreto, oggi, eliminarli tutti

In genere chi sostiene l'opportunità della presenza del presepe o del crocifisso nelle nostre scuole, lo fa adducendo queste argomentazioni:

Il crocifisso e il presepe sono simboli della cultura italiana
Questa argomentazione si fonda su un errore di prospettiva, ovvero il pensare che i simboli di una maggioranza religiosa all'interno di una comunità siano ipso facto simboli di tutti. L'identità delle minoranze viene in questo modo annullata e inglobata all'interno di quella della maggioranza. Questo errore di prospettiva è comune, soprattutto quando si discute di religione: ad ogni ateo sarà capitato almeno una volta di sentirsi dire che proprio perché ateo egli in realtà crede in un dio, dato che si pone il problema: come se non possa semplicemente esistere chi non crede. Ogni possibile differenza di veduta viene annullata e sommersa dall'idea dominante.  Basta riflettere per capire che invece il simbolo di una maggioranza non rispetta né rappresenta per forza le minoranze, ragion per cui, in un edificio come le scuole, in cui le distanze sociali, culturali, economiche, religiose e politiche dovrebbero essere annullate, questa prospettiva risulta mortificante.
Inoltre, se questi sono simboli della cultura italiana (ma lo sono davvero?), i simboli della cultura italiana sono stati e sono anche altri: lo sono stati i falli in cuoio delle menadi, i penati romani, le icone ortodosse, i Corano della cultura arabosiciliana; lo sono stati e forse lo sono ancora i fasci littori e la falce e il martello. Per qualcuno, addirittura, la Costituzione.

Il crocifisso e il presepe sono simboli universali di pace
Simile all'argomentazione precedente, anche questa si fonda sull'idea che ciò che la maggioranza sente valga per tutti. Chi per esempio pensa che il crocifisso sia in assoluto simbolo di pace, dimentica chi in nome di quel simbolo ha subito delle guerre; non c'è bisogno di tornare indietro nei millenni, basta andare al 2001, all'improvvida dichiarazione di guerra del presidente Bush, la chiamata alle armi per una crociata contro il terrorismo islamico.
Ma c'è di più: chi parla di questi simboli come simboli universali non riflette sul fatto che ogni civiltà pensa ai suoi simboli come universali, giusti, portatori di pace. Il Nazista che si riconosceva nella svastica o il Comunista che si riconosceva nella falce e nel martello non vedeva in sé il male, si credeva portatore di pace e di una giustizia superiore, vedeva e vede nei suoi simboli i simboli della sua pace, proprio come i Cattolici nel crocifisso e nel presepe.

Si è sempre fatto così
No, non si è sempre fatto così, il Cristianesimo, come ogni cosa, è un fenomeno storico che ha avuto un inizio e presumibilmente avrà una fine, e dire da parte di chi certe cose dovrebbe saperle che si è sempre fatto così è semplicemente un insulto al tempio della conoscenza che dovrebbe essere la scuola.

Sono le nostre radici
Argomento che si lega a quello precedente. Le radici sono tante: se parliamo dell'Europa, ci sono radici ben più profonde e antiche di quelle cristiane, le radici grecolatine, quelle indoeuropee, quelle legate alle popolazioni anatoliche che diffusero l'agricoltura, prima ancora le radici preindoeuropee delle popolazioni che si cibavano della cacciagione e della raccolta di ciò che trovavano. Tutte civiltà che hanno lasciato qualcosa; allora dovremmo risalire ai loro simboli. O ancora meglio, dato che fra i nostri geni possediamo un 2% dei geni dei Neanderthal, e dato che questi ci hanno lasciato i primi esempi di simboli religiosi con le loro pitture rupestri, occorrerebbe sostituire crocifisso e presepi con rappresentazioni di mammut e cinghiali.

