venerdì 16 febbraio 2018

Il concetto di "persona" da Cicerone ai Severi

Sesterzio del 103 d.C. raffigurante Traiano e Abundantia che accudisce un puer. Foto: Wikipedia


L’identificazione nelle fonti romane di un concetto assimilabile al moderno concetto di “persona” è questione controversa e ampiamente dibattuta, in primis perché lo stesso concetto moderno è dibattuto e spesso forse adoperato a sproposito. Partendo dall’orgine etrusca della parola, essa ha viaggiato nel tempo e attraverso diverse accezioni, per arrivare fino a noi.1 Varie risultano le possibili interpretazioni del concetto, per cui si rimanda alle diverse analisi filosofiche, sociologiche e antropologiche. Nondimeno, forse quella più esauriente nella sua icasticità rimane la definizione di Locke:
a thinking, intelligent being, that has reason and reflection, and can consider itself as itself, the same thinking thing, in different times and places (Locke, 1777).

Per le società complesse come le nostre una buona definizione di “persona” può essere inoltre quelladi Pardi:
la "persona" emerge presso di noi tutti e presso ciascuno soltanto quando il riconosci-mento contiene in sé sia la designazione-indicazione empirico-cognitiva sia la reazione alla designazione-indicazione stessa. Mediante la designazione ed indicazione io riconosco che alter è un idraulico, un collega di Facoltà, un venditore di frutta. La "persona" emerge allorché la designazione fa scattare una reazione morale, e quindi alter viene incluso nell’universo morale di ego collocandolo all’interno di una responsabilità priva di sanzione e di contraccambio (Pardi, 2003).

Per quanto riguarda il pensiero antico la prima concreta definizione di "persona" in un’accezione simile a quella moderna ce la fornisce Panezio2 attraverso Cicerone, quando sostiene che l’uomo sembra quasi essere composto da due nature, la prima, comune a tutti, che ci differenza dalle bestie e ci permette il vivere sociale, l’altra, personale e individuale:
1.107.1 Intellegendum etiam est duabus quasi nos a natura indutos esse personis; quarum una communis est ex eo, quod omnes participes sumus rationis praestantiaeque eius, qua antecellimus bestiis, a qua omne honestum decorumque trahitur et ex qua ratio inveniendi officii exquiritur, altera autem quae proprie singulis est tributa (Cicero & Atzert, 1932).⁠

Lo stesso Cicerone poi in qualche modo accenna a come per il diritto romano l’esistenza della "persona" sia una sorta di dato di fatto, e che questo dato porti a prevedere il rispetto di alcuni diritti fondamentali; infatti Cicerone ricorda nell’orazione Pro Tullio come le XII tavole stesse prevedano il divieto di uccidere il ladro o il brigante se non consista una reale occasione di pericolo per la vittima:
Furem, hoc est praedonem et latronem, luce occidi vetant XII tabulae; cum intra parietes tuos hostem certissimum teneas, nisi se telo defendit, inquit, etiam si cum telo venerit, nisi utetur telo eo ac repugnabit, non occides; quod si repugnat, 'ENDOPLORATO,' hoc est conclamato, ut aliqui audiant et conveniant. Quid ad hanc clementiam addi potest, qui ne hoc quidem permiserint, ut domi suae caput suum sine testibus et arbitris ferro defendere liceret? (Cicero & Clark, 1911).⁠

Insomma, sembra di poter dire che già prima del trapasso della repubblica nel principato a Roma esista, almeno fra le classi più colte, endemica l’idea di "persona", unica nella sua individualità e con dei diritti fondamentali.

Ovviamente l’esistenza in nuce di questo concetto non deve portare a conclusioni affrettate: una chiara e coerente esplicitazione di questa idea dovrebbe avere come conseguenza la fine del sistema schiavile, e così non sarà a Roma se non nei secoli successivi e per circostanze non per forza legate alla diffusione di simili idee. Nondimeno, che l’idea di "persona", attraverso la diffusione del pensiero stoico filtrato dalla cultura romana, circoli nell’impero, sembra uno dei motivi per cui alcuni fra gli imperatori paiono assumere l’incarico di principes più come una forma di magistratura e di carico di responsabilità verso la collettività che come esito ultimo di una corsa al potere: si pensi per esempio ai casi di Tiberio (Pani, 2010)⁠ e Tito (Geraci G., 2017), fino allo stesso Marco Aurelio (Geraci G., 2017)⁠. Va inoltre tenuto presente come il concetto di "persona" si leghi strettamente ai valori della humanitas, nella sua evoluzione dalla repubblica fino all’impero, almeno fino a Seneca e, di nuovo, Marco Aurelio (Bolaffi, 1955).

Un atto che può indurre a pensare che il concetto di "persona" e della sua tutela sia ormai entrato nel ragionamento politico delle classi dirigenti romane è il varo delle institutiones alimentariae, volute già dall’imperatore Nerva, ma che solo con l’imperatore Traiano troveranno piena applicazione (Geraci G., 2017)⁠; su queste institutiones abbiamo relativamente pochi accenni nelle fonti letterarie e giuridiche, mentre una più articolata descrizione del loro funzionamento e della loro utilità è ricavabile da due fondamentali fonti epigrafiche, ovvero la tavola alimentaria di Velleia pubblicata nel Corpus Inscriptionum Latinarum3 e studiata da Criniti (Criniti, 2010)⁠ e la tavola alimentaria dei Liguri Bebiani:

si può leggere (così tradotto): "nel consolato di Nerva Traiano Augusto Germanico IV, e di Articuleio Peto (cioè nel 103 d.C), per volontà dell’ottimo e grandissimo principe hanno obbligato i loro fondi... i Liguri Baebiani, perché fanciulli e fanciulle ricevano alimenti dalla sua indulgenza". Indulgenza indica un moto di benevolenza gratuita verso i bisognosi: non per obbligo, ma per spontaneo senso umanitario. Sicché la Tavola è un elenco di proprietari terrieri che ricevono denaro dall’imperatore in cambio di obbligazione di terreni ben misurati e bene indicati, i quali corrispondono un canone a titolo d’interesse sulla somma ricevuta, versandolo non all’erario ma a una cassa locale, tenuta a sostenere un certo numero (fisso) di ragazzi (maschi e femmine) fino a età adulta (o meglio, di lavoro). L’imperatore dà la somma, la vincola sui terreni dei privati dietro un basso interesse, sul 5%, e destina il ricavato agli alimenta di un determinato numero di ragazzi. (Sirago, 2004)⁠

Sull’arco di Traiano a Benevento (Rotili, 1972) Traiano compare in abiti civili intento a prendersi cura di alcuni ragazzi indigenti e la stessa scena compare in varie monete coniate sotto lo stesso imperatore; lo stesso tipo di scena compare in altri monumenti eretti nelle province, anche durante il regno del successore Adriano (Quartullo, 2015).

Le institutiones verranno del resto rafforzate proprio da Adriano, in continuità con il suo predecessore:
pueris ac puellis, quibus etiam Traianus alimenta detulerat, incrementum liberalitatis adiecit. (Hohl, 1965)⁠

