sabato 23 aprile 2011

José Saramago, Caino

« Il Maestro è uno degli ultimi titani di un genere letterario in via di estinzione »
(Harold Bloom su Saramago, Il genio, BUR, 2003)
José Saramago
Nobel per la letteratura 1998
José de Sousa Saramago – pron. ʒuˈzɛ saɾaˈmaɡu – (Azinhaga, 16 novembre 1922 – Tías, 18 giugno 2010) è stato uno scrittore, poeta e critico letterario portoghese, premio Nobel per la letteratura nel 1998.
Fonte: wikipedia
Con Caino Saramago produce, in un romanzo coinvolgente e appassionante, una compiuta analisi di una delle questioni essenziali nell'ottica religiosa, nel senso più vero del termine, ovvero nell'ottica di chi giunge a credere o a non credere in maniera consapevole.
La questione del dolore, della sofferenza, persino del castigo degli innocenti è il fulcro del racconto, un viaggio attraverso motivi e luoghi biblici, compiuto da e nel punto di vista del figlio reietto, di quel Caino, marchiato per sempre per l'omicidio del fratello, e ad un tempo protetto da Dio,affinché nessuno possa nuocergli e giunga a morte naturale, dopo aver conosciuto le pene e le sofferenze degli uomini.
Scopriamo così, nelle varie vicende affrontate, un Caino simbolo della ragione umana, in lotta con l'imperscrutabilità divina. Contraltare è un Dio signore degli eserciti, malevolo verso i propri figli, del tutto disinteressato del dolore degli innocenti.
Ogni atto, ogni gesto di Caino quindi si configura come un gesto di rivolta e di ricerca di libertà, dall'amore per Lilith al suo aiutare Abramo e Isacco, fino al suo partecipare al viaggio dell'arca di Noè.
Uno dei passaggi centrali, quello che viene spesso ricordato da Caino durante il suo peregrinare attraverso passato, presente e futuro, è la distruzione di Sodoma e Gomorra. Le due città distrutte e rase al suolo dal Dio ebraico per la rilassatezza dei loro costumi, senza però fare distinzione fra colpevoli e innocenti. Caino durante ogni suo dialogo, da quel momento, ricorderà le grida dei bambini morti carbonizzati per il fuoco di Dio, e la domanda sarà costante, quale divinità, che sia realmente una divinità, può tollerare il dolore degli innocenti, o esserne addirittura l'artefice?
Con il suo stile, un discorso indiretto libero ben calibrato e adoperato in maniera frizzante, Saramago coglie nel segno, evidenziando le contraddizioni della fede, quando l'accettazione supina dei dettami divini comporta l'annullamento del senso critico

venerdì 22 aprile 2011

Giovanni Pascoli, I due fanciulli

Era il tramonto: ai garruli trastulli
erano intenti, nella pace d'oro
dell'ombroso viale, i due fanciulli.

Nel gioco, serio al pari d'un lavoro,
corsero a un tratto, con stupor de' tigli,
tra lor parole grandi più di loro.

A sé videro nuovi occhi, cipigli
non più veduti, e l'uno e l'altro, esangue,
ne' tenui diti si trovò gli artigli,

e in cuore un'acre bramosia di sangue,
e lo videro fuori, essi, i fratelli,
l'uno dell'altro per il volto, il sangue!

Ma tu, pallida (oh! i tuoi cari capelli
strappati e pésti!), o madre pia, venivi
su loro, e li staccavi, i lioncelli,

ed «A letto» intimasti «ora, cattivi!»

A letto, il buio li fasciò, gremito
d'ombre più dense; vaghe ombre, che pare
che d'ogni angolo al labbro alzino il dito.

Via via fece più grosse onde e più rare
il lor singhiozzo, per non so che nero
che nel silenzio si sentia passare.

L'uno si volse, e l'altro ancor, leggero:
nel buio udì l'un cuore, non lontano
il calpestìo dell'altro passeggero.