A questo punto dovremmo rimuovere i nostri simboli e le nostre opere d'arte dalle strade e dalle piazze
No, non c'entra nulla, perché non si sta discutendo il valore di opere d'arte di reale interesse e valore storico culturale. Nessuno chiede la rimozione di simboli dalle strade, dalle piazze, nessuno chiede di smettere di studiare opere di indubbia matrice cristiana. No, Dante, Giotto, La Gerusalemme liberata rimangono nelle nostre scuole, non temete. Perché di esse va spiegato il valore, i docenti dovrebbero farlo, per esempio, dovrebbero spiegarne la matrice, se vogliamo anche i limiti. Il fatto che io spieghi la Gerusalemme liberata non è un invito a partire per le Crociate, né il fatto che io spieghi perché Dante mette Maometto nell'Inferno è un invito a trucidare gli infedeli.
Ma qui parliamo di altro, di oggetti che, per citare Verga, stanno all'arte come le donne del cancan sulle scatole dei fiammiferi stanno alla Venere di Milo. Sono la banalizzazione, la strumentalizzazione e l'instupidimento dell'arte e della cultura, che si fanno pancia e peggio ancora del paese.

Questi simboli non danno fastidio a nessuno
Il fatto che stiate leggendo questo post è una dimostrazione della falsità di questa affermazione.

Da loro non ci concedono i nostri simboli
A parte che quel da loro, nella sua vaghezza, dice tutto e niente, questa è di per sé una fallacia logica, ben spiegabile con un paradosso. Mettiamo il caso di due paesi con due forme di diritto diverse, quali Italia e USA. Mettiamo che un Italiano commetta un reato negli USA, un omicidio, e venga per questo condannato alla pena di morte negli USA. Secondo questo ragionamento un cittadino americano che in Italia commettesse lo stesso reato, dovrebbe essere condannato a morte, in barba al nostro diritto, perché da loro si fa così.
Un altro esempio, forse meno gradito alla massa. Dato il fatto che se una coppia italiana omosessuale, recandosi negli USA, può ottenere un matrimonio legale, lo stesso trattamento dovremmo noi riservare a cittadini americani in Italia, ovviamente al di fuori del nostro diritto.

Siamo uno stato cattolico
In realtà la nostra Costituzione, così come la revisione del Concordato, sancisce la laicità del nostro stato, che quindi non prevede una religione di stato, ma anzi favorisce e tutela la libertà di culto di ogni minoranza, setta, credo e confessione.

Il Concordato ce lo impone
Ad essere precisi il crocifisso nelle classi è imposto da un regio decreto mai abrogato. Ma rimanendo al Concordato, esso è stato lo strumento con cui una dittatura ha ottenuto il riconoscimento politico del mondo cattolico, e già solo perché rappresenta l'asservimento dei presunti valori cristiani alle ragioni della politica di un regime come quello fascista, meriterebbe il suo superamento. Ma il Concordato è già stato rivisto in passato, con il governo Craxi, e del resto, un paese che chiede di poter decidere della propria politica economica e del proprio divenire, dotato di un Parlamento che ha la libertà di modificare la sua stessa Costituzione, non può nascondersi dietro ad un Concordato.

Alla luce di quanto scritto sopra, emerge la necessità di garantire in maniera differente le diverse posizioni in campo. Dimostrato come la presenza dei simboli cattolici non sia in assoluto da dare per scontato, va discusso come comportarsi di conseguenza. Nessun simbolo o tutti i simboli?

Diciamo subito che il buon senso vorrebbe, in una scuola realmente inclusiva, la possibilità di vedere i simboli dei diversi credo all'interno delle nostre mura scolastiche.
Ma il bene spesso è nemico del meglio.
Il compromesso sulla laicità dello stato raggiunto dalla nostra politica con il dominio culturale del Cattolicesimo prevede che sia lo stato stesso a raggiungere dei singoli accordi con i rappresentanti delle diverse fedi riguardo alla loro libertà di culto, all'edificazione di edifici di culto, alla tutela delle diversità. Questo principio si traduce nella sostanza nella quasi impossibilità, da parte delle minoranze, di ottenere rappresentanza e diritti, di fronte all'impellenza del consenso elettorale (alla solita maggioranza cattolica insomma) da parte dei governanti di turno. Basti solo pensare alle enormi difficoltà della minoranza musulmana presente in Italia, il 4% della popolazione, nell'ottenere i permessi per l'edificazione di moschee o per poter adibire a tale scopo edifici dismessi.
In una situazione simile, pensare che un dirigente scolastico, un politico o un prefetto possano ordinare di adibire nelle nostre scuole la presenza di simboli di minoranze, spesso politicamente scomode, è impossibile, pura fantascienza. Basti pensare che nessuna scuola in iItalia, almeno nel pubblico, prevede l'insegnamento della religione ebraica o dell'Islam come alternativa all'ora di insegnamento della religione cattolica.

