martedì 28 maggio 2024

Rick DuFer e la valutazione, ovvero i problemi di quando vuoi argomentare su temi su cui non sei preparato

E niente, Rick DuFer ne ha fatta un'altra delle sue


In un suo recente video il filosofo/tuttologo/divulgatore, volto noto dei frequentatori di Youtube e non solo, ha deciso di prodigarsi nel fornirci la sua posizione sulla questione della valutazione a scuola. La sua disamina è a tema: il filosofo vuole dimostrare l'infondatezza della posizione di chi sostiene che i voti a scuola vadano aboliti. Già qui, dalle premesse, addirittura dal titolo, però osserviamo un primo problema: la discussione che verrà portata avanti perr mezz'ora circa nasce da uno strawman argument, un argomento fantoccio. DuFer prende unna posizione complessa e la banalizza in una espressione di facile commercializzazione mediatica, "basta voti!" che in questi termini però nessun docimologo o insegnante propone.

Dai primi minuti della disamina emerge la confusione terminologica in cui DuFer sguazza:  valutazione e voto, spesso usati come sinonimi nel video, sono invece cose diverse; allo stesso modo per tutto il video espressioni come "ottimo", "distinto", "sufficiente", o persino "in via di acquisizione", che sono di per sé l'equivalente a parole di un voto numerico, vengono distinti, spacciando i primi come una forma di valutazione descrittiva; in realtà la valutazione descrittiva differisce dal voto perché non solo misura la prestazione, cosa che fa il voto e che nessuna valutazione esclude, anzi, ma ragiona sulla distanza tra obiettivo atteso e risultato espresso, descrive il prodotto e il processo, dà indicazioni per un miglioramento. Il problema che la ricerca docimologica evidenzia da decenni è che la parte educativa della valutazione è la descrizione del prodotto e del processo, non il numero o l'espressione sintetica in sé, che non forniscono indicazioni operative.

Si susseguono di conseguenza nel video semplificazioni o veri e propri strawman argument, come quello secondo il quale chi sostiene la necessità di passare ad una valutazione argomentata voglia abolire la bocciatura: in realtà chi sostiene la valutazione educativa (questo è il nome) ritiene che anzi, proprio perché questa risulta essere maggiormente rigorosa, possa anche condurre alle bocciature, ma che queste non saranno frutto di arbitrio o di esercizio di potere, saranno anzi meglio documentate e motivate. Del resto risulta evidente che quella  che spesso nel video viene chiamata valutazione argomentata, semplicemente non è valutazione argomentata. Infatti DuFer confonde la valutazione descrittiva proposta da molti docenti con le espressioni scelte dai burocrati ministeriali per la valutazione nella scuola primaria.

Per sostenere la propria tesi DuFer poi inanella una serie di fallacie logiche che vanno oltre gli argomenti fantoccio già citati, per esempio adopera la fallacia del piano inclinato quando afferma che che sostituire il voto con la valutazione porti all'abolizione delle prove e delle verifiche. E perchè? Come fa a dirlo? Su quali basi? Su quali dati? E come dovrei fare a fornire una valutazione argomentata, fosse anche quella a cui si riferisce, sbagliando, il divulgatore, senza fare prove, verifiche o attività valutative?

Ancora: per tutto il video DuFer continua ad attaccare la posizione di chi vuole una valutazione descrittiva ed educativa a partire da un attacco ad hominem ("vogliono essere i buoni, i simpatici"). E se io valuto in maniera descrittiva e argomentata, e se serve boccio? Basta questo a dimostrare la strategia retorica di DuFer: attaccare le persone che non sostengono la sua tesi, cercare di indurre ragionamenti fallaci per non toccare il nocciolo della questione (di cui si parlerà alla fine). DuFer continua sostenendo che "Sono tutte posizioni ideologiche". Ma dimostralo! Chi accusa di ideologia da che dati parte? Perché, senza dati, allora la visione ideologica è proprio quella di DuFer!