Dopo breve ora, tacita, pian piano,
venne la madre, ed esplorò col lume
velato un poco dalla rosea mano.

Guardò sospesa; e buoni oltre il costume
dormir li vide, l'uno all'altro stretto
con le sue bianche aluccie senza piume;

e rincalzò, con un sorriso, il letto.

Uomini, nella truce ora dei lupi,
pensate all'ombra del destino ignoto
che ne circonda, e a' silenzi cupi

che regnano oltre il breve suon del moto
vostro e il fragore della vostra guerra,
ronzio d'un'ape dentro il bugno vuoto.

Uomini, pace! Nella prona terra
troppo è il mistero; e solo chi procaccia
d'aver fratelli in suo timor, non erra.

Pace, fratelli! e fate che le braccia
ch'ora o poi tenderete ai più vicini,
non sappiano la lotta e la minaccia.

E buoni veda voi dormir nei lini
placidi e bianchi, quando non intesa,
quando non vista, sopra voi si chini

la Morte con la sua lampada accesa.

mercoledì 20 aprile 2011

Eugenio Montale, Non chiederci la parola

Non Chiederci La Parola

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Il giorno di ordinaria incompetenza del ministro Gelmini

Come riportato già anche nel blog precedente, linkando l'articolo comparso oggi su Il fatto quotidiano

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/04/20/tagli-alla-scuola-e-la-gelmini-non-ne-sa-nulla/105708/

ieri sera Ballarò ha per l'ennesima volta messo in luce la costante di questo governo, ovvero l'incompetenza. Già è imbarazzante sapere che il proprio presidente del consiglio non conosce il piano economico che ha approvato in consiglio dei ministri. Ma ancora di più diviene imbarazzante osservare il ministro dell'istruzione e della ricerca mentre scopre i tagli programmati per il prossimo triennio per quanto riguarda il suo ministero.

http://www.governo.it/backoffice/allegati/63229-6735.pdf

Ops, la voce ufficiale nella tabella di pagina 61 del file PDF allegato parla di minori spese. Certo, magari andrebbe specificato che il 95% delle voci spese del ministero dell'istruzione è dato dagli stipendi dei docenti e del personale ATA, quindi ricavare 13 e rotti miliardi di euro di risparmi in tre anni è impossibile senza toccare cattedre e stipendi. Impossibile ancor di più se si considerano i rimborsi enormi che lo stato dovrà erogare ai docenti ricorsisti, sia per quanto riguarda la questione pettine - coda, sia per quanto riguarda la class action promossa da codacons per l'evidente azione fraudolenta condotta dal nostro governo reiterando per più di tre anni contratti a tempo determinato per i docenti supplenti.
Insomma, se vogliamo prenderci in giro facciamolo pure, ma i tagli stanno tutti lì, l'incompetenza di chi gestisce la situazione pure.

martedì 19 aprile 2011

E se Asor Rosa avesse ragione?

E se Asor Rosa avesse ragione? A cosa mi riferisco? Ovviamente al recente articolo in cui il celebre professore, facendo riferimento alla situazione politica italiana, ha rilasciato dei commenti piuttosto forti, esprimendo idee che, secondo taluni, lasciano intendere un appoggio dell'intellettuale ad un eventuale golpe per abbattere il governo Berlusconi.
Riporto l'articolo e la fonte

