lunedì 31 gennaio 2022

Il penoso dialogo sulla scuola tra Canfora, Mastrocola e Ricolfi


Penoso, penoso e penoso il "dialogo" pubblicato su Repubblica tra Canfora, Mastrocola e Ricolfi. Tema? Il declino della scuola e il bisogno di salvarla. Argomentazioni: aneddotica, comparazioni insiemistiche tra sistemi incomparabili, nozionismo, fallacie logiche e presunzione. Esempi?

Ricolfi: "Quarant’anni fa arrivava al diploma un ragazzo con licenza elementare su quattro. Oggi solo un ragazzo con licenza media su sei si laurea. L’Italia è uno dei paesi dell’Occidente che ha il numero di laureati più basso". (Per i non addetti ai lavori, questa è una comparazione indebita tra sistemi incomparabili, quello dei diplomati e quello dei laureati, come se comparassi mele e arance solo perché sempre di frutta si tratta)

Mastrocola: (si parla di alternanza scuola lavoro, tra l'altro in riferimento alla morte del ragazzo di Udine che NON era in alternanza scuola-lavoro) "l danno però risale a mio avviso a qualche tempo prima, tra il 1999 e il 2000, al Piano dell’offerta formativa di Luigi Berlinguer. Da allora le scuole per risultare competitive e attrarre l’“utenza” si sono messe a offrire di tutto, dal progetto di cucina medievale alla lettura attoriale dei Promessi Sposi." (L'alternanzza scuola - lavoro non è un progetto, non ha nulla a che fare con i progetti, ma per Mastrocola qualsiasi cosa non sia l'insegnamento dell'italiano è un progetto).

Ricolfi: "Dopo aver abbandonato il progetto di frequentare ingegneria mi iscrissi a sociologia a Trento, allora il sancta sanctorum della contestazione. Ma l’orrore degli esami di gruppo mi spinse a tornare a Torino, con la convinzione maturata sul campo che circa 95 sessantottini su 100 non avevano alcun interesse per lo studio." (Valutazione generica, priva di metodo, fondata sull'assunto indimostrato che un esame che non rientra nei gusti dell'autore sia per forza qualcosa di poco serio).

Mastrocola: "Fino a venti anni fa noi occidentali eravamo una civiltà convinta di poter portare avanti tutto questo patrimonio millenario meraviglioso, poi sono arrivati i nuovi pedagogisti e ci hanno obbligato alle soft skills, le abilità non cognitive, cose come la stabilità emotiva o la capacità di lavorare in gruppo. C’è un disegno di legge già approvato alla Camera sull’introduzione delle soft skills fin dalle elementari. Per non parlare della novità di materie come sviluppo sostenibile o cittadinanza digitale". (Uno, non si capisce cosa c'entri la distruzione del patrimonio millenario di cultura con l'insegnamento aggiuntivo di qualcos'altro; due, la gran parte dei pedagogisti contesta l'insegnamento delle soft skills per la scarsa chiarezza concettuale delle stesse e perché di chiaro stampo "confindustriale" - passatemi il termine -; tre, l'insegnamento trasversale di temi come quelli della cittadinanza non implicano l'indottrinamento, semmai la concettualizzazione e la messa in discussione dell'ordine costituito - cosa che ovviamente fa venire i brividi ad una cariatide come Mastrocola -).

PM: "La Dad poteva essere usata in modo diverso, magari regalando airagazzi grandi lezioni video. Ti ammazzo di bellezza un’ora sola al giorno, invece di tenerti appeso al computer sei ore, dopodiché vai, leggi, studia, corri, balla. Una lezione online di Canfora o Baricco o Rovelli sarebbe stata una splendida occasione. (Come detto, per Mastrocola essite solo l'insegnamento dell'italiano).

