venerdì 31 ottobre 2014
Del progresso, dei diritti, dell'Occidente e della Storia
giovedì 30 ottobre 2014
Death Note, Tsugumi Oba e Takeshi Obata
Death Note, di Tsugumi Oba e Takeshi Obata, è un manga serializzato tra il 2003 e il 2006, pubblicato poi in 13 volumi. Al manga ha fatto seguito una serie televisiva in 37 episodi.
Protagonista di questo manga è Light Yagami, promettente studente giapponese che, passeggiando per strada, trova un block notes. Ben presto Light si accorge che il block notes possiede dei poteri particolari, provenendo dal mondo dell'aldilà: scrivendo il nome di una persona su di esso, questa persona morirà per un arresto cardiaco. A Light inizia ad accompagnarsi il vero proprietario del quaderno, uno spirito della morte o shinigami di nome Ryuk. Light, profondamente intriso da spirito di giustizia, inizia ad uccidere tutti i criminali di cui conosce il nome, attirando su di sé le attenzioni di un detective, Elle. La trama inizia così a dipanarsi nello scontro, tutto di intuizioni e depistaggi, tra Light e Elle, fino alla soluzione finale, non prima a di aver visto il sacrificio del detective.
In molti hanno notato la presenza di una forte componente simbolica in questo manga, generalmente a carattere cristiano. Si può cominciare dalla mela, simbolo del peccato e della tentazione, cibo prediletto dello shinigami, continuando con le numerose riprese dell'immaginario cristiano, dalle raffigurazioni della Pietà di Michelangelo ai crocefissi adombrati spesso e volentieri, fino al lavaggio dei piedi di Elle poco prima della morte, quasi una figura cristologica.
Ciò che però stupisce e coinvolge in questo manga è la sapiente costruzione della trama, delle peripezie, i depistaggi e l'attività investigativa che portano i due personaggi principali a confrontarsi in una guerra che, prima di essere fisica, è psicologica e intellettuale.
Malgrado gli anni passati quindi Death Note rimane un prodotto assolutamente consigliabile, sia per lo spessore della trama e dei personaggi che per la sapiente narrazione.
lunedì 27 ottobre 2014
Contratti di lavoro a tutele crescenti a tempo indeterminato e non coperti dall'articolo 18
Il cambiamento tanto citato da parte di Matteo Renzi è in realtà un dejavu, qualcosa di già visto. Analizziamo il significato delle parole adoperate per citare il nuovo modello del contratto di lavoro: contratti di lavoro a tutele crescenti a tempo indeterminato e non coperti dall'articolo 18
Contratti di lavoro a tempo indeterminato: contratti in cui si pattuisce una durata senza limiti del contratto di lavoro
A tutele crescenti: ovvero il lavoratore non sarà tutelato o quasi, e le sue tutele potranno crescere con il tempo.
Non coperti dall'articolo 18: ovvero il lavoratore non sarà tutelato dalla norma che prevedeva il reintegro da parte del datore di lavoro in caso di licenziamento per ingiusta causa.
Traduzione
Il lavoratore pattuisce con il datore di lavoro che lavorerà per lui senza un limite di tempo, ma senza neanche delle tutele, almeno da principio, che semmai verranno se si guadagnerà l'amorevole grazia dello stesso datore di lavoro, il quale si premurerà di tenerlo con sé per un lungo periodo, fermo restando il diritto del datore di lavoro di disfarsi del lavoratore in qualsiasi momento, senza che questo licenziamento possa essere realmente contestato dal lavoratore.
Ci ricorda qualcosa?
Onestamente sì. Per esempio la condizione schiavile delle società antiche, in cui lo schiavo, in ovvia condizione di inferiorità rispetto al proprietario, se ne doveva guadagnare l'amore per poter sperare di ricevere qualche vantaggio o tutela, fermo restando il naturale diritto del proprietario di disfarsi, lasciare morire o uccidere lo schiavo senza che queste azioni comportassero alcunché per la sua persona.
Benvenuti nel cambiamento.
domenica 26 ottobre 2014
L'esattezza, il cambiamento, la retorica e la fuffa.
Italo Calvino, uno dei numi tutelari della sinistra italiana, nelle sue Lezioni americane, così come in molte interviste, cita l'esattezza nell'espressione come uno dei valori imprescindibili per un intellettuale e uomo moderno. L'esattezza nell'espressione vuol dire chiamare le cose con il loro nome, citarle è per quello che sono realmente, senza giri di parole inutili e fuorvianti. Come diceva Borges del resto la retorica anziché aiutare la comunicazione spesso è causa di incomprensione. Incomprensione che si fa ancora più grave quando l'artificioso uso della retorica rende le incomprensioni volute.
