mercoledì 29 dicembre 2021

Esercizi argomentativi su un "Quirinale e altro: sciogliere le Camere? Meglio di no" di Sabino Cassese

 In questi giorni ho letto sul Corriere un interessante articolo di Sabino Cassese, pubblicato il 27 dicembre 2021, con titolo Quirinale e altro: sciogliere le Camere? Meglio di no (LINK). L'articolo, oltre ad essere un'utile riflessione sulla necessità di eleggere un Presidente della Repubblica pro o contro lo scioglimento anticipato delle camere, permette l'esercizio di analisi argomentativa, chiarendo già dal titolo la propria tesi. Per questo, insieme ad un mio alunno, ci siamo esercitati nel ridurre a mappa argomentativa l'articolo e nel proporre la dimostrazione dell'antitesi.


Cassese sostanzialmente parte cercando di confutare l'antitesi: coloro che vorrebbero un Presidente della Repubblica disponibile a sciogliere le camere, adducono come ragione il cambiamento degli orientamenti elettorali, con esempi lampanti le proiezioni di voto di M5S, Forza Italia e Fratelli d'Italia. Proprio la volatilità dei sondaggi però è per Cassese l'arma per confutare questa argomentazione: non si può legare lo scioglimento delle camere al movimento dei sondaggi, ed esempio evidente è stato proprio il continuo movimento del consenso politico della Lega, intorno al 20% alle elezioni  del 2018, salito al 40 % nel 2019, per poi discendere nuovamente e tornare intorno al 20% oggi.

Per Cassese poi non è realistico che un quarto se non la metà dei grandi elettori, i quali perderanno il posto in Parlamento con lo scioglimento delle camere,  eleggano un Presidente della Repubblica che li mandi a casa. 

Infine Cassese dimostra la propria tesi. Per fare questo richiama l'enorme responsabilità che sta dietro il potere di scioglimento delle camere e, soprattutto, come dietro lo sfasamento nella duurata delle diverse cariche istituzionali stia il principio che nelle repubbliche moderne vuole evitare la cosiddetta dittatura della maggioranza. In pratica, se il Presidente della Repubblica sta in carica 7 anni, i giudici costituzionali 9, i parlamentari 5 è perché si vuole evitare la coincidenza delle elezioni e che una parte politica si trovi, in un certo momento, ad occupare tutte le istituzioni. Questo principio è applicato in tutte le repubbliche moderne, ed esempi di coabitazione di schieramenti politici diversi sono frequenti negli USA, in Francia ma anche in Italia.


A questo testo ci siamo divertitti, dicevamo, a proporre una contro dimostrazione dell'antitesi.


In questo caso la tesi è che sarebbe meglio eleggere un Presidente della Repubblica disponibile ad andare ad elezioni anticipate. Sicuramente i contrari a questa tesi obietterebbero che andare ad elezioni durante la quarta ondata della pandemia non sia auspicabile, eppure sicuramente non c'è motivo per limitare l'esercizio della democrazia se si prendono le opportune precauzioni, come del resto dimostrato dalle tornate elettorali locali in Italia, dalle elezioni in Francia e da quelle degli USA.

Riguardo allo sfasamento nella durata delle cariche istituzionali di cui parla Cassese, è vero che occorrerebbe evitare l'accorpamento delle elezioni, e tuttavia questo accorpamento non è vietato dalla Costituzione, e, in astratto, è persino previsto, dato che, almeno ogni 35 anni avverrebbe l'esatta coincidenza tra la fine del mandato dei parlamentari e quello del Presidente della Repubblica. E, come sappiamo, se qualcosa non è vietata, è lecita. 

Del resto, Cassese dice che non si può pensare ai sondaggi come ad uno strumento oggetttivo per valutare il cambiamento di opinione della popolazione; dice addirittura Cassese che la Costituzione stessa non è chiara su quando il Presidente della Repubblica possa decidere che questo cambiamento è evidente nella popolazione, tanto da decidere di sciogliere le camere. Tuttavia, viviamo in un'epoca eccezionale, in cui dalle'elezioni del 2018  ci separa un evento spartiacque, la diffusione della Covid-19, per cui occorrerebbe dare la possibilità quanto prima agli elettori di giudicare l'operato dei politici tramite le elezioni, per mettere in mano il governo del paese in questa situazione a chi loro giudicheranno essersi meglio comportato in questi primi due anni di gestione della pandemia.

sabato 18 dicembre 2021

L'Aleph, Jorge Luis Borges




 L'Aleph, di Jorge Luis Borges, è una raccolta di racconti, la cui lunga redazione, iniziata come pubblicazioni sparse su diverse riviste, passa per una prima edizione nel 1949, continua con diverse revisioni fino alla definitiva, del 1974.

