mercoledì 28 giugno 2023

Sui fatti di Rovigo

Ho letto articoli sui fatti di Rovigo, sul consiglio di classe che aveva dato 8 e 9 in condotta, alla fine dell'anno, ai ragazzi che che avevano sparato ad una loro insegnante con una pistola a pallini. Alcune considerazioni:

1) i giudizi a furor di popolo sono sempre la peggiore soluzione.

2) l'opinione pubblica fa confusione tra la valutazione degli insegnanti e la sentenza emessa dai giudici.

3) come capita ai detenuti, anche con questi ragazzi si applica l'idea che lo stigma sociale sia qualcosa che deve rimanere sempre e comunque.

4) la collega impallinata ha tutte le ragioni per confondere vendetta e giudizio da insegnante: non si può chiedere alla vittima di essere un buon giudice del proprio caso. Però pretendere che il consiglio di classe non adempia alla propria funzione educativa, anche riconoscendo un miglioramento nei ragazzi, perché l'opinione pubblica, che nulla sa di didattica, di pedagogia e docimologia vuole così, è un esempio di giustizialismo applicato alla scuola.

Cordiali saluti

Sebastiano Cuffari

mercoledì 21 giugno 2023

Quindi, piaciute le tracce della prima prova dell'esame di Stato 2022 - 2023?

Fonte: Corriere.it

So che l'argomento può non essere particolarmente attraente, ma mi pare giusto fare osservare alcune cose "straordinarie" nella prima prova dell'esame di Stato che si è svolta oggi.

Premessa, sono un insegnante di lettere in una scuola secondaria superiore, non un liceo: i miei alunni sono figli di un dio minore, studenti di un istituto professionale. Sono quegli studenti che magari prendono premi, come è capitato ai miei quest'anno, vincitori di una gara nazionale di peogettazione a partire dal tema dell'inclusività, patrocinata da IKEA, ma poi tanto si parlerà dei soliti istituti e l'esame di Stato sarà tarato sui soliti licei. Detto questo, io come molti colleghi credo ancora nel valore dell'esame.  Sono convinto che l'esame di Stato abbia ancora un senso per un insieme di motivi, ma prima di tutto, bisogna essere chiari: non è l'esame di maturità, non lo è da un po' anche nella nomenclatura ufficiale, perché il concetto di maturità è talmente generico da non essere misurabile.

Detto questo, le mie ragioni per essere favorevole all'esame:

1) ragione legale: eliminare l'esame di stato comporterebbe probabilmente accettare di non avere più un valore legale del titolo di studi uguale sull'intero territorio. In linea teorica un esame che preveda la presenza di commissari esterni ha come compito quello di garantire una valutazione che segua gli stessi criteri sull'intero territorio nazionale e che non sia eccessivamente sbilanciata da parte dei consigli di classe (si tenga anche in conto che le scuole oggi ricevono finanziamenti in base alle promozioni e alle eccellenze: una valutazione finale tutta in mano ai consigli di classe potrebbe divenire una manna dal cielo per chi volesse fare cassa per la propria scuola). Se viene meno l'esame viene meno il criterio di uniformità nella valutazione, e di conseguenza il valore legale del titolo.

2) ragione valutativa: è vero che è difficile pensare ad un valore educativo dell'esame in sé, però non è che sia escluso a priori. Valutare serve ad educare, e si può valutare in tanti modi. Poi, a fine di un percorso, occorre anche fare il punto. È legittimo pensare che il punto potrebbe farlo il consiglio di classe (con i limiti esposti prima) ma è anche legittimo pensare invece che i ragazzi si debbano sottoporre a situazioni "autentiche", a confrontarsi con esaminatori che non conoscono sebbene su tipologie di prove su cui si sono allenati.