Non c'è più tempo

Capisco sempre meno quel che accade nel nostro paese. La domanda è: a che punto è la dissoluzione del sistema democratico in Italia? La risposta è decisiva anche per lo svolgimento successivo del discorso. Riformulo più circostanziatamente la domanda: quel che sta accadendo è frutto di una lotta politica «normale», nel rispetto sostanziale delle regole, anche se con qualche effetto perverso, e tale dunque da poter dare luogo, nel momento a ciò delegato, ad un mutamento della maggioranza parlamentare e dunque del governo?
Oppure si tratta di una crisi strutturale del sistema, uno snaturamento radicale delle regole in nome della cosiddetta «sovranità popolare», la fine della separazione dei poteri, la mortificazione di ogni forma di «pubblico» (scuola, giustizia, forze armate, forze dell'ordine, apparati dello stato, ecc.), e in ultima analisi la creazione di un nuovo sistema populistico-autoritario, dal quale non sarà più possibile (o difficilissimo, ai limiti e oltre i confini della guerra civile) uscire?
Io propendo per la seconda ipotesi (sarei davvero lieto, anche a tutela della mia turbata tranquillità interiore, se qualcuno dei molti autorevoli commentatori abituati da anni a pietiner sur place, mi persuadesse, - ma con seri argomenti - del contrario). Trovo perciò sempre più insensato, e per molti versi disdicevole, che ci si indigni e ci si adiri per i semplici «vaff...» lanciati da un Ministro al Presidente della Camera, quando è evidente che si tratta soltanto delle ovvie e necessarie increspature superficiali, al massimo i segnali premonitori, del mare d'immondizia sottostante, che, invece d'essere aggredito ed eliminato, continua come a Napoli a dilagare.
Se le cose invece stanno come dico io, ne scaturisce di conseguenza una seconda domanda: quand'è che un sistema democratico, preoccupato della propria sopravvivenza, reagisce per mettere fine al gioco che lo distrugge, - o autodistrugge? Di esempi eloquenti in questo senso la storia, purtroppo, ce ne ha accumulati parecchi.
Chi avrebbe avuto qualcosa da dire sul piano storico e politico se Vittorio Emanuele III, nell'autunno del 1922, avesse schierato l'Armata a impedire la marcia su Roma delle milizie fasciste; o se Hinderburg nel gennaio 1933 avesse continuato ostinatamente a negare, come aveva fatto in precedenza, il cancellierato a Adolf Hitler, chiedendo alla Reichswehr di far rispettare la sua decisione?
C'è sempre un momento nella storia delle democrazie in cui esse collassano più per propria debolezza che per la forza altrui, anche se, ovviamente, la forza altrui serve soprattutto a svelare le debolezze della democrazia e a renderle irrimediabili (la collusione di Vittorio Emanuele, la stanchezza premortuaria di Hinderburg).
Le democrazie, se collassano, non collassano sempre per le stesse ragioni e con i medesimi modi. Il tempo, poi, ne inventa sempre di nuove, e l'Italia, come si sa e come si torna oggi a vedere, è fervida incubatrice di tali mortifere esperienze. Oggi in Italia accade di nuovo perché un gruppo affaristico-delinquenziale ha preso il potere (si pensi a cosa ha significato non affrontare il «conflitto di interessi» quando si poteva!) e può contare oggi su di una maggioranza parlamentare corrotta al punto che sarebbe disposta a votare che gli asini volano se il Capo glielo chiedesse. I mezzi del Capo sono in ogni caso di tali dimensioni da allargare ogni giorno l'area della corruzione, al centro come in periferia: l'anormalità della situazione è tale che rebus sic stantibus, i margini del consenso alla lobby affaristico-delinquenziale all'interno delle istituzioni parlamentari, invece di diminuire, come sarebbe lecito aspettarsi, aumentano.
E' stata fatta la prova di arrestare il degrado democratico per la via parlamentare, e si è visto che è fallita (aumentando anche con questa esperienza vertiginosamente i rischi del degrado).
La situazione, dunque, è più complessa e difficile, anche se apparentemente meno tragica: si potrebbe dire che oggi la democrazia in Italia si dissolve per via democratica, il tarlo è dentro, non fuori.
Se le cose stanno così, la domanda è: cosa si fa in un caso del genere, in cui la democrazia si annulla da sè invece che per una brutale spinta esterna? Di sicuro l'alternativa che si presenta è: o si lascia che le cose vadano per il loro verso onde garantire il rispetto formale delle regole democratiche (per es., l'esistenza di una maggioranza parlamentare tetragona a ogni dubbio e disponibile ad ogni vergogna e ogni malaffare); oppure si preferisce incidere il bubbone, nel rispetto dei valori democratici superiori (ripeto: lo Stato di diritto, la separazione dei poteri, la difesa e la tutela del «pubblico» in tutte le sue forme, la prospettiva, che deve restare sempre presente, dell'alternanza di governo), chiudendo di forza questa fase esattamente allo scopo di aprirne subito dopo un'altra tutta diversa.
Io non avrei dubbi: è arrivato in Italia quel momento fatale in cui, se non si arresta il processo e si torna indietro, non resta che correre senza più rimedi né ostacoli verso il precipizio. Come?
Dico subito che mi sembrerebbe incongrua una prova di forza dal basso, per la quale non esistono le condizioni, o, ammesso che esistano, porterebbero a esiti catastrofici. Certo, la pressione della parte sana del paese è una fattore indispensabile del processo, ma, come gli ultimi mesi hanno abbondantemente dimostrato, non sufficiente.
Ciò cui io penso è invece una prova di forza che, con l'autorevolezza e le ragioni inconfutabili che promanano dalla difesa dei capisaldi irrinunciabili del sistema repubblicano, scenda dall'alto, instaura quello che io definirei un normale «stato d'emergenza», si avvale, più che di manifestanti generosi, dei Carabinieri e della Polizia di Stato congela le Camere, sospende tutte le immunità parlamentari, restituisce alla magistratura le sue possibilità e capacità di azione, stabilisce d'autorità nuove regole elettorali, rimuove, risolvendo per sempre il conflitto d'interessi, le cause di affermazione e di sopravvivenza della lobby affaristico-delinquenziale, e avvalendosi anche del prevedibile, anzi prevedibilissimo appoggio europeo, restituisce l'Italia alla sua più profonda vocazione democratica, facendo approdare il paese ad una grande, seria, onesta e, soprattutto, alla pari consultazione elettorale.
Insomma: la democrazia si salva, anche forzandone le regole. Le ultime occasioni per evitare che la storia si ripeta stanno rapidamente sfumando. Se non saranno colte, la storia si ripeterà. E se si ripeterà, non ci resterà che dolercene. Ma in questo genere di cose, ci se ne può dolere, solo quando ormai è diventato inutile farlo. Dio non voglia che, quando fra due o tre anni lo sapremo con definitiva certezza (insomma: l'Italia del '24, la Germania del febbraio '33), non ci resti che dolercene.
http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2011/mese/04/articolo/4446/