LR: "Gli insegnanti dovrebbero avere l’umiltà di accettare che le grandi lezioni le fanno altri. Forse è questa una delle grandi promesse future della tecnologia." (E quindi Mastrocola e Ricolfi conoscono tutti gli insegnanti italiani tanto da poter formulare l'enunciato er cui i docenti italiani, tutti sono incapaci di grandi lezioni, da lasciare esclusivamente ad uomini di cultura, chissà, magari come loro? E siamo sicuri che loro oo gli intelletuali come loro siano aprioristicamente capaci di grandi lezioni? Da quando conoscere qualcosa vuol dire anche saperla spiegare? Presunzione, classismo ed elitismo la fanno da padroni in questo passo dell'articolo)

In quest'articolo si mescolano come si vede cose molto diverse tra di loro: l'alternanza scuola-lavoro, per esempio, che è una cosa che concettualmente  non piace neanche a me, però è anche vero che soprattutto in scuole come gli istituti professionali o i CFP,  l'aspetto pratico è fondamentale per evitare la dispersione; il problema è rendere significativo da un punto di vista educativo questa esperienza.
Le competenze di cui discutono i tre "saggi": queste sono una cosa sacrosanta nel mondo moderno, semmai il problema è che alcuni insegnanti ne sono privi o non hanno chiaro di cosa si  tratti, ed è impossibile insegnare qualcosa che non si possiede o non si conosce. E poi, la solita stupidaggine delle competenze che escludono la conoscenza disciplinare (stupidaggine in cui cade anche Canfora): chi lo dice che le competenze debbano escludere la trasmissione, anche estetica, della conoscenza? Ma si prenda la competenza inerente il linguaggio artistico letterario e la sua tutela: come si fa a raggiungerla se prima non si è lavorato sulla conoscenza delle arti, sul loro linguaggio e sull'estetica delle arti?
Sull'eccesso di burocratizzazione: ogni eccesso è di per sé un male, ma altrettanto è l'arbitrio di una scuola in cui l'insegnante pensa di non dover mai dichiarare o dimostrare nulla, di non dover spiegare il senso del proprio operato.
L'educazione civica è una materia vischiosa, è vero: si rischia l'indottrinamento. È anche vero però che se ben fatta può essere problematizzazione e messa in discussione dello status quo, dibattito e dialogo.

Andando ancora più nello specifico e approfondendo il pregresso degli scritti di Mastrocola e Ricolfi (si veda per esempio Il danno scolastico) il ragionamento che viene condotto è fallace nella misura in cui dà assiomaticamente per vere le premesse maggiori del sillogismo: prima premessa: una scuola che non chiede e non prepara è classista; seconda premessa: la scuola attuale non chiede e non prepara; conseguenza: la scuola attuale è classista.

Nel loro pamphlet il magico duo ha provato ad articolare questo ragionamento: peccato che le argomentazioni di Mastrocola si riducano all'aneddotica, per cui la scuola non è altro che il classico, anzi, l'insegnamento della sua materia; nel caso di Ricolfi e delle sue comparazioni, il nostro ha il vizietto di comparare sistemi incomparabili: nell'articolo per Repubblica lo fa, come riportato nel post, comparando diplomati pre sessantotto con laureati post sessantotto; nel pamphlet lo fa comparando quanti migliorarono il proprio livello socioeconomico dopo diploma prima del sessantotto e la condizione dei diplomati di oggi, facendo finta di non sapere che nel suo calcolo non si tiene in conto la dispersione scolastica, al 50% dopo la terza media prima del sessantotto, oggi invece al 13%, e che esisteva il doppio canale per cui una bella fetta degli studenti di condizione sociale più bassa veniva indirizzato verso le scuole di avviamento professionale, che non rilasciavano diploma, bensì qualifica, mentre oggi li istituti professionali rilasciano consentono il conseguimento del diploma (al netto del fatto che ci sono anche fattori esterni che influiscono largamente sul conseguimento di una condizione socioeconomica migliore, come per esempio il boom economico ancora vivo fino agli anni sessanta). Così Ricolfi annota che prima del sessantotto un diplomato su quattro migliorava la propria condizione socio economica rispetto ai genitori, mentre oggi uno su cinque: peccato che il calcolo sia frutto di un evidente cherry picking, la selezione dei dati da valutare in modo che non smentiscano la tesi che si vuole affermare. Tra l'altro, lo stesso Ricolfi ammette che le prove Invalsi non evidenziano peggioramenti nella formazione, tanto che deve ricorrere al dato socioeconomico per portare avanti la propria tesi.

