sabato 30 settembre 2023

Il dibattito sul cadavere di Giulio Cesare, due orazioni a confronto nell'opera di Shakesepare



Nel Giulio Cesare di Shakespeare, rappresentato per la prima volta in un non ben definito arco di tempo che potrebbe andare dal 1598 al 1601, il drammaturgo inglese mette in scena uno dei più bei esempi di dibattito della storia della letteratura mondiale. La fonte di Shakespeare sono con ogni probabilità le vite di Cesare, di Bruto e di Antonio nelle Vite parallele di Plutarco (utilissimi approfondimenti sono rintracciabili per esempio sul blog del prof Ghiselli).

Nella scena II dell'atto III si alternano nel foro di Roma Bruto e Antonio: il primo espone alla popolazione le ragioni dell'azione dei tirannicidi; il secondo controbatte con l'obiettivo di causare una rivolta contro i nuovi possibili dominatori di Roma.

Leggiamo il testo (nella versione pubblicamente accessibile edita da Liber Liber)

BRUTO –

Romani, miei compatrioti, amici,

io vi chiedo pazienza;

ascoltatemi bene fino in fondo,

e restate in silenzio,

e vi esporrò la causa del mio agire.

Sul mio onore, credetemi,

ed abbiate rispetto del mio onore;

giudicatemi nella saggezza vostra,

e a meglio farlo aguzzate l'ingegno.

Se c'è alcuno fra voi

ch'abbia voluto molto bene a Cesare,

io dico a lui che l'amore di Bruto

per Cesare non fu meno del suo.

Se poi egli chiedesse perché Bruto

s'è levato con l'armi contro Cesare,

la mia risposta è questa:

non è che Bruto amasse meno Cesare,

ma più di Cesare amava Roma.

Preferireste voi Cesare vivo

e noi tutti morire come schiavi,

oppur Cesare morto, e tutti liberi?

Cesare m'ebbe caro, ed io lo piango;

la fortuna gli arrise, ed io ne godo;

fu uomo valoroso, ed io l'onoro.

Ma fu troppo ambizioso, ed io l'ho ucciso.

Lacrime pel suo amore,

compiacimento per la sua fortuna,

onore al suo valore,

ma morte alla sua sete di potere!

C'è alcuno tra voi che sia sì abietto

da bramare di viver come servo?

Se c'è, che parli, perché è lui che ho offeso!

Se alcuno c'è tra voi che sia sì barbaro

da rinnegare d'essere un Romano,

che parli, perché è a lui che ho fatto torto!

E chi c'è qui tra voi di tanto ignobile

da non amar la patria? Se c'è, parli:

perché è a lui ch'io ho recato offesa. 

[...] Vuol dire allora che nessuno ho offeso.

Ho fatto a Cesare non più di quello

che ciascuno di voi farebbe a Bruto.

Le ragioni per cui Cesare è morto

son tutte registrate in Campidoglio;

la sua gloria, dov'egli ne fu degno,

non è stata offuscata, né i suoi torti

per i quali ebbe morte, esagerati.



Il discorso di Bruto, breve, è un discorso che vuole essere razionale, pretende di non incorrere nell'emotività (pur blandendola). Tuttavia, per alcuni motivi che verranno evidenziati, specialmente nelle sue premesse esso è più debole di quel he può apparire

La tesi del discorso di Bruto è che sia stato giusto uccidere Cesare e che di conseguenza i suoi uccisori non vadano perseguiti, anzi. Per sostenere questa tesi Bruto introduce un'argomentazione che farà da premessa alle altre: Bruto è persona onorevole e quindi è degno di essere creduto. Ma perché Bruto è onorevole? A guardar bene Bruto non ce lo dice, anzi, quello che si realizza è un vero ragionamento circolare: Bruto è onorevole perché credibile, ed è credibile perché onorevole.

Quindi, partendo dal presupposto che i Romani debbano credere a Bruto per la sua onorabilità, l'assassino di Cesare introduce una nuova argomentazione: lui amava Cesare, ma più di Cesare amava la sua patria. Perché Bruto ci dice questo? Perché se Bruto amava Cesare non poteva fare altro che desiderare il suo bene, ma se amava più la sua patria uccidere Cesare deve essere stato per Bruto un sacrificio da apprezzare, non certo un gesto da condannare. Quindi Cesare è stato ucciso per la sua ambizione, un'azione legittima visto che l'eccessiva ambizione mette a rischio l'intera Roma.

