martedì 28 gennaio 2014

Memoria individuale e condivisa

Di recente sulle testate nazionali si è aperto un dibattito abbastanza interessante sul rapporto tra i nuovi media e la memoria storica. Al riguardo si sono contrapposte due posizioni, solo in parte antitetiche, quella di Eugenio Scalfari, che condanna la rete Internet e la accusa di essere la causa di una presunta perdita di memoria collettiva. Dall'altro lato Umberto Eco che, invece, indica nella rete una risorsa per i giovani da cui attingere per una ricerca sempre più approfondita di informazioni.

Ciò che mi sembra interessante di questo dibattito è innanzitutto l'approccio che i due intellettuali hanno all'argomento. Parliamo di due eccellenze del nostro paese che, però, con la rete Internet hanno relativamente poco a che fare: ne sono fruitori come gli altri, non degli studiosi. Se dovessimo essere estremamente coerenti, le loro argomentazioni non sarebbero più valide delle argomentazioni di un qualsiasi internauta medio alle prese con un uso semifrequente del web.

C'è poi un'altra questione, se vogliamo più interessante dal punto di vista delle scienze umane. Parliamo di Internet e memoria, ma i due intellettuali parlano dello stesso concetto di memoria? A mio avviso no.

La memoria a cui fa riferimento Eco è una memoria individuale, la possibilità per il singolo di attingere ad informazioni e immagazinarle sia per un uso pratico che per una costruzione del suo io a partire dal confronto/scontro con le esperienze e le ideologie pregresse. In questo senso, nella solitudine della sua navigazione in rete, effettivamente all'internauta si apre un mondo di informazioni, libere e per questo incontrollate, che pongono il problema del vaglio critico della loro credibilità e autenticità. In un certo senso, più che al rischio di assenza di memoria individuale, ci troviamo di fronte al rischio opposto, ovvero ad un eccesso non gestito di memoria tale da appiattire il tutto in un brodo primordiale e acritico.

Per quanto riguarda la memoria di cui parla Scalfari, sembra evidente come il giornalista faccia riferimento ad una presunta memoria collettiva, il ricordo sociale di fatti, avvenimenti e idee talmente importanti da plasmare un'idea di collettività. Secondo Scalfari nel mare magnum della rete sarebbe impossibile il depositarsi di questa memoria perché i nativi digitali, anziché depositare e tramandare questi fatti fondanti una società, ne demandano la trasmissione ad uno strumento neutro come la rete.
Trovo onestamente pretenzioso e miope il ragionamento di Scalfari, sembra quasi che parta dal classico presupposto del "si stava meglio...". Di quale memoria condivisa parliamo? Sin dall'epoca dei Greci la memoria condivisa, se poi realmente esiste, non appartiene alle masse, ma a piccoli gruppi che quelle masse manipolano: i versi di Omero venivano mandati a memoria da Aedi e Rapsodi, e se la collettività ne conosceva i contenuti, ciò non di meno la trasmissione di quel ricordo fondante una società era delegato. Se veniamo alle origini dell'italianità, per esempio alla conoscenza delle opere di Dante, Petrarca e Boccaccio, essa apparteneva ad una piccola elité, se ancora dopo il 1871 solo il 7 per cento della popolazione era alfabetizzato, mettendoci dentro anche coloro che sapevano solamente firmare con nome e cognome. Venendo ad epoche più recenti, il ricordo delle due guerre mondiali è stato, è vero, un esempio di memoria popolare, ma non unitariamente condivisa, se si pensa al dibattito ancora oggi aperto sui reali avvenimenti delle persecuzioni naziste e alle diverse forme di mitizzazione di figure che, nella presunta memoria condivisa, hanno subito delle condanne senza appello (Mussolini, Hitler, Stalin...).
Il termine mitizzazione non è stato adoperato a sproposito: ciò che sembra chiaro è che nella storia dell'uomo, l'unica vera memoria condivisa sia quella che appartiene all'ordine del mito, quindi cosa ben diversa rispetto all'esatta conoscenza dei fatti storici. Tutti conoscono Robin Hood piuttosto che Achille e Ulisse, ma in pochi fra i giovani conoscono Badoglio piuttosto che Nixon perché le loro vicende non hanno con il tempo assunto i connotati dell'epos piuttosto che della tragedia. Non per niente invece le figure di Mussolini, di Hitler, di Kennedy, assurte allo stato di paradigma, sono invece ancora vivide e ben presenti.
Ci si può ragionevolmente chiedere perché altre vicende apparentemente simili non abbiano subito lo stesso destino: perché i nostri giovani ignorino le figure di Aldo Moro piuttosto che di Allende o non sappiano nulla del bonzo che si dà fuoco per protesta contro la guerra in Vietnam. Ma è davvero la rete la causa di queste lacune nella nostra memoria, o lo è piuttosto il processo di costruzione del modello di società attuato dalle elité? Su Moro e su Allende i nostri ragazzi hanno tanti siti da consultare quanti ne hanno sulle altre figure citate, ma non li consultano semplicemente perché nessuno dei modelli culturali che noi adulti proponiamo loro li spinge a farlo. E questo è un limite di chi il medium internet lo usa, lo gestisce e lo insegna, non del medium stesso.