Che dire. L'analisi è puntuale, rispecchia egregiamente quanto è sotto gli occhi di tutti, anche quando, quasi sempre, si vuole fare finta di non vedere. L'escalation eversiva proveniente da una maggioranza che, in buona fede o no, pensa che la legittimazione popolare di un voto travalichi i poteri e i limiti costituzionali. L'attacco costante alla scuola, alla magistratura, al pubblico. Le menzogne dette nei comizi, nelle piazze, in televisione; un sistema costantemente in cerca di un nemico da sconfiggere per coprire le proprie nefandezze, le proprie incompetenze. La libertà viva via violata, non quella inutile delle intercettazioni, ma quella dei diritti umani, quella della mobilità lavorativa, la libertà di scegliere fra servizi pubblici di qualità senza doversi per forza rivolgere al privato. La libertà di lavorare dove si vuole senza dover essere soggetti ad una mercificazione costante delle proprie competenze. La libertà di scelta della propria fede, senza vedersi imposti simboli religiosi.
La libertà di scegliere i propri rappresentanti, di non vedere degli zerbini al servizio del potere, pronti a votare l'invotabile pur di mantenere il proprio posto fra i deputati e i senatori. La libertà di indignarsi di fronte al proprio presidente del consiglio.
Ma invece, come purtroppo nota Rosa, questo paese ha smesso di indignarsi, vuole il quieto vivere, a costo di abdicare ai propri diritti e alle proprie libertà, responsabilità connesse. Siamo il governo che ci meritiamo, purtroppo.

