Esce oggi sul Corriere, con titolo La mia "provocazione" su Dante, un articolo con cui il ministro della cultura Sangiuliano cerca di chiarire la sua posizione su Dante: recentemente, infatti, intervistato, il ministro ha sostenuto che Dante sia il padre del pensiero politico della destra italiana. A me pare che le citazioni più compiute del ministro a sostegno della propria tesi siano, però, riletture di Dante da parte di pensatori che, a loro volta, esprimono un pensiero conservatore (a volte ultraconservatore come Gentile e Spengler) e, soprattutto nel caso di Gentile, tutt'altro che disinteressato: dire che per Gentile Dante è il fondatore della nazione (lì dove Gentile aveva obbligo e interesse a difendere il concetto di nazione come elaborato dall'ideologia fasccista a cui aderiva) è cosa ovvia; come avrebbe potuto infatti il filosofo disfarsi dell'autore più importante della nostra storia letteraria? E perché avrebbe dovuto farlo? Ma è anche vero che nell'ambito della Neoavanguardia, decenni dopo, come detto dal ministro Dante è stato visto e studiato come l'esempio perfetto di ciò che è e si pone come inamovibile e reazionario (Eco e Sanguineti). Ancora oggi Luciano Canfora conferma come Dante sia stato indubbiamente un pensatore reazionario, riprendendo una tesi già espressa da Le Goff, pur invitando a contestualizzare Dante nel suo tempo e nei suoi luoghi. Invito che arriva anche da Silvia Tatti, presidente dell'Asssociazione degli italianisti. A me francamente non stupisce che il ministro si richiami a Dante: se sei un conservatore è chiaro che ti richiamerai alla tradizione. Il richiamo culturale è quindi ovvio. Semmai mi impensierisce il voler fare di Dante il padre politico del pensiero della destra italiana: Sangiuliano dice che Dante fonda l'idea di nazione e l'idea di persona a cui si ispira ancora la destra che lui rappresenta. In che senso? La nazione di cui parla Dante è, per esempio, qualcosa di molto diverso rispetto alla nazione moderna, e l'uso che il ministro fa degli scritti danteschi assomiglia al riuso del Medioevo in chiave antiilluminista fatto dai romantici (e infatti gli autori che Sangiuliano cita usarono Dante in chiave antipositivista); Dante è un uomo che crede nel valore della guerra santa, non crede semplicemente in uno stato razionalmente retto su base gerarchica, come dice il ministro, ma crede che l'autorità di chi governa abbia radici sacre e non sia semplicemente espressione della volontà popolare. È questo lo stato che pensa di esprimere la destra italiana, quello in cui chi governa non lo fa perché eletto ma perché unto dal signore? È o no uno stato laico? Le leggi sono o no fondate su principi religiosi? Il concetto di persona di Dante, seppur ammirevole, è figlio del suo tempo: Ulisse, esempio di uomo che arde di desiderio di conoscenza, pur ammirato, sta all'inferno; Paolo e Francesca, che sfidano la famiglia imposta gerarchicamente da altri, pure; gli omosessuali stanno nello stesso luogo. Non per niente tutti gli autori citati da Sangiuliano per difendere la sua tesi sono fermamente nemici ad uno studio storicistico di Dante. Il Dante di Sangiuliano, più che il Dante storico, è un Dante visto attraverso le lenti di una ideologia. Insomma, quella del ministro è un'operazione comprensibile, non banale, che chi ha criticato, come Bonelli, ha criticato in malo modo, ma ha anche delle implicazioni culturali e politiche che non mi convincono affatto o addirittura mi lasciano perplesso.
lunedì 16 gennaio 2023
La morte eroica nell'antica Grecia, Jean-Pierre Vernant
La morte eroica nell'antica Grecia è un piccolo volumetto, che nasce come trascrizione approfondita di una breve conferenza tenuta dal Jean-Pierre Vernant sul tema.
Il saggio mette in luce come la morte eroica appartenga a quell'insieme di valori e comportamenti che identificano l'uomo non comune nella Grecia, καλός καὶ ἀγαθός, il cui esempio più fulgido è Achille. Una società che non possiede un'idea di oltretomba, o che, meglio, crede che dopo la morte ci sia una sorta di eterno oblio la cui caratteristicha è la perdita di ogni memoria e differenza, questa società costruisce il culto della morte eroica come tentativo di affermare la propria individualità qui e ora, anche mettendo in gioco tutto. La morte eroica è quindi un valore legato al coraggio e alla giovinezza; ed è soprattutto un valore legato al mantenimento della memoria, al far tramandare il proprio nome e le proprie gesta in eterno, oltre e contro un mondo della morte che tutto oblia. Quello della morte eroica è pure un valore non esente da contraddizioni, come mostra l'esempio di Ulisse, che vuole conoscere cosa si dirà di lui, anche a costo di sottoporsi, legato, al canto delle sirene, ma che la morte eroica evita, concludendo alla fine il suo lungo viaggio di ritorno. Ed è ancor più contraddittorio l'atteggiamento di Achille che, incontrato Ulisse nel suo passaggio da vivo nell'Ade, ammette di preferire un vita umile all'essere re delle anime dei morti ma morto giovane; ancora di più, nel confronto con Priamo che chiede la restituzione del cadavere di Ettore, proprio per concedere al figlio gli onori della morte eroica, emerge nella riflessione di Achille la vanità di questa costruzione culturale.
Quello di Vernant è un bel saggio, breve, chiaro, non ricchissimo di esempi ma curato. Ne è consigliata la lettura a chi voglia approfondire la conoscenza della mentalità delle élite della Grecia antica, a chi ami l'epica o anche solo a chi si voglia avvicinare a questo mondo.
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