Che fare allora?
Purtroppo, in uno stato che voglia dirsi laico, l'unica soluzione che rimane nel contesto attuale è il togliere qualcosa, ovvero quegli unici simboli religiosi che sono oggi concessi nelle nostre scuole. Toglierli perché uno stato che voglia dirsi unitario o rappresenta tutti o non rappresenta nessuno, e toglierli perché finché su di noi penderà la condanna di una dittatura culturale, quella cattolica, ma potrebbe essere qualsiasi dittatura culturale, non avremo mai la forza per un vero percorso verso diritti uguali per tutti.

sabato 6 dicembre 2014

Mitologia dell'insegnante italiano

Quando si parla della scuola pubblica italiana e dei suoi insegnanti, si contrappongono due visioni distinte, antitetiche, entrambe mitologiche. La prima, quella di stampo liberista e berlusconiano, vede negli insegnanti dei nemici, costruendone il mito di nullafacenti comunisti ignoranti. L'insegnante nell'ottica neoliberista berlusconiana è un intralcio, un feticcio di un tempo che fu, in cui il rapporto con il pubblico era veicolato da strumenti intermedi quali le istituzioni; l'insegnante, corpo intermedio, si macchia del peccato di voler formare una coscienza civica, comunista, nei discenti, un pubblico che, invece, potrà meglio essere addestrato attraverso altri strumenti, quali le televisioni. In quest'ottica quindi l'insegnante andava e va umiliato.
L'altro mito, antitetico, viene costruito dalla classe degli insegnanti stessa. L'insegnante si autodipinge come unica difesa rimasta di fronte alla distruzione della cultura: l'insegnante italiano è assolutamente convinto della propria formazione, della propria cultura, della propria visione del mondo, imputando ogni fallimento della cosa e della scuola pubblica nell'arco di tempo che va dal dopoguerra ad oggi esclusivamente alla politica, alla società, al sistema di reclutamento, all'incapacità del sistema universitario, etc.. Non esiste possibilità di autocritica, al punto che ogni paventato tentativo di proporre un sistema di valutazione degli insegnanti viene avvertito e propagandato come un attentato alla dignità della professione.

A ben guardare, entrambe queste costruzioni non sono altro che miti: l'uno si forma e si alimenta dell'altro, in effetti, l'uno non potrebbe esistere senza l'altro. Una classe docente che non ammette valutazione dà adito ai suoi detrattori di accusarla di pressapochismo; l'incapacità di riconoscere la professionalità dei docenti da parte del neoliberismo non fa altro che alimentare l'arroccamento dei docenti della scuola pubblica nelle loro posizioni, ritirati su di un Aventino fuori dal tempo e dal buonsenso.
Eppure basterebbe, appunto, un p' di buonsenso, per riconoscere i limiti di entrambi i miti. Così come è impossibile che tutti i docenti siano dei nullafacenti, e altrettanto vero che, come in qualsiasi lavoro, esistono mele marce ed esiste un problema nella formazione e nel reclutamento dei docenti, problema a cui la politica, i sindacati, i docenti stessi hanno contribuito.

Ovviamente il discorso proposto in questo post è esso stesso una costruzione, se vogliamo anche questo è un mito, una narrazione. Una narrazione fondata su determinate esperienze e su alcuni dati: l'età media dei docenti italiani è la più alta d'Europa, e anche tenendo in conto della formazione dovuta alle ormai chiuse Scuole di Specializzazione per l'Insegnamento, o ai recenti Tirocini Formativi, va detto chiaramente che una buona parte dei docenti italiani in cattedra non mette piede in un'aula universitaria o non frequenta un corso di livello universitario ormai da decenni; i risultati delle prove INVALSI degli studenti italiani, così come i risultati delle prove PISA, mostrano, piaccia o no, gravi lacune da parte dei nostri studenti nelle competenze logico linguistiche e logico matematiche; gli scarsi risultati ottenuti da molti docenti nella prova di logica e matematica alla recente prima prova del concorso a cattedra del 2012.