giovedì 23 gennaio 2014

Logica e retorica a proprio uso e consumo

"Con il PD e il PDL non si fanno accordi perché non ci si deve fare accordi" (Beppe Grillo).  Trattasi di una Petitio principii, ovvero un errore classico nel ragionamento logico spesso sfruttato dai retori per il proprio comodo. Passiamo ad una definizione.
"Questa frase nasconde (piuttosto malamente) un tranello. A prima vista potrebbe sembrare un’argomentazione valida, ma in realtà la sua logica non si regge in piedi. E’ un esempio basilare di Petitio Principii, o petizione di principio, ed è meglio che tu la sappia riconoscere.
Come dovrebbe essere

Un ragionamento logico, per essere valido, deve partire da una premessa già dimostrata e certa e arrivare ad una nuova conclusione.

Per esempio, “piove, quindi la strada si bagna” funziona: la premessa, ovvero il fatto che stia piovendo, è un dato obiettivo che anche l’interlocutore può verificare essere vero. La conclusione che la strada si bagni è una conseguenza che si fonda su questa premessa.
Invece…

Dal lato opposto, una petizione di principio è solo un inganno verbale. Sembra filare logicamente, ma nella premessa viene già sottointesa la verità della conclusione. La premessa non è dimostrata, ma data per buona senza fondamento. In alcuni casi, come la frase all’inizio di questo post, lo stesso argomento è semplicemente ripetuto due volte con parole diverse. Altre volte la connessione può essere più indiretta e difficile da scovare."
Per la definizione citata e altri esempi  http://ilcuscinodiisaac.com/inganni-2-petitio-principii/

lunedì 20 gennaio 2014

Perché non mi piace il bipolarismo

Ci sono diversi motivi per cui il bipolarismo non mi piace e per i quali penso che il tentativo di fondare su di esso la nostra repubblica sia fondamentalmente fallito. Proverò ad elencarli senza presunzione di completezza.
Innanzitutto le recenti elezioni hanno mostrato un'Italia che di bipolare non ha nulla, e volerla "educare" ad essere tale mi sembra una forzatura. Mi appare una forzatura anche perché il bipolarismo all'italiana ha finora trasformato il Parlamento in un'assemblea il cui unico scopo sia quello di ratificare quanto deciso da altri. Il Parlamento come organo legislativo è da tempo delegittimato e il forzarlo a lavorare per coalizioni non servirà che a proseguire in questa direzione.
Un sistema proporzionale con le preferenze presuppone invece una vera selezione di una classe dirigente che abbia il coraggio, la forza e lo spessore intellettuale per sedersi e discutere con altri nell'interesse dell'intero paese e non del piccolo orticello dei propri elettori.
Del resto un sistema proporzionale ha anche il merito di rappresentare le minoranze che, in quanto tali, andrebbero protette. Inoltre non c'è legame logico tra l'essere una minoranza e il non poter proporre interventi in favore del bene collettivo.
Un sistema poi come quello che si propone, in cui verrebbe meno il bilanciamento dei poteri con la scomparsa del Senato e la sua trasformazione nell'Assemblea di coloro che sono stati eletti per fare altro, non è altro che un regalo alla demagogia: l'Italia non ha bisogno di meno rappresentanti, ma di migliori, possibilmente meno pagati, senza per questo dover rincorrere il populismo e l'antipolitica. Ci vuole il coraggio di premiare la competenza, il coraggio di ammettere che anche le ragioni altrui, seppure io non le condivida, potrebbero essere plausibili; ci vuole il coraggio di ammettere che nessuna forza politica o ideologia possiede la verità in tasca e che questo paese o si salva tutti assieme, nel dialogo e anche nello scontro politico, o affonda con tutti noi.