Ancora, Mastrocola spesso propone al proprio pubblico il leit motiv della scuola democratica che avrebbe ridotto la comprensione dell'italiano. Mastrocola dovrebbe però dimostrare che la scuola pre-sessantotto lavorava su quelle competenze meglio della scuola attuale, ma lo deve dimostrare davvero, tirando fuori i dati, per esempio sulle competenze linguistiche di quel 50% di dispersi pre sessantotto che lei  e suo marito non considerano mai o di quei ragazzi che prima della riforma imboccavano il canale professionale che dava esclusivamente la qualifica; dovrebbero quindi dimostrare che gli studenti di oggi delle stesse condizioni socoeconomiche, che magari riescono a concludere il proprio percorso scolastico in un istituto professionale o tecnico, siano in condizioni peggiori. Invece Mastrocola, sempre procededndo per aneddoti, sembra guardare solo al piccolo mondo del liceo classico. Intanto le rilevazioni PIAAC e quelle PISA dimostrano che i nostri studenti sono grosso modo, per quanto riguarda il conseguimento delle competenze linguistiche e matematiche, nella media dei risultati OCSE, mentre gli adulti, quelli della scuola che piace tanto al magico duo, stanno messi decisamente peggio degli adulti di altri paesi. Ma questi sono dettagli.
Mastrocola fa poi volutamente una gran confusione e chiama genericamente "progetto" qualsiasi cosa non sia l'insegnamento di Monti o di Pindemonte.

Per concludere, se si vuole dare un uso agli scritti di Mastrocola e Ricolfi, l'unico che mi viene in mente è quello di manuale sulle argomentazioni scarse, ovvero di come non si argomenta una tesi.

mercoledì 19 gennaio 2022

Il problema della discussione sulla pandemia è in primo luogo un problema di metodo

 Analizzando questi anni di narrazione e discorso sulla pandemia, mi sembra sempre più di poter trarre alcune conclusioni, spesso, lo ammetto, sconfortanti. La prima, la più importante, in prospettiva, è che la discussione sulla pandemia è in primo luogo caratterizzata da un problema di metodo. Difatti sui media, nell'azione politica, nelle discussioni da bar e da salotto televisivo la discussione sul Covid ha evidenziato la radicale tendenza della classe dirigente e della popolazione che l'ha espressa a ragionare in termini deduttivi o autoritari. Per accorgersi di questo dato occorre fare degli esempi e delle analisi. 

Possiamo per esempio notare che più volte si è cercato di piegare la realtà a teorie prive di supporto nei dati o che limitavano la complessità della situazione. Diceva Paolini nel suo spettacolo ITIS Galileo, per descrivere l'atteggiamento dogmatico degli aristotelici del XVII secolo, "questa è la teoria, la realtà cortesemente si adegui". Per capire a cosa mi riferisco, si pensi agli innumerevoli slogan che sono stati sostenuti da politici e presunti esperti: "il virus è clinicamente morto"; "il vaccino ci proteggerà dal contagio"; "il contagio avviene solo tramite droplet"; "le chiusure hanno causato un danno psicologico"; "le scuole sono sicure"; "pensiamo all'apprendimento perso"; "alleniamo il sistema immunitario"; "il virus diventerà endemico". Tutte queste affermazioni non sono risultate per forza in blocco scorrette (del resto, per la legge dei grandi numeri...) ma sono state fondate su teorie preconcette che dovevano essere applicate a prescindere ad una realtà di per sé mutevole, complessa, e in larga parte ignorata.