Successivamente DuFer cade più volte in contraddizione: "questo (il tema dell'apprendimento e del benessere degli studenti) non ha a che fare con i voti ma con la formazione degli insegnanti", peccato che saper valutare faccia parte della preparazione e formazione degli insegnanti; "gli studenti non vogliono essere valutati e questo dimostra che valutare serve": in questo caso DuFer adotta un argomento ad populum inverso, tuttavia possiamo evidenziare che questa posizione esprime una visione elitista, che, tra l'altro, può essere facilmente smentita dimostrando che gli alunni vogliono essere valutati, ma che per loro essere valutati non vuol dire essere identificati in un numero ("quello per me è un sette, quella per me è da nove" o altre frasi simili che è normalissimo sentire nelle sale insegnanti delle scuole italiane). Emerge come quella di DuFer sia, legittimamente, una visione della scuola liberale e meritocratica, che vede l'istruzione come una fase della competizione che dovrebbe caratterizzare tutta la vita dell'individuo. Peccato però che DuFer, come si vede, non sia in grado di confutare le critiche a questa visione se non con fallacie e banalizzazioni. 

Il divulgatore continua: "i genitori vogliono il voto perché più chiaro". La prima parte dell'argomento sarebbe un argomento ad populum, tra l'altro frutto di una estrema generalizzazione (io sono un genitore, io voglio una valutazione descrittiva, QUINDI non tutti i genitori vogliono il voto numerico). Ma che i genitori vogliano il numero è di per sé normale se è dalla legge Casati che li abituiamo a voti numerici. Ai genitori la valutazione descrittiva va spiegata e vanno coinvolti nel cambiamento di paradigma, meccanismo che è di per sé valido per ogni cambiamento sociale.

DuFer in realtà dice anche cose condivisibili, come quando sostiene che i buoni insegnanti praticano da tempo una forma di valutazione descrittiva. Vero è che la descrizione accanto al voto esisteva, ma come sa chi fa pedagogia sperimentale, nell'attenzione dello studente il numero si mangia la descrizione, per cui il valore educativo della descrizione si perde. Basti vedere l'effetto che ha avuto il registro elettronico con il suo continuo porre all'attenzione degli studenti il voto, le medie. Se, come detto in precedenza, sappiamo che la parte formativa della valutazione è la descrizione dei processi e dei prodotti, è su quello che dobbiamo portare a concentrare l'attenzione. Questo non vuol dire abolire il voto in sé, ma vuol dire trovare strategie che non portino ad avere come fine del processo il voto, bensì l'apprendimento, anche mettendo in subordine il voto.

Una delle questioni più dibattute riguardo alla diatriba voto/valutazione è l'arbitrarietà del giudizio del docente. Su questo tema, nuovamente DuFer cade in contraddizione, infatti sostanzialmente dice di aver fatto esperienza di voti dati in base alla simpatia o alla condivisione delle idee politiche o meno da parte dei docenti nelle scuole che ha frequentato. il problema è che per tutto il video il divulgatore afferma che il voto numerico è chiaro e oggettivo. Come si fa a non osservare la contraddizione dell'affermazione per la quale il voto numerico sia chiaro e oggettivo, sostenendo nello stesso tempo di aver ricevuto voti numerici a simpatia? Costringere il docente ad argomentare il voto esprime anche un'esigenza di rigore nella valutazione e di trasparenza, perché il docente deve poter sostenere e documentare la propria valutazione. Non così con il semplice voto numerico. E se c'è da insegnare ai docenti l'argomentazione, lo si faccia! Invece DuFer sostiene che formare i docenti ad argomentare sarebbe un problema! Ma era proprio DuFer a sostenere che uno dei problemi della scuola era la formazione degli insegnanti! In barba al principio di non contraddizione, qui il divulgatore filosofo ci sta dicendo che la stessa questione è e non è un problema! Al di là dell'illogicità di DuFer, qui invece si sta evidenziando proprio come il voto numerico rischi di essere arbitrario se non è argomentato! A me insegnante di lettere serve a poco sapere se lo studente che arriva dalle medie aveva sei o sette, a me serve sapere se sapeva o no adoperare i connettivi, se conosceva o no l'ortografia, se costruisce o no in maniera adeguata una frase o un periodo, etc. Tutte informazioni che il voto numerico non mi dà, e che proprio per questo può essere assegnato in maniera molto più arbitraria di una valutazione argomentata.