Gli ultimi 40 anni della vita politica italiana sono stati caratterizzati dall'emergere di figure carismatiche abili nell'utilizzare la voluta ambiguità della retorica. Penso a leader carismatici quali Bettino Craxi, Papa Giovanni Paolo II, Silvio Berlusconi, Beppe Grillo e infine Matteo Renzi. Tutti questi leader hanno impersonato ed impersonano volutamente una maschera teatrale che li ha portati e li porta ad interpretare la figura dell'uomo della salvezza rappresentante il cambiamento. Già a questo punto vediamo sopraggiungere l'artificio della retorica: cosa vuol dire infatti cambiamento? Di per sé è il cambiamento è un concetto neutro né positivo né negativo: per un africano del 1500 essere preso schiavo era un cambiamento, per un operaio dell'Ottocento ottenere il diritto allo sciopero era un cambiamento, come lo è stato l'invenzione di quella forma di contratti precari che caratterizza la legislazione sul lavoro italiana. Essere quindi i paladini del cambiamento di per sé non vuol dire assolutamente nulla. È solamente il merito della retorica che ci fa ritenere giusta una associazione di per sé inesistente tra la parola cambiamento e il concetto di miglioramento della propria condizione di vita. Ciò che dovrebbe contare davvero non dovrebbe essere il portare avanti il cambiamento in quanto tale, ma spiegare in che cosa consiste realmente questo cambiamento e quali vantaggi potrà portare alla vita dei singoli e delle comunità. Ad analizzare i discorsi di questi i leader politici difficilmente si potranno trovare discussioni di merito, mentre si noterà come abbondano circonlocuzioni intorno alla necessità del cambiamento, del rinnovamento, dell'essere i nuovi contro il vecchio, i gufi. Immaginiamo due modelli. Il primo è una strada in discesa: il cambiamento che ci porta dall'essere in cima al giungere fino alle pendici della montagna è un cambiamento, un passaggio da una condizione di oggettiva difficoltà ad una situazione più semplice. Ora immaginiamo un altro modello: siamo dei condannati legati sotto una ruota in cima a quella montagna; immaginiamo quella ruota che inizia a scendere giù per le pendici della montagna, ad ogni giro ci schiaccia e ci risolleva, il nostro continuo cambiamento non si risolve in un miglioramento, semmai in una tortura continua.
Cerchiamo allora in nome della esattezza di parlare di cose chiamandole con i loro nomi. Il primo ministro Renzi sostiene che quello sull' articolo 18 sia un falso problema, un retaggio culturale del tardo 900. Ci viene detto che dato che i lavoratori tutelati da questo articolo sono pochi e non vale la pena difenderlo. Come dire che dato che i panda sono in via di estinzione tanto vale ucciderli tutti. Dice il primo ministro Renzi che è pronto a dialogare con i sindacati ma che il Jobs act non cambierà. Come quegli studenti che nascondono le cuffiette durante le spiegazioni che non interessano. Dice il primo ministro Matteo Renzi che la sinistra del Pd è quella che non riusciva a superare il 25 per cento mentre a lui interessa mantenere il consenso del 41 per cento che ha ottenuto. Dice il primo ministro Matteo Renzi che non consegnerà il Pd a quelli del 25 per cento. Peccato che il Pd non esiste più, ucciso da un primo ministro Renzi che del suo partito non ha ascoltato mai la voce, preferendo quella della sua convention, la Leopolda. Ma a cosa serve questo 41 per cento? A reiterare il consenso, e per questo servono nuovi nemici su cui rappresentare un non meglio precisato cambiamento. Dice il primo ministro Matteo Renzi che si farà portavoce del cambiamento ma intanto ha spartito le posizioni di potere fra i suoi accoliti della Leopolda come un vecchio democristiano. Dice il primo ministro Matteo Renzi di voler costruire una nuova sinistra e intanto dalla Leopolda arriva l'istanza di chi chiede di eliminare il diritto allo sciopero per i dipendenti statali. Dice il primo ministro Matteo Renzi di essere dalla parte di chi produce il lavoro senza accorgersi che è sinistra tutelare il più debole, non chi crea il lavoro ma chi lo deve giorno per giorno subire. Dice il primo ministro Matteo Renzi di essere uomo di sinistra ma perché essere di sinistra in una certa cultura è cool, fa figo. Dice il primo ministro Matteo Renzi di essere un giovane, un ragazzo, ma alla sua età si è già uomini maturi, al massimo con una sindrome di Peter Pan, proprio come il primo ministro.
Il primo ministro Matteo Renzi cita sempre l'iPhone. Mi sembra un paragone esemplare della sua politica: non si tratta né del miglior smartphone né di quello più innovativo, né tanto meno della multinazionale con i processi di produzione più limpidi. Si tratta invece di un mirabile prodotto di marketing, e davvero poco altro. La costruzione della fuffa politica.
lunedì 13 ottobre 2014
Gramellini e la letteratura
Sabato sera, chi avesse avuto modo di guardare il duo Fazio-Gramellilni, si sarà ritrovato la tirata del giornalista contro il premio Nobel per la letteratura. Per l'esattezza Gramellini ha lamentato il fatto che il più importante premio al merito letterario venga assegnato in genere a scrittori non riconosciuti da un largo successo di pubblico. Al riguardo, Gramellini si chiede il perché il premio Nobel non sia mai stato assegnato a scrittori apprezzati dalla critica mainstream come Roth e Murakami.
Purtroppo al giornalista non vengono in mente delle ragioni che non hanno a che fare con la banalità del giornalista medio che deve parlare a cadenze regolari anche di argomenti che ignora, ma che attengono al valore letterario.
Il premio Nobel, dice Gramellini, viene assegnato a scrittori letti solamente da altri scrittori per poter dire di essere più bravi. Forse andrebbe detto meglio: il premio Nobel viene assegnato a chi, ancora in vita, ha saputo essere un punto di riferimento letterario con cui confrontarsi, per contestare il punto di riferimento come per appoggiarvisi, per superarlo. Purtroppo Gramellini non conosce che le ragioni delle vendite, non riuscendo così a chiedersi perché Roth e Murakami non siano mai stati insigniti del premio. Eppure, oggi, per chi vuole porsi domande, cercare risposte, sia nella forma che nel contenuto della letteratura, Roth o Murakami sono forse sullo stesso piano di un Saramago, di Un Pirandello? O forse le critiche al recente 1Q84, sia nella debolezza della trama che nella tecnica narrativa, dovrebbero mettere in luce come spesso il successo di pubblico non si accompagni con la profondità dell'analisi o la maestria innovativa della tecnica?
Gramellini conosce solo le ragioni della vendita, non rendendosi conto di come in questo modo disconosca il valore dei fiori della nostra letteratura che impropriamente cita parlando di Leopardi. Pensiamo alle scarse vendite del Verga verista, alla noncuranza generale nei confronti di Svevo e Tozzi. Pensiamo infine a come Leopardi, citato da Gramellini, si rivolgesse sì a tutto il mondo, ma certo al mondo dei suoi pari, di coloro che ne potessero cogliere la profondità, l'introspezione, il desiderio.
Forse Gramellini, prima di parlare di letteratura da dilettante, solo perché come ogni dilettante pensa di poter parlare di un argomento perché ha letto un libro, dovrebbe documentarsi, studiare, e magari poi ammettere che la letteratura è qualcosa di diverso dalle classifiche di vendità.
domenica 5 ottobre 2014
Ragazzini che sputano e cattive abitudini che odio
Non so se li avete notati, sono i vostri figli. Quelli che spiaggiate davanti alla televisione, a cui non negate nulla, quelli che il pomeriggio a fare sport, danza, hip hop, uncinetto, recitazione caraibica, alcolisti anonimi, corso antincendio e, se rimane tempo, i compiti. Insomma, fate finta di conoscerli, su. Ecco, forse non l'avrete notato, ma i vostri figli hanno preso una bruttissima abitudine, tutta italica. Sputano, ovunque, sempre, come se fosse l'unica cosa importante rimasta prima della fine del mondo. Ti parlano, si voltano e sputano. A volte neanche si voltano. Aspettano il bus e sputano, aspettano il treno e sputano, cercano di sedurre la compagna di banco e sputano, commentano l'ultimo videogioco e sputano. Il mondo non è più il loro giocattolo o il loro avvenire, ma la loro sputacchiera. Con tutto il senso di soffocamento e i conati di vomito che ne derivano.
Ecco, se fra un corso e un altro fra quelli a cui li iscrivete, fra un pantalone firmato e l'altro, poteste anche solo una volta costringerli a lavare il pavimento di casa, così, tanto per fargli provare un po' di fatica che non sia funzionale al loro svago, o poteste costringerli a sedere su una sedia su cui prima avete sputato, a stendersi su un letto su cui avete scatarrato per un quarto d'ora, ecco, giusto per fargli provare quel senso di disgusto che dovrebbe essere normale fra persone civili, ve ne saremmo tutti un po' grati.
Al vostro buon cuore.
A che pro cancellare un diritto
Proprio oggi Confindustria ha chiesto al governo di proseguire sulla via per l'abrogazione dell'articolo 18. Questo dovrebbe già di per sé dire tanto. Poi la stessa Confindustria ha severamente escluso la possibilità che il TFR possa finire anticipato nelle buste paga, non perché non servirebbe, ma perché non se ne parla di sganciare una lira, meglio tesaurizzare o investire il denaro dei lavoratori.