Le fonti letterarie ci dicono poi che il provvedimento verrà ripreso da Antonino Pio e da Marco Aurelio, estendendolo alla cura delle ragazzine in difficoltà, chiamate puellae faustinae:
puellas alimentarias in honorem Faustinae Faustinianas constituit. (Hohl, 1965b)⁠
Il provvedimento viene ancora citato per il breve regno di Pertinace, ma l’improvviso aggravarsi delle condizioni economiche dell’impero indurrà ad abbandonare le institutiones alimentariae già sotto i Severi:
obeundis postremo cunctis muneribus fiscum parem fecit. alimentaria etiam conpendia, quae novem annorum ex instituto Traiani debebantur, obdurata verecundia sustulit. (Hohl, 1965a)⁠
Sembra insomma che con il venir meno della tranquillità economica, politica e militare a causa della crisi del III secolo d. C., anche questo tipo di provvedimento che caratterizzava il filantropismo della classe dirigente romana sparisca. Mentre la cultura pagana a poco a poco iniziava ad inaridirsi, la rivoluzione culturale del Cristianesimo si avvicinava rapidamente alla conquista di Roma e alla trasformazione della percezione dell’uomo come individuo in relazione alla comunità e a Dio.

BIBLIOGRAFIA

Bolaffi, E. (1955). La « dottrina del buon governo » presso i Romani e le origini del principato in Roma fino ad Augusto compreso. Latomus. Société d’Études Latines de Bruxelles. http://doi.org/10.2307/41518031

Cicero, & Atzert, C. (1932). De Officiis (M. Tulli Ciceronis Scripta Quae Manserunt Omnia. Fasc. 48.

Cicero, & Clark, A. C. (1911). M. Tulli Ciceronis orationes : Pro Tullio, Pro Fonteio, Pro Sulla, Pro Archia, Pro Plancio, Pro Scauro.

Criniti, N. (2010). Tabula alimentaria di Veleia: versione italiana IV. Recuperato da http://www.veleia.it/download/allegati/fn000193.pdf

Geraci G., M. A. (2017). Storia Romana. Mondadori.

Hohl, E. (A c. di). (1965). Scriptores Historiae Augustae. Spartiani De Vita Hadriani. In Scriptores Historiae Augustae (pag. 7.8.2).

Hohl, E. (A c. di). (1965). Scriptores Historiae Augustae. Pertinax Iuli Capitolini. In Scriptores Historiae Augustae (pag. 9.3.1).

Hohl, E. (A c. di). (1965). Scriptores Historiae Augustae. Iuli Capitolini Antoninus Pius. In Scriptores Historiae Augustae (pag. 8.1.2).

Locke, J. (1777). An Essay Concerning Human Understanding (Vol. 3). Recuperato da https://andromeda.rutgers.edu/~jlynch/Texts/locke227.html

Mattei, F. (2015). "persona" : adnotationes in lemma. Editoriale Anicia srl. Recuperato da https://www.academia.edu/13741372/"persona"._Adnotationes_in_lemma

Panaetius., & Vimercati, E. (2002). Testimonianze e frammenti. Bompiani.

Pani, M. (2010). Il costituzionalismo di Roma antica. Laterza.

PARDI, F. (2003). IL CONCETTO DI "persona" NELLA SOCIETÀ COMPLESSA. Studi di Sociologia, 41(1), 5–14. http://doi.org/10.2307/23004936

Quartullo, E. (2015). Rilievo con scena di «Institutio Alimentaria» proveniente dall’Arco di Portogallo. Recuperato da https://www.academia.edu/25401452/Rilievo_con_scena_di_Institutio_Alimentaria_proveniente_dallArco_di_Portogallo

Sirago, V. A. (2004). LA «TAVOLA ALIMENTARIA» DEI LIGURI BEBIANI. RIVISTA STORICA DEL SANNIO, 21, 2–10.

Recuperato da http://www.sirago.net/Upload/2004_La_tavola_alimentaria_dei_Liguri_Bebiani.pdf