In questa raccolta Borges affronta diversi temi, la morte e l'immortalità, il labirinto e la rete, l'infinito, la dottrina teologica. L'Aleph che dà il titolo all'opera e all'ultimo dei racconti è, per esempio, un punto, uno spazio fisico e temporale in cui si concentrano tutti gli altri punti nello spazio e nel tempo, ma che ha la capacità di mantenere separati i punti nella loro unione. Così, chi dovesse imbattersi nell'aleph potrebbe di colpo trovarsi di fronte a tutto il reale passato, presente e futuro, e discernerlo. 

Uno dei temi affrontati è quello dell'unità nella separazione, dell'unità duale: in I teologi il protagonista della vicenda, Aureliano, vive un'intensa rivalità con Giovanni di Pannonia, sapendolo più dotto e abile; finisce per causarne la condanna al rogo per eresia ma, quando anch'egli sarà defunto, scoprirà che per Dio non c'era differenza fra i due, tanto da considerarli un unico essere. Similmente il protagonista di Biografia di Tadeo Isidoro Cruz, gaucho, brigante e infine poliziotto, trova il suo opposto ed eguale nel fuggitivo di cui va alla caccia, Martin Fierro, con cui infine solidarizza. In L'immortale Marco Flaminio Rufo, dopo lunga esplorazione, giunge al cospetto di una città attraversata da un fiume che rende immortali e circondata da selvaggi immortali; fra questi scopre Omero. Assieme ad Omero Rufo attraversa numerosi eventi storici, fino a scoprire un nuovo fiume che lo renderà, con sua gioia, nuovamente mortale. Solo dopo la sua morte scopriremo però che, forse Rufo e Omero sono la stessa persona.  

Ancora, viene affrontato il topos del labirinto, in questo caso nei racconti AsterioneAbenjacàn il Bojarí, ucciso nel suo labirinto. In entrambi i racconti il labirinto è luogo di detenzione o di autodetenzione, è trappola, luogo di morte, nel primo caso per il protagonista, il Minotauro, nel secondo caso per colui che entra nel labirinto pensando di essere il carnefice. Il tema tornerà ancora in I due re e i due labirinti.

In Emma Zunz e  Storia del guerriero e della prigioniera vediamo la realtà farsi una rete fitta di intrecci e nodi, intrecci e nodi a volte intessuti fino allo spasimo dai protagonisti stessi, come nel primo dei due racconti, lì dove la protagonista, per vendicare un torto subito dal padre, arriverà a farsi stuprare da uno sconosciuto per poter poi simulare lo stupro da parte dell'antico rivale paterno e ucciderlo; nel secondo racconto invece la casualità dei destini che si incrociano conducono un guerriero longobardo, Droctulft, e una prigioniera indiana ad abbracciare la causa altrui.

In Lo Ẓāhir e in L'Aleph, infine, compaiono i temi dell'ossessione e della follia: nel primo leggiamo di Borges stesso venuto in possesso di un oggetto banale, una moneta, che ne catalizzerà l'attenzione sino a condurlo ad una serena follia; nel secondo, di un minuscolo e folle scrittore che, volendone l'apprezzamento, conduce il protagonista del racconto a scoprire il suo segreto, un luogo, l'aleph, che contiene ogni altro luogo; e tuttavia non possiamo non chiederci se l'aleph sia vero o no, chi sia il folle fra il protagonista e il suo antagonista, o se non lo siano entrambi.

Come si vede, quindi, la realtà labirintica, misteriosa, metafisica è il nodo su cui si concentra la riflessione dell'autore. Ne emerge una rete di fitti rimandi intertestuali, di citazioni letterarie, di metanarrazione con vicende che ricorrono più volte nel corso dei racconti, personaggi che fanno riferimenti ad altri personaggi di altri racconti, labirinti che non sono mai lo stesso labirinto, realtà e finzione, storia e narrazione che si rincorrono. Borges è per questo uno dei più significativi scrittori del XX secolo, per la sua capacità di raccontare la complessità, di porre le basi per lo sperimentalismo postmoderno, per una narrazione che non conclude, ambigua, polimorfa.