Esiste nella nostra scuola un problema di genere: è un dato che la maggioranza dei docenti italiani siano donne, con picchi nella scuola primaria che rasentano il monopolio. Sia chiaro qui che una docente vale quanto un docente; il problema è che nella nostra tradizione culturale maschi e femmine vengono formati e indirizzati in maniera stereotipata, maniera che ancora oggi si ripercuote sui docenti in attività e sui loro alunni. Nelle prove INVALSI, a qualsiasi livello, il risultato delle studentesse nelle prove di matematica è mediamente più basso di quello degli studenti maschi, sebbene i risultati ottenuti in molti altri paesi, in primis quelli dell'Estremo Oriente, in prove equivalenti, mostrano come le studentesse, se non condizionate, ottengono nelle materie scientifiche gli stessi risultati degli studenti maschi.
Al di là della bagarre sulle graduatorie varie ed eventuali, basta mettere piede in un qualsiasi Collegio Docenti per accorgersi di un dato: il corpo docente italiano è formato da (per la maggior parte) donne, caucasiche, cattoliche, malamente formate negli studi di pedagogia, comunque con una formazione che risale, in molti casi a decenni addietro, da troppo tempo lontane dagli studi accademici delle loro stesse discipline. Ancor di più, il pubblico, il destinatario del messaggio di questi docenti sono, ancora, piccoli, caucasici, bianchi e cattolici. Ogni altro destinatario esiste nella misura in cui si adegua a questo standard.
L'intercultura, lo scambio culturale, la tolleranza nelle nostre scuole si riducono ad una malcelata sopportazione: le minoranze sono ammesse finché si adeguano al volere e alle tradizioni della maggioranza, altrimenti sono reietti da criminalizzare; non esiste la possibilità di riconoscere la laicità della scuola pubblica, il pari valore delle tradizioni e culture altre ("e tu, piccolo, dimmi, da te cosa fate per le vacanze? Perché qui che siamo Cattolici si fa così"). condivisione ed arricchimento vogliono dire, nella nostra scuola, condivisione da parte del Cattolicesimo e arricchimento da parte di chiunque non sia cattolico. Condividiamo (imponiamo) presepe, crocifisso, etc., ma ad "arricchirsi" sono solo gli altri. Non esiste nella scuola pubblica, come nella nostra società, l'idea che a "condividere" siano tutti, compresi i non Cattolici e ad "arricchirsi" siano tutti, compresi i Cattolici. Non esiste per esempio all'ordine del giorno di nessun Collegio Docenti l'idea di affiancare nel Piano dell'Offerta Formativa l'ora di religione islamica, buddista, animista, induista, anche solo sulla forza degli Jedi, all'ora di religione cattolica; non sembra che nella scuola pubblica italiana ci si batta il petto o ci si fustighi per permettere l'apertura di moschee e luoghi di culto per le altre religlioni, o di veri spazi e tempi per atei e agnostici. La condivisione consiste in un io condivido e gli altri si adeguano, l'integrazione in un queste sono le condizioni, e ora integrati.

La nostra scuola è, nella maggior parte dei casi, trasmissione di una tradizione: la possibilità di innovazione, prima ancora che per gli scarsi mezzi, manca per la mancanza di formazione. Scarsa, soprattutto nei gradi più bassi dell'istruzione, è ancora la comprensione di un testo da parte degli stessi docenti, così come la capacità di usare la logica deduttiva: riprova ne sono i risultati della prima prova del recente concorso a cattedra. Assente o quasi la formazione su modalità e generi testuali che richiedano una formazione tecnica: analisi del testo, produzione di saggi, etc..
Manca spesso la capacità di contestualizzazione, di decostruzione e costruzione, di ricerca e vaglio delle informazioni: basterebbe vagare per i vari gruppi su facebook dedicati agli insegnanti per accorgersi di come gli stessi non vaglino le informazioni che condividono, commentino senza leggere, o peggio, comprendere le risposte altrui (senza parlare degli orrori grammaticali e delle castronerie pedagogico-didattiche che si potrebbero incontrare).

