«Contro il positivismo, che si ferma ai fenomeni: “ci sono soltanto fatti”‘, direi: no, proprio i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni. Noi non possiamo constatare nessun fatto “in sé”; è forse un’assurdità volere qualcosa del genere. “Tutto è soggettivo”, dite voi; ma già questa è un’interpretazione, il “soggetto” non è niente di dato, è solo qualcosa di aggiunto con l’immaginazione, qualcosa di appiccicato dopo. È infine ancora necessario mettere l’interprete dietro l’interpretazione? Già questa è invenzione, ipotesi. In quanto alla parola “conoscenza” abbia senso il mondo è conoscibile; ma esso è interpretabile in modi diversi, non ha dietro di sé un senso, ma innumerevoli sensi. “Prospettivismo”. Sono i nostri bisogni, che interpretano il mondo: i nostri istinti e i loro pro e contro. Ogni istinto è una specie di sete di dominio, ognuno ha la sua prospettiva, che esso vorrebbe imporre come norma a tutti gli altri istinti» (Nietzsche, Frammenti postumi 1885-1887, in Opere complete, vol. 8.1, Adelphi, Milano 1975, fr. 7[60], pp. 299-300).
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