sabato 19 febbraio 2022

Vivaddio che ci sono gli studenti

Negli ultimi due anni gli studenti italiani (definizione talmente generica da essere quasi imbarazzante - di che età e sesso stiamo parlando? Studenti del centro o delle periferie? Del nord, del centro o del sud Italia? Cittadini italiani, neocittadini o in attesa di cittadinanza? Con o senza problemi di disabilità o con disturbi dell'apprendimento?) hanno protestato, manifestato e occupato le loro scuole varie volte. Hanno manifestato per tanti motivi, alcuni che condivido, altri meno, altri proprio per niente: per una DAD organizzata per bene, per tornare in presenza a scuola, per delle scuole sicure, per essere vaccinati, contro il razzismo, contro le discriminazioni di genere, contro il ripristino delle prove scritte all'esame di stato, contro il dress code a scuola, contro un PCTO talvolta privo di valore educativo o formativo, per condizioni sicure durante gli stage. Quando i ragazzi protestano hanno sempre ragione? No. Eppure i nostri ragazzi argomentano le loro ragioni, motivano le loro proteste, cercano la discussione con il mondo adulto. E come risponde il mondo adulto? Li guarda dall'alto in basso, con fare paternalistico, accomuna la minorità anagrafica alla minorità mentale; sminuisce le proprie responsabilità, li convoca solo per comunicare decisioni già prese, usa due pesi e due misure per giudicare il comportamento dei giovani e quello dei loro maestri, nasconde i propri sbagli, li giudica.
Ma siamo sicuri del fatto che il mondo adulto conosca e capisca questi ragazzi? E non parlo solo della questione generazionale, dell'atteggiamento tipico dell'adulto che da secoli guarda ai giovani e pensa che "ai suoi tempi" certe cose non si facevano né pensavano. No, il punto è che, al contrario del luogo comune diffuso dagli adulti, le generazioni di studenti che abbiamo allevato negli ultimi decenni sono, tutte, più istruite, colte, competenti e preparate degli adulti che li guardano dall'alto in basso; e gli studenti di oggi sanno che vivranno, tutti, peggio degli adulti, mediamente più incompetenti di loro, che li ammoniscono paternalisticamente che no, così non si fa. Adulti il cui tasso di analfabetismo funzionale è fra i più alti dell'Occidente che decidono su studenti fra i più preparati e pronti al cambiamento della storia della nostra nazione - e che per paradosso sono accusati di non capire, di essere impreparati -. Una distopia, in pratica.
Vivaddio che ci sono gli studenti a protestare.

Una delle cause della Rivoluzione francese, non l'unica né la principale, fu il fatto che una generazione di giovani, borgesi, istruiti, colti, raffinati, arrabbiati, vedeva il proprio destino nelle mani di adulti, aristocratici, vecchi, incolti, impreparati e incompetenti, non disponibili a mollare anche solo un briciolo del potere, anzi convinti di avere il diritto di giudicarli e decidere per loro. La rivoluzione non fu solo una lotta di classe: fu anche una battaglia fra generazioni, e uno scontro culturale.
Dovete ringraziare che nel nostro mondo, nel nostro paese, i giovani siano in proporzione molti di meno che nel 1789.

foto: skuola.net

venerdì 11 febbraio 2022

Strappare lungo i bordi, Zerocalcare


Strappare lungo i bordi di Zerocalcare è una splendida serie animata messa in onda su Netflix a partire dalla fine del 2021. La serie riprende la trama del volume d'esordio del fumettista di Rebibbia, La profezia dell'armadillo, pubblicato nel 2011. Attraverso uno sviluppo orizzontale e un intreccio che, con continui salti temporali e flashback, alterna il presente e il passato del fumettista, scopriamo il motivo del viaggio che sta conducendo Zero da Roma a Biella: presentarsi al funerale dell'amica Alice, un amore mai nato per colpa della paura di vivere del protagonista.

Attraverso i suoi flashback Zerocalcare affronta il disagio della periferia, la sensazione di vivere una vita inespressa, l'incapacità di immaginare degli obiettivi per una esistenza in cui ci si sente scaraventati, la paura di esporsi e di rischiare. Complemento del protagonista sono i suoi amici, Secco, apparentemente imperturbabile e vacuo, in realtà più attento ai dettagli che lo circondano dello stesso protagonista, e Sarah, razionale, indomita, ancora speranzosa per unna vita futura migliore malgrado le batoste prese e che prenderà. E poi c'è l'armadillo, la rappresentazione simbolica della coscienza del protagonista, con cui spesso si trova a dialogare, disvelandone gli autoinganni.

La serie riprende, ovviamente, lo stile di disegno di Zerocalcare. Il ritmo è rapido, lo stile raffinato, il registro colloquiale condito del romanesco che contraddistingue la parlata dell'autore, la narrazione sottilmente colta.