3) ragione antropologica. L'esame è l'ultimo grande rito di passaggio collettivo che è rimasto nella nostra società (forse assieme alla patente, ma non ne sono più così sicuro). Non per il valore dell'esame in sé , quasi simbolico (i bocciati sono al massimo uno 0,4%, anche perché c'è in precedenza un 4% di non ammessi all'esame), ma i riti di passaggio servono, cementano una società, sono un momento di condivisione di valori, idee, paure e speranze (basta pensare al valore che ha avuto un momento collettivo che abbiamo attraversato tutti come la pandemia). È la ritualità dell'esame a contare, insomma. Eliminare l'esame vorrebbe dire eliminare la tappa finale di un percorso, la bandiera a scacchi, ed eliminare un momento che per molti è il primo vero mettersi alla prova (a volte l'ultimo dal punto di vista dello studio).

Ok, detto tutto ciò, più capitano giornate come queste, più ti viene voglia di ricrederti. Mai come quest'anno l'esame è stato politicizzato. Sarebbe bastato osservare le chat dei docenti per accorgersene: colleghi sconcertati per le tracce proposte dal ministero. Di nuovo, un inciso: la polemica sul programma che non si completa, sul "ma noi Moravia non l'abbiamo studiato" è pretestuosa. Intanto perché è impossibile fare tutto, e dove tagli, sbagli: vallo a spiegare ad un genitore che non tratti Verga per fare Moravia, che tralasci Pirandello o D'Annunzio per fare Pasolini o Eco. E poi c'è da smettere di educare l'opinione pubblica ad una visione finalistica, teleologica dello studio: tutto in funzione del Novecento, tutto si compie nel Novecento. Inoltre la polemica è pretestuosa perché le tracce di analisi del testo devono valutare, a punto, la capacità di analizzare testi, di qualsiasi tipo. Altrimenti non si spiegherebbe come mai in passato si sia assegnata l'analisi di autori ancora viventi come Magris, che di certo non si possono studiare nella nostra scuola.

Sì, però la scelta delle tracce non è secondaria. Vediamole le tracce di oggi: la prima, quella di analisi di una poesia di Quasimodo, aveva nel testo da analizzare delle implicazioni filosofiche che tagliavano fuori tutti gli studenti che non studiano filosofia, come quelli dei tecnici e dei professionali; la seconda, quella di analisi di un brano da Gli indifferenti di Moravia, trattava sì un periodo studiato bene o male da tutte le classi, gli anni '30 del Novecento, ma un taglio privato, guai a fornire elementi per discutere davvero di cosa sia stata l'Italia di quegli anni. Si potrebbe dire tuttavia che queste tracce siano state più o meno nella norma: a volte ne abbiamo viste di migliori, ma anche di molto peggiori. Certo, la normativa dice che le tracce dovrebbero coprire l'intero arco temporale che va dall'unità d'Italia ad oggi, mentre qui si coprono a stento trent'anni, ma vabbè.

Poi arrivano i primi, grandi, segnali. La traccia di analisi e produzione di un testo argomentativo tratta da un libro di Piero Angela pecca nella scelta del passo: fuori contesto non risulta immediatamente chiaro dove voglia andare a parare, propone un'idea di sviluppo esclusivamente legato alla produzione. Comunque interessante il concetto di distruzione creativa in economia (in realtà non recentissimo, e non per forza confermato dai fatti). Comunque la traccia migliore della giornata. Poi arrivano il concetto di nazione nell'Ottocento (ma come, in quinta non dovevamo parlare solo di Novecento?) e Oriana Fallaci e il suo rapporto con la storia: tutte tracce chiaramente ispirate a temi e idee dettate da una certa visione ideologica, anche solo nel modo in cui si sono tratti i brani dalle opere di partenza o nella scelta degli autori (vero che poi, a leggerla, la traccia di Fallaci non consente sbocchi reazionari, mentre nella traccia sull'idea di nazione, è più la richiesta della consegna a condurre verso una visione ideologica che il testo di Chabod fornito in sé).

Ed ecco l'orrore. La traccia in cui viene proposta una lettera che contesta l'operato dell'ex ministro Bianchi. Prima cosa, formale: la lettera a Bianchi era citata male, senza neanche indicare chi fossero i firmatari dell'appello. Errore da principianti da parte di chi dovrebbe valutare i ragazzi sulla tecnica dell'argomentazione. 