venerdì 17 gennaio 2014

Precisazioni sul mestiere dell'insegnante



Questo post nasce come riordino e chiarimento delle posizioni espresse in un dibattito sulla pagina pubblica Facebook del blog Sul Romanzo.

Scarsissima è in genere la documentazione conosciuta da chi parla di questo lavoro dall'esterno: le 18 ore che vengono conteggiate sono le ore frontali (che poi spesso sono di più fra supplenze e sostituzioni), ma l'Italia è fra i pochi paesi che non retribuisce le ore di preparazione delle lezioni e di correzione delle verifiche ( prova a guardare le retribuzioni tedesche o danesi e poi ne riparliamo). Va poi considerato come viene fatto il conteggio delle ore frontali, per esempio in Germania si conteggiano 21 ore ma da 45 minuti, quindi in realtà lavorano meno che da noi. Per quanto riguarda poi la preparazione delle lezioni e la correzione delle verifiche, le statistiche dell'Unione Europea parlano di circa 16 ore di lavoro svolto a casa per un totale complessivo in Italia di 34/35 ore di lavoro. Per carità non sarà lavorare in miniera, ma non è neanche la miseria che viene spesso propagandata, e queste ore non sono retribuite. Non tocchiamo poi il discorso ferie o vacanze estive perché per tutti i precari della scuola le ferie non sono retribuite e durante l'estate siamo disoccupati.

Riguardo alle ore di preparazione del lavoro, parlo per me chiarendo cosa intendo: al pomeriggio inizio a preparare lezioni e materiali per la didattica digitale verso le 15 e non stacco prima delle 18.30/19. Se ci sono verifiche da correggere continuo anche dopo cena, viaggiando ad una media di cinque temi o traduzioni a serata (non di più perché non vedi più gli errori) o 10 verifiche a risposte chiuse, per tre/quattro classi ad anno ad una media di 26/28 alunni per le prime classi e 20/22 alunni per le classi successive. Come si sarà capito, insegno lettere