mercoledì 8 dicembre 2021

Oreste dietro Amleto

Fra le questioni aperte legate alla figura di Shakespeare una fra le più interessanti è la domanda se l'autore inglese conoscesse o no il teatro greco, e, qualora lo conoscesse, se la frequentazione dei drammi greci fosse o no mediata da traduzioni latine.
All'interno della diatriba, altrettanto dibattuto è il debito di Shakespeare nei confronti dei tragediografi greci, Eschilo in particare, per la costruzione del personaggio di Amleto e della sua tragedia. È molto semplice, infatti, osservare le similitudini tra Amleto e Oreste: entrambi i personaggi sono figli di un padre, un re, ucciso con l'inganno, inganno ordito proprio dalla moglie del re e dal suo amante; Oreste e Amleto vengono informati dell'inganno da una visione ultraterrena, il primo avvisato da Apollo, il secondo dal fantasma del padre; entrambi i personaggi ottengono la vendetta con la morte dei traditori; entrambi i personaggi verranno comunque in qualche modo puniti per il loro gesto, Amleto con la morte, Oreste con la persecuzione delle Erinni, divinità ctonie vindici del sangue versato.

Fino a qui parrebbe che Shakespeare abbia plagiato il mito greco, ma in realtà, a partire probabilmente da un mitologema comune, le due storie hanno nei tragici greci e con il drammaturgo inglese sviluppi e significati diversi. 

Nella trilogia eschilea dedicata al mito degli atridi assistiamo allo sviluppo di un passaggio epocale nell'evoluzione della polis greca, attraverso la successione dei delitti di una faida familiare: la morte di Agamennone per mano di Egisto e Clitemnestra, e la successiva vendetta di Oreste, portano la vicenda alla risoluzione solamente tramite l'intervento esterno di Teseo, di Apollo e di Atena, che conducono il giudizio dell'assemblea di Atene sul diritto delle Erinni di perseguitare il il matricida Oreste. Oreste e Apollo sostengono il maggior diritto di Oreste a punire la madre traditrice, ritenendo più grave il tradimento di un patto fiduciario come il matrimonio rispetto al delitto di sangue: l'assemblea darà ragione ad Oreste e ad Apollo contro le Erinni, sancendo la vittoria del diritto comunitario sul diritto alla faida. In questo contesto, Oreste (e la sua amata sorella Elettra) appare una figura piatta e monodimensionale, privo di dubbi, terrorizzato non dalla gravità del suo reato, ma dallo stupore della successiva persecuzione. Oreste, che appare già come il giusto vindice del padre nell'Odissea, non prova rimorso uccidendo la madre e sviluppa il suo amore quasi incestuoso nei confronti della sorella Elettra e nell'amicizia fraterna di Pilade.

Amleto, dal canto suo, ricevuta l'epifania del fantasma del padre, è vinto dal dubbio; il principe di Danimarca cerca conferme, teme l'intervento del demonio (come le Erinni, la presenza ultraterrena dal mondo dei morti appare inquietante, mortifera, ingannevole), decidendo di fingersi pazzo per condurre la propria inchiesta. La follia di Amleto fornisce al personaggio più volte occasione di realizzare la propria vendetta, occasioni che però il protagonista del dramma non tramuta mai nell'atto che pure pare cercare. D'altro canto, la follia di Amleto distrugge l'amore per la donna amata Ofelia, più volte descritto come un amore fraterno, conducendo la donna ad una vera follia e alla morte. Nello sviluppo degli eventi, smascherati Gertrude e Claudio, rispettivamente moglie del re morto e madre di Amleto l'una, e amante della vedova, nonché fratello del defunto l'altro, Amleto viene sfidato a duello da Laerte, fratello di Ofelia, e nello scontro si realizza la vendetta: Gertrude, madre di Amleto, beve la coppa avvelenata dedicata al figlio, e Claudio muore della spada avvelenata che egli stesso aveva predisposto per il principe di Danimarca. Amleto stesso giunge alla morte, ferito dalla stessa spada, concedendo come lascito al nuovo sovrano Fortebraccio il consiglio dell'amico fraterno Orazio.
Se Oreste è piatto e monodimensionale, Amleto è sfaccettato, pluridimensionale, incoerente; se Oreste predispone la vendetta, Amleto pare evitarla, fino ad imbattercisi suo malgrado; se Oreste pare del tutto indifferente alla madre, Amleto pare strenuamente legato a Gertrude, tanto che si è potuto parlare di rapporto edipico e criptoincestiuoso tra i due; se Oreste è atterrito dalla persecuzione più che dal delitto, Amleto invece più volte si dichiara atterrito dal dubbio e dalla paura della sofferenza post-mortem, vittima dell'incapacità di decidere, del timore che conduce all'inazione. Se Oreste è l'eroe della certezza, Amleto è l'eroe del dubbio.