1(Mattei, 2015)⁠


2(Panaetius. & Vimercati, 2002)⁠


3 CIL XI, 1147.


VERSIONE IN PDF

lunedì 12 febbraio 2018

Perché l'attacco al politicamente corretto dovrebbe farci paura

Così Vittorio Feltri oggi su Libero, come riportato su Facebook da Antonella Rampino
Vittorio Feltri, campione del politicamente scorretto, oggi ci delizia con un suo nuovo articolo in cui, con evidente trasporto, ci tiene a farci conoscere la sua posizione sui fatti di Macerata, alla luce degli esiti delle indagini così come a ieri sera. Tralasciamo la seconda parte dello screenshot, il riferimento alla vendita del cuore della vittima, Pamela, dato che per ora in realtà le fonti, tutti quotidiani di orientamento conservatore, partendo da un'intervista al criminologo Meluzzi hanno ipotizzato pratiche woodoo con i resti della ragazza. Si tratta quindi, in attesa di chiarimenti, di un'affermazione senza riscontro, per il pubblico, tra le presunte fonti. Lasciando perdere quindi questa parte, certamente inquietante, altrettanto inquietante e per diversi motivi è la parte evidenziata. Cosa fa infatti qui Feltri?  La vittima del delitto viene qui definita come un'oca (animale) e i suoi carnefici subumani (parola che ha una lunga tradizione atta a giustificare la tratta degli schiavi): si sta giocando pericolosamente con le parole e i campi semantici. Ora, va chiarito come già fatto altrove, che in realtà il significato delle parole che noi adoperiamo non è definito solo dal rapporto Significato-Significante, ma anche dalla serie di campi semantici in cui sono inseriti i termini che usiamo. Usare una parola piuttosto che un'altra non è quindi una scelta neutra, anzi, come vedremo.
Ma cosa intendiamo quindi con politicamente corretto, e di conseguenza, cosa si sta attaccando? Il linguaggio politicamente corretto è un registro linguistico che si sforza di scegliere delle parole che, inserite nella loro serie dei campi semantici, possano essere il più possibile prive di una caratterizzazione negativa. Esempio: è politicamente corretto parlare di persone diversamente abili anziché di handicappati, così come è politicamente corretto parlare di persone di colore anziché di negri o gialli. Chi attacca il politicamente corretto sostiene che si tratti di una forma di ipocrisia che tende a nascondere il problema sotto il tappeto (per esempio se io definisco diversamente abile una persona con un ritardo mentale faccio finta di non vedere che probabilmente non riuscirà mai ad eseguire calcoli o ragionamenti particolarmente complessi, per cui sarebbe preferibile il termine disabile) o che siano scelte ipocrite (come dice un mio alunno, un negro è negro anche se lo chiamo persona di colore). Eppure il politicamente corretto, come dicevamo, ha l'enorme merito di spostare il ragionamento non sulle singole parole ma sui campi semantici: la parola negro rimanda alla lunga tradizione dello schiavismo, come invece non fa la definizione di comodo di colore, e la forma diversamente abile rimanda ad altre abilità che potrebbero essere caratteristica della persona con handicap, mentre la parola handicappato rimanda alla lunga tradizione di segregazione e vergogna nei confronti degli anche detti subumani, fino alla follia eugenetica nazista. Le parole quindi non esistono solo in sincronia, ma si portano dietro tutta la loro storia che ha un peso. Questo risolve i problemi, ovvero risolve l'handicap o la discriminazione razziale? No, ma aiuta a percepire i problemi in maniera più definita.