Verso la conclusione il filosofo si appiglia ad un'altra fallacia: "se io anestetizzo il voto sto dicendo che ogni segnale va anestetizzato"; di nuovo una generalizzazione indebita e un piano inclinato. In realtà no, dire che QUELLO specifico segnale, in questo caso il voto numerico, è scorretto o è usato in maniera scorretta non vuole dire contestare ogni segnale possibile, per lo stesso motivo per cui contestare UNA CERTA E SPECIFICA legge non vuol dire contestare l'esistenza delle leggi in sé. DuFer continua poi sostenendo che "lo stress, il giudizio sono cose della vita, come il dolore", e questo dovrebbe dimostrare che dobbiamo formare gli studenti nello stress del voto, perché questo sarebbe formativo. Si tratta di un uso, tra l'altro pietoso, dell'argomento fallace ad naturam (anche le malattie sono naturali, non curiamole!); ma poi, guarda caso, il dolore lo anestetizziamo senza per questo escluderne la valenza.

Dicevamo prima che comunque in tutta la disamina di DuFer manca un elemento dirimente: i dati! Chi sostiene la necessità dell'adozione di una didattica educativa e formativa non lo fa per buonismo, come detto da DuFer (strawman argument), lo fa perché i dati della pedagogia sperimentale dimostrano che funziona meglio e che limita le distorsioni valutative, comunque esistenti, ma più frequenti con una semplice valutazione numerica. La visione di DuFer, priva di fondamenti fattuali, risulta essere ideologica, figlia di una visione della scuola che divide fra salvati e dannati, che nega l'impatto del contesto sociale, che afferma la necessità di una selezione senza volersi chiedere in che misura quella selezione sia arbitraria. E ci sarà un motivo se fra gli ospiti preferiti di DuFer c'è Boldrin. Peccato, soprattutto per un divulgatore che dice di fare della buona argomentazione e della confutazione delle fallacie logiche la propria battaglia.

lunedì 20 maggio 2024

Podcasting in inglese!

Ascolta "Libramenteblog" su Spreaker. In realtà si tratta di un esperimento. Sto provando a vedere cosa ne viene fuori dal sintetizzare, tradurre tramite Narrateit e trasmettere sotto forma di podcast i miei contenuti. Vedremo!

mercoledì 15 maggio 2024

Valutazione, stereotipi e cattiva coscienza


Ci sono due errori valutativi che osservo spesso. Il primo è il fatto che quando dovremmo fare valutazione formativa, cioè durante l'anno, non la facciamo e continuiamo a stampare voti uno dietro l'altro; poi però quando invece dovremmo tirare le fila della situazione, alla fine dell'anno, definendo se gli obiettivi di apprendimento sono stati raggiunti, in che grado e come, improvvisamente, agli scrutini, guardiamo o fingiamo di guardare l'aspetto formativo; allora la paura dei ricorsi, la volontà di non mettere in discussione il proprio metodo di insegnamenti, ci paralizza e ci diciamo che "chissà però forse più in là c'è la farà". Magicamente voti negativi elargiti per tutto l'anno (spesso mai accompagnati da feedback costruttivi) divengono miracolosamente valutazioni sufficienti, anche in questo caso, più per giustificare noi stessi che per fornire poi un riscontro costruttivo al discente. Il risultato è un messaggio contraddittorio che, anziché favorire l'apprendimento, lo disturba. 