Ma tornando all'articolo di Asor Rosa, cosa temono i suoi detrattori? Se Rosa avesse torto, allora la democrazia in questo paese, questa maggioranza sarebbero abbastanza forti per affrontare un qualsiasi tentativo di golpe.
Il problema invece è un altro: se Asor Rosa avesse ragione? Ci sarebbe in Italia una forza disposta a forzare le regole formali della democrazia per ripristinarla in tutto il suo vigore? O saremmo condannati al fallimento della nostra repubblica, destinata, quasi gli italiani l'avessero nel proprio DNA, all'ennesima dittatura?

Un giorno di ordinarie proteste a Catania

Giungo a Piazza Università che sono le 9:45, in tempo per la mia lezione. Folla. Più del solito.
Svoltato l'angolo, la sorpresa: un materasso ad aria gonfio sotto un balcone del municipio, folla per strada ferma a fissare, tra il divertito, il sarcastico e lo scettico. Chiedo ad uno dei vigili del fuoco cosa accada, lui si volta prontamente dall'altro lato. Intanto si sente protestare qualcuno, per le spese eccessive che il comune sostiene mobilitando già da due giorni i vigili del fuoco per quella protesta.

Cerco informazioni sull'accaduto: scopro che gli operai della Multiservizi, già sottopagati, con salari sotto la soglia della sopravvivenza, protestano contro l'acquisizione della loro azienda da parte della Dussmann. Al centro del contenzioso i tagli sui costi per le pulizie delle scuole di Catania, con relativi licenziamenti e stipendi decurtati dei dipendenti

Scene di ordinaria precarietà a Catania, ciascuno si smarca dalle assunzioni di responsabilità, ciascuno contende i pochi meriti. Nel frattempo cinque persone minacciano di gettarsi da un balcone di un secondo piano di un municipio, attirando solamente l'interesse dei turisti, e l'indifferenza se non il fastidio dei passanti.
Benvenuti nel paese della precarietà, dove ormai non ci si indigna più neanche per la povertà.

venerdì 15 aprile 2011

In memoria di Vittorio Arrigoni

Come detto da molti, si possono o no condividere le sue opinioni, ma rimane il fatto che Vittorio Arrigoni, morto a Gaza il 14 Aprile di un 2011 che entrerà nella storia, sia morto, malgrado lo sfregio del suo corpo, mostrando fino all'ultimo cosa volesse dire la frase che a quanto si dice amava ripetere, restiamo umani.
Starà ad altri capire perché sia morto, se a causa dell'estremismo religioso o per motivazioni più prettamente politiche, ma resta il fatto che oggi, nel mondo, i cooperanti assolvono il compito che i governi evitano, ovvero il curarsi del bene della gente.