Tornando a Feltri e al suo intervento, cosa accade qui? In questo caso la scelta delle parole di Feltri conduce a spostare il giudizio dal ciò che hanno fatto/è accaduto al ciò che sono tutti i protagonisti per me, tra l'altro, con il potere di un medium, un giornale, che fa credere oggettivo ciò che oggettivo non è. Tutto questo in nome di un linguaggio che vuole essere politicamente scorretto. Si avvalora quindi un metodo che è quello della deumanizzazione, così come teorizzato da Volpato e Ravenna nei loro saggi sulla pratica della deumanizzazione nella propaganda hitleriana.
Va aggiunta un'altra cosa: in questo intervento si sta giocando con le parole pericolosamente estendendo, dicevamo, ad un insieme (nigeriani, ma potrebbe essere benissimo italiani) le caratteristiche di una persona (il colpevole di un reato), mentre il rapporto è inverso, essere un italiano o un nigeriano non fa di me in automatico una persona onesta o un delinquente, applicando quindi lo stilema della fallacia logica di composizione, un errore logico che viene spesso adoperato a posta per estendere caratteristiche individuali ad un gruppo sociale. Questo vuol dire cancellare il concetto di persona, variamente inteso nella società occidentale, sia che coincida con lo stesso esistere del singolo essere umano, sia che si tratti della sua capacità di adoperare il logos, il ragionamento. Spesso questo tipo di argomentazione si associa a quella utilitaristica, per cui il giudizio sulle persone (in questo caso i presunti colpevoli di omicidio) cambia a seconda dell'utilità dell'individuo all'interno della comunità. Una persona tuttavia, comunque la si intenda, non è tale perché è utile o inutile, secondo questo criterio anche la vitttima non era una persona, costituiva un costo sociale per la comunità con la sua riabilitazione e i conseguenti costi sanitari, e avrebbe allora ragione Feltri. Una persona è tale in quanto tale; nel momento in cui i criteri del nostro giudizio diventano invece A) soggettivi (passare dal ciò che ha fatto/fa al ciò che è per me) e B) utilitaristici stiamo attaccando il concetto stesso di persona, un concetto nato nell'antichità classica ma che ha caratterizzato soprattutto il nostro pensiero dal 1700 ad oggi; l'attacco al concetto di persona, per caratterizzare invece l'individuo in base alla sua appartenenza ad un gruppo etnico, religioso o sociale, o alla sua utilità, è stato storicamente alla base della propaganda totalitarista, come già detto. Non per niente gli storici, definendo, i totalitarismi, parlano anche di attacco al pensiero moderno in favore di uno premoderno. Per fare un esempio chiarificatore, Dante, autore premoderno, avrebbe giudicato un individuo in base alla sua appartenenza sociale e religiosa, per cui un pagano, prima di essere un giusto, era comunque un pagano, e per questo destinato al Limbo o all'Inferno.
Insomma attenzione alle parole che usiamo perché dicono molto di più di quello che crediamo. Lo sdoganamento del politicamente scorretto o, ugualmente, l'attacco al politicamente corretto possono costituire un tentativo di tornare ad un giudizio a priori sulla persona, in quanto appartenente ad una categoria definita dalla religione, dall'etnia, dalle caratteristiche fisiche o morali, con un conseguente arretramento concettuale dalle conseguenze senz'altro nefaste.