D'altro canto un altro elemento tipico della narrazione degli ultimi anni è stato  l'appello all'autorità e la divizzazione delle figure sanitarie: basti pensare alla perenne presenza sui media di figure come Zangrillo, Bassetti, Burioni, Galli, Crisanti, Silvestri, Gandini e altri, perennemente interpellati in quanto auctoritas, a prescindere dalla loro reale competenza sulle questioni affrontate e persino a prescindere dai risultati delle loro predizioni o ipotesi. Anche in questo caso, non tutto quello che hanno detto queste autorità è risultato falso (e non tutto è risultato vero), ma la loro autorevolezza non è stata affermata in base ai dati, semmai i dati sono stati letti in base alla loro autorevolezza.

Del resto all'analisi dei dati si è preferita la narrazione simbolica e salvifica: una retorica da guerra da un lato, l'immagine della figura salvifica del Migliore dall'altra. La retorica di guerra ha così prodotto una simbolizzazione alienante: gli ospedali come prima linea sul fronte; le scuole come baluardo da proteggere e santuario del futuro; la critica feroce e a prescindere dell'intellettuale dissidente, che ha triturato sia figure borderline o dichiaratamente novax come Cacciari, Agamben e Freccero, sia intellettuali specchiati come Montanari e Barbero, colpevoli però di aver avanzato posizioni critiche su alcune scelte governative. Anche in questo caso spesso la critica non ha riguardato il merito delle affermazioni, ma l'atto stesso della critica. Più ambigua è stata la retorica sulle figure degli insegnanti: in un primo momento eroi (del focolare, vista la loro attività a distanza che permetteva ai genitori in smart working di lavorare tenendo impegnati i figli in DAD), poi disertori nel momento in cui hanno avanzato critiche alla permanente retorica delle scuole sicure; ancora più netta la contrapposizione tra il buon soldato, il cittadino che ha fatto il proprio dovere vaccinandosi, e il nemico, il novax (prima il nomask), il nemico interno che causerà il crollo del fronte di fronte al nemico esterno, il virus, che nella retorica attuale è, comunque, sempre meno un problema, sempre più un avversario con cui scendere a patti, "dobbiamo accettare 3-4000 morti per tre, quattro mesi all'anno, come prezzo per la libertà".

Sulla retorica salvifica, basti rapidamente pensare alla messianica attesa dei vaccini prima, alla dogmatica fede poi nel "governo dei migliori", dogmatica al punto da non poterne mettere in discussione gli atti o i dati: "i numeri li diamo noi".

Alla luce di tutto ciò si può osservare anche che è mancata l'interdisciplinarità o la capacità di adoperare il ragionamento induttivo, dato che sono state sistematicamente ignorate le indicazioni provenienti da scienze diverse dalla medicina. Facendo una rapida carrellata, sono state ignorate le indicazioni sulla propagazione de virus nell'aria da parte dell'Ingegneria, come gli studi di Buonanno; nessun seguito hanno avuto le predizioni su base statistica di gruppi come Predire è meglio che curare di uno statistico come Tosi o di fisici come Battiston e Ferretti; le considerazioni pedagogiche e organizzative sull'organizzazione del complesso sistema scolastico di esperti pedagogisti come Cappa, Corsini o di insegnanti come Spicola, o anche l'appello dei 2000 presidi contro la riapertura delle scuole sono caduti nel vuoto. Ciò che più fa specie, è che tutti gli autori citati hanno preso posizione sulla base di dati e studi sistematicamente ignorati. 

Solo una scienza ha avuto voce in capitolo: la scienza economica. Anzi, tale scienza ha avuto talmente tanto peso che, si può ipotizzare, la medicina e la sua elevazione al di sopra di ogni altro sapere è stato funzionale: la medicina, in questo contesto, è stata strumento e ancella dell'economia. 




domenica 2 gennaio 2022

Tenshi no Tamago (L'uovo d'angelo), Mamoru Oshii

 Tenshi no Tamago (L'uovo d'angelo), scritto e diretto da Mamoru Oshii, è un film animato (OAV) del 1985. 

La trama è apparentemente semplice: il film si apre sulla visione di un'enorme e amletica figura, un grande occhio che si abbassa sulla terra: avvicinandosi all'occhio, socopriamo che appare come un'immensa vetrata circondata da statue di oranti. A fissare l'occhio, da lontano, la figura di un uomo.

in un mondo desolato ci appare poi una bambina, che porta con sé un gigantesco uovo, tenendolo sotto le sue vesti, quasi come a covarlo o a portarlo in grembo. 

Questo mondo è vuoto, le guglie dei suoi palazzi si infrangono sulle acque che inondano strade, piazze, canali, e l'immagine distorta della civiltà filtrata dalle acque è un elemento ricorrente per tutta la durata del film


Nel suo peregrinare fra le strade e i palazzi decadenti, la bambina incontra un soldato, l'uomo della prima scena, armato di una spada/fucile cruciforme, che decide di seguirla e scortarla nelle sue peregrinazioni 

La bambina in principio non si fida del soldato, sembra quasi fuggirlo, ma poi gli si affida.


I due viaggiano, sotto la pioggia, attraverso scalinate infinite, in movimenti dall'alto verso il basso o viceversa che sembrano simboleggiare la discesa all'inferno o l'immersione nella caverna. Il tutto è costantemente avvolto e riflesso nell'eterotoopica immagine dell'acqua.


Il soldato chiede alla bambina cosa pensa sia l'uovo, lei chiede il suo nome. Le domande rimangono senza risposta: rimarranno tali per tutto il film., Anche nel momento in cui la fiducia della bambina nei confronti del soldato si sarà fatta salda.

Scopriamo che il mondo non è disabitato: altri uomini, pallidi come spettri, scattano verso la lotta; armati, vanno alla caccia di ombre di animali, anch'essi irreali quanto quegli uomini che non hanno più nulla della vita. 

In un crescendo di pioggia, una pioggia che appare sempre di più un diluvio, il soldato racconta alla bambina una versione distorta del mito biblico del diluvio universale. In questa versione, la colomba che annuncia a Noè la fine delle pioggie non fa ritorno, e gli uomini rimangono tanto a lungo sull'arca da dimenticare l'esistenza stessa della terra, mentre tutti gli animali si estinguono, pietrificandosi. La bambina a questo punto mostra al soldato il corpo pietrificato di un enorme uccello (o un angelo): di quell'uccello, plausibilmente, lei cova l'uovo.

Il soldato le chiede come faccia ad essere sicura di ciò che contiene l'uovo. Le dice che solo rompendolo potrà sapere con certezza cosa ci sia. La bambina si rifiuta.

Il soldato e la bambina si rifugiano in un palazzo per difendersi dalle piogge. 

In una delle scene più lunghe e drammaticamente statiche del film, la linea che corre tra la spada del soldato ed il fuoco, passando per l'uovo e le mani del soldato, ci anticipa quanto avverrà con l'arrivo del buio.

Il soldato decide di spaccare l'uovo per conoscerne il contenuto. Il soldato, le cui mani sono ferite (è forse portatore di ferite come stigmati?) imbraccia la sua spada cruciforme e distrugge l'uovo

Il soldato, compiuto il gesto, si allontana, lasciando la bambina. Noi non sapremo mai il contenuto dell'uovo. Il mondo ci appare desolato, le ombre di uomini ferme come statue vivono nel riflesso delle acque che sommergono le strade.

La bambina al risceglio scopre che il soldato ha rotto l'uovo e, vinta dalla disperazione, urla e insegue l'uomo.

Nella sua corsa però giunge alle soglie di un precipizio - un canale? - e qui precipita.

Nel suo precipitare verso la morte la bambina ci appare nel riflesso dell'acqua come una donna: bambina e donna riflessa si congiungono per sparire nel fondo delle acque.

Dall'ultimo respiro della bambina, emergono sulle acque infinite bolle, che si tramutano in nuove uova - il germogliare di nuove vite? - mentre il soldato, tra le piume bianche - di una colomba o di un angelo? - si affaccia su di una riva innanzi alla figura dell'occhio.

Tra le statue ne scorgiamo una nuova, al centro dell'occhio: è la statua della bambina che protegge l'uovo.