A questo punto Bruto pone una serie di domande retoriche che devono chiudere la discussione e che devono costringere i cittadini Romani a seguire il suo ragionamento.  Come prima cosa Bruto chiede chi potrebbe preferire morire schiavo con Cesare vivo anziché vivere libero con Cesare morto. Si tratta, a ben guardare, di una falsa dicotomia: nulla dimostra che vivendo Cesare agli altri cittadini spetti la schiavitù o che, viceversa, morto Cesare ai Romani spetti la libertà. Tuttavia, a questa domanda ne seguono altre: la prima sposta la questione sul piano morale: Bruto chiede chi possa essere così abietto moralmente da preferire la schiavitù, perché solo una persona simile può sentirsi offesa; questa domanda implica che la schiavitù non sia un accidente, ma che sia una condizione moralmente patologica; la risposta, ovvia, implica che nessuno può sentirsi offeso dall'azione di Bruto. La domanda retorica successiva chiede chi possa preferire l'essere barbaro all'essere romano: la domanda ha come premessa la considerazione posta dalla domanda retorica precedente: i barbari sono schiavi mentre i Romani liberi, perché i primi sono moralmente inferiori rispetto ai secondi. Anche in questo caso, la risposta è ovvia, nessuno può preferire essere barbaro all'essere Romano, e di conseguenza nessuno è stato offeso dall'omicidio di Cesare. L'ultima domanda retorica si fonda sulle prime due: se la schiavitù è un'abiezione morale, e se questa abiezione è tipica dei barbari, Bruto si chiede chi possa essere così vile da non desiderare di difendere la propria patria da un rischio come quello posto da Cesare. La risposta, di nuovo, è per Bruto ovvia, e ovvie ne sono le conseguenze: è stato giusto uccidere Cesare.

Dopo questo discorso Bruto pare avere convinto la folla. È importante immaginare il contesto: Bruto, e poi Antonio, sono di fronte ad una folla che desidera giustizia, quindi non stanno solo discutendo di etica: si stanno battendo per la propria vita, per non rischiare il linciaggio in quanto l'uno colpevole dell'omicidio di un potenziale tiranno, l'altro come suo primo collaboratore.

Abbiamo osservato come il discorso di Bruto si fondi su una premessa, quella dell'onorabilità, e su una serie di domande retoriche sempre più stringenti. Di fatto Bruto non ha dimostrato nulla, non ha portato dati a sostegno della propria tesi. Bruto ha tentato di convincere, con uno stile che poco ha lasciato all'emozione e che dà le proprie premesse e le proprie conclusioni come autoevidenti