Le ferie non godute dei precari non sono retribuite e se si parla della disoccupazione percepita durante l'estate, si deve sapere che si tratta della stessa indennità percepita da ogni disoccupato, ovvero il 60 percento della media delle ultime tre bustepaga. Non sono retribuiti poi neanche i permessi, di qualsiasi tipo: permessi allo studio, motivi familiari, etc. Gli scrutini si fanno 4 volte l'anno perché ormai tutte le scuole adottano anche i pagellini di metà quadrimestre, ma le riunioni pomeridiane non sono gli scrutini: le ottanta ore di riunioni pomeridiane si riferiscono a collegi docenti, riunioni di dipartimento o di area, riunioni con psicologi e assistenti sociali.
Il discorso sul compenso è poi allucinante e l'esempio di coloro che dicono chegli insegnanti non possono lamentarsi perché c'è chi sta peggio è un'aporia logica (Appello emotivo: Manipolare l’interlocutore facendo leva sui sentimenti, non supportati da validi ragionamenti) oltre che tendenzioso perché allora varrebbe per ogni lavoro. Per lavorare al call center la laurea non è un prerequisito richiesto, per insegnare sì, e allora il lavoro va equiparato agli altri mestieri che richiedono pari grado di specializzazione, anzi, per insegnare si deve proprio conseguire una specializzazione dopo la laurea, quindi ribaltando l'esempio dico che è scandaloso che un mestiere che per essere praticato richiede livelli di specializzazione molto alti e un corso di studi ventennale sia equiparato a livello retributivo a lavori non specialistici. Visto l'esempio, allora si vada dal medico che si ritiene poco preparato grazie non si sa bene a quale competenza e si pretenda che abbassi il suo stipendio o non si lamenti, o si faccia lo stesso con un avvocato, tutti mestieri che richiedono lo stesso grado di specializzazione di un insegnante. Qual è invece la realtà? Che sul mestiere dell'insegnante tutti pretendono di poter mettere bocca senza neanche avere le competenze o le informazioni adeguate e le inesattezze che sono state dette negli anni ne sono la dimostrazione. Se andassi dal tuo medico sindacando le sue prescrizioni ti manderebbe giustamente a cagare, mentre gli insegnanti sono così abituati ad essere criticati senza cognizione di causa che questa ormai è una pratica comune in questo paese.

Non sto facendo vittimismo, mi sembra di avere informato molto civilmente. Per me si tratta di uno dei lavori che ho svolto e svolgo nella mia vita, e parto dall'idea che se faccio qualcosa la devo fare per bene. Ma proprio per questo mi annoiano e infastidiscono le banalizzazioni di chi, anche per colpe non sue, conosce poco questo lavoro. Faccio notare che nessun insegnante si sogna mai di criticare un altro lavoratore, mentre gli insegnanti sono sempre attaccati senza poi spesso conoscere realmente gli orari di lavoro, le retribuzioni, i carichi psicofisici. È uno dei mestieri su cui maggiormente vale il passaparola. Per esempio pochi sanno che gli insegnanti assieme ad infermieri, medici e assistenti sociali sono i lavoratori più soggetti a burnout, ovvero lo stress da lavoro dovuto all'immedesimazione nei problemi altrui, tanto che, dati del MIUR, dopo vent'anni di carriera il 54% degli insegnanti ha sviluppato delle psicopatologie.

Riguardo alla presunta intoccabilità degli insegnanti, pochi hanno idea di quante cause subiscono ogni anno i docenti. Non se ne parla perché nella stragrande maggioranza dei casi le vincono perché le scuse con cui un genitore addossa sull'insegnante i suoi fallimenti e quelli dei figli sono spesso risibili. Ma se un docente non usa tutte le strategie richieste con chi ha disturbi dell'apprendimento, ritardi cognitivi o vive in condizioni sociali particolari le conseguenze le subisce eccome, ma figuriamoci. Ci sono certe associazioni dei dislessici che nelle loro riunioni invitano pure alla denuncia preventiva degli insegnanti tanto per fare capire chi comanda e per incutere timore...

Certamente ci sono modelli scolastici diversi dal nostro, anche molto più validi; modelli ce ne sono di diversi, ciascuno con pregi e difetti. Si pensi solo che in Finlandia, il paese che stando ai dati OCSE PISA ha il miglior sistema scolastico, c'è una discussione accesissima sul valore di quei risultati in un sistema che sembra, per molti, premiare l'abilità di rispondere a questionari a risposta chiusa intuendo la possibile risposta corretta piuttosto che conoscendo e padroneggiando realmente l'argomento...

Dico un'altra cosa: forse è vero che un tempo l'insegnamento era un lavoro comodo, ma da una decina di anni almeno, cioè da quando nella scuola si è via via inserita la didattica tramite gli strumenti digitali e da quando non è più un tabù parlare di disturbi dell'apprendimento a scuola, davvero non si può pensare di non lavorare a lungo anche a casa. Preparare lezioni richiede tempo se ogni volta dovete realizzare PowerPoint, schemi e mappe concettuali per i vostri alunni, diverse di volta in volta perche diversi sono i disturbi e riprendere gli argomenti aggiornandosi. Per questo rido all'idea che si possa standardizzare la lezione: spiegate la Guerra del Peloponneso al Classico, all'Artistico e allo Sportivo, direte e preparerete cose diverse, pur essendo lo stesso argomento.