Vedete, in questo paese al momento si gioca sulla pelle dei lavoratori, mettendoli gli uni contro gli altri. I tutelati contro i non tutelati, anziani contro giovani. Lo fa il Presidente del consiglio quando urla ai sindacati il suo famoso dove eravate, come se questa questione possa in alcun modo essere rilevante mentre si discute di un diritto che lui vuole abrogare. Si vende fumo, al di là e contro la logica.
Perché l'articolo 18 nasce da un assunto, ovvero che tra i contraenti il contratto di lavoro c'è una disparità di forze in campo talmente grande che lo stato si impegna a difendere il più debole, impedendone il licenziamento se non per giusta causa. Abrogare questo principio, anche sostenendo che sarà poi lo stato a farsi carico del lavoratore (come? Quando? Con che soldi?) vuol dire cambiare le carte in tavola, ammettere e legittimare quello strapotere. Contestare il Jobs A ct vuol dire essere di sinistra perché sinistra vuol dire stare dalla parte del più debole.
L'argomentazione debole del presidente, che chiede perché, se questo è un diritto, non sia stato applicato agli statali e sotto i 15 dipendenti, è fuorviante e inaccettabile. Intanto per gli statali vige un contratto di lavoro diverso, che già li tutela anche di più dell'articolo 18, mentre il non avere previsto queste tutele sotto i 15 dipendenti è stato molto chiaramente una discriminazione che andrebbe superata, non cancellando il diritto, ma estendendolo. Come dire che dato che si è discriminato fra liberi e schiavi, anziché tutti liberi forse sarebbe più vantaggioso economicamente essere tutti schiavi.
Dalla perdita di un diritto tutti hanno da perdere, i lavoratori, le loro famiglie, l'indotto di consumatori, le aziende, fino allo stato e, in ultimo, una civiltà che quello stato dovrebbe incarnare.
Chi vince e chi perde con Renzi
Il presidente segretario e uomo della Provvidenza sostiene che sia meglio un partito con pochi iscritti e molti voti che il partito di Bersani e D'Alema. Sarà, ma intanto occorre dirci chiaro e tondo che un partito con pochi iscritti è un partito che non discute, un partito di rassegnati al volere del re. Quello che vuole Renzi, un uomo che non accetta lezioni da nessuno, non sa cosa voglia dire il confronto, capace di proporre la distruzione del vecchio a cui però non sa fare seguito una vera progettazione del nuovo. Ritornano in mente le parole di Barca nelle intercettazioni rubate da La zanzara, quando notava il nulla dietro il progetto politico del segretario del PD. Ascoltare Renzi in direzione è stato fra le cose più patetiche di quest'anno: una captatio benevolentiae con il solito elenco delle cose cominciate, una tirata sull'entusiasmo del cambiamento, l'annuncio della cancellazione dell'articolo 18, piaccia o no. Senza un vero perché, senza reali vantaggi, senza sapere se esistono davvero le coperture per un potenziato welfare. E tutti lì a mugugnare, a discutere del sesso degli angeli, con il solo Civati a porre questioni, inascoltate, di merito. Perché Renzi non sa e non vuole rispondere alle questioni di merito, non l'ha mai fatto, non lo farà, è la sua cifra. Forse non lo vogliamo capire, ma Renzi non è figo perché è giovane e di sinistra, Renzi fa quello di sinistra perché fa figo fra i giovani. Come fa figo fare l'intellettuale underground, aprire case editrici e lasciarle poi per vendere con i colossi, lasciando colleghi e scrittori nella merda, o aprire scuole di scrittura stracolme di debiti che tanto ripianerà l'amico fiorentino. L'importante è essere fighi.
Sia chiaro che l'alternativa non è certo la scimmia urlatrice dei pentastellati o un Berlusconi ormai consumato dagli anni e dal sesso. Alternative, a sinistra, ce ne sarebbero pure, una su tutte, l'asse Civati Vendola, ma Civati non sa essere trascinatore e Vendola è forse ormai troppo compromesso. E intanto siamo passati da un barzellettiere triste ad un guitto paroliere.
The Pitt, R. Scott Gemmill
The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....
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Quella che leggete è la mia risposta alla lettera del collega Matteo Radaelli , pubblicata sul Corriere della sera giorno 2 settembre e onl...
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Per chi si chiedesse come fare ad allontanarsi dai social network dei broligarchi di Trump, un po' di alternative: 1. Friendica , la cos...
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http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/7/7f/Tomba_Della_Fustigazione.jpg La sessualità nell’antichità viene spesso considerata ...