Entra Antonio
Romani, amici, miei compatrioti,
vogliate darmi orecchio.
Io sono qui per dare sepoltura
a Cesare, non già a farne le lodi.
Il male fatto sopravvive agli uomini,
il bene è spesso con le loro ossa
sepolto; e così sia anche di Cesare.
V'ha detto il nobile Bruto che Cesare
era uomo ambizioso di potere:
ed egli gravemente l'ha scontata.
Qui, col consenso di Bruto e degli altri
– ché Bruto è uom d'onore,
come lo sono con lui gli altri –
io vengo innanzi a voi a celebrare
di Cesare le esequie. Ei mi fu amico,
sempre stato con me giusto e leale;
ma Bruto dice ch'egli era ambizioso,
e Bruto è certamente uom d'onore.
Ha addotto a Roma molti prigionieri,
Cesare, e il lor riscatto ha rimpinzato
le casse dell'erario: sembrò questo
in Cesare ambizione di potere?
Quando i poveri han pianto,
Cesare ha lacrimato: l'ambizione
è fatta, credo, di più dura stoffa;
ma Bruto dice ch'egli fu ambizioso,
e Bruto è uom d'onore.
Al Lupercale – tutti avete visto –
per tre volte gli offersi la corona
e per tre volte lui la rifiutò.
Era ambizione di potere, questa?
Ma Bruto dice ch'egli fu ambizioso,
e, certamente, Bruto è uom d'onore.
Non sto parlando, no,
per contraddire a ciò che ha detto Bruto:
son qui per dire quel che so di Cesare.
Tutti lo amaste, e non senza cagione,
un tempo... Qual cagione vi trattiene
allora dal compiangerlo? O senno,
ti sei andato dunque a rifugiare
nel cervello degli animali bruti,
e gli uomini han perduto la ragione?
Scusatemi... il mio cuore giace là
nella bara con Cesare,
e mi debbo interromper di parlare
fin quando non mi sia tornato in petto.
[...] Ancora ieri, la voce di Cesare
avrebbe fatto sbigottire il mondo:
ed ei giace ora là,
e nessuno si stima tanto basso
da render riverenza alla sua spoglia.
Oh, amici, fosse stata mia intenzione
eccitare le menti e i cuori vostri
alla sollevazione ed alla rabbia,
farei un torto a Bruto e un torto a Cassio,
i quali sono uomini d'onore,
come tutti sapete.
Non farò certo loro questo torto;
preferisco recarlo a questo ucciso,
a me stesso ed a voi,
piuttosto che a quegli uomini onorevoli.
Ma ho qui con me una pergamena scritta,
col sigillo di Cesare;
l'ho rinvenuta nel suo gabinetto:
è il suo testamento.
Se solo udisse la gente del popolo
quello ch'è scritto in questo documento
– che, perdonate, non intendo leggere –
andrebbe a gara a baciar le ferite
di questo corpo, e a immergere ciascuno
i propri lini nel suo sacro sangue;
e a chiedere ciascuno, per reliquia,
un suo capello, di cui far menzione
in morte, per lasciarlo in testamento,
prezioso lascito, ai suoi nipoti.
[...] Gentili amici, no,
siate pazienti, non lo debbo leggere.
Non è opportuno che voi conosciate
fino a che punto Cesare vi amasse.
Non siete né di legno, né di pietra,
ma siete uomini, e, come uomini,
sentendo quel che Cesare ha testato,
v'infiammereste, fino alla pazzia.
È bene non sappiate
che suoi eredi siete tutti voi,
perché, se lo sapeste,
oh, chi sa mai che cosa ne verrebbe!
[...] Davvero non volete pazientare?
Non volete aspettare ancora un po'?
Ho trasgredito a me stesso a parlarvene.
Fo torto, temo, agli uomini d'onore
i cui pugnali hanno trafitto Cesare.





Il discorso di Antonio esordisce con una considerazione, apparentemente simile ad una delle considerazioni di Bruto: Cesare fu amico fidato e giusto di Antonio. Se guardiamo bene Bruto aveva affermato di aver amato Cesare: Antonio afferma di essere stato amato come amico da Cesare. Tuttavia, attraverso l'uso sempre più evidente dell'arma retorica dell'ironia e del sarcasmo, Antonio dice che Bruto deve avere ucciso Cesare giustamente per l'ambizione del tiranno, ma inizia a porci il sospetto che la realtà stia esattamente nel rovescio di questa affermazione. A questo punto seguono una serie di evidenze, portate da Antonio, che hanno come scopo dimostrare quanto Cesare non fosse ambizioso e quanto operasse per il bene pubblico, e di conseguenza, quanto Bruto sia poco credibile e quinti tutt'altro che onorevole. Cesare avrebbe arricchito Roma portando una grande quantità di schiavi e ricavandone per la città grandi compensi con i riscatti; Cesare avrebbe mostrato la propria empatia verso i poveri e, potendo essere nominato re, per ben tre volte aveva rifiutato la corona. Tutto ciò, attraverso la negazione del contrario, permette ad Antonio di dimostrare come Cesare non fosse stato ambizioso, spuntando la giustificazione dell'omicidio condotto dai tirannicidi Bruto e Cassio.

Antonio poi ragiona su come l'amore per Cesare fosse condiviso dall'intera cittadinanza, e su come questo amore fosse giustificato, tanto da dover pensare che il mancato lutto e la mancata rabbia dei cittadini Romani si possa giustificare solamente con uno smarrimento del senno collettivo. Cesare infatti amò i propri cittadini, e a riprova sta il fatto che a loro ha lasciato la propria eredità, come sancito nel suo testamento. Qui Antonio infiamma gli animi con la reticenza nel dire, nel fornire dettagli; solletica il sentimento collettivo, le speranze su quanto è contenuto nel testamento, nonché la rabbia nei confronti degli assassini.

Antonio fa ampio uso della retorica, della captatio benevolentiae, della negazione del contrario, dell'ironia e del sarcasmo, ma a differenza di quello di Bruto, il discorso di Antonio colpisce l'emotività anche attraverso una struttura che costruisce un climax, con al suo apice la scoperta del testamento, l'asso nella manica in mano al collaboratore di Cesare.