Per quanto riguarda lo stipendio dell'insegnante, esso dipende dagli anni di anzianità a tempo indeterminato (gli anni di precariato non fanno anzianità per la retribuzione). A occhio direi che con una quindicina di anni a tempo indeterminato stanno sui 1500 euro netti, ma potrei sottostimare. Come si può intuire non è lo stipendio del precario che alle medie è di 1250 euro netti.

Un'ultima precisazione che riguarda i fortunati con contratto a tempo indeterminato: comunque nessuno arriva a farsi i famosi tre mesi di vacanze estive perché fra esami di terza media o esami di maturità/ adempimenti burocratici e preparazione delle classi e dei documenti per l'anno successivo si finisce sempre intorno alla metà/fine di luglio. E non sto ovviamente parlando delle ottanta ore annuali che vengono utilizzate per le riunioni e che mi sembrano sacrosante, anche se in tutta Italia c'è la barbara usanza che i docenti debbano fare i colloqui quando finiscono gli orari di lavoro dei genitori dei loro alunni. Vorrei capire quale altro impiegato di un qualsiasi servizio pubblico debba andare via dal posto di lavoro anche alle 9/ 9.30 per aspettare il proprio cliente

mercoledì 15 gennaio 2014

Sebastiano Valentino Cuffari, Sette secondi


Sette secondi



Negli ultimi anni il lavoro era andato a gonfie vele, con un fatturato annuo in continua crescita. Lui, Giacomo Altigiorni, aveva portato una piccola azienda a conduzione familiare fino ad invadere il mastodontico mercato dell'estremo oriente. Invasione compiuta con un successo imbarazzante, da fare invidia ai migliori generali delle forze alleate; del resto, le esportazioni andavano a meraviglia: vendere in Cina quelle innovative bacchette in policarbonato era stato il suo lampo di genio.
Le cose andavano talmente bene che, a volte, si stupiva di se stesso e della sua fortuna. Si chiedeva se tutto quel successo fosse meritato, se fosse tutto farina del suo sacco, se non fosse una mera casualità. In fondo non era stata una sua scelta l'ereditare l'azienda familiare, non era stata una sua scelta vivere nei pressi di un grosso complesso di industrie da cui apprendere alcuni segreti del mestiere.
Il sole batteva a picco sulla macchina infuocata, l'aria condizionata sputava il suo gelo sulle braccia sudate, ricoperte da una camicia costata centinaia di euro. Gli ormai sparuti capelli grigi barcollavano al soffio delle correnti; ondeggiava il baffo brizzolato, pettinato ciclicamente da profonde e lisce mani. Giacomo si mordeva, di tanto in tanto, il labbro inferiore con i denti, unica concessione al nervosismo; era solito tenersi tutto dentro, nell'abisso di un inconscio placidamente ordinato dalle ferree regole del mercato e da un'educazione salda e di sani principi.
Ripensava a quando, ormai maturo, gli era stato annunciato dal padre il passaggio di consegne nell'azienda. Sarebbe stato lui a prendere le decisioni, lui a farsi carico della gestione della casa. Lui, tipico uomo della borghesia bene di una piccola città di provincia. Lui e la sua mente moderatamente illuminata nella gestione dei dipendenti, con una visione paternalistica del rapporto con i suoi sottoposti. Lui, lui che si prendeva a cuore i diritti della sua manovalanza (forse per impedire che ne chiedessero di nuovi? Il dubbio lo sfiorò solo per un attimo).
Andava a quel convegno della metropoli, invitato per esporre i suoi successi. Lui, lui che il paese additava come esempio per le future generazioni, il cardine della nuova economia basata sull'antico rigore, la morale contadina coniugata al genio indigeno.
Imboccava la statale fiero di essere se stesso, incurante del mondo che lo vedeva sfrecciare con sguardo sorridente e contemplativo.

Claudia Niscè aveva caricato la valigia, il cane e la bambina, chiuso il cofano, allacciate le cinture per tutti, sistemati gli specchietti. Aveva controllato l'olio, la benzina e l'acqua, provato la pressione delle gomme, regolato l'inclinazione delle spalliere. Finalmente aveva deciso che sì, poteva partire per le vacanze.
Era un'impiegata delle poste; una vita qualunque da madre single. Il lavoro a tempo indeterminato, raggiunto con fatica e ostinata determinazione nella precedente primavera, le aveva finalmente dato un briciolo di sicurezza economica. Le alte zeppe ai piedi la infastidivano di tanto in tanto nella gestione dei pedali, e pur tuttavia nulla la poteva fermare nella sua ostinata ricerca delle vette che confacevano ai suoi sforzi. Bella non lo era, almeno non per l'uomo medio: il viso smilzo, due occhietti indagatori di un verde cristallino, i capelli biondi che facevano già comparire i segni di una ricrescita corvina; certo ne soffriva, nella sua condizione di donna ormai di mezza età e single. Un matrimonio fallito alle spalle, un uomo fallito da sopportare di tanto in tanto; un tentativo fallito per ottenere qualcosa di più della sola casa di quell'uomo, ma sì, anche il tribunale aveva riconosciuto che era un uomo fallito, quindi c'era ben poco d'altro da togliergli.
Quando ripensava ai giorni in cui si era innamorata di lui, un velo di malinconia si stendeva sui suoi occhi; era stata anche lei giovane, un tempo, attraente. Quell'uomo era comparso nella sua vita ed entrambi inconsciamente avevano giocato le loro carte nella lotta per la seduzione: entrambi avevano promesso ciò che non avrebbero mai potuto mantenere e avevano voluto credere ai reciproci inganni. Poi, rapida e dolorosa, era sopraggiunta la realtà, che aveva dileguato ogni miraggio.
La bambina, ogni tanto, chiedeva di andare in bagno, ma la richiesta veniva inderogabilmente rinviata a data da destinarsi: la meta era lontana ancora qualche ora di viaggio. Prima bisognava imbroccare la via più breve per non perdersi nel gorgogliare di macchine in fuga dalla città. L'unica richiesta della pargola cui la madre decise di adempiere fu il famelico bisogno di una merendina: una mano allo sterzo, con l’altra scartabellò rapidamente nella borsetta in cerca dello spuntino per la creaturina ululante alle sue spalle; fu così che imboccò, non esattamente per la via maestra, la statale.

L'asfalto vivo d'un fuoco perenne, le sterpaglie incolte ed arse ai lati dei guard rail, mute ed immobili come vinte dal torpore della calura, assenti ed asettiche: stabili visioni in attesa di un evento che stupisca il loro tedio. Le note del mare lontano risuonavano forse per i villeggianti ed i navigatori, ma lì solamente si intuivano, nel silenzio della terra assopita e nello scrocchiare dei rami rinsecchiti.
Silenziosa, una nube in fuga guardava attonita le macchine sfrecciare sulla strada.

Era finito a fare l'operatore di call center, attività di teleselling: sì, in pratica rompeva le palle alla gente tentando di propinare improponibili proposte commerciali. Un mestiere come un altro, si diceva, quando voleva darsi un tono. Intanto, non appena tornava a casa la sera dopo il suo turno, Simone Pacifico si fermava ad osservare la laurea in fisica appesa ad un muro e non poteva non pensare che qualcosa di sbagliato doveva esserci.
Quel giorno, però, aveva deciso di darci un taglio: troppe cose non andavano in quel periodo. Solo nelle prime due ore di lavoro tre amorevoli donnine l'avevano, nell'ordine, minacciato di denuncia, garbatamente apostrofato, scambiato per un figlio degenere scomparso da settimane in cerca di se stesso (in qualche nota località turistica). Con rasserenata ostinazione, egli aveva dedicato eleganti epiteti a tante generazioni di avoli di ciascuna di quelle affabili interlocutrici. Ad ogni telefonata, il senso di assoluta casualità che lo incarcerava si faceva sempre più opprimente: era il caso che lo faceva entrare per sette secondi nella vita di un emerito sconosciuto; era il caso, non lui, a convincere l'interlocutore; sempre il caso ad intersecare i fili invisibili della rete che lo stringeva ogni istante di più.
Aveva bisogno di una pausa di riflessione: doveva parlare con la sua fidanzata.
La sera prima, dopo averla lasciata a casa, un furgone bianco gli aveva tagliato la strada; un omino uscito dalle peggiori barzellette da bar era balzato fuori dal portellone, tentando con sguardi melliflui, gesti inequivocabili e parole sensuali, di convincerlo a dedicarsi a nuove ed improbabili esperienze.
Era fuggito a gambe levate.
Le mani, ora, gli tremavano per il nervosismo mentre sterzava sulla statale; le lenti degli occhialini si appannavano per il sudore; i capelli castani e la panciotta della vita sedentaria erano bagnati dal gran caldo: tutto il suo fisico gridava vendetta contro lo stress e le delusioni. Sul sedile accanto, qualche lattina di birra, svuotata.
Due giorni prima, era uscito con lei, l'amore della sua vita: una serata felice, ogni tanto. Dopo averla riaccompagnata, rincasando, si era accorto di come un uomo lo seguisse a piedi per strada. Giunto in piazza, nel vuoto della città deserta di notte, Pacifico aveva deciso di affrontare il suo aggressore, o di evitare, quanto meno, di essere preso alle spalle. Voltatosi d'improvviso, aveva colto di sorpresa l'uomo, che, immediatamente arrestatosi, dopo un attimo di esitazione, era schizzato all'indietro, perdendosi fra i vicoli.
Un pensiero, ogni tanto, balenava: ma perché gli eventi più improbabili dovevano capitargli sempre dopo aver riaccompagnato la sua fidanzata e mai con lei accanto?
Che fosse lei la mandante di quegli agguati? Che fosse lei l'ordine dietro il disordine?

Dopo tutti quei mesi a studiare all'estero, finalmente Luisa tornava a casa. Non vedeva l'ora di stringere a sé i cari, di rivedere i volti tanto amati e così attesi nello scandire i giorni per il ritorno. Desiderava ardentemente riabbracciare i paesaggi della sua infanzia. Sul suo viso aggraziato, incorniciato dai sottili e lunghi capelli color oro, già la bocca si dischiudeva in un sorriso al ricordo del suo ultimo ritorno: la festa organizzata dagli amici, le lacrime della madre ormai anziana, i salti di gioia del cane Argo.
In confronto a quella splendida memoria, il viso goffo e volgare della sua compagna di viaggio era solo un errore: conosciuta in quel paese lontano e accolta immediatamente come coinquilina, era finita per essere la sua palla al piede, l'orpello sgraziato da portare sempre con sé, pena interminabili liti casalinghe e squallide ripicche. Persino ora, con la scusa del darsi il cambio nella guida in quel lungo viaggio, l'inimitato donnino si era infilato all'interno della macchina, conciliatasi immediatamente con un profondissimo sonno.
E comunque, quante cose da raccontare! La laurea! Lei, Luisa Arrighetti, finalmente aveva raggiunto l'obiettivo, aveva concluso quel ciclo di studi con il massimo dei voti, addirittura con il bacio accademico e la promessa di un dottorato! Tutti sarebbero stati fieri di lei, ne era certa.
Per un attimo, le venne in mente che i giorni da dedicare al riposo sarebbero stati troppo pochi: presto sarebbe ripartita, alla ricerca, ancora, del suo futuro. Ed il tempo passava, passava così rapido, trascinava con sé i ricordi, le persone...
La meta era ormai vicina: pochi chilometri da percorrere, malgrado il sonno opprimente, su quella statale.

