Le riflessioni di Trombetta sono significative, fanno chiarezza sull'incapacità di problematizzare la realtà che il mondo della scuola vive e subisce. Gli esempi portati sono esplicativi della questione: il primo è la nota ministeriale che ribadisce la necessità di non accavallare le prove per la valutazione dell'operato degli studenti, con specifica attenzione per gli alunni con BES; la nota, come le grida manzoniane, ribadisce ciò che è già più volte stato affermato da diverse circolari ministeriali, ma non affronta il vero problema, ovvero il nodo della valutazione, nodo sul quale si scontrano l'orientamento della pedagogia che vede nell'atto valutativo un momento che fa parte dell'attività didattica e che deve avere come scopo l'apprendimento da parte dello studente, e la visione ministeriale che invece concepisce la valutazione sulla base dell'ideologia della meritocrazia, quindi come il momento cultimante della didattica, non volto a favorire l'apprendimento, semmai a quantificarlo e a classificarne gli esiti e gli artefici. Questa contraddizione porta al cortocircuito dei docenti che "fanno le corse" al fine di misurare, valutare e classificare, specie a fine periodo o a fine anno, dando infine più spazio alla visione ministeriale della valutazione rispetto all'orientamento della pedagogia; così, di fatto, il Ministero con la sua nota biasima i docenti perché fanno esattamente ciò che il Ministero stesso li induce a fare.
Il secondo esempio portato da Trombetta è quello della circolare ministeriale che vieta l'uso degli smartphone anche nella scuola secondaria di secondo grado, comprendendo in questo divieto anche l'uso didattico, nota accolta con favore dall'opinione pubblica e dalla gran parte dei docenti. Qui Trombetta non osserva una contraddizione della circolare: il divieto di questi strumenti nasce dall'uso strumentale di alcuni studi che hanno misurato un calo negli apprendimenti, oltre ad altri disturbi, nel caso di studenti che adoperavano senza controlli lo smartphone nel corso della giornata (da notare quindi che l'abuso di cui si parla travalica il tempo trascorso a scuola, e non riguarda l'uso controllato che sarebbe quello con scopi didattici), ma l'importanza dell'uso didattico di questi strumenti viene ribadito dallo stesso Ministero nella stessa circolare quando esplicita che questi dispositivi possono comunque essere previsti per gli studenti con Piani Didattici Personalizzati a causa di disturbi dell'apprendimento o per bisogni specifici, e possono essere previsti proprio perché utili alla didattica. In ogni caso Trombetta lamenta che, negli ultimi decenni, la scuola sia stata spinta a favorire l'uso degli strumenti digitali, ma che questo sia stato fatto senza una riflessione sulla loro funzione, e che questo sia stato fatto a discapito della formazione disciplinare. Qui mi permetto di osservare che, però, il rifiuto di quella riflessione di cui parla Trombetta è spesso venuto dagli stessi docenti, soprattutto da quelli che pensano alla formazione come esclusivamente disciplinare: è esperienza comune di chi ha prodotto formazione sugli strumenti digitali, come me, vedere colleghi rifiutare lezioni e riflessioni sulle premesse pedagogiche che possono dare senso all'uso di certi strumenti anziché altri (nel mio caso device elettronici prima, strumenti che implementino l'IA poi), pretendendo una formazione esclusivamente pratica ("se premo qui cosa succede, se clicco su questa icona cosa fa").
In ultimo Trombetta discute la reazione ministeriale alle proteste degli studenti durante il recente Esame di Stato. Qui Trombetta non entra nello specifico delle ragioni degli studenti, non prende posizione, ma osserva correttamente come l'unica reazione del Ministero sia stata il divieto e l'inasprimento delle norme. Trombetta conclude chiedendo una presa di responsabilità da parte dei docenti, che siano i docenti a mettere in discussione ciò che ci piomba addosso. Sicuramente condivido l'invito della collega: mi permetto di aggiungere che a dover essere messa in discussione è spesso anche l'apatia dei docenti stessi, il rifiuto a priori dell'aggiornamento e il rifiuto della riflessione pedagogica.
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