L'altra cosa che mi fa impazzire è la valutazione inficiata dagli stereotipi, spesso e volentieri stereotipi di genere. Così spesso osservo che dalle ragazze si pretende la perfezione, le ragazze devono studiare, come se da loro, anche al professionale, ci si debba per forza attendere uno sbocco universitario o comunque un impiego "intellettuale"; si pretende da loro di essere mediamente più preparate, e se così non è, le si colpevolizza; i ragazzi invece, generalizzando, possono spesso andare avanti anche se meno preparati perché "tanto alla fine va a lavorare in azienda"; mai che questa frase (che comunque non ha alcun senso dal punto di vista valutativo) venga detta per una ragazza, le ragazze evidentemente agli occhi dei docenti non hanno posto in fabbrica, non hanno posto in azienda. Di più, visto il basso tasso di occupazione femminile, ci si potrebbe attendere la frase "tanto finisce per fare la casalinga", e invece no, lì, chissà perché, viene fuori l'emancipazione femminile. E così le studentesse vengono intrappolate in queste distorsioni che, da una parte, abbuonano tutto l'abbuonabile ad alcuni compagni dell'altro sesso, dall'altro alzano via via per loro l'asticella perché, si sa, "le ragazze sono più studiose".

Raccontare la storia di una notizia che non è una notizia

 

giovedì 9 maggio 2024

Insegnare letteratura con la AI


Oggi noi si è fatta ricerca e analisi chattando con Foscolo e Leopardi: ragazze e ragazzi hanno interagito con tre chatbot, una che simulava di essere un critico letterario, una Ugo Foscolo e l'ultima Giacomo Leopardi. Interagendo con i tre hanno analizzato e contestualizzato nella vita e nella poetica degli autori due poesie: In morte del fratello Giovanni e L'infinito. Le domande sono state congrue, tanto da evidenziare i limiti delle AI, ccogliendole in fallo a più riprese. Ogni volta in cui studentesse e studenti hanno trovato dubbie le risposte delle chatbot hanno svolto ricerche autonome per verificare la veridicità delle informazioni ed, eventualmente, correggerle. Nel frattempo hanno redatto dei documenti con cui svolgevano la parafrasi e l'analisi linguistica e retorica dei componimenti. Le analisi verranno presentate al resto della classe durante la prossima lezione.

Il docente, in un'attività come questa, guida studentesse e studenti, li aiuta nel ragionare su e formulare correttamente i quesiti da porre alle chatbot, verifica che lo svolgimento dell'attività sia congruo e sensato, che la partecipazione sia attiva da parte di tutte e tutti. Nel caso  specifico, si è riscontrata una partecipazione encomiabile e sotto certi aspetti soprendente: i discenti hanno innteragito con la chatbot con spirito critico e di ricerca, tanto da indurre, in alcuni casi, al crash il software dopo evidenti distorisioni delle informazioni nell'incalzare delle domande di verifica delle nozioni dubbie emerse. Importante anche il ruolo della chatbot critico letterario, che ha fornito feedback agli studenti nelle loro analisi e nella stesura delle parafrasi dei  commponimenti.




mercoledì 8 maggio 2024

Fare didattica interdisciplinare


La collega di matematica oggi mi ferma in sala insegnanti e mi dice che mi ringrazia per averla convinta a fare lavorare i ragazzi sull'indice gulpease, e che quell'indice secondo lei è una cagata pazzesca. Il risultato però è che, avendo affrontato una questione linguistica anche su un piano matematico (che sottende un'analisi sintattica) i ragazzi si sono accorti che la lingua è un intreccio di regole grammaticali, ma che questo non basta
a definirla, perché le regole si sovrappongono al piano semantico, i significati delle parole e delle cose che esse rappresentano, e che sotto questo livello giace comunque un piano più puramente meccanico, neurologico, la biologia dell'uomo, le sue regole e i meccanismi neuronali che coinvolgono altri saperi. E non dite che non facciamo lavoro interdisciplinare

The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....