Una mosca, facendo frusciare delicatamente le sue ali, si posò su una merda da qualche parte, presso le rive del Gange. Un atterraggio sobrio, a suo modo elegante.

Nell'impatto, ci furono sei morti ed un ferito, un cane; quattro autovetture distrutte o gravemente danneggiate.
Quali che fossero state le cause della tragedia – l’alcol, l’eccessiva velocità, la distrazione, le ali di una mosca posata su una merda presso le rive del Gange, le leggi del caos - esse non furono mai discoperte.  In quei sette secondi, sette lunghissimi secondi, si era conclusa la tessitura di una tela di ragno disordinata ed incomprensibile, autoreferenziale, estranea ad ogni capacità umana di intendere. L'opera sfrontata di un autore banalmente geniale.
Ovviamente, non il tragico fantoccio che narra questa storia.

Ciascuno, passando davanti a quell'incidente, non poté non rallentare per guardare, per sentirsi per un po' più umano.

martedì 14 gennaio 2014

Lettera aperta sulla mobilità nella scuola e sul precariato storico

Gentilissima redazione di Orizzonte scuola, vi scrivo in merito all'annosa questione della mobilità nelle graduatorie ad esaurimento. Da quando insegno ogni tre anni sento ripetere sempre le stesse storie: precari storici che lamentano il fatto che qualcuno spostandosi di provincia possa superarli. Ogni volta vengono citati gli enormi sacrifici, la necessità di lavorare, l'età e la distanza temporale dall'ingresso in graduatoria. Come se l'essere giovane oppure avere sviluppato nel frattempo la necessità di spostarsi di provincia per mille motivi fossero delle colpe. Così il mero dato anagrafico diventa un merito, cosa che già di per sé è quanto mai criticabile: mi viene da pensare a tutti quegli insegnanti entrati da tanto tempo in ruolo e che hanno smesso di aggiornarsi! Stanchi e usurati dal mestiere, ma che pur svolgendo il loro compito peggio di molti precari ricevono stipendi più alti "perché più anziani". Io credo che una scuola che funzioni non debba premiare l'insegnante perché più anziano ma perché più bravo.
Parliamo poi degli strali contro la mobilità da una provincia all'altra: ma vi rendete conto di cosa dite delle persone che vi scavalcano in graduatoria? Parlate di sacrifici e di esperienza?  Pensate forse che questi altri insegnanti abbiano raccolto i loro punti e gli anni di servizio sopra gli alberi? O il diritto di insegnare spetta soltanto a voi? Non vi viene da pensare che se hanno più punti di voi forse è perché hanno più esperienza e più gavetta alle spalle di voi? O i loro sacrifici valgono meno dei vostri?
Sono veramente stanco di questa guerra tra poveri. Se mi si concede un inciso vorrei anche aggiungere che a me ormai del posto indeterminato non me ne frega nulla; preferirei piuttosto che venisse adeguato il mio stipendio agli standard europei e che venisse realmente riconosciuta la dignità del mio lavoro, comprese le ore che  svolgiamo lontani dai nostri alunni, nell'aggiornamento o nella preparazione delle nostre lezioni, e che nessuno ci riconosce.

Sebastiano Cuffari.

Costantino


Il Medioevo ellenico

giovedì 9 gennaio 2014

Lingue e religioni

Le migrazioni

Le risorse naturali

La diffusione delle guerre

Italiano: la focalizzazione

Italiano: l'uso dei tempi narrativi ed il ritmo

Italiano: il tempo del racconto

Odissea: il proemio e il concilio degli dei

Iliade: colloquio tra Achille e Priamo

Introduzione all'Odissea

Iliade: la morte di Ettore

Iliade: la morte di Patroclo

Iliade: la scorreria di Diomede e Odisseo

Iliade: Ettore e Andromca

Le cariche religiose e le prime guerre della repubblica a Roma

I popoli latini e la nascita di Roma

Screencast: Diocleziano e la Tetrarchia

The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....