  • Ravenna, M. (2006). Gli psicologi di fronte alle atrocita’ sociali. Aspetti del funzionamento psicologico dei perpetratori, in A. Chiappano e F. Minazzi (a cura di) Il paradigma nazista dell’annientamento. La Shoah e gli altri stermini, Firenze, Giuntina, pp.209-222, ISBN 88-8057-244-X
  • Volpato,C. (2011) Deumanizzazione. Come si legittima la violenza, Laterza, Bari-Roma,  pp. 180.
  • https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10215334043448057&set=a.10211103936898037.1073741825.1344861785&type=3&theater
  • http://libramenteblog.blogspot.it/2017/06/de-saussure-wittgenstein-dalla.html
  • http://libramenteblog.blogspot.it/2017/07/linguaggio-e-senso-la-costruzione-della.html
  • http://www.dif.unige.it/epi/did/fallacie.htm

domenica 11 febbraio 2018

APPELLO DI UN LESSICOGRAFO BUONISTA

https://www.facebook.com/geppi.patota/posts/10212966337006253

APPELLO DI UN LESSICOGRAFO BUONISTA.
PER FAVORE, DATO CHE NON SOPPORTO PIU' L'USO INVETERATO DEI TERMINI 'BUONISMO' E 'BUONISTA', VORREI CONTRAPPORRE ALLE DUE VOCI IN QUESTIONE DUE DEFINIZIONI LESSICOGRAFICHE CHE SPERO VI PIACCIANO. PER FAVORE, POTRESTE CONDIVIDERE E USARLE A PIU' NON POSSO? MAGARI SI FA IL BOTTO COME CON 'PETALOSO'. Giuseppe Antonelli, Cristina Faloci, Paolo Di Paolo, Errico Buonanno, VOI CHE BAZZICATE I MEDIA, POTRESTE DARE UNA MANO? GRAZIE. (VA BENE ANCHE IL COPIA E INCOLLA).

cattivista s. m. e f. (plur. m. -i, f. -e) chi pratica il cattivismo
cattivismo s. m. (plur. -i) ostentazione di cattivi sentimenti, di intolleranza e di malevolenza portate al massimo grado verso altri esseri umani diversi per etnìa, nazionalità, fede religiosa, identità sessuale, bassa o bassissima condizione socioeconomica, praticata in particolare da uomini politici (o anche da giornalisti che ne condividono le posizioni) al solo fine di ottenere una manciata di voti in più dalla parte socialmente e culturalmente più svantaggiata dei votanti in occasione delle elezioni

venerdì 9 febbraio 2018

Q di Luther Blisset

Foto: IBS

Quando nel 1999 Luther Blisset, poi membro del collettivo Wu Ming, pubblica il romanzo Q, si tratta della prima opera narrativa del membro di un gruppo di provocatori culturali. Così fu interpretato il libro, ma si trattava in realtà anche di altro, ovvero il primo tentativo di riportare in vita un genere dato per morente, il romanzo storico, primo passo verso la nuova epica su cui si concentrerà la produzione del collettivo negli anni successivi, un'epica fondata sul dato storico e su personaggi provenienti dalle classi sociali più disagiate o sconfitte, ma non per questo incapaci di un agire fiero, razionale, coerente, coraggioso.
Nello specifico Q racconta le vicissitudini quasi trentennali di un tedesco dai molti nomi, l'ultimo sarà Gert dal pozzo, studioso di teologia, riformatore, avverso alla chiesa cattolica come a Lutero, e della spia papale Q, agente segreto del Sacro Uffizio guidato dal cardinal Carafa, inviato in Germania prima e poi a Venezia per combattere l'eresia e più volte trovatosi sulla strada di Gert.
Ogni sconfitta di Gert sarà causata da Q, e quando questi finalmente se ne accorgerà, in lui non nascerà solo l'odio nei confronti di colui che si è portato con sé tante vite di tanti amici, ma anche una sorta di rispetto per il genio dell'intrigo. Allo stesso tempo Q, pur nella profondità della sua astuzia, non potrà infine non ammirare in Gert l'unico giusto sopravvissuto alle sue macchinazioni, e proprio per questo l'unico degno di ucciderlo, non prima di aver tentato di sventare le mire papali di Carafa.
Eppure Gert e Q sono piccole pedine in un gioco più grande di loro: Lutero e la riforma trionferanno, Carafa diverrà papa, Pole diverrà arcivescovo di Caterbury, i Giudei, ultimi alleati dei due cospiratori, alla fine subiranno la più atroce delle persecuzioni. Gert e Q, pur con destini diversi, sono degli sconfitti, e tuttavia la loro battaglia, diversa anch'essa, è stata a suo modo epica.
La lettura del romanzo, ricca di riferimenti storici e teologici, può a volte risultare molto pesante, eppure, soprattutto nella terza sezione, ambientata in Italia, il ritmo diventa incalzante e l'approfondimento psicologico della figura di Q donano leggerezza e piacevolezza al romanzo.
Q è poi un libro sui libri, sull'eterno bisogno, da parte dell'autorità, di colpire o mistificare la cultura, su come la stessa cultura divenga strumento di battaglie che non le appartengono. Ne emerge un quadro fosco della cristianità, a metà tra il folklore popolare quasi pagano e le dispute teologiche di intellettuali chiusi in torri d'avorio. Nel mezzo, i combattenti, la gran parte in cerca della ribalta e del potere, altri, come Gert, in cerca semplicemente di giustizia.