Seconda cosa, di sostanza: c'erano tanti modi per chiedere agli studenti di riflettere sul valore dell'esame di Stato, e il 99,9% di questi non passava dall'uso di una lettera disinformata e pedagogicamente infondata, utile solo a tirare i maturandi dentro una polemica tutta politica e ideologica.

Segue la traccia su WhatsApp e la perdita del "tempo dell'attesa", della noia. Anche in questo caso, il rischio del banale moralismo è dietro l'angolo: solo gli alunni che studiano psicologia, quelli del liceo delle scienze umane, possono scrivere qualcosa di ragionevolmente argomentato, gli altri ad andar bene scimmiotteranno Gramellini. È quello che vogliamo? Dei temi su quanto si stava meglio quando si stava peggio, o tempora, o mores?

Insomma, ho provato imbarazzo di fronte ai miei alunni per le tracce su cui hanno dovuto lavorare. Banale moralismo, i fondamenti della tradizione, poco altro. Niente sui diritti civili, niente su temi che hanno sentito molto più vicini, niente sul cambiamento climatico, sulla guerra in corso, sulle migrazioni, sull'inclusione, nulla. Stando alle tracce non esiste alcuna questione riguardante i diritti. Anche negli anni passati abbiamo visto delle tracce di chiaro indirizzo politico, ma mai un simile sbilanciamento. Non è indifferente: quanti docenti l'anno prossimo sceglieranno di approfondire tematiche che seguano questo indirizzo ideologico per evitare che i propri studenti arrivino disarmati al prossimo esame?

sabato 17 giugno 2023

Debate, Manuale pratico per l'uso in classe, Alessandra Zoffoli

 


Debate, Manuale pratico per l'uso in classe, di Alessandra Zoffoli con prefazione di Daniela Paone è un agile volume che si pone come scopo quello di dare indicazioni operative sull'introduzione e l'uso a scuola di una pratica didattica sempre più diffusa, il Debate.

Il libro suddiviso in 13 capitoli introduce la pratica e il suo sviluppo internazionale; successivamente analizza lo stato dell'arte del dibattito regolamentato in Italia. Seguono i capitoli che calano il debate nella pratica scolastica, descrivendo il setting, obiettivi e caratteristiche dei protagonisti della gara, debater e giudici. Zoffoli poi si concentra sulle attività preliminari che servono ad avvicinare lo studente al dibattito regolamentato: attività di public speaking, attività di analisi delle tesi e di strutturazione del dibattito, attività di ricerca e di documentazione delle argomentazioni (secondo il modello A. R. E. L. )  e delle confutazioni. L'ultimo capitolo è invece totalmente dedicato al docente, espilicitando criteri e metodi della valutazione del dibattito, fornendo griglie per i giudici e fogli utili per gestire la valutazione.

Il libro di Zoffoli in poco più di 100 pagine quindi fornisce quanto necessario a docenti e studenti per iniziare ad addentrarsi all'interno di una pratica che ha in realtà  una storia secolare, e che quindi può raggiungere profondità speculative illuminanti. È presente quindi tutto ciò che si può dire sul debate? Asslutamente no, e l'autrice si premura più volte di rimandare a volumi più corposi e approfonditi, come quelli di Giangrande, tuttavia se si vuole avvicinare al dibattito una classe o un singolo gruppo di docenti, questo libro appare un valido strumento, almeno per iniziare ad approntare una classe di dibattito.

venerdì 16 giugno 2023

Prima lezione di grammatica, Luca Serianni



Prima lezione di grammatica, di Luca Serianni, è un utilissimo volumetto ormai quasi inutile, uscito nel 2006. Certamente occorre spiegare l'ossimoro che ha introdotto questa recensione.

