martedì 26 dicembre 2017

Il momento in cui siamo diventati uomini moderni


Il grafico in alto mostra l'andamento del popolamento mondiale negli ultimi duemila anni. Osservandolo bene risulta abbastanza evidente come, almeno fino, più o meno, al 1250 d. C., le "regole del gioco" demografico fossero abbastanza stabili e, apparentemente, immodificabili. Sostanzialmente, nell'ambito di una mortalità molto alta e di una aspettativa di vita molto bassa, la società si divideva in due modelli base, anche se poi declinabili con mille sfaccettature, quelli del popolamento basato su società agricole e quelli del popolamento basato su società nomadi. La maggioranza della popolazione viveva così lavorando i campi, all'interno di tre aree che costituivano i principali poli di attrazione, l'Europa mediterranea e occidentale, il subcontinente indiano e la Cina; a quest'ultima in particolare spettava, in maniera schiacciante almeno a partire dall'anno mille, il primato demografico.
Tra XIII e XIV secolo le cose iniziarono gradualmente a cambiare, anche se ciò avvenne con battute d'arresto molto forti, come quella che colpì l'Europa occidentale dopo il 1300: più realisticamente però, il momento in cui, almeno da un punto di vista demografico, le cose sono realmente cambiate va cercato più in là nel tempo, precisamente nel XVIII secolo d. C.
Se guardiamo alla storia demografica fino al XVIII secolo, le teorie di Thomas R. Malthus possono avere un qualche fondamento. Lo studioso teorizzava che ci fosse una disparità esponenziale tra crescita demografica e crescita della produzione, squilibrio che non può non portare alla crisi e al successivo riequilibrio del sistema, che si realizza in un drastico e rapido crollo demografico. Questa teoria funziona benissimo per i sistemi di produzione e più in generale per le società tradizionali, ma dal 1700 in poi semplicemente le cose cambiano.
Dal 1700 circa (ovviamente parliamo di datazioni indicative), la crescita della popolazione mondiale, per quanto si tratti di un aumento della popolazione mai visto prima, è ridotto rispetto alla crescita della produzione, grazie all'avvento delle nuove tecnologie, soprattutto, sempre in sviluppo, del sistema industriale, grazie inoltre alle nuove conoscenze scientifiche, in primis le moderne cure mediche, e ai conseguenti cambiamenti nelle abitudini e nel modo di vivere.
Per essere più precisi, se prima del '700 e delle sue rivoluzioni culturali ed economiche il sistema di produzione appariva un sistema chiuso, da questo momento parliamo di un sistema aperto, in cui il continuo immettersi di nuove tecnologie e conoscenze rompe gli argini dei limiti malthusiani, confutandone le tesi.
È quindi superfluo dire che il tentativo di continuare ad adoperare le teorie malthusiane appare, senza opportune e poderose correzioni, inutile.
In ultima analisi, se dovessimo tentare di definire quando e in che modo siamo diventati uomini moderni, è al '700 che occorre osservare, e riconoscere che, se si guarda alla storia del lungo periodo, è quello il momento in cui abbiamo abbandonato la società tradizionale per diventare qualcosa di diverso (per lo stesso motivo, ogni tentativo di richiamarsi alla società tradizionale, alla lettera, è un tentativo di tornare ad un'età premoderna, cosa di cui andrebbero spiegate nel dettaglio le conseguenze).

domenica 10 dicembre 2017

Discutiamo razionalmente di ius soli?