In questa condizione, per poter realmente pensare ad un miglioramento dell'istruzione pubblica italiana, la stessa scuola italiana dovrà partire dalla distruzione di ogni mito che la condizioni: quello neoliberista come quello autoassolutorio. Senza un reale superamento delle sovrastrutture che condizionano il funzionamento della nostra scuola, la formazione italiana e lo stesso futuro dei nostri discenti non potranno non essere condannati ad un lento e costante declino.

foto: caffescuola.wordpress.com

venerdì 5 dicembre 2014

Fare cultura è fare i conti con il proprio passato

Leggo in questi giorni che, da sondaggi, un eventuale partito della cultura si assesterebbe intorno al 6% delle preferenze dei votanti. Si tratterebbe di un partito che andrebbe a collocarsi nell'alveo del centro-destra e che avrebbe come scopo la promozione della cultura e la rimozione del monopolio della sinistra sulla stessa. Un simile partito vorrebbe essere uno strumento per superare gli steccati, i tanti "anti" della nostra cultura.

Cercherò qui di dimostrare come l'idea espressa da questo programma abbia a che fare solo con un certo tipo di cultura, quella industriale.
L'assunto di base è che la cultura vada promossa in quanto produttrice di ricchezza. Se permettete, la cultura andrebbe promossa di per sé, l'arte per l'arte, la scienza per la scienza, anche perché ciò che appare inutile oggi non è detto che lo sia domani e legare la cultura alla produzione di ricchezza vuol dire favorire, anche in questo ambito, ciò che appare utile e produttivo oggi.
Il partito della cultura vorrebbe muoversi nell'ambito del centro-destra, per superare gli steccati e superare il monopolio e la fabbrica di cariche del modello culturale del centro-sinistra. Di fatto cosa voglia dire tutto ciò non si sa bene: in Italia sembra che sia una colpa della sinistra il fatto che la destra non sia stata in grado di formulare dei suoi valori che andassero oltre un redivivo fascismo o un neoliberismo spinto e di mera matrice imprenditoriale, che considerasse tutto oggetto e tutto oggetto di vendita e di acquisto. Inoltre smantellare il monopolio della sinistra sulla cultura e sulla cultura delle cariche, costruendo un nuovo partito che si appropri della stessa gestione delle cariche, è quanto meno sospetto.
Si dice che l'Italia debba andare oltre l'"anti", l'antifascismo, l'antiberlusconismo. Il problema è che l'Italia agli "anti" non c'è mai arrivata, se non in maniera edulcorata e di facciata. Dall'amnistia generale dopo la Seconda Guerra Mondiale, alle prescrizioni berlusconiane, al mai avvenuto processo politico ai fallimenti dei rispettivi ventenni, il nostro paese non ha mai fatto realmente i conti con la storia. Perché sia chiaro che quando si parla di antifascismo e di antiberlusconismo, non si parla di uomini, ma di idee: gli uomini passano, non i simboli che incarnano. Dichiararsi e essere antifascisti vorrà dire essere contrari ad un certo bagaglio di valori e di idee, come l'essere antiberlusconiani (e il fatto che per questo secondo ventennio non si sia trovato appellativo migliore del patronimico, ce ne dice la pochezza intellettuale); l'essere contro il razzismo ideologico, il primato del potente, del ricco, sul povero, l'essere contrari ad ogni forma di organizzazione totalitaria, ad ogni abiura alla rappresentatività della politica; essere per la libertà della democrazia, per la libertà di idee, per la libertà di culto, per la libertà nella propria vita sessuale; essere per un diritto uguale per tutti, essere contrari alla pena di morte, essere favorevoli alla promulgazione di una legge contro le torture; essere per uno stato realmente laico che abbia voglia e potere per rappresentare tutti i credi; credere nei diritti dei lavoratori e che i capitani d'azienda non necessitino di uno stato amico e difensore quanto i precari e la classe operaia.

Questo e molto altro vuol dire essere antifascisti o antiberlusconiani, e dire che questi "anti" vanno superati, senza che chi si proclama fascista o berlusconiano voglia o sia in grado di ammettere limiti e colpe della propria ideologia, sarebbe non solo inutile, ma anche ipocrita e pericoloso.

The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....