sabato 3 febbraio 2018

Il ragionamento economico ai tempi del principato di Domiziano

Foto: Wikipedia
Uno degli errori di prospettiva in cui imbatte spesso chi insegna, così come chi si interessa più in generale alla storia antica, è quello di applicare teorie e visioni moderne a civiltà che, per motivi storici, non potevano non solo conoscere, ma neanche concepire quelle teorie. Questo tipo di errore, per esempio, lo facciamo quando pensiamo di applicare le visioni economiche contemporanee alle società tradizionali (e viceversa). 

Allo studio delle fonti risulta infatti abbastanza evidente come nell'antichità esista una concezione molto vaga, comunque diversa dalla nostra, della teoria politica: i bilanci dello stato non erano conteggiati in maniera precisa e la stessa azione economica degli stati rispondeva più a interessi di carattere politico o morale che a ragionamenti di carattere economico.

Se guardiamo all’analisi dell’operato di un imperatore come Domiziano (Geraci G., 2017)⁠ possiamo osservare come numerosi provvedimenti di carattere economico possano indurre a fraintendere la prospettiva dell’operato di chi detiene il potere a Roma. Un esempio evidente ci viene proposto da Svetonio, raccontando l'azione di Domiziano in merito ad uno dei suoi editti più famosi, quello del 92 d . C. atto a regolamentare la coltivazione dei vigneti:
[2] ad summam quondam ubertatem uini, frumenti uero inopiam existimans nimiouinearum studio neglegi arua, edixit, ne quis in Italia nouellaret utque in prouinciisuineta succiderentur, relicta ubi plurimum dimidia parte; nec exequi remperseuerauit. (C. Suetonius Tranquillus, s.d.-b)⁠
[2]Un anno in cui il vino era abbondante, ma il grano scarseggiava, pensando che la coltivazione eccessiva della vigna facesse trascurare i campi, proibì di piantarne ancora in Italia e diede ordine di tagliare i vigneti delle province, lasciandone al massimo la metà; però non fece eseguire questo editto. («Svetonio - opere», s.d.)⁠

In questo caso l’intervento dell’imperatore trova una ragione in un giudizio di carattere morale: è ingiusto che in un anno di carestia, mentre manca da mangiare, ci sia abbondanza di vino. Certamente proprio Domiziano caratterizzò la propria azione politica con altri interventi di carattere economico, come la rivalutazione e la successiva svalutazione della moneta, riportata ai livelli neroniani di quantità del materiale prezioso (Ranucci, s.d.)⁠, o l’intervento sulle terre occupate già da età augustea (Mazzarino, 1984) e contro i delatori.⁠
subsiciua, quae diuisis per ueteranos agris carptimsuperfuerunt, ueteribus possessoribus ut usu capta concessit. fiscales calumniasmagna calumniantium poena repressit, ferebaturque uox eius: 'princeps quidelatores non castigat, irritat.' (C. Suetonius Tranquillus, s.d.)⁠
Dopo la divisione delle terre tra i veterani, erano rimasti, spezzettati, piccoli appezzamenti non attribuiti: li lasciò ai vecchi proprietari, per diritto di prescrizione. Represse le accuse di evasione fiscale, punendone rigorosamente gli autori, e di lui si citano queste parole: «Un principe che non castiga i delatori, li incoraggia.» («Svetonio - opere», s.d.)⁠