A questo punto, sempre attraverso l'ironia, diviene scoperta la confutazione di ciò che era stata la premessa del discorso di Bruto, la sua onorabilità: nella frase gli uomini d'onore i cui pugnali hanno trafitto Cesare abbiamo l'esito finale, l'accusa agli assassini, i quali per aver ucciso un uomo benemerito e tutt'altro che ambizioso per forza non sono autorevoli come sostengono, e di conseguenza non sono neanche credibili, anzi, sono meritevoli della condanna e della rivolta che Antonio sta cercando di fare montare.

Antonio vince il confronto: un po' perché ha un'arma da giocarsi, il testamento, che Bruto ignora; un po' perché lui ha potuto dimostrare anziché convincere; un po' perché anche nel convincere l'amico di Cesare è stato superiore al figlio del dittatore, più lineare nella costruzione, più capace di toccare le corde dell'emotività, più sagace nell'usare la retorica. 

Antonio vince, i tirannicidi sono costretti alla fuga: la strada per la fine della Repubblica è aperta.

 

giovedì 28 settembre 2023

La questione della povertà della Chiesa, come viene dibattuta ne Il nome della rosa, come esempio di produzione e analisi argomentativa

 Di recente, insieme a dei colleghi della mia scuola, è capitato di tenere un'ora di formazione su pratiche didattiche orientative e collaborative. In questa circostanza, svoltasi presso un monastero passato di mano in mano tra vari ordini monastici, cluniacensi e francescani compresi, insieme ai compagni di avventura abbiamo presentato ai presenti all'incontro l'attività del debate come pratica strutturata; del debate o dibattito regolamentato però in questo caso abbiamo affrontato soprattutto gli aspetti introduttivi, ovvero le attività che possono servire ad avvicinare gli studenti a questa pratica, come l'uso di giochi didattici, per passare poi alla fase di ricerca delle informazioni e alla strutturazione delle linee argomentative. Nell'affrontare le linee argomentative possibili di due squadre di dibattito abbiamo fatto un esempio, calato nel contesto dell'incontro di formazione. È stata così affrontata una disputa su una questione evidentemente sentita dagli ordini cluniacensi e francescani, ovvero il possesso e l'uso della ricchezza da parte della Chiesa. Per stutturare le linee argomentative si è deciso di adoperare una fonte letteraria nobile ma contemporanea, ovvero il romanzo Il nome della rosa di Umberto Eco. A partire da alcuni capitoli del romanzo sono state così delineate tre argomentazioni per la squadra pro (la squadra che avrebbe sostenuto la liceità della ricchezza in possesso della Chiesa) e tre argomentazioni a sostegno della squadra contro (quella che avrebbe dovuto sostenere la necessità dell'assoluta povertà per la Chiesa). Di seguito si riportano le mappe argomentative che riassumono questo lavoro.



L'uso delle mappe, come spiegato da Pietro Alotto nel suo recente volume Le mappe argomentative, ha permesso di evidenziare il meccanismo delle inferenze e dei ragionamenti deduttivi e induttivi. Ciò che abbiamo osservato è stato come anche fra i colleghi in pochi avessero chiaro o immediatamente evidente il meccanismo con cui si traggono conclusioni a partire da premesse esplicite o implicite. Risulta così chiaro come, nell'analizzare o nell'affrontare la stesura delle argomentazioni fra docenti e studenti, sia necessario non soltanto evidenziare quanto è esplicito, ma anzi chiedere di esplicitare l'implicito. Osservando le due linee argomentative infatti i colleghi hanno notato come la possibilità di confutazione dei ragionamenti altrui spesso si annidi proprio nell'esplicitare l'implicito, nell'evidenziare le debolezze e gli errori logici di un ragionamento a partire dal non detto: cosa che, se è valida per i docenti, è ancora più necessaria per e nell'apprendimento degli studenti.

mercoledì 27 settembre 2023

Mobilitiamoci contro la riforma dei tecnici e dei professionali allo studio del ministro Valditara




C'è una cosa di cui solo qualcuno sta parlando e che, sotto l'insegna dell'innovazione, rischia di far fare alla scuola italiana un passo indietro epocale. Di cosa parlo? Della riforma dell'istruzione tecnica e professionale che il ministro Valditara ha intenzione di varare con il governo Meloni. Di cosa si tratta?

È prevista la costituzione (a partire dall’anno scolastico 2024/2025) di una vera e propria “filiera formativa tecnologico-professionale” costituita dai percorsi sperimentali del secondo ciclo di istruzione, dai percorsi formativi degli ITS (Istituti Tecnologici Superiori) Academy, dai percorsi di istruzione e formazione professionale e da quelli di istruzione e formazione tecnica superiore. Anche le Regioni, si legge nel testo, potranno aderire alla filiera.

La riforma prevede anche la creazione di un’unica offerta di istruzione e formazione attraverso la costituzione di reti (Campus), tra gli Uffici scolastici regionali e le Regioni (che si occupano di formazione professionale), a cui potranno aderire le scuole secondarie di secondo grado, le università, gli istituti dell’Alta formazione artistica e musicale e anche altri soggetti pubblici o privati.

Tra le novità della riforma, agli studenti viene offerta la possibilità di completare il percorso di studi tecnico-professionali in quattro anni. Gli stessi studenti in possesso di un diploma professionale conseguito dopo un percorso di durata almeno quadriennale potranno iscriversi direttamente ai percorsi ITS Academy (previsti altri due anni di formazione), a seguito di validazione INVALSI. Mentre per gli studenti in possesso del diploma professionale conseguito a conclusione di un percorso di durata quadriennale, è stata stabilita la possibilità di sostenere l’esame di Stato senza esame preliminare.

Per quanto riguarda i contenuti didattici e formativi dei nuovi percorsi di formazione tecnica e professionale, sono previsti il rafforzamento delle materie di base come italiano e matematica e sale anche la qualità dell’apprendistato e dell’alternanza scuola-lavoro (previste più ore nel triennio). Gli istituti arricchiranno l’offerta didattica e i laboratori anche attraverso il coinvolgimento di esperti provenienti dal mondo produttivo e professionale. La nuova filiera avrà, inoltre, un taglio “internazionale”: previsti più scambi con l’estero, visite, stage e soggiorni di studio. 

(Fonte: Riforma Valditara, come cambierà l’istruzione tecnica e professionale )

In soldoni? Dove sta l'inghippo? Dove lo scempio?  A me sembra sia ingiusto, iniquo e inutile che una scelta compiuta a 13 anni debba di fatto condizionare il resto della propria vita, e questo è quanto accadrà differenziando così nettamente il percorso tecnico-professionale da quello liceale. La riforma, con la riduzione a quattro anni della durata del percorso, l'ulteriore incremento delle ore di PCTO (l'ex Alternanza Scuola - Lavoro), la rimodulazione delle ore delle diverse discipline d'insegnamento, avrà per forza di cose come conseguenza un avvicinamento dell'istruzione tecnico-professionale alla formazione professionale regionale; i corsi quadriennali plausibilmente non permetteranno di conseguire il diploma, come si legge in controluce nella possibilità dell'iscrizione diretta agli ITS; probabilmente questo nuovo percoso finirà per fornire un titolo equipollente che permetterà SOLO la frequenza degli ITS Academy ma non delle università. Un ritorno al doppio canale, alla scuola che precede la contestazione del 1968. Un balzo indietro che impedirà quello che vediamo acccadere ogni anno fra tanti nostri maturandi, tanti ragazzi che cambiano idea in corso d'opera durante il loro percorso formativo, indirizzandosi alla fine del percorso di studi della secondaria verso altri interessi e passioni sviluppati in quel periodo fatidico e fondamentale che è l'adolescenza. Certo, gli studenti che dagli istituti professionali e tecnici si iscrivono poi all'università non saranno la maggioranza, ma esistono, l'obiettivo della riforma è, semplicemente, impedire questa possibilità. In un paese che già ora ha meno lauerati rispetto ai paesi comparabili per popolazione e potenza economica, questa riforma rischia di riportarci ad una visione classista e immobile della società, se, come sappiamo, già oggi la scelta del percorso della secondaria di secondo grado dipende tanto, troppo, dalla condizione socioeconomica e da scelte familiari, più che dalla volontà e dagli interessi di studenti che, alla fine della secondaria di primo grado, sono spesso ancora lontani da sapere cosa sono e cosa vorranno essere davvero nella vita.
L'ingiustizia, l'iniquità e l'inutilità di questa riforma sono tutte ragioni valide per mobilitarsi contro di essa e fare sentire la voce di chi ritiene la libertà di scegliere il proprio percorso di vita, a partire dalla prorpria formazione, un diritto inviolabile che non può essere definito a priori da questo o quel ministro e dalle esigenze più o meno immediate di questa o di quella previsione economica interessata di settori industriali e della produzione economica, clamorosamente interessati a che tutto cambi perché nulla cambi mai davvero.

