lunedì 28 novembre 2016

Due parole su Castro

Foto: WIkipedia
Fidel Castro diceva che la storia l'avrebbe giudicato innocente dalle gravi colpe che gli venivano imputate. Io non so se è vero perché la Storia, con la esse maiuscola, è materia più complessa di un aforisma.
Tuttavia due parole non scontate vanno dette.
Castro era un dittatore, su questo, tolto Minà, siamo tutti pressoché d'accordo. Castro era un dittatore e in quanto tale ha negato i diritti umani a tutti coloro che gli sono stati oppositori. Negare questo è negare un evidenza.
Detto questo, Castro è stato anche un dittatore atipico: nessuna aggressione militare, nessun tentativo, neanche misero, di espansione territoriale, solo, e si fa per dire, un'estrema chiusura nei confronti dell'Occidente, chiusura del resto reciproca, visto l'embargo che da decenni colpisce Cuba.
Ma Castro è anche il dittatore della lotta all'analfabetismo (caso unicissimo nella storia delle dittature) e del sistema sanitario più progredito ad esclusione di quelli dei paesi più ricchi. 
Per dirla in termini banali, Castro ha davvero odiato i suoi oppositori, ma ha davvero amato il suo popolo. Proprio per questo, non rendere onore alla sua salma, come proposto dal neoletto Presidente degli USA Donald Trump, per quanto comprensibile, sarebbe un errore, un non voler riconoscere l'unicità della figura di Castro. Ma qui parliamo di fioretto e ricamo, di fronte ad un presidente che, ancora deve giungere al potere, usa come strumento di precisione la clava.

La pubblicità e l'attacco al pensiero critico



Forse qualcuno si ricorda ancora la sciagurata campagna TV della TIM, in cui un dinoccolato PIF, nel tentativo di celebrare il canale televisivo On Demand del colosso della telefonia, tirava fuori dal cilindro una passaggio terribile: "le nuove tecnologie ci stanno dando la libertà di non dover scegliere. Non è fantastico?"
In molti hanno notato quanto quell'asserzione e quella domanda retorica dopo nascondessero delle implicazioni etiche complesse e terribili. Davvero si può ipotizzare che esista una libertà che esuli dalla scelta? Davvero si può ipotizzare che questa libertà, sempre che esista, debba essere dipendente dalle nuove tecnologie fornite, non come diritto, ma come prodotto da un'azienda privata?
Se poi volessimo volare più basso, la campagna sarebbe comunque un improprio attacco al pensiero critico, veicolando un messaggio semplicistico, il più deletereo pensiamo noi per voi, non vi preoccupate.

Sempre in questo senso si muove in questi giorni una nuova campagna pubblicitaria, questa volta della BMW, che onestamente ho sentito solo alla radio. La campagna inneggia all'innovazione in quanto tale e, ad un certo punto recita più o meno così: gli innovatori non si chiedono il perché, si chiedono solo il come.
Ora, anche qui, certi messaggi, se non opportunamente spiegati, sono quasi criminali. In queste frasi sono condensati 2500 anni di riflessione sul metodo scientifico e filosofico, e a sintetizzarle così, oltre che a dare un punto di vista quanto meno criticabile e tutt'altro che pacifico o oggettivo, si rischia di far passare come indubitabilmente giusto uno schema logico che così scontato non è.
Vero è che la scienza non dovrebbe chiedersi il "perché" (domanda teleologica), occupandosi semplicemente del "come", ma questo non esclude che, in altri contesti, quel "perché" ritorni in tutto il suo vigore, sia che sia domanda di carattere etico, sia che sia di carattere metafisico. In più, "perché?" è la domanda logica per eccellenza, il primo nostro atto conoscitivo quando da bambini iniziamo a scoprire il mondo proprio attraverso quella domanda. Questa campagna, a dire la verità una serie di campagne pubblicitarie sempre più incalzante, non fa altro che porre in discussione la stessa legittimità, da parte del cliente, del suo atto conoscitivo. Anche in questo caso, non importa che tu, cliente, conosca i perché delle cose, tanto alla fine ci penseranno altri.
Un inno all'omicidio del senso critico, un inno che è ancora più pericoloso perché implicito, nascosto, malizioso, ingannevole e rivolto non alla globalizzazione, come da più parti si legge, ma al consumo. Un messaggio che sa di capitalismo sfrenato e che, ci si augura, non avrà seguito

sabato 5 novembre 2016

Il tema delle elementari ed il pippone morale

In questi giorni sta furoreggiando sui social un temino scritto da una bambina di Clusone nel 1944. Tale componimento è giunto agli onori della ribalta grazie ad un articolo, pubblicato su Scuolazoo, che voleva mettere in luce la ricchezza lessicale e sintattica dell'alunna della scuola di Gentile, a confronto con la povertà e grettezza logica degli studenti di oggi. L'articolo è stato ripreso da più parti, non ultimo dal dott. Max Bruschi, faccia nota del mondo della scuola sul web nonché ispettore ministeriale.