giovedì 14 aprile 2011

Rubare alla vita almeno un racconto

Sono giorni di magra qui in Italia; la disoccupazione giovanile è a livelli mai visti nel dopoguerra, e, cosa peggiore, nel trovare occupazione conta sempre di meno la propria qualifica, il poter mettere in campo delle competenze. In pratica in Italia essere laureato serve a poco e niente, a meno che non si accettino compromessi inaccettabili altrove, come lavorare per anni senza una retribuzione. Se no, il destino comune di molti laureati (si parla, per dare delle cifre, del 70% dei laureati in materie umanistiche) è quello di trovare un lavoro sottoqualificato. Ciò che non viene messo in conto è che, se questi lavori vengono presi dai laureati, a farne le spese sono i giovani e non che, non possedendo qualifiche, vedono assottigliarsi ulteriormente la possibilità di entrare nel mercato del lavoro.
Ma c'è da chiedersi perché questo paese ha tanta paura della cultura, delle competenze, ed a maggior ragione della cultura umanistica. Perché l'Italia, la patria della filologia, la culla con la Grecia del pensiero e della cultura occidentale, oggi teme così tanto la cultura?
Forse perché da molte parti si cerca di annebbiare il ricordo di queste radici, per immaginarne di nuove. Forse perché in questo momento il senso critico, la capacità di riflettere, la capacità di giudicare ciò che chi tira le fila del potere compie, sono doti che danno fastidio per usare un eufemismo.
E allora perché colpire anche le scienze esatte?
Forse perché ormai un blocco di potere avverte, in toto, il sistema culturale italiano come un nemico da abbattere perché focolaio di opposizione. Non si spiega altrimenti il sistematico attacco alle istituzioni culturali, vittime di tagli assassini (e poi perché quando in Italia si parla di ammodernamento della pubblica amministrazione si deve sempre parlare di tagli e mai di riorganizzazione oculata, perché ci si deve gloriare di avere lasciato a casa duecentomila dipendenti della pubblica amministrazione, lasciata allo sfascio, invece che gloriarsi di avere riorganizzato meglio il lavoro, rendendolo più produttivo, tagliando gli sprechi invece che i costi?); non si spiegano altrimenti gli atti di censura, l'attacco sistematico ad intellettuali, docenti, giornalisti, musicisti, artisti, tutti tacciati di "lavorare contro il paese".
Ci fu un tempo in cui si disse agli intellettuali che, se avessero voluto fare il loro mestiere, avrebbero dovuto essere sempre d'accordo con chi li comandava, o, in alternativa, ritirarsi nella più pura delle ricerche, senza collegamento alcuno con la realtà. Era l'utopia di una dittatura, perché la ricerca, pur nel principio della scienza per la scienza, ha sempre dei risvolti umani, ha sempre dei legami con la realtà.
Ecco perché oggi si nega anche il diritto alla ricerca. Ecco perché si sostiene che anche la ricerca, così come lo studio inferiore, l'attività intellettuale tutta, deve essere soggetta alle leggi del mercato. E così si convince il popolo dell'inutilità di alcuni studi, avulsi dalle leggi del marketing, il signore, insieme agli interessi dei singoli potenti, di questo primo ventennio del ventunesimo secolo.
Ma lasciate a noi giovani (o fra poco ex giovani) la possibilità, il diritto, il sogno, di rubare alla vita almeno un racconto. Ciascuno a suo modo, con l'arte, con la ricerca, con l'impegno costante nello sviluppare le nostre competenze per poterle donare nel nostro lavoro, nella nostra vita sociale. La generazione che ci ha preceduto ci sta rubando i sogni, i diritti, la capacità e la possibilità di immaginare e costruire un mondo più giusto e migliore. Sono solo ideali, forse, solo utopie. Ma il non poter sperare di raggiungere un sogno, il dover lasciare tutto al caso, alla fatalità, alla volontà altrui, ammazza l'uomo, lo isterilisce. Lo rende infine un uomo peggiore, in ultima analisi, lo rende schiavo.
Non possiamo e non dobbiamo essere schiavi della volontà altrui, il nostro tempo deve essere il nostro presente. Dobbiamo, vogliamo e possiamo costruire da soli il nostro racconto, ciascuno secondo le sue capacità. Dobbiamo e possiamo rubare alla vita il nostro racconto, tramandare un ricordo delle nostre utopie, lasciare il marchio delle nostre scelte, siano giuste o sbagliate sarà il tribunale della storia a deciderlo, ma almeno avremo scelto secondo la nostra coscienza, il nostro intelletto, e avremo salvato la nostra anima nutrendola del nostro presente e del nostro futuro.

mercoledì 13 aprile 2011

José Saramago, Caino


Ed eccomi a leggere un testo controverso, di un autore che conosco solo di fama, ma di cui ancora non ho letto alcun libro. José Saramago ed il suo Caino. Questo libro non ha mancato di suscitare controversie e critiche, oltre che folle di lettori osannanti quest'opera.
Vi farò sapere la mia impressione.