L'inquadratura si allontana: più il punto di vista si fa distante, più l'isola su cui si sono svolti gli eventi ci appare come la chiglia di un'arca rovesciatasi immersa nelle acque del diluvio.



Come è facilmente intuibile, il film si caratterizza per la fitta rete di rimandi simbolici che si accavallano per tutta la sua durata, poco più di un'ora. I richiami alla Bibbia sono evidenti: dal diluvio universale, all'uovo pasquale, passando per la figura cristologica del soldato. Ma è anche evidente come il film sia figlio della crisi spirituale attraversata da Mamoru Oshii nei mesi precedenti alla scrittura e alla direzione della pellicola. La bambina, in questa chiave di lettura, rappresenterebbe la violenzza della perdita dell'innocenza, la scoperta della finzione delle proprie credenze (e la violenza del gesto del soldato è simbolicamente la violenza di uno stupro); la fine delle certezze dell'innocenza sono qui incarnate dalla figura senza identità, amletica, del soldato, colui che deve distruggere l'oggetto che vuole comprendere per poterlo capire. In un certo senso si può leggere nella figura del soldato e della bambina anche lo scontro tra conoscenza scientifica e atto di fede, oltre al passaggio all'età adulta. Ma il soldato è egli stesso incarnazione di un'abnegazione dolorosa, di un martirio: egli, con le sue stigmati, con la croce che si porta con sé, si fa carico di proteggere e curare l'innocenza della bimba, così come si fa carico, alla fine di distruggerla, e portarla quindi ad essere finalmente generatrice di vita, portatrice di un rinnovamento che ha bisogno della distruzione per potersi ingenerare.

Queste possibili chiavi di lettura, che non sono di certo le uniche, sono favorite dalle scelte registiche di Oshii, il quale riduce al minimo i dialoghi: su 71 minuti di pellicola, i dialoghi si riducono a poco più di 2 minuti. L'andamento e l'interpretazione del film sono guidati dalle immagini e dalle scelte stilistiche. In particolare la dualità, l'ambivalenza e l'ambiguità sono favorite dal continuo ricorrere ad oggetti ed elementi ambigui: l'acqua soprattutto, portatrice di vita (la bambina continuamente attinge ad ampolle che ha riempito e disseminato per tutte le strade, vie, piazze) ma anche di devastazione e morte con il suo inondare; l'acqua, ancora, con il suo riflettere e distorcere, genera l'eterotopia di luoghi, i canali o le rive, per esempio, che sono qualcosa e contemporaneamente qualcos'altro, specchio di una realtà che è e non è allo stesso tempo. Tutto è lugubre su quest'isola, cupo, derelitto, e tutto è labirintico, pare esterndersi senza meta e senso nello spazio orizzontale, nell'intersecarsi di vicoli e canali, e nello spazio verticale, nelle scalinate a chiocciola senza fine, nei movimenti ascensionali e discensionali dei protagonisti. Le musiche orchestrali scandiscono i  ritmi della vicenda, come i giochi di luce: esempio è la scena, già descritta, in cui la figura della bambina che dorme abbracciando l'uovo e del soldato che la veglia immobile, in un movimento di linee oblique che si inntersecano nella staticità delle posizioni, costringe lo spettatore ad osservare il dettaglio, ad attendere quel qualcosa che può solo ipotizzare e presentire nel fatto che le minime asimmetrie nel dislocamento delle figure in quello che appare a tutti gli efffetti come un quadro abbiano un significato; che ci sia un perché nel fatto che l'occhio sia spinto a partire dalle mani del soldato illuminate dalla luce del fuoco a condurre la vista verso la spada cruciforme passando per il ventre della bambina che protegge e nasconde l'uovo.  

Tenshi no Tamago è un capolavoro, un film da vedere, anche solo per trovare il proprio significato alle scene e alla vicenda nel complesso. Perché per forza di un proprio significato si deve trattare, dato che Oshii stesso, a domanda diretta, ha risposto più volte che neanche lui sa esattamente cosa abbia voluto dire con quest'opera.


The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....