" Il professor Enrico Galiano sul sito Scuolazoo.com ha pubblicato un’interessante analisi su un tema di una bambina di Clusone che frequentava la quinta elementare nel 1944. Il testo è stato inserito in una pagina internet dal titolo Quaderniaperti.it che raccoglie i quaderni scolastici di bambini italiani dal 1900 a oggi. Lo scopo del sito è tutt'altro, e la raccolta non prevede una analisi comparativa degli apprendimenti (e indirettamente delle didattiche). Ma il prof. Galiano è andato oltre. Mi sembra una riflessione davvero interessante, la sua.
“Sono lì che faccio una ricerca su internet (ok, lo ammetto, stavo cazzeggiando) e mi imbatto su una pagina meravigliosa: una raccolta di temi e quaderni di bambini e ragazzi, dall’inizio del ‘900 agli anni novanta.Ora, a parte i lucciconi agli occhi che mi son venuti, a un certo punto inizio a leggermi per bene i temi di questi bambini, per capire se col tempo siamo migliorati, o peggiorati. Ecco: era meglio se non l’avessi fatto.
Una proprietà lessicale, una capacità di analisi, una coerenza testuale che oggi i nostri si sognano: ho letto temi di bambini di terza elementare che gareggerebbero con quelli di ragazzi che oggi fanno le superiori.
Volete un esempio? Ecco un tema di una bambina di Clusone (BG), una quinta elementare del 1944 (ho lasciato gli errori):
Titolo: rovistando in solaio
Giorni or sono non sapendo cosa fare salii in solaio e mi posi a guardare tutte le antichità tra cui molti abiti. Vi erano anche dei vecchi mutandoni della nonna! Svelta me li provai. Mi arrivavano sino ai piedi. Scoppiai in una risata continuando a vestirmi. Sopra ad ogni cosa misi un grande abito da sera, certo della nonna.
Mi guardai allo specchio e esclamai con gioia: “Sembro proprio una piccola dama dell’800!”. Presi una borsa e infilatami un paio di guanti corsi giù. Per la scala però constatai con rabbia di non essermi messa le scarpe. Risalii.
Per fortuna c’era un paio di scarpe lunghe quanto me e me le misi: “Ora si che sono antica” eslamai. Di sotto la gona mi si vedevano oltre ai mutandoni due scarpe lunghe che facevano veramente ridere.
Scesi in cucina e mi presentai come una dama inglese. Tutti mi riconovvero e risero della mia burla. Quando mi smascherai affermarono che ero veramente irriconoscibile e che quell’acconciatura mi si addiceva a meraviglia.
Salii di nuovo e mi divertii più di prima. Aprii una cassa e che meraviglia: una divisa da garibaldino con la sciabola mi incantò.
Toltami i panni da dama dell’800, indossai la divisa garibaldina stringendo nel pugno la lunga spada con la quale scansai un quadro. Non l’avessi mai fatto! Uscì fuori una frotta di sorci, ed io che fino al momento mi ero immaginata di essere in un campo di battaglia, al solo veder quel brulicar di topi, fuggii e inciampando da tutte le parti ruzzolai fino in fondo alle scale. Mi vergognai di aver dimostrato una viltà del genere, pur indossando una divisa garibaldina.

E questo è solo uno dei tanti! Gli altri temi, dagli anni dieci fino ai settanta, sono tutti più o meno così.
Reazione numero uno: mi è salita la depressione.
Reazione numero due: ancora depressione.
Solo dopo un po’ ho cominciato a riflettere per bene sulla faccenda, e dopo lunga, lunga, lunga riflessione, credo di aver capito di chi sia la colpa, se i nostri studenti delle superiori oggi non sarebbero in grado di scrivere come una bambina di quinta elementare del 1944: è nostra. È solo colpa nostra.
Abbiamo cominciato in buona fede, eh? A un certo punto ci siamo detti: dai, proviamo a semplificare un po’ questi concetti. Rendiamoli più agevoli! E da lì è iniziata una deriva inarrestabile: confrontate un sussidiario delle elementari degli anni 80 e un libro di testo delle medie di oggi. Fatelo, se avete coraggio! Vi renderete conto che il sussidiario è scritto in modo più approfondito, accurato, complesso. E che il testo delle medie è pieno di immagini, schemini, mappe: certo un aiuto, ma è quello il problema, perché a forza di aiutarli hanno smesso di aiutarsi da soli.
Stiamo facendo di tutto per rendere la scuola più semplice ed è lì l’errore: la scuola deve essere difficile! Dobbiamo ricominciare a sfidare queste piccole intelligenze, a smetterla di dare loro cibi preconfezionati e supergustosi e ricominciare a insegnare loro a cucinare. Anzi, a coltivare da sé stessi il grano, a macinare la farina, ad andare a raccogliersi l’acqua.
È colpa nostra se mediamente uno studente delle medie di oggi è meno preparato di uno delle elementari del 1944: colpa di noi insegnanti. Convinti di fare il loro bene, abbiamo pensato che semplificare le cose fosse una buona idea.
E, se una ragazzina di quinta elementare del 1944 scrive molto meglio di un ragazzo di seconda superiore di oggi, direi che non ci sono dubbi: no, non è stata una buona idea”.
Aggiungo di mio una riflessione, breve. A colpire non è solo la ricchezza del lessico. Ma l'organizzazione del discorso, la "dispositio". Questa bambina di Clusone era... competente... Ma per davvero."

A leggere bene il post, e sapendo anche da quale sito è partita la querelle, non ci vuole tanto a capire dove si vuole andare a parare: gli alunni di oggi scrivono da cani per colpa dei loro insegnanti.

Ora, siccome sono un insegnante, e siccome di alunni che scrivono da cani ne ho avuti parecchi, ma anche di alunni che scrivono meglio dei vincitori del Campiello, questo articolo l'ho trovato un tantino, per usare un eufemismo, fastidioso. Non si preoccupino lor signori, ora spiegherò il perché. La prima questione è di metodo. Io nasco archeologo, e agli archeologi la filosofia piace, ma sanno bene che per vivere serve il pane. In questo caso il pane sono i numeri, i dati. In questo caso, di dati ce ne sono pochini, diciamo uno, e neanche indicativo. Perché il dato, per essere indicativo, dovrebbe essere completo: dovremmo conoscere chi sia l'autrice del tema, quale sia il contesto sociale da cui arriva, che studi avevano fatto i genitori. Tutte informazioni che mancano e che non rendono accettabile questo tema come prova di alcunché.
Esistono ricerche accreditate sulla perdita (o sul miglioramento) delle capacità linguistiche, nella fattispecie lessicali e sintattiche, almeno dagli inizi del Novecento ad oggi? Che mi risulti, per la scuola italiana no. Certo, abbiamo i dati dei test INVALSI, che per inciso danno come risultato un progressivo miglioramento, ma comunque sono troppo recenti.
In compenso qualcosa del genere è stato fatto all'estero, e una buona sintesi viene data proprio in questo periodo da  JSTOR Daily. Dalla comparazione di centinaia di testi prodotti dagli studenti dei college anglosassoni dal 1917 ad oggi emerge come il numero di errori non sia aumentato, semmai gli errori sono cambiati, sicché aspetti della lingua che prima risultavano problematici oggi sono facilmente assimilati dagli studenti, mentre altri risultano oggi di difficile apprendimento. Insomma, l'esatto opposto del luogo comune, nonché la conferma che la lingua è, sempre, una questione sociale e ad uso e consumo dei tempi in cui vivono i suoi fruitori.
Possiamo ipotizzare che risultati simili emergerebbero da uno studio omologo sulla scuola italiana? Ni, perché a differenza di quanto parzialmente già avveniva all'estero, da noi per lungo tempo la scuola è stata scuola di classe, cosa che era del resto uno degli obiettivi della riforma di Gentile. In quella scuola solo una piccola élite aveva accesso ad una istruzione alta, mentre il resto della popolazione era rapidamente instradata verso una formazione di tipo professionale; nel frattempo si chiudevano tutti e due gli occhi, e le orecchie, di fronte alla dispersione scolastica di quanti, perché di ceto sociale basso, preferivano il lavoro, in fabbrica o nei campi, alla scuola.

E allora perché cotanto articolo? Perché come dice il professor Vertecchi in un suo recente intervento, in questi anni si parla di scuola senza criterio o metodo, adducendo la propria esperienza personale come paradigma per ogni sorta di giudizio o, peggio, di proposta di riforma.
Insomma, se nel merito l'articolo potrebbe anche avere qualche ragione (ma ad oggi non è dato saperlo), nel metodo l'autore e coloro che si stanno sperticando dietro questo pezzo, lamentando l'incompetenza altrui, mostrano la propria.
Incompetenza che in qualche caso sembra qualcosa in più, la si chiami malizia, se figure autorevoli possono implicitamente celebrare una scuola classista e il sempre più evidente modello aziendalista, contro la scuola democratica e pluralista, accusata (senza prove) di sfornare legioni di ignoranti. Come se tra le generazioni precedenti non ci fossero ignoranza e incompetenza (ma si preferiva tenerle lontane dalla scuola, col  paradosso che le lezioni venivano erogate a chi, in fondo, non ne aveva bisogno), e come se i dati sull'analfabetismo di ritorno tra gli adulti (quegli adulti che sono venuti su con la scuola che ora si brama e si celebra) non stessero lì a ricordarci che tra propaganda del bel tempo che fu e realtà c'è una bella differenza.

Sitografia
http://daily.jstor.org/student-writing-in-the-digital-age/
https://www.academia.edu/29623253/Dieci_livelli_per_la_valutazione_7._Perch%C3%A9_gli_insegnanti_fanno_ci%C3%B2_che_fanno

The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....