Come si sa, quello dello ius soli è un tema che mi sta particolarmente a cuore. Non di meno, discutere online di questo argomento è particolarmente complicato, soprattutto perché il tema suscita reazioni isteriche e da tifoseria.
Per condurre una discussione razionale sul tema ho quindi deciso di adoperare un portale gratuito, Kialo, che consente di moderare gli interventi e di strutturarli in maniera razionale, secondo lo schema di una mappa concettuale, con una componente valutativa data dal giudizio di pertinenza ad ogni intervento dato dai partecipanti e dai lettori del dibattito. Chiunque volesse quindi seguire o partecipare al dibattito, troverà qui il link

venerdì 1 dicembre 2017

Il Giulio Cesare di Luciano Canfora

Foto: Wikipedia


Leggere e ascoltare Luciano Canfora che racconta Giulio Cesare è, in primis, un piacere, o almeno lo è per un classicista. Tuttavia, come sempre accade con gli scritti di Canfora, le parole del professore non possono non suscitare polemica e dibattito. C'è da riconoscere a Canfora una padronanza delle fonti fuori dal comune, sicché si apre al lettore, o all'ascoltatore di un famoso podcast Rai, uno spiraglio inatteso sulle diverse ricezioni che l'opera cesariana ha ricevuto nel corso dei secoli. Il Giulio Cesare di Canfora è innanzi tutto abile politico, solo successivamente grande generale; tuttavia, se tradizionalmente le figure di Cesare e del figlio adottivo Ottaviano vengono proposte in maniera quasi complementare (militare l'uno, politico l'altro), nell'analisi che ne fa Canfora emerge come per Cesare (o come per tutti coloro che si mossero all'epoca delle Guerre Civili romane) il fatto militare fosse di per sé fatto politico. È per Cesare fatto politico tenersi in disparte dalla contesa politica finché a Roma sarà forte il partito dei sillani, è fatto politico lanciarsi nella tenzone quando Pompeo e Crasso compiranno quella manovra spericolata che, con il 70 a. C., li porterò da eredi di Silla a propugnatori delle politiche dei populares. Cesare così avrà l'occasione di attraversare tutto il cursus honorum, di sfruttare i mal di pancia della plebe urbana, non senza rischi, come la vicinanza a Catilina o, in seguito, a figure borderline come Clodio. Il Triumvirato, in quest'ottica, sarà forse il vero capolavoro di Cesare: un accordo con cui apparentemente egli si sottometteva alle istanze di Pompeo e Crasso, ma che in realtà garantiva a Cesare l'unica cosa di cui egli avesse bisogno per giungere davvero al potere, ovvero un esercito. Per fare ciò, con la spregiudicatezza che lo contraddistinse, Cesare non lesina illegalità e, in Gallia, di arrivare a quello che oggi definiremmo il sistematico genocidio di una popolazione, quella celtica.
A questo punto emerge il Cesare esperto di propaganda: la comunicazione dell'inizio dello scontro con il Senato e con Pompeo è magistrale e condita di astuzie e falsi, come per esempio quello sull'incontro con Marco Antonio, fuggito da Roma dopo la fatidica seduta del Senato che proclamò Cesare nemico pubblico; emerge così come nei suoi commentari Cesare racconti l'incontro avvenuto a Ravenna, mentre tutte le altre fonti lo pongono a Rimini, ben oltre il Rubicone, limite ultimo delle terre in cui al futuro dittatore era in teoria concesso di portare le sue truppe.
Si continua poi con la vittoria contro Pompeo, la mediocrità dell'opposizione senatoria, l'emergere della figura di Catone, i rischi corsi in Egitto.
L'ultimo capitolo della vita di Cesare è quello dei pochi mesi trascorsi a Roma prima della morte, in attesa di una nuova spedizione verso Oriente. Scopriamo così la vicinanza tra i congiurati e Marco Antonio, l'astuzia di Cassio e l'ideologia di Bruto, figlio di Cesare e nipote di Catone.
La figura di Cesare è quindi sfaccettata, ricca, colta, astuta, all'occorrenza violenta, una figura che Canfora analizza, mettendone in luce pregi e difetti politici e, soprattutto, la capacità di avere una visione politica, ben oltre le piccole beghe e i desideri di potere della classe senatoria romana.

Luciano Canfora, Giulio Cesare - il dittatore democratico, Laterza, 1999
Alle otto della sera, Luciano Canfora, podcast su Giulio Cesare


The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....