Strappare lungo i bordi è senza dubbio la serie più sorprendente dell'anno su Netflix, ben più di produzioni più blasonate; una delle cose migliori fatte in Italia negli ultimi anni.

giovedì 10 febbraio 2022

Langone, le prove scritte, la demenza digitale

 


Scrive oggi Langone su Il Foglio allo scopo di difendere le prove scritte dell'esame di Stato.

[…] la scrittura è un antidoto al veleno digitale. Una piccolissima dose, visto che se non sbaglio stiamo parlando di pochi fogli e una biro, non di interi codici miniati e penne d’oca, eppure meglio di niente. “Il digitale ora si sta mangiando fette del mondo fisico” dice il neuroscienziato Vittorio Gallese. Felice la scelta del verbo: mangiare. Sinonimo di divorare, sbranare, consumare… Gli schermini a cui stiamo incollati tutto il non più santo giorno sono i principali indiziati del calo del QI registrato guarda caso nei paesi tecnologicamente avanzati, guarda caso dal 2000 in avanti, prima dal francese Christophe Clavé e poi dal tedesco Manfred Spizter, neuropsichiatra anch’egli e autore di “Demenza digitale”. Si pensa che il rimbecillimento collettivo derivi, almeno in parte, dall’impoverimento lessicale e dalla semplificazione appunto della scrittura: “La scomparsa delle lettere maiuscole e della punteggiatura sono colpi fatali”. Digitare un brevissimo messaggio su Whatsapp e vergare un ragionamento su carta sono, ai fini dell’intelligenza, azioni molto diverse. Lo vedo con le mail, decadute perché percepite come troppo impegnative, troppo formali, troppo lunghe. Tante persone anche attempate preferiscono messaggiare, le mail vanno oltre le loro attuali capacità cognitive: serve un oggetto, una chiusa, una firma… Non sono più capaci di scriverle e cominciano a non essere più capaci di leggerle, l’ho sperimentato varie volte. Viva le prove scritte, dunque, viva la scuola pre-digitale ossia la scuola del Novecento: il secolo in cui il Quoziente d’intelligenza cresceva sempre. 

Mi pare però che il giornalista mescoli cose diverse: l'inversione dell'effetto Flynn, l'abbassamento del Q. I.  si registra dagli anni 70, non c'entra con il digitale. Secondo alcuni studi poi il calo registrato nelle misurazioni del Q.I. sarebbe fisiologico (al netto del fatto che il Q.I. stesso è un parametro non del tutto oggettivo e comunque limitato): dato che il cervello si adatta plasticamente all'ambiente e stiamo sviluppando una società sempre più interconnessa in cui la nostra reciproca interdipendenza cresce giorno dopo giorno, assistiamo ad una fase in cui tende a prevalere l'intelligenza collettiva più che quella individuale.

Al netto di tutto ciò. per quanto riguarda la scrittura i neuroscienziati dovremmo forse tenere a mente la filologia classica. Scopriremmo che nell'antichità classica, quella greco-romana, non esisteva distinzione tra minuscolo e maiuscolo né l'uso degli spazi, è questo non ha impedito a Platone di scrivere la Repubblica, a Clistene di inventare la democrazia, a Cicerone di stendere le filippiche e via dicendo. Tra l'altro, come sanno i neuroscienziati, l'area del cervello che adoperiamo per la letto-scrittura è un'area di risulta, non nasce con quella funzione; questo uso è un suo adattamento recente e non c'è ragione per non pensare che il lobo temporale si possa adattare nuovamente alle sollecitazioni dell'ambiente. Tra l'altro, le osservazioni di Spitzter, che Langone cita, sono state criticate proprio perché individuavano il Q. I. come unico parametro e criterio di misurazione dell'intelligenza (si pensi invece all'apporto, anch'esso contraddittorio, delle intelligenze multiple di Gardner) e instaurano un rapporto causale lì dove forse è più plausibile ipotizzare un rapporto di correlazione. la domanda è, i nostri alunni ragionano male e scrivono male (sempre che sia vero nei gradi numeri) per la digitalizzazione o il fattore che abbrevia i tempi di concentrazione è un altro ed è lo stesso che poi agisce sulla scelta di scrivere in registri linguistici informali e rapidi e preferendo il digitale? È il digitale che sta togliendo il tempo della riflessione, o è la scelta della società di vivere in maniera sempre più interconnessa e frenetica che spinge ad accelerare sempre e comunque, nella vita normale come in digitale?