il ragionamento ondivago di Amleto nel monologo dell'atto III



Alcuni critici hanno evidenziato somiglianze tra l'Amleto di Shakespeare e l'Oreste di Euripide, ben piu problematico dell'eroe eschileo. Tuttavia, senza poter dimostrare la conoscenza del teatro greco da parte dell'autore inglese, sembra difficile poter andare oltre la semplice ipotesi di simili filiazioni. Più concretamente è possibile ipotizzare l'origine comune dei due miti, il mitologema dell'uccisione del vecchio re da parte di uno nuovo e più giovane, che lo spodesta facendosi sposo della vedova; il mitologema simboleggia la morte della vecchia stagione e il sopraggiungere della nuova. A partire da questo nucleo il teatro tragico greco ha sviluppato la vicenda di Agamennone e Oreste, piegandola all'interpretazione della propria realtà, quella della polis nel suo sviluppo (Eschilo), nelle sue contraddizioni e decadenza (Sofocle ed Euripide); dal canto suo Shakespeare reinterpreta il mitologema piegandolo alla descrizione della realtà problematica, priva di certezze, contraddittoria della società del XVII secolo. In un caso come nell'altro Oreste e Amleto si fanno portavoce dello spirito del proprio tempo, descrivendone a pieno virtù e vizi.

Per approfondire
Valentina Mancinelli, Oreste e Amleto: variazioni sul mito, Tesi di laurea in Storia dello Spettacolo nel Mondo Antico https://www.academia.edu/19357870/Oreste_e_Amleto_variazioni_sul_mito 

mercoledì 1 dicembre 2021

I danni della scuola del merito: un esempio

 Siamo in classe. Si interroga: chiedo se sono presenti volontar*; tutto tace. A questo punto, per non fare torto a nessun*, decidiamo di sorteggiare i numeri delle  persone che dovranno immolarsi per la classe. Usiamo un generatore casuale di liste.

Vengono fuori i numeri: fra di essi c'è anche un* alunn* con disturbi dell'apprendimento. *l* faccio presente che, se vuole, è prevista la possibilità di concordare le interrogazioni; se non se la sente, possiamo stabilire che  sarà interrogat* (tassativamente) la prossima volta.

Lo sguardo nei volti del resto della classe è inferocito:  DEVE essere interrogat*, e DEVE prendere tre. Il fatto che per *l* compagn* sia prevista NON la dispensa dall'interrogazione o la possibilità di domande semplificate, ma semplicemente la possibilità di stabilire quando essere valutat* (perché il funzionamento del suo cervello è un po' diverso da quello de* compagn* e per *l* compagn* fare le stesse cose richiede molta più fatica) per *l* altr* è una profonda ingiustizia.

L'alunn* si sente colpevole come come un assassin*: quell* che è e non ha scelto di essere per la classe è una colpa. Alla fine decide di non avvalersi di un suo diritto, prende un tre per la soddisfazione de* compagn*. L* invito a non farlo: non si cede sui propri diritti, ma ha paura di essere emarginat*. Giungiamo ad un compromesso per placare gli animi: prenderà quel voto, ma la prossima lezione l* sentirò e, qualsiasi voto prenderà, queello sarà il voto definitivo che sostituirà quello di oggi. Per la lasse giustizia è fatta: del resto, tutti sono stati trattati ugualmente, no?



No, non ho fatto giustizia, perché, come diceva Don Milani, se fai parti uguali tra diseguali stai facendo il gioco delle diseguaglianze. Non c'è uguaglianza senza equità.

Ma perché la classe ha reagito in quel modo?

Perché se educhi per anni gli studenti all'idea che la scuola prepari al lavoro, che fuori l'individuo viene prima della società, che i compagni saranno concorrenti; se educhi all'idea che "il merito" distingue i giusti dagli altri, se educhi all'idea che l'istruzione è un fatto privato, che concorre alla realizzazione della sola mia vita; se educhi all'idea che la società non è altro che una limitazione dell'individuo, che non si vince assieme perché si è cresciuti assieme, se fai tutto questo allora instilli nei ragazzi e nelle ragazze questo senso di "giustizia": abbiamo fatto parti uguali. Non ho dubbi che per loro oggi si sia fatta giustizia, perché loro istintivamente vogliono essere valutati secondo il merito; loro non sanno che quel merito che cercano è distorto, distopico, discrimina per ciò che si è, non per ciò che si fa; quello è il merito di cui sentono parlare ogni giorno dai media, su libri esecrabili, persino dagli insegnanti. Hanno vinto come individui, hanno perso come classe. 

The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle....