venerdì 11 luglio 2025
Di maturità, maturi e immaturi
lunedì 7 luglio 2025
Flee, Jonas Poher Rasmussen
martedì 1 luglio 2025
Odio gli indifferenti, Antonio Gramsci
Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che «vivere vuol dire essere partigiani». Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. È la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall’impresa eroica.
L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costrutti; è la materia bruta che si ribella all’intelligenza e la strozza.
È così che esordisce il primo dei testi di Antonio Gramsci pubblicati nella raccolta intitolata Odio gli indifferenti. Gli scritti di questa antologia risalgono tutti agli anni che vanno tra il 1917 e il 1925, ovvero tra gli eventi che portano alla conclusione della Prima guerra mondiale e l'ascesa della dittatura fascista. Sono gli anni in cui Gramsci si afferma prima come uno dei leader del Partito socialista italiano, poi tra i fondatori del Partito comunista e come principale rivale alle urne del Fascismo di Mussolini.
In questo contesto le riflessioni di Gramsci si concentrano sulle storture dell'Italia di 100 anni, fa, quelle del sistema politico, quelle delle strutture economiche e industriali e in ultimo quelle del sistema culturale e dell'istruzione. Parlando dei propri avversari fascisti Gramsci dirà:
Quando discuti con un avversario prova a metterti nei suoi panni, lo comprenderai meglio… Ho seguito questo consiglio ma i panni dei miei avversari erano così sudici che ho concluso: è meglio essere ingiusto qualche volta che provare di nuovo questo schifo che fa svenire.
Non meno sprezzante e tagliente l'autore è nei confronti dei suoi compagni o dei suoi ex compagni di partito:
Si dice che in Italia ci sia il peggior socialismo d’Europa. E sia pure: l’Italia avrebbe il socialismo che si merita.
Riguardo infatti alla classe dirigente italiana il giudizio di Gramsci è sprezzante:
La folla è ignorata dagli uomini di governo, dai burocratici provinciali e cittadini. La folla, in quanto è composta di singoli, non in quanto è popolo, idolo delle democrazie. Amano l’idolo, fanno soffrire il singolo individuo. Sono crudeli perché la loro fantasia non immagina il dolore che la crudeltà finisce col suscitare. Non sanno rappresentarsi il dolore degli altri, perciò sono inutilmente crudeli. Hanno lanciato la prima azione, la guerra. Non ne hanno preveduto l’importanza, la profondità degli effetti immediati e lontani.
E ancora:
Quanti illusionisti in questo mondo:
Illusionisti quei diplomatici i quali, soltanto perché prendono grandi arie, lasciano capire che fanno grandi cose.
Illusionisti quei politicanti i quali, come cantava Figaro, fingono d’ignorare quel che sanno e di sapere quel che ignorano, si chiudono a doppie porte per meditare sul giornale, si atteggiano a profondi quando non sono che vuoti, pagano dei traditori o intercettano delle lettere, cercando poi di nascondere le bassezze dei mezzi sotto la nobiltà dei fini.
Illusionisti quegli strateghi di salotto e di redazione, i quali si dicono soldati perché hanno sempre vissuto lontano dal fronte.
Illusionisti quei censori governativi i quali credono di sopprimere i fatti perché ne imbiancano l’espressione.
Illusionisti quegli imbottitori di crani i quali gridano che tutto va bene, anche quando gli affari vanno male.
Illusionisti quei mercanti di sciovinismo i quali si battono eroicamente nelle trincee del più sicuro retrofronte e poi dicono noi parlando dei veri soldati.
Illusionisti quei reazionari democratici i quali credono di sopprimere l’azione socialista con un decreto legge e somigliano a quel mentecatto che s’illudeva di punire il mare frustandolo.
La simpatia dell'autore va invece a chi parteggia, a chi prende posizione, a chi lotta con dignità, anche se poi viene sconfitto ed è costretto a tornare all'ordine da una realtà che lo sovrasta:
Gli operai della Fiat per anni e anni hanno lottato strenuamente, hanno bagnato del loro sangue le strade, hanno sofferto la fame e il freddo; essi rimangono, per questo loro passato glorioso, all’avanguardia del proletariato italiano, essi rimangono militi fedeli e devoti della rivoluzione. Hanno fatto quanto è dato fare a uomini di carne e ossa; togliamoci il cappello dinanzi alla loro umiliazione, perché anche in essa è qualcosa di grande che si impone ai sinceri e agli onesti.
A volte Gramsci sembra parlare di un'Italia che non è mai cambiata, per esempio quando parla di scuola e istruzione:
I clericali parlano spesso e volentieri di libertà della scuola. Ma non si ingannino i lettori. La parola libertà acquista nelle loro bocche un significato tutto suo che non coincide affatto col concetto che della libertà possono avere gli uomini pensanti che non sono clericali. Libertà della scuola significa propriamente per i clericali libertà di essere asini col godimento di tutti i diritti che sono riconosciuti a chi ha studiato. È questa formula: «Per la libertà della scuola», una bellissima bandiera che copre, o dovrebbe coprire, una lucrosissima speculazione economica e di setta.