Sia chiaro: non si sta dicendo che andrebbe abolita la scrittura, ci mancherebbe. Si dice che è semplicistico il lavoro di concausazioni che fa Langone [calo nei risultati Q.I. (che in realtà precedono il digitale) - peggioramento nella qualità della scrittura (peggioramento che andrebbe dimostrato: sulla base di quali dati lo si  misura o su che criteri? Ad esempio uno studio condotto nei college americani ha dimostrato che alla percezione di un peggioramento nella scrittura non corrisponde la realtà, e dal confronto  fra gli scritti di inizio Ventesimo secolo e quelli degli studenti attuali, il numero di errori non differisce in maniera significativa);  si tratta di un peggioramento localizzato in alcune aree o in tutto il pianeta? È o no correlato con altri fattori sociali ed economici? - diffusione del digitale). Secondo alcuni antropologi  gli uomini del Paleolitico che vivevano in piccole comunità avevano un Q.I. superiore a quello degli uomini che li hanno seguiti - per intenderci, gli uomini pre e a cavallo della rivoluzione cognitiva - proprio perché a poco a poco "l'intelligenza collettiva" ha iniziato a sopperire a quella individuale. Stando così le cose, quello che è avvenuto nel Ventesimo secolo, la crescita dal Q. I., sarebbe l'eccezione nella nostra evoluzione, non la norma, e dimostrerebbe semmai un periodo di forte prevalenza dell'individualismo. E quelle erano comunità prive della scrittura. 

Infine, la correlazione tra il pensare bene e alcune scelte grafiche nella scrittura esiste, ma non pare essere così significativa: anzi, a dirla tutta,  la scelta di iniziare ad usare la spaziatura, segni diacritici più chiari, la distinzione tra minuscolo e maiuscolo corrisponde ad un tentativo di semplificazione della scrittura, a tutto vantaggio di finalità pratiche e di massa, non dell'elaborazione simbolica e complessa. Semplificazione è anche scrivere xke in un sms come facevamo noi due decenni fa, cosa che i nostri alunni non fanno più. E perché lo facevamo? Perché lo strumento lo richiedeva: ma perché lo strumento lo richiedeva? Non per limiti dello strumento in sé, ma perché la società intorno ci chiedeva di usare in quel modo lo strumento (il costo per ogni sms e il limite arbitrario di 40 caratteri). Insomma, pare che nel testo di Langone si evidenzino delle correlazioni ma le si tratti come concause.

Riguardo al calo dell'attenzione lamentato da Langone e da molti altri, questo è  provato dagli studi di neuroscenziati, che dimostrano come il tempo medio di'attenzione sia passato da 12 a 8 secondi. Quello che, di nuovo, si contesta è l'assunto: dato che calo del Q.I., abbassamento della durata della concentrazione e diffusione del digitale sono contemporanei, allora l'uno è causa degli altri. Correlazione non vuol dire causazione, altrimenti potremmo dire che la causa dell'abbassamento del  Q.I. medio sia la scomparsa contemporanea dei ghiacciai delle Alpi. Quello che si afferma qui è che i fatti siano correlati ma che la causa di tutti e tre i fatti stia a monte, e stia nell'organizzazione della società che ci stiamo dando. Non siamo più interconnessi perché usiamo il digitale; usiamo il digitale perché siamo più interconnessi e non potremmo essere più interconnessi con i metodi analogici. Idem per la scrittura: non scriviamo peggio (sempre che sia vero) perché usiamo il digitale, ma usiamo il digitale perché vogliamo scrivere peggio - ovvero in maniera più rapida e adatta ai tempi che la società intorno a noi sta richiedendo.

sabato 5 febbraio 2022

Alla mia domina

Ci sono poeti avvinti
Nei tuoi capelli
Ci sono poeti che muoiono
Per il tuo saluto
Ci sono poeti perduti
Nel ricordo
Della tua giovinezza

Ma tu non sei quella donna
Il tuo seme nascosto
Celato al mondo
A me l'hai donato:
Ché lo custodissi
Nel tuo segreto
Struggimento?

L'ansia e la noia
T'oscurano la vista
Ne mortificano la Grazia
E più non conosci
La tua bellezza sopita
Che dorme, ma non è sparita
Il sole che brilla
Nell'occhio socchiuso
E io lo conservo
Come un bene prezioso
Tesoro e castello
E cavaliere inesistente

Ci sono poeti
Che hanno sceso gradini
Per amori ciechi
Ma tu scali il pendio
Ed io
Sarò quell'ombra
Che ti sorreggerà
Ovunque
Fino alla cima

venerdì 4 febbraio 2022

Fallacie: I 59 inganni della logica piu’ importanti con semplici descrizioni ed esempi, Steve Allen

 

Fallacie: I 59 inganni della logica piu’ importanti con semplici descrizioni ed esempi, di Steve Allen è un libretto contraddittorio e che lascia con l'amaro in bocca.