In entrambi i casi però è difficile dimostrare che questi atti, di per sé indice di una buona amministrazione, abbiano origine in una concreta teoria economica. Semmai il tentativo di trovare una soluzione sulla controversia della proprietà sembra piuttosto rientrare in un tentativo di mantenere lo status quo sociale e di garantirsi l’appoggio dei piccoli proprietari terrieri contro il senato, così come il punire i delatori appare come un tentativo di scoraggiare ogni forma di complotto. Del resto, poco dopo ancora Svetonio scriverà:
[2] quare pauidus semper atque anxius minimis etiam suspicionibus praetermodum commouebatur. ut edicti de excidendis uineis propositi gratiam faceret, non alia magis re compulsus creditur, quam quod sparsi libelli cum his uersibuserant: “κἄν με φάγῃς ἐπὶ ῥίζαν, ὅμως ἔτι καρποφορήσω,
ὅσσον ἐπισπεῖσαι σοί, τράγε, θυομένῳ. (C. Suetonius Tranquillus, s.d.-a)⁠
[2] Per questo, sempre timoroso e pieno di inquietudine, si impressionava oltre misura anche per i minimi sospetti. Fece revocare il suo editto già pubblicato, sul taglio delle vigne, unicamente perché, a quanto dicono, si erano diffusi alcuni biglietti contenenti questi versi: «Anche se mi divori fino alla radice, porterò sempre frutti sufficienti perché si facciano libagioni sulla tua testa, o capro, in occasione del tuo sacrificio.» («Svetonio - opere», s.d.)⁠
Anche in questo caso la cancellazione di una norma che, agli occhi di un moderno, poteva favorire l’economia della penisola italiana rendendo più facile la commercializzazione dei vini italiani lungo il bacino del Mediterraneo, in realtà nasce da una paura tutta di carattere politico e psicologico. Certamente in queste parole è evidente il riflesso della possibile stroncatura dell’età domizianea da parte di Svetonio (Atkinson-MacEwen, s.d.)⁠, tuttavia dall’insieme dei dati citati sembra di poter affermare chenell’opera dell’imperatore i giudizi di carattere politico e sociale prevalgono regolarmente su un chiaro meditato ragionamento di carattere economico. ⁠


BIBLIOGRAFIA
Atkinson-MacEwen, L. (s.d.). Suetonius’ Life of Domitian. Recuperato da https://www.academia.edu/34758125/Suetonius_Life_of_Domitian

C. Suetonius Tranquillus. (s.d.). De Vita Caesarum. Domitianus, chapter 14, section 2. Recuperato da http://www.perseus.tufts.edu/hopper/text?doc=Perseus%3Atext%3A1999.02.0061%3Alife%3Ddom.%3Achapter%3D14%3Asection%3D2

C. Suetonius Tranquillus. (s.d.). De Vita Caesarum. Domitianus, chapter 7, section 2. Recuperato da http://www.perseus.tufts.edu/hopper/text?doc=urn:cts:latinLit:phi1348.abo022.perseus-lat1:7.2

C. Suetonius Tranquillus. (s.d.). De Vita Caesarum. Domitianus, chapter 9, section 3. Recuperato da http://www.perseus.tufts.edu/hopper/text?doc=Perseus%3Atext%3A1999.02.0061%3Alife%3Ddom.%3Achapter%3D9%3Asection%3D3

Geraci G., M. A. (2017). Storia Romana. Mondadori.

Mazzarino, S. (1984). L’Impero romano. Biblioteca Universale Laterza.

Ranucci, S. (s.d.). La monetazione dei Flavi. Caratteri generali ed aspetti tipologici. La monetazione dei Flavi. Caratteri generali ed aspetti tipologici, in F. Coarelli (ed.), Divus Vespasianus. Il bimillenario dei Flavi, Roma 2009, 358-367. Recuperato da https://www.academia.edu/2124919/La_monetazione_dei_Flavi._Caratteri_generali_ed_aspetti_tipologici

Svetonio - opere. (s.d.). Recuperato 3 febbraio 2018, da http://www.progettovidio.it/svetonioopere.asp

Versione in PDF

The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....