Le scuole private clericali sono floridissime in Italia. Nessuna legge ne inceppa lo sviluppo e la libera esplicazione. Esse possono fare la concorrenza che vogliono alla scuola di Stato. Se sono migliori, se dànno ai frequentatori una istruzione migliore di quella che sia possibile trovare nelle scuole pubbliche, esse possono moltiplicarsi all’infinito, possono far pagare le rette che vogliono. Lo Stato riconosce il diritto di comprare la merce «istruzione» dove si vuole.
Ma la merce «istruzione» vale poco in Italia, quantunque costi discretamente. Ciò che vale è la merce «titolo», che viceversa costa pochissimo. E qui incominciano i dolori clericali. Lo Stato tiene il cartello per la merce «titolo». Chi ha «titoli» di studio, li vende specialmente allo Stato, il quale li compra a occhi chiusi, per ciò che riguarda il loro effettivo valore, ma vuole riservarsi il più assoluto controllo per ciò che riguarda la loro provenienza. Lo Stato, insomma, è sempre disposto a comprare titoli di studio, ma pretende che essi siano stati emessi da uno dei suoi istituti accreditati.
Del resto l'autore ha scarsa stima almeno di una parte del mondo accademico:
Ricordo un episodio. Un professore d’università mi raccontava una avventura capitatagli all’Hyde Park di Londra, e nel raccontarla ancora fremeva di nobile sdegno. Egli vide dei cittadini piantare una bandiera per terra, montare su una sedia, richiamare a sé l’attenzione dei passanti, e poi mettersi a predicare. Ne vide così una ventina, ognuno dei quali sosteneva le sue idee, cercando di far proseliti: seguaci di particolari sètte protestanti, socialisti, anarchici, teosofi. Si fermò dinanzi a un anarchico, e talmente si impressionò delle cose udite che subito si rivolse a un policeman vicino chiedendogli esterrefatto: «Ma voi cosa ci state a fare qui, perché non fate tacere costui?». E il policeman flemmaticamente: «Sono qui per far tacere gli uomini come voi che vorrebbero togliere la libertà agli altri di parlare». Un poliziotto inglese che dà una lezione di liberalismo a un professore d’università italiano.
Gramsci quindi riflette profondamente sul suo tempo e sull'umanità che lo ciirconda. La sua è una visione critica nei confronti del mondo liberale borghese e dell'economia capitalista, visione che si esprime e si radica nelle conclusioni che nascono dall'esperienza della Grande guerra:
Perché le guerre scoppiano in certo modo e non altrimenti? Perché in un certo momento e non in un altro? Perché sono fautori di una guerra determinati ceti borghesi e non altri?
Non è molto facile rispondere a queste domande. Ma ciò non vuol dire che sia assolutamente impossibile, o che non sia utile cercar di fissare dei criteri per poter rispondere almeno approssimativamente, e per poter fissare quindi la linea d’azione costante che un partito contrario alla guerra in genere debba tenere per rendere impossibile le guerre in ispecie.
I socialisti affermano che le guerre sono un portato dei sistemi di privilegio. Essendo oggi classe privilegiata la borghesia, essendo il capitalismo la forma economica specifica che il privilegio ha oggi assunto, i socialisti affermano che oggi la guerra è una fatalità borghese. Ma non bisogna intendere fatalità nel significato naturalistico-matematico, come una legge assoluta. Se così fosse, la guerra sarebbe una realtà quotidiana, le nazioni capitalistiche dovrebbero essere in perenne conflitto tra di loro. Bisogna intendere fatalità nel senso idealistico, come interpretazione di una necessità, come giudizio degli uomini. Il conflitto esiste perenne, ma non è perennemente di fatto; perché tale diventi è necessaria una iniziativa umana, è necessario ci sia chi giudichi essere arrivato il momento dell’azione, il momento utile per la realizzazione di un nuovo privilegio, oppure per impedire che un privilegio acquisito decada a beneficio altrui, e la guerra scoppia.
Infatti l'esperienza del conflitto innerva l'attitudine alla vita che Gramsci esprime:
Tre anni di guerra hanno ben portato delle modificazioni nel mondo. Ma forse questa è la maggiore di tutte le modificazioni: tre anni di guerra hanno reso sensibile il mondo. Noi sentiamo il mondo; prima lo pensavamo, solamente. Sentivamo il nostro piccolo mondo, eravamo compartecipi dei dolori, delle speranze, delle volontà, degli interessi del piccolo mondo nel quale eravamo immersi più direttamente. Ci saldavamo alla collettività più vasta solo con uno sforzo di pensiero, con uno sforzo enorme di astrazione. Ora la saldatura è diventata più intima. Vediamo distintamente ciò che prima era incerto e vago. Vediamo uomini, moltitudini di uomini dove ieri non vedevamo che Stati o singoli uomini rappresentativi.
È quindi l'esperienza della vita che concretizza e si concretizza nelle parole, nei pensieri e nelle riflessioni di Antonio Gramsci. Gramsci è intellettuale partecipe della vita del popolo, non è carismatico ma è ascoltatore dialogante, non è leader massimo ma è empatico e nel sarcasmo sbeffeggia e cconfuta le parole dell'avversario, come si evince dall'appendice che riporta un discorso parlamentare del 1925, l'anno della dittatura di Mussolini. È alla luce di tutto questo che le conclusioni del primo dei testi dell'antologia, anche alla luce di quello che poi sarà il destino di Gramsci, appaiono ancora più vivide e attuali:
Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto a ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l’attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato, perché non è riuscito nel suo intento.
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.
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