martedì 19 settembre 2023

Una tranquilla giornata di paura

Vi faccio notare che nella stessa giornata abbiamo letto, sentito e discusso di: una norma che allunga la detenzione (ovvero la privazione di libertà) fino a 18 mesi prima di decidere cosa fare di loro per persone che SOSPETTIAMO non avere il diritto di stare in Italia; 
una norma che prevede il ritiro immediato della patente se un pubblico ufficiale SOSPETTA, pur non avendone le prove, l'uso di stupefacenti da parte del fermato, senza attendere le analisi;
una riforma dei professionali e dei tecnici che li differenzia talmente tanto dai licei da non poter non implicare che il titolo di studi che queste scuole forniranno dovrà per forza essere diverso dal diploma dei licei, e quindi impedire l'accesso all'università, come in ben altre e più nere epoche in cui, a seconda del censo, si stabiliva chi aveva diritto all'istruzione e chi ad essere manovalanza;
un programma sulla principale radio nazionale con giornalista, scelto e voluto dal governo per la sua storia di propagatore di notizie infondate e per i suoi insulti al presidente della Repubblica, in cui si intervista come ospite un altrettanto millantatore medico radiato dall'ordine dei medici per le sue posizioni antiscientifiche, e gli viene permesso di spacciare le sue stupidaggini senza contraddittorio nel compiacimento dell'intervistatore.

Tutto in una sola giornata che, forse, a voi può apparire una giornata normalissima, a me pare l'anticamera dell'abisso.

lunedì 11 settembre 2023

The Great Debaters - Il potere della parola


 The Great Debaters - Il potere della parola è un film uscito nel 2007 per la regia di Denzel Washington, che interpreta anche uno dei protagonisti, il prof.  Melvin B. Tolson. La trama del film ripercorre la storia vera della squadra di dibattito del Wiley College, college per soli neri nel Texas del 1935. La squadra, guidata dal suo insegnante, inanella una serie di vittorie tale da indurre il prestigioso college di Harvard a sfidarla. Nella cornice della prestigiosa istituzione per soli anglosassoni il Wiley College prevale nello scontro con tema il valore della disobbedienza civile

 Il valore del fillm non sta tanto nella resa realistica delle gare di dibattito, quanto nella testimonianza di come un evento di per sé secondario, relegato al mondo accademico, come la vittoria di un torneo di dibattito, possa aver contribuito a mettere in luce le contraddizioni e il razzismo della società americana del primo Novecento.

Il film ha ottenuto la caondidatura come miglior film drammatico ai Golden Globe del 2008, e si pregia soprattutto della splendida interpretazione di Washington e di una buona scrittura, anche se talvolta lenta, soprattutto nella prima fase del film, ma a tratti potente, soprattutto nel mettere in scena l'imperante discrimiazione razziale della società americana dell'epoca.


The Sandman

 

Immagine: Wikipedia

The Sandman è una serie tv distribuita da Netflix e basata sulla omonima serie a fumetti di Neil Gaiman.

La prima stagione della serie si basa sulle storie raccolte nel volume Preludi e Notturni e nel volume Casa di bambola. Protagonista della serie è Morfeo, re del mondo dei sogni. Morfeo viene imprigionato da un magus, convinto di aver catturato un altro degli eterni, Morte, per imporle di restituirgli il figlio morto. Assente il re dei sogni, il suo regno è caduto nel caos, e così quando Morfeo riesce a liberarsi è costretto ad adoperarsi per recuperare i suoi arnesi e rimettere in sesto il suo mondo. Nel fare questo però sogno e realtà finiscono peer intrecciarsi, scoprendosi legati visceralmente. Il sogno è quindi la matrice delle speranze, dei progressi come delle paure dell'uomo.
La serie, molto attesa, è stata criticata,in particolare per la prestazione dell'attore protagonista, Tom Sturridge, in realtà molto bravo nell'interpretare l'inespressività del personaggio che interpreta, superiore ai sentimenti umani che tuttavia cerca di comprendere calandosi nella realtà dell'uomo. Proprio per questo gli episodi migliori della serie risultano essere quelli centrali, intitolati 24 ore e Il rumore delle sue ali, dove più traspare questo continuo, incessante anelito a conoscersi tra mondo del reale e mondo dello spirituale. In generale la prima stagione della serie appare ben fatta, anche e soprattutto perché nasce da un grande fumetto. Proprio per questo The Sandman merita il successo raggiunto e risulta una visione consigliata

The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....