Lo scempio è stato compiuto

E alla fine Berlusconi ha vinto, ha avuto la sua impunità; la camera, l'unico ramo del Parlamento in cui Berlusconi poteva rischiare qualcosa, ha approvato il processo breve e la prescrizione breve per gli incensurati. Ora la norma tornerà al senato per essere definitivamente approvata.
Cosa cambia? Cambia che, qualsiasi sia la cifra reale, dei processi andranno in prescrizione più facilmente, cioè qualcuno passerà ingiudicato. Secondo Alfano, il ministro della giustizia, sarà solo il 2% dei processi; secondo l'opposizione molti di più, almeno 15.000 solo in questa annata. Di fatto rischiano vari processi clamorosi, così come quelli che coinvolgono la povera gente comune. Fra i tanti processi ad essere coinvolti, quelli di Berlusconi.
Era il caso di approvare questa norma?
E il Quirianale cosa farà?
E questa norma è costituzionale?
Perché in qualsiasi modo si giudichi la buonafede dei parlamentari, c'è da dire che la norma, distinguendo la velocità dei processi per gli incensurati dal resto dei processi, crea un paradosso. Anche fosse lecito pensare di dover velocizzare i processi, carta costituzionale alla mano, la legge è uguale per tutti, per cui non si dovrebbero poter pensare tempi di prescrizione diversi per i singoli cittadini.
E poi c'è la questione politica: in un momento di gravissima crisi nel mediterraneo, con una crisi economica imperante, con l'Italia che fronteggia la questione immigrati, era proprio il caso di impegnare tutte le forze della propria maggioranza per questa questione, dovendo tra le altre cose chiedere il soccorso di figuri di dubbia qualità che, senz'altro, ora chiederanno il pegno, come posti nel governo, per il loro impegno in parlamento?
In un modo o in un altro, quella di oggi è una sconfitta per la politica e per la democrazia.

Daniel Pennac, Diario di scuola - un'occasione mancata?

Diario di scuola di Daniel Pennac è un'occasione mancata da questo autore? Può darsi, ma rimane comunque un bel libro da leggere, consigliato.
Partendo dai suoi ricordi di scolaro, Pennac ripercorre la sua vita a scuola, prima da studente pluriripetente, svogliato e somaro, come egli stesso si definisce, fino alla sua carriera da docente, tra i suoi successi e i suoi fallimenti, non senza digressioni e ampi excursus riflessivi.
Diario di scuola è un testo scorrevole, di piacevole lettura, che parte da un'idea interessante e non abusata, vedere la scuola dal punto di vista di chi non ce la fa, e vedere perché lo studente medio, quello privo di doti spiccate e che in genere fa penare i suoi docenti, fa fatica nell'apprendimento, quali sono le sue colpe, quelle della famiglia, quelle della società e quelle, infine, della scuola stessa.
Il viaggio attraversa le generazioni che si sono succedute tra i banchi della scuola pubblica francese dagli anni cinquanta dello scorso secolo fino ad oggi, analizzando quanto c'è di comune fra gli studenti di ieri e di oggi, e quanto di diverso. Dai golfini rammendati dalle mamme ai ragazzi abbandonati a se stessi delle banlieau. 
Viaggio interessante, soprattutto per gli addetti ai lavori. E tuttavia non si può non notare come spesso Pennac cada nella trappola dell'autocelebrazione, trappola di cui si avvede e per cui egli stesso si irride, senza tuttavia scansarla. E così spesso la narrazione di Pennac, pur così naturalmente ricca, cade nella retorica. La peggiore delle retoriche, forse, quella del ricordo ammantato di ideale, soprattutto quando traccia le immagini delle figure cardine del suo passato da studente, quei docenti che l'hanno salvato dal sentirsi totalmente solo e abbandonato. L'addetto ai lavori nota così come quelle figure siano ormai incardinate nell'immagine idealizzata, prive di difetti, sbozzate esclusivamente dalla roccia del ricordo, non dalla pietra viva della realtà. 
Tuttavia il romanzo ha l'enorme merito di mettere in luce le reali difficoltà del docente contemporaneo, in una società, quella francese, avanti di qualche anno rispetto a quella italiana e che si trova ad affrontare problemi con cui noi solo in minima parte abbiamo a che fare. Pennac ha dalla sua di non demonizzare i fenomeni con cui viene a contatto, i ragazzi sbandati delle periferie, i figli degli immigrati che cercano di trovare una loro identità non sono né angeli né demoni, ma solo adolescenti o bambini che si dimenano fra le loro paure a la loro ingenuità che permette al mondo degli adulti di manovrarli secondo leggi che sfuggono loro.
Un libro insomma non perfetto: come sempre Pennac parte da presupposti che ammiro ma mi delude nella realizzazione. Tuttavia un libro da leggere, quanto meno per riconoscere i propri docenti nelle figure ideali che Pennac traccia dei suoi.