L'autore con questo testo si ripromette di fornire al lettore digiuno di logica dei facili strumenti per addentrarsi in uno degli aspetti più utili della logica informale: le fallacie logiche.
Suddivise per categorie, il testo spiega e analizza le 59 fallacie logiche più conosciute e diffuse, corredando definizioni e spiegazioni con un discreto numero di esempi. E qui vengono a galla i problemi: definizioni, spiegazioni ed esempi sono accompagnati e spesso complicati da numerosi errori e imprecisioni nella traduzione, tanto da rendere in realtà a volte difficoltosa la comprensione di ciò che l'autore vuole affermare se non si conosce almeno un minimo l'argomento. Insomma, un libro per neofiti è inaccessibile ai neofiti, mentre per poterlo apprezzare occorre essere in grado di cogliere, comprendere e reinterpretare gli errori di traduzione dei termini tecnici.

Chiude l'opera la dichiarazione autoriale di adesione a teorie neurolinguistiche più o meno attendibili, l'invito a seguire chi scrive nelle altre sue opere, guide al successo allo sviluppo personale, insomma conclusioni illogiche e fondate sul pensiero magico a corredo di un'opera che vuole aiutare il neofita nell'addentrarsi nella logica argomentativa. Consigliato solo a chi voglia un agile manualetto sulle fallacie logiche per una rapida consultazione, in mancanza di meglio.

giovedì 3 febbraio 2022

Cesare Beccaria sulla pena di morte

 Nel suo Dei delitti e delle pene (1771) Cesare Beccaria tratta in maniera analitica e argomentata il tema dell'utilità e della proporzione della pena e degli strumenti inquisitori. Nel capitolo XXVIII in particolare l'autore analizza l'uso della pena di morte, sostanzialmente confutandone l'utilità.

Secondo Beccaria nessuno stato ha diritto di usare la pena di morte perché questo diritto non esiste. Secondo la mentalità liberale e contrattualista a cui Beccaria fa riferimento infatti la società si sviluppa sulla base di minime concessioni della propria libertà da parte dei singoli individui, e la somma di queste concessioni costituisce la volontà collettiva; stando a questo assunto, è impossibile che qualsiasi cittadino conceda alla società qualcosa che è tutt'altro che una minima concessione, ovvero il bene massimo, cioè la propria libertà. Inoltre, se è una posizione condivisa che nessuno che appartenga ad una società possa disporre del proprio corpo fino a darsi volontariamente la morte, come è possibile pensare che questo stesso diritto che nessun cittadino possiede venga poi invece dallo stesso cittadino ceduto allo stato?

Beccaria immagina anche una possibile obiezione: l'uso della pena di morte da parte di uno stato non ha a che fare con il diritto; semmai si tratta di un vero e proprio atto di guerra da parte dello stato contro un cittadino, di cui risulta utile e necessaria la distruzione. Quali sono le condizioni in cui questa distruzione potrebbe essere utile? Per Beccaria si tratta di due casi: qualora questo cittadino, anche se detenuto, mantenga tanta potenza da sovvertire lo stato, e qualora la morte del condannato possa essere un deterrente che faccia in modo che altri non commettano lo stesso tipo di delitti.

Tuttavia Beccaria confuta queste argomentazioni: riguardo alla necessità di uccidere un cittadino che potrebbe sovvertire lo stato, per l'autore, se lo stato è ben ordinato e fonda la sua esistenza sulla volontà collettiva precedentemente citata, questa condizione non può sussistere; riguardo poi alla funzione di deterrenza, è esperienza comune che la pena di morte non riduca i delitti, perché ciò che può indurre la deterrenza non è l'episodio momentaneo, anche se traumatico, come può essere la condanna a morte; la detterrenza semmai si ottiene con la ccertezza della pena e sapendo che le pene si  prolungheranno nel tempo: in questo caso agirà la prima matrice dei comportamenti umani, l'abitudine, che porterà sia il condannato che i suoi emuli a modificare i propri comportamenti e le proprie pulsioni. Del resto, proprio la vista dell'episodio momentaneo e traumatico della pena di morte non suscita negli spettatori l'auspicato terrore della pena, semmai suscita disgusto e pietà verso il condannato.

Conclude quindi Beccaria sostenendo che la pena debba essere proporzionale al delitto e avere come unico obiettivo rendere impossibile la ripetizione del reato: per questo la pena non può essere una guerra dello stato contro il cittadino. Proprio perché la funzione della pena deve essere quella di rieducare il reo e di impedire la reiterazione del reato, anche di fronte al peggiore dei reati e al più convinto dei colpevoli non sarà necessario ricorrere alla pena di morte, ma basterà l'uso dell'ergastolo.



The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....