Intanto il volume si apre con una splendida ed indicativa citazione

Non può mai darsi una regola tanto vergine che da qualche eccettione non sia deflorata

Loreto Mattei

Sfogliando il volume, o leggendo l'indice, si capisce che l'intenzione dell'autore, più che produrre un manuale descrittivo delle canoniche regole della grammatica italiana, sia quello di anlizzare come questa grammatica si faccia canone e come eccezioni o presunte tali incrinino il canone stesso nel corso del tempo; meglio ancora, Serianni si sforza di mostrare e spiegare regole grammaticali, e al contempo di svelare nelle eccezioni alla regola la fluidità della lingua, il suo uso concreto, anche a costo di smascherare luoghi comuni, come quello sull'uso del congiuntivo:

Sarebbe facile replicare, dunque, a molte considerazioni del genere, ed è certo doveroso farlo, sempre ispirandosi ai toni e alla civiltà di un Nencioni. Si può e si deve ricordare, ad esempio, che il parlato ha altre regole rispetto allo scritto e che la televisione, tanto spesso imputata di essere la principale responsabile del degrado, ha dato largo spazio al parlato reale ed è diventata piuttosto rispecchiamento che modello di lingua (e aggiungendo che ciò è stato possibile per l’appunto perché la lingua parlata oggi in Italia è molto più compatta e diffusa di quel che fosse quarant’anni fa). Oppure collocando nella storia fatti e tendenze che il parlante avverte operanti nell’immediatezza del presente in cui è immerso e precisando, poniamo, che il congiuntivo non è morto, né è recente l’assedio postogli dall’indicativo: dopo una completiva l’indicativo è spesso una semplice alternativa colloquiale, possibile fin dal XIV secolo, e per un’ipotesi irreale nel passato («Se lo sapevo, non partivo») l’uso è antico e ben acclimato persino in poesia.

Così il volume, diviso in 17 capitoli, affronta il rapporto tra lingua scritta e lingua orale, l'evoluzione della lingua, nonché il pproblema della canonizzazione della lingua attraverso la grammatica; in seguito analizza più nel dettaglio alcune questioni specifiche del funzionamento della grammatica della lingua italiana: la coerenza, la coesione linguistica, l'uso dei connettivi e dei coesivi, la scelta dei grafemi e della punteggiatura,, la coniugazione del verbo,  e l'uso della proposizione relativa, per giungere persino ad accennare ad una questione allo stesso tempo grammaticale e sociale, ovvero la questione dell'uso dei nomi e degli aggettivi al femminile.

Per tornare a quanto affermato all'inizio, il problema del libro non è il libro in sé, scritto con grande cura e maestria dal compianto Serianni; il problema sta semmai nell'oggetto di studio, che, a punto perché vivo, non è più oggi, o non lo è del tutto, quello che descrive Serianni ormai quasi vent'anni fa. Rimangono comunque condivisibili molte delle tesi di Serianni, per esempio quelle poste a conclusione dell'opera:

D’altra parte: chi denuncia una decadenza generale della proprietà linguistica in cui nessuno si salva, oltre a manifestare lagnanze inutili (lanciando un telum sine ictu, si sarebbe detto un tempo), mostra di non tener conto del naturale dinamismo della norma che non è mai fissata una volta per tutte e che, in ogni epoca, consente di distinguere chi la domina (e magari, in qualche aspetto marginale, contribuisce a orientarla) e chi non sa ancora controllarla o non ne ha mai assimilato la dinamica; come diceva quello, si tout le monde a tort, tout le monde a raison. Tradizionalmente, il problema del buon uso linguistico si è posto sempre (talvolta persino in modo esclusivo) in riferimento allo scritto, mentre nel parlato – almeno in quello più spontaneo – un’eccessiva cura linguistica è stata addirittura stigmatizzata («Parla come mangi!»). Oggi il parlato ci circonda da ogni lato, questo è vero; ma non è men vero che la nostra epoca è un’epoca alfabetizzata, al punto che la scrittura può competere con la comunicazione orale (posta elettronica e sms / contatti personali e telefonate) e comunque condiziona lo stesso immaginario linguistico.

La lettura del volume di Serianni è quindi consigliata a chiunque si occupi di lingua, o perché la insegna o perché la maneggia, per avere una prima infarinatura su questioni complesse, come la desccrizione sincronica delle regole della lingua nei suoi diversi registri, e la descrizione diacronica dello sviluppo di queste regole. 

The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....