Quando le coincidenze costituiscono una prova

Non parlo del caso Ruby, o di uno dei tanti scandali giudiziari che coinvolgono Mr. B.. No, mi riferisco a qualcosa di ben più inquietante, qualcosa che in sordina sta serpeggiando fra le aule della politica e non solo, giù giù attraverso una società civile passiva e ignara, che non coglie, o, come è abitudine degli italiani, non vuole cogliere.
Stiamo ai fatti: in pochi giorni apprendiamo che il manifesto dei cosiddetti responsabili riprende pari pari passi del manifesto fascista. Contemporaneamente viene depositata la richiesta per l'abolizione del reato di apologia del fascismo e il reato di costituzione di partito fascista. Contemporaneamente in Parlamento viene depositata la richiesta pet istituire commissioni parlamentari d'inchiesta sui libri di testo di storia, rei di celebrare in maniera troppo evidente valori e personaggi legati alla resistenza, al Risorgimento e alla democrazia in Italia. Ci attende la censura? Del resto già la si propone verso gli insegnanti, i giornalisti, i magistrati...
Intanto un sottosegretario leghista dice che, almeno per ora, non si può sparare sui clandestini (ed è il per ora che inquieta, li raduniamo insieme per sprecare meno pallottole, o preferiamo il gas?), e due ministri e il primo ministro minacciano di allontanare il destino dell'Italia da quello della UE. A questo punto a breve ci si attende la marcia sul Quirinale e la dichiarazione di autarchia...

domenica 10 aprile 2011

Questi stanno al governo...

"Per limitare l'afflusso degli africani, quasi tutti giovani e baldi maschi, serve il deterrente psicologico. Basterebbe diramare il seguente comunicato: 'al fine di prevenire squilibri demografici e prevedibili reati sessuali, le Autorita' italiane, nei luoghi degli sbarchi, hanno allestito presidi sanitari, per l'immediata castrazione chimica dei migranti'. Certo che non lo faremo, tuttavia non sarebbe male agitare lo spauracchio della Penisola come regione degli Evirati Arabi''.
Giancarlo Lehner, Pdl/Responsabili

(via Civati)

domenica 3 aprile 2011

Sorriso di perla

Sorriso di perla,
che odia le perle
e ovunque fugge
tra le correnti del fiume.
Le mani sorreggono
Un volto, iridi asperse
Di acqua nostra, del mare nostro.
Pilastri che smorzano le tue paure?
Altre mani ti stringono ancora
Non le mie.
Il naufragare mi è vano
